Penna suprema
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Volevo mandarti un mp, ma hai la casella piena. Mi spiacerebbe sciupare il mp, quindi te lo lascio qui.
Non ribatto al ribattuto, come hai detto tu. Ma Cappy è troppo bello per lasciarlo con l'editing della persona che te l'ha fatto. Fanne quello che vuoi. Con affetto nic
Carlo Ruggeri, giovane architetto appena assunto dallo Studio Sghembri, quel lunedì di un luminoso settembre, insieme alla moglie Giulia, stava andando a visitare l'appartamento messo a loro disposizione.
-Via del Capricorno 33? -Sì, Via del Capricorno. Gira. Avanti, avanti, 29, 31. Ma è finita! C’è soltanto quel muro con l’arco! -Aspetta, vado a vedere. Scomparve. -Vieni Giulia! E’ qui. La ragazza scese e si trovò in un piccolo cortile cosparso di foglie che scricchiolavano sotto le scarpe; sulla destra, due gradini di pietra conducevano a un antico portale restaurato, incorniciato da pietra arenaria e sovrastato da una trabeazione; preferibile non usare due volte il punto e virgola nello stesso periodo, se non in caso di elencazioneal centro, in una nicchia, una targhetta dipinta riportava il numero 33. La parete terminava con un cornicione a mensole. Niente finestre. Sulla sinistra, di fronte all’arco di ingresso, si ergeva un muro di mattoni, mentre la terza parete della piazzetta era rosa e mostrava un finestrino grigio di ragnatele. L’aria sapeva di umido e di disfacimento. -Allora Giuliè? T’incanti? -Se tanto mi dà tanto… Le chiavi erano due: una grande, pesante, l’altra piccola, retrattile. Luigi infilò la piccola e disinserì l’allarme, poi la grande che girò tre volte rumorosamente. -E’ la casa di Mortizia? Lui scrollò le spalle, entrò e accese la luce. Li accolse una stanza spaziosa, arredata in modo essenziale, ma con mobili antichi, di pregio, che avevano tutta l’aria di essere autentici. Sul fondo campeggiavano un divano rosso, di pelle, con sedute recliner, e un televisore 40 pollici di ultima generazione. Il pavimento era coperto da un grande Qum. -Wow! Favoloso. -Vieni in cucina. E’ piccolina, ma c’è tutto, anche la lavastoviglie. -Una portafinestra… Vuoi vedere che c’è pure il giardino? Aprirono ante e persiane. -Beh virgola “giardino” è un’altra cosa. Era un rettangolo di terreno incolto, largo una ventina di metri e lungo forse il doppio, racchiuso da alte mura lisce. Al centro si ergeva un noce maestoso carico di frutti che si stavano aprendo. Il terreno, coperto da un intrico compatto di erbacce altissime, lasciava libera solo la striscia di cemento del marciapiede. Sulla destra, una piccola rimessa per gli attrezzi. -Ecco dove andrà a finire il nostro week trattino end. -Ci penseremo dopo. Andiamo a vedere il resto. Volarono su per la scala di legno che si apriva lungo la parete del salone. Li accolse un piccolo ballatoio con due porte: una bianca, laccata, l’altra di legno, restaurata. Aprirono la prima. -Bagno. Bello! Doccia con idro. -Pure grande, c’entriamo in due. -Armadio stragrande. Bene. Dai, filiamo in camera. -Ma questa non è una camera, questa è casa mia. Io non mi muovo più. Schiava, servirai sempre qui il tuo signore. E il letto? Sembra a tre piazze. Vieni baby, sbagnalo con me, dai, dai. -Uff. Statti zitto. Non c’è l’armadio. E ti pareva? forse meglio ! Tutto troppo perfetto. Questa porta dove darà? Nooo! E’ lo spogliatoio, la cabina armadio! Specchi in ogni dove e luci al led bianchissime… -Dai, vieni qui. -Sogni? E’ quasi mezzogiorno. Ho fame. Ristorante, poi casa, poi sistemiamo la roba, poi pisolino. -Tu hai sangue negriero.
Il sabato mattina, riposati e carichi di entusiasmovirgola: è incisiva scesero in giardino. Erano pronti. Si divisero il lavoro e cominciarono, accompagnati da “Ecoes” a palla. -Guarda come sono belle le due finestre. Quella della camera ha anche il timpano arcuato, fa parte del piano nobile. -Già. Invece quella accanto, la finestra del bagno, è stata ricavata dopo, come la portafinestra della cucina. Fin lì c’arrivo ci anche io. - La nostra casa dovrebbe essere lo spigolo di un palazzo signorile, nobiliare. Del ‘500 o forse del ‘600. Bisognerebbe vedere l’intero… -A noi basta uno spigolo e ci avanza pure. Guarda che razza di faticata dobbiamo fare. Falciavano di buona lena; a ora di pranzo erano a metà lavoro e nel tardo pomeriggio avevano riempito tutti i sacchi preparati. Stremati, sedettero sullo scalino della cucina e fecero il punto. -Domattina cominciamo a zappare. Tu inizi dall’angolo in fondo a destra, io dall’altra parte. Arriviamo fin dove si può, ne facciamo un po’ al giorno. -Sì badrone. ci andrebbe una virgola oppure un corsivo...
La domenica, zappe in spalla, presero possesso dei loro reciproci angoli. Avevano iniziato da un’oretta quando Giulia strillò. -Corri virgola Carlo! Qui c’è qualcosa. -Seee, il tesoro dei sette nani… -Ho sfondato qualcosa con la zappa. Qualcosa di legno. In poco tempo, con le mani e una vanghetta virgola (incisiva) liberarono dalla terra una cassetta semplicissima, senza scritte o decori, di una quarantina di centimetri per trenta. Era chiusa da una serratura primitiva, ma efficiente. -La sfondo. -Nooo. Se c’è qualcosa di fragile? Apriamola piano, via questa virgola piano. Qui l’ho scheggiata con la zappa, infiliamoci un cacciavite. Si diedero da fare una mezzapostrofooretta ed estrassero una statuetta di pietra, ricoperta da una patina verde, lunga poco più di un palmo. -Che roba è? -Non lo so. Una bestia. -Beh, fin lì ci arrivo. -C’è una scritta incisa. Aspetta, la lavo con il tubo. Ecco. La pietra, leggermente porosa, era scolpita con cura. La testa era quella di un caprone, con lunghe corna arcuate all’indietro; del destro restava soltanto un troncone annerito, lungo un paio di centimetri. Una lunga barba bipartita toccava terra, divisa in ciocche ondulate. Dalla corta criniera, oltre alle corna, spuntavano le orecchie. Aveva due robuste zampe, mentre la schiena era interamente coperta dal vello diviso al centro, come la riga che le mamme fanno sulla testina dei loro figli; le ciocche, accuratamente scolpite, erano diverse l’una dall’altra. La spina dorsale si allungava e si assottigliava fino a formare una lunga coda che si ritorceva e si sollevava come fosse una coda qualunque. La scultura poggiava su un piedistallo, sotto il quale una mano incerta aveva tracciato una scritta a caratteri irregolari, forse scalfita con un chiodo. -Capricornus… -Fa’ vedere. Capricornus. Ma non dovrebbe essere un capro unito a un pesce? -Eccola la lettrice di oroscopi. Qui c’è scritto così. Vai in Internet e protesta. Carlo si diede una manata in fronte. -Via del Capricorno. Eccolo! E’ il padrone della via. -Ma chi l’ha seppellito e perché? Una statuina così piccola e bella! Come lo chiamiamo? -Chi? -Ma la bestia, chiaro. -La tua mania di dare un nome a tutto: alla macchina, all’iPad… -…a tua madre… Dai, come lo chiamiamo? -Ma non lo so, fai tu. -Cappy. Lo chiameremo Cappy. -Andata. Era tardo pomeriggio quando si allungarono stremati sul divano, con una “la Cotta bionda” gelata e Cappy nella seduta centrale girato verso la tele a guardare con loro “Quelli che il calcio”. -Certo non è un Bernini. chiudi col trattino e continua con la minuscola Pensò Carlo ad alta voce. -No, però è bello e se l’hanno seppellito vale di sicuro. Peccato quel corno rotto. Domani faccio una ricerca in Internet. -Non avevo dubbi. -Meno male che l’impresa di pulizie ha lucidato tutto! Ho il tempo che voglio per chiedere se qualcuno conosce Cappy mio. Guarda che musetto. E’ interessato a Luca Savino. Ehi! Hai lasciato aperte le finestre di sopra. Senti? Sbattono. -Io non sento niente. Vado a chiudere adesso che c’è la pubblicità, tanto con te so come finisce. -Cappy, hai visto come è bravo paparino? Giulia si prese in grembo la statuina. -Tu hai le traveggole. Quassù è tutto chiuso e non si muove foglia. Giulietta, amore ti sei addormentata. Aspetta bestiaccia, togliti che copriamo la principessa. Ecco fatto. Giulia ronfava leggermente e Carlo, sbadigliando, guardava Napoli –Milan insieme a Cappy. -Ahhhh che dormitona! Grazie per non avermi svegliata. -Stavo per farlo. Dobbiamo vestirci per la pizza. -Giusto. Salgo. Hai messo in castigo il piccolo? -No, si è girato da solo per non vedere le cazz… te l'ho scritto. Pensiero mio di Balotelli. I ragazzi uscirono ridendo: i due punti aprono la consequenziale, e non credo che ridano perché sono affamati erano affamati.
-Sono morto dal sonno. -Se, se. Le donne almeno hanno l’emicrania. E’ più figo. Ehi, hai rigirato tu la statuina? -Girato? Ma no, o forse involontariamente mentre mi alzavo. -Cappino, Cappino! Appena resuscitato e già ti muovi. -Dai, scemetta. Volevi ehm… -IO volevo? Io non volevo proprio niente virgola (vocativa) caro mio. Io sto tranquillamente in astinenza ab aeternum ab aeterno. Dicevo per dire. -Per direeee? E partì la litigata.
Al mattino, rimasta sola, Giulia si stiracchiò nel grande letto e prese a osservare i particolari dell’ambiente. Chissà chi ha abitato qui, certo persone abbienti, forse nobili. Forse questa era la loro camera. usa il corsivo per i pensieri Scese dal letto e lasciò cadere la camicina da notte. Una risata fresca di bambina interruppe le sue elucubrazioni. Sorrise. Vicini. Vicini giovani con bambini piccoli. Bene. La risata si trasformò in un pianto dirotto pieno di singhiozzi. Piccolina…Chissà come si chiama, forse è figlia di un collega di Carlo, forse la Schembri è proprietaria di tutto il palazzo e ci ha ricavato appartamenti per i dipendenti, tipo una foresteria. Beh, se c’è gente geniale si può fare amicizia e qualche cenetta in giardino… Si infilò sorridendo sotto il getto tiepido e martellante della doccia. Lavò accuratamente la pelle ambrata, infilò l’accappatoio e cominciò a scendere di sotto mentre si fasciava la testa con l’asciugamano. Solo i riflessi allenati da anni di sport la fecero aggrappare saldamente al corrimano evitandole una caduta rovinosa. Il Capricorno spiccava al centro del terzultimo gradino. Un brivido le percorse la schiena. Era più che sicura di averlo lasciato sul tavolo del salone, accanto all’iPad. “Lo lascio qui, domattina dopo colazione gli faccio una foto e comincio a chiedere in giro”. O forse se l’era portato dietro per l’interferenza di qualcosa: un pensiero improvviso, un richiamo. Mah. Raccolse la statuina, scese e la poggiò sul grande davanzale. -Beh, sei una bellezza, non ci piove. Stai fermo che ti fotografo. Lo posizionò accanto a una penna Bic per le coordinate virgola poi cominciò a scattare. -Un book fotografico in piena regola, come un modello di Armani. E adesso, prima di cercare chi sei, faccio colazione. Tu aspettami qui buono buono. Con la bocca piena di biscotti inzuppati nel lattecaffè e la lente da francobolli, tornò accanto alla finestra. -Ecco qua, bello mio. Fatti ammirare. Per poco non mi mandavi all’ospedale, dovrei... Ehiii! Ehi bambina! Ma come sei entrata? Una bambina bionda, dalla apparente età di cinque-sei cinque o sei anni, stava accovacciata sotto l’albero e raccoglieva le noci nella maglietta sollevata. Giulia scese nel prato. La piccola, che non l’aveva sentita arrivare, cantava una nenia sottovoce e continuava il suo lavoro. -Ciao. Benvenuta! La bimba si girò di scatto e lasciò cadere le noci che teneva in grembo. Giulia la guardò e il terreno si sollevò di colpo.
-Giulia, Giulia, amore… sono qui. Era distesa nel divano, un uomo le stava misurando la pressione. Carlo era pallidissimo, fuori di sé. -Cosa… cosa è accaduto? -Non so, ti sei sentita male in giardino. Sono tornato a prendere dei documenti e ti ho trovata svenuta. Questo è il dottor Moretti, nostro vicino, per fortuna. -E' il padre della bambina? Una smorfia di orrore le alterò viso. Inspirò con forza e perse i sensi. Quando si riprese, era seduta nel letto con una flebo infilata nel braccio: il medico dava istruzioni a una giovane donna. -Giulia! Sei svenuta di nuovo. Cosa c’è, amore? Cosa ti senti? Lei prese a dondolare piano avanti e indietro, meglio un punto fermo o un punto e virgola, visto che sono due frasi disgiunte gli occhi cerchiati erano fissi su un disegno del copriletto. -La bambina… -Quale bambina? Stai calma, sono qui. -La bambina in giardino. Cantava. Si sottrassa all'abbraccio. -Dove hai visto la bambina? -In giar-di-noo! Raccoglieva le noci. -Le noci? -Sì. E quando si è girata… Deglutì con forza. -Quando si è girata? -Aveva un buco sulla fronte e la faccia rossa. -Ommadonnasanta. userei il corsivo Chissà cosa credevo! Sarà stata sporca di qualcosa! Magari era una del vicinato, abituata a venire qui a prendere le noci… -Era sangue. -See virgola sangue. Poteva essere una voglia. -No. La pelle era bagnata. E anche i capelli. Rabbrividì e chiuse gli occhi. -Sarà stata marmellata, tempere... Giulia mosse la mano come a scacciare un insetto, la voce impastata dal calmante: -Ma dove è passata? -Forse nel muro c’è un passaggio che non abbiamo ancora visto. Lo cercheremo. -Vai a cercarlo. Poi vieni a dirmelo. -No, adesso sto qui. Se il passaggio c’è, non scappa. -Vuoi sempre ragione. Chi è quella ragazza? -Un’infermiera. E’ la figlia della fruttivendola, abita nella casa rosa qui di fronte. Per il momento non lavora e starà qui con te mentre sono al lavoro. -Non la voglio. -Me ne impippo. Almeno finché non so bene cosa hai, lei sta qui. -Mi dà fastidio. -Me ne frego. -Ho sonno. Sta’ qui con me. -Sì.
-Buon risveglio, signora. -Grazie. Signora? Ma hai si e no la mia età! Diamoci del tu, io sono Giulia. -Io sono Rosanna. Non riuscirò mai a darle del tu, ma grazie per la gentilezza. Come si sente? -Bene, grazie. -Mi ha chiamata il dottor Moretti, sa quello che abita qui accanto, la casa dopo l’arco… -Si, si. E chi abita da quest’altra parte? Qui nel palazzo? -Nessuno. -Come nessuno… -Palazzo Martinozzi è la sede del Municipio. Al piano terra ci sono gli uffici per il pubblico, al primo piano quelli amministrativi, le sale riservate ai gruppi e la sala per le conferenze. Solo questo appartamento della Sghembri è un' abitazione. -Ma io ho sentito… -Non ci pensi. Non è niente. Ho preparato una tisana alla pesca. Che ne dice? -Sì, faccio una doccia e scendo. -Le serve una mano? -Ma no, dai…
-Questa casa è bellissima. -Sì. Prima di voi ci abitava una coppia di Bari che poi ha trovato casa più vicino allo Studio e si è trasferita. -Ci sono bambini qui intorno? -Non che io sappia. -Tu sai qualcosa, ma non ne vuoi parlare. Giusto? -Lei non sta bene, io sono qui per farle compagnia e per tenerla allegra. Vuole che accenda la tele? -Vuoi prendermi Cappy, per favore? -Cappy? -Si, l’ho lasciato sul davanzale della finestra. -Qui c’è una lente daapostrofo ingrandimento. E’ questa che vuole? -No, è una statuina… Cosa c’è Rosanna? Cosa c’è dietro la tenda? -Ecco suo marito, signora. Vado. Per domani non so se potrò essere qui. Comunque le telefono più tardi per avvisarla nel caso non potessi. -Va bene, ma cosa c’è? Perché scappi? Ciao amore. Bentornato. Ciao, Rosanna. -Buona sera. Carlo schivò la ragazza che usciva di corsa. -Cosa è successo? Avete litigato? -Ma no, assolutamente! E’ andata alla finestra a prendere Cappy virgola poi ha visto qualcosa dietro la tenda ed è scappata di corsa. -Dietro la tenda? Vediamo. -Sta’ attento. -Attento? C’è il povero Cappy in castigo. Chissà come è finito lì dietro. Forse nel trambusto di questa mattina. -Dammelo. -No virgola che ti pesa. Rilassati in santa pace. -Uff! Per cena c’è solo insalata, mozzarella e formaggio. Forse anche una fetta di prosciutto. -Allora facciamo così: tu ti distendi, io ti copro, ti metto su “Crime” e vado a fare la spesa. Ci stai? -Però mi riporti lo yogurt alla stracciatella. -Okkei.
Carlo aiutò la moglie a distendersi, la coprì e raccolse Cappy senza parere. Tu non me la racconti giusta. Da quando sei con noi va tutto a puttane. Sarà una cazzata, ma voglio vederci chiaro. Andò in cucina, uscì in giardino e poggiò la statua nella piccola rimessa. Poi richiuse bene, passò in salone, fece l’occhiolino alla moglie che si stava appisolando di nuovo, intascò le chiavi e uscì. Superato l’arco, sulla destra c’era la frutteria. Entrò. -Buonasera. -Buonasera signora, sono Ruggeri. Vorrei parlare un momento con sua figlia. -Sono qui, venga architetto. Lo fece passare attraverso una porta dissimulata da una tenda. -Ha fatto bene a venire. Ho bisogno di parlarle. La signora sta bene? -Dorme di nuovo, ma sembra serena. -Non la farò lunga, lei deve tornare a casa il prima possibile. Dunque. La storia si perde nella notte dei tempi e affonda nella leggenda. Si dice che il Conte Martinozzi amasse una ragazza del popolo, ma la sua condizione gli imponeva un matrimonio di rango. Ricavò allora, nell’angolo posteriore del palazzo, una casa per la sua amata. Quando nacque la loro figlia, volle che fosse riconosciuta come sua e siccome nello stemma araldico aveva un Capricorno, ne fece scolpire uno piccolo, di pietra, che venne collocato nella nicchia sopra la porta di casa. Ma la moglie tradita, che conosceva gli antichi riti, invocò Satana per chiedere giustizia. E la ottenne. Una sera, mentre la piccola usciva di casa con la fantesca, ci fu un’improvvisa scossa di terremoto: il Capricorno si staccò e cadde sulla testa della bimba uccidendola. Dopo pochi mesi, per il dolore, morì anche la mamma. Della statua non si seppe più nulla. Da allora, chi abita nella casa percepisce fruscii, voci che sussurrano, risate, o “vede qualcosa”. Avevo immaginato che la signora avesse sentito “le voci”, come le chiamiamo noi, ma sono innocue, nessuno le teme. Poi ho visto Capricornus, la statua della leggenda, e ho avuto paura. Quella statua è maledetta, architetto. Anche se lei non crede ai fantasmi, se ne deve liberare. -Va bene. La seppellisco di nuovo e amen. -Mia nonna diceva che chi la trova dovrebbe sfarinarla con un martello e disperdere la polvere nell’acqua del fiume. Così tutti potrebbero riposare in pace. -Vado Rosanna, grazie di tutto. -Buona serata virgola architetto. Carlo rientrò furtivamente per non svegliare Giulia. Andò nella rimessa, prese Cappy e uscì. Salì in macchina diretto al cantiere. Aveva le chiavi. Lì c’erano un’infinità di mazze e anche sacchi di cemento vuoti dove infilare la bestiaccia per sfarinarla. Gli occorse più tempo del previsto, ci stanno bene anche i due punti risalì in macchina ben oltre la mezzanotte. Quando arrivò al ponte sul fiume, parcheggiò sfiorando la spalletta. A quell’ora non c’era nessuno. Aprì il portabagagli e prese il sacco, lo sollevò al di là del parapetto e cominciò a rovesciarlo. In quel preciso momento sopraggiunse a velocità folle una berlina nera, inequivocabilmente diretta su di lui, mentre la polvere bianca volteggiava pigra nella notte e si posava leggera sull’acqua. L’uomo sapeva di essere davanti al suo Destino. Ebbe un pensiero per Giulia addormentata e le lacrime gli scaldarono le guance. Aprì le dita: il sacco vuoto si avvitò su se stesso e precipitò. La macchina, con una sterzata brusca, evitò il giovane, lo superò e si perse nella notte con uno stridio di gomme. Il sangue riprese a scorrere nelle vene e Carlo si rese conto di essere abbarbicato alla spalletta del ponte. Poi il pensiero volò a casa. Aprì la porta con il cuore in gola, ma tutto era tranquillo come lo aveva lasciato. Giulia respirava piano e sorrideva nel sonno; dalla finestra socchiusa entrava l’aria fresca della notte e muoveva piano le tende.
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