L'estate del sogno impossibile

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    Scrivano supremo

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    Higgs

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    Gli ultimi giorni di scuola fremevo per andare al mare. Le mie estati da ragazzo trascorrevano tutte in modo pressoché uguale: stesso lido, stesso mare. Non così l’estate del 1985.
    Ricordo che quell’anno il lido Acquario era diventato il mio tormento e la mia estasi. Alle nove del mattino si spalancavano i cancelli e al tramonto, quando veniva accesa l’insegna, un rettangolo di luci verdi e blu ammiccava da lontano alle auto che imboccavano il lungomare. Avvicinandosi, si potevano distinguere la stella marina, il trichogaster, il betta splendens e le alghe. Già soltanto l’insegna era uno spettacolo, non ce n’era un’altra come quella, così grande e colorata; solo a guardarla metteva allegria. A me suscitava altri pensieri.
    Mamma, zia, i cugini e io eravamo tra i più mattinieri. Si arrivava ogni giorno all’orario di apertura, quando sdraio e ombrelloni erano liberi e i ragazzini di corsa andavano a occupare i posti più vicini al mare. I bagnini avevano da poco finito di pulire e di annaffiare piante e fiori. Mi compiacevo della frescura, del lindore. Era l’ora più bella, profumata di mare e gelsomini, poi cominciava la musica e i giochi dei bambini e addio pace.
    Lei era sempre là, sdraiata sulla zattera vicina al confine del lido, segnato da reti e boe.
    Era diventata la mia ossessione, oggetto delle mie fantasie compulsive e di seghe adolescenziali. La mia sirena sembrava spuntare dal mare, perché non la vedevo mai arrivare né mi capitava d’incontrarla in giro per il lido, al bar o alle docce o ai tavoli da gioco.
    All’inizio la spiavo da lontano. Poi mi misi in testa di seguire le sue mosse per capire che faceva dopo il bagno e quando se ne andava, convinto che se non l’avessi persa d’occhio un momento, l’avrei scoperto. Avrei voluto seguirla fino al portone di casa; avrei preso in affitto un angolo di marciapiede, per vederla passare. Purtroppo c’era sempre qualcuno che mi distoglieva dalla mia occupazione, ora un cugino che m’invitava a seguirlo, ora mia madre: «Nico, per favore vai tu a comprare le sigarette?» oppure «Ti dispiace andare a prendere il giornale alla zia?» Volavo come un fulmine, per non rubare tempo alla mia indagine personale e al ritorno lei era sparita.
    In principio c’era la curiosità, l’attrazione sempre, ma soprattutto la voglia di saperne di più di quella donna tanto misteriosa. Infatti non era una ragazzina, ma una splendida trentacinquenne o giù di lì; ero certo che non avesse più di quarant’anni. Io, solo quindici.
    Un giorno mi feci coraggio e presi la mia decisione. Appena giunto al lido con il costume indossato sotto i calzoni corti, li tolsi in fretta insieme alla maglietta, gettandoli su una sdraio vicino alla cabina dove mamma e zia si stavano cambiando e, raggiunti gli scogli di corsa, mi tuffai diretto alla zattera. Gli ultimi metri li feci nuotando sott’acqua per non fare rumore, poi uscii la testa all’altezza della tavola.
    Quella donna era uno spettacolo. Sdraiata con gli occhi chiusi, i capelli bagnati, tutta lucida con le gocce d’acqua in rilievo sulla pelle per l’olio solare; sembrava coperta da una cascata di diamanti che brillavano al sole. Rimasi qualche secondo a guardare la pelle tesa del suo ventre che si alzava e abbassava con un ritmo regolare, provando l’impulso irresistibile di appoggiare la bocca sull’ombelico. Avrei tuffato il viso sul suo ventre e poi… be’, so io che avrei voluto fare, ma non riuscii a reggere tanta bellezza e fuggii, silenzioso come ero venuto, in preda a sensazioni fortissime.
    «Nico, dove sei finito?»
    «Avevo caldo, ho fatto il bagno.»
    Mi stesi al sole su uno scoglio, ancora in preda all’eccitazione. I cugini mi infastidivano perché mi distraevano dalle mie fantasie. Chiusi gli occhi. Dalla piscina schiamazzi di bimbi giungevano smorzati. Una volta immerso nelle mie fantasie, non li sentivo più.

    Il lido Acquario era teatro di giochi, di risate, di passioni e gelosie che sbocciavano tra adolescenti. Era frequentato da famiglie borghesi, come si poteva dedurre dall’alto costo d’affitto per cabina. Uomini adulti se ne vedevano pochi, per lo più il sabato e la domenica. Oppure la sera, quando sulla terrazza del bar ristorante si organizzavano serate di musica e si ballava al suono di una piccola orchestra. Il pomeriggio invece era tutto femminile: si giocava a carte e i sentieri in legno tra file di cabine si spopolavano come i viali tra alberi e aiuole.
    Forse all’epoca avevo la vocazione del voyeur, o piuttosto del bagnino, ma a me non sfuggiva niente di quanto accadesse al lido Acquario. Ascoltavo i pettegolezzi delle signore che giocavano a carte, seguivo le nuotate di due ragazze che ogni giorno alle undici del mattino facevano più volte il giro delle boe che al largo limitavano il lido. Avanti e indietro: si allenavano. Le due nuotatrici erano ammirate da un gruppo formato da qualche anziano, alcuni ragazzi e soprattutto bambini che tenevano il conto: «Oggi quattro! Cinque volte!» Una volta le due ondine percorsero a nuoto la distanza fino al lido successivo, un paio di chilometri, seguite dai bagnini che le sorvegliavano col binocolo e facevano la cronaca della nuotata a beneficio del solito gruppetto di curiosi: «Sono arrivate; si stanno riposando su uno scoglio. Eccole, stanno tornando!»
    Non che mi interessassero le ragazze. Il mio immaginario giovanile era interamente occupato da quella che avevo definito “ la donna della zattera”. A metà estate ero giunto a una tale confidenza – sebbene del tutto immaginaria – con lei, che le diedi un nome. La chiamai «Serena» per la sensazione di pace che il suo corpo perfetto trasmetteva.
    Come in tutti i lidi balneari le ore trascorrevano pigre tra bagni di mare e di sole e altre attività. Così qualunque cosa accadesse, assumeva rilievo; il signore anziano che si era sentito male in mare ed era stato soccorso da un bagnino, il ragazzino che usciva dall’acqua con un retino di ricci o con un polipo. Per me il lido Acquario era il paradiso terrestre perché era il luogo della dea: Serena. Ogni mattina mi accoglieva l’atmosfera della vacanza; l’odore delle brioches si mescolava al profumo di oleandri e gelsomino e il mio sguardo già correva alla zattera, pregustando la divina visione.
    Verso fine agosto ci fu un temporale. “L’estate sta finendo” cantavano i Righeira e Ramazzotti “Una storia importante” e sì, come diceva la canzone, io dovevo ancora crescere, non combinavo nulla. Sapevo solo fantasticare in preda ad astratti furori; intanto l’estate finiva e Serena? L’avrei più vista?
    Questo pensiero mi gettava nello sconforto. Avrei dovuto inventarmi qualcosa e non sapevo cosa. Di salire sulla zattera non avevo il coraggio e poi, ammesso che fossi riuscito a trovarlo, che avrei fatto? Magari lei si sarebbe allontanata infastidita. Così mi limitavo a guardarla, avvicinandomi alla zattera il più possibile, ma non così vicino come la prima volta.
    «Nico è strano quest’anno», diceva mia zia.
    «Colpa dell’età», rispondeva mia madre, «avrà preso una scuffia per qualche ragazzina.»
    «Ilde, davvero non ti sei accorta che Nico non guarda le ragazzine?»
    «Ma va’. È che non è più un ragazzo e non è ancora un uomo.»
    Come al solito, i “grandi” non capivano.
    Quella sera per caso udii i miei genitori parlare tra loro.
    «Umberto, gliel’hai data un’occhiata a tuo figlio? Da me non si fa vedere da quando aveva sette anni.»
    «Tranquilla. L’ho visto; è a posto. A postissimo.» Disse mio padre con orgoglio.
    Quell’affermazione inorgoglì anche me. Del resto sapevo di avere un bel giocattolo, ma ci giocavo da solo.

    La tradizionale festa di fine agosto fu spettacolare, con gran profusione di luci e fiori. Il tema della serata cambiava ogni stagione, quell’anno fu l’acquario. Ad esso si ispirava il buffet a base di pesce e frutti di mare; all’acquario e ai suoi colori si ispiravano gli abiti delle signore che sfoggiavano la loro abbronzatura. Dai décollettés esalavano fragranze costosissime, gli uomini erano in cravatta nera. Qualcuno sfoggiava la giacca bianca. Un notaio, piuttosto conosciuto nell’ambiente cittadino, fu scambiato da mia madre per cameriere: «Potrei avere un po’ d’acqua?» gli chiese.
    «Volentieri signora, ma in che veste?» Mio padre intervenne scusandosi e mia madre arrossì, ma fu il tormentone di fine estate. Quelle battute, seguite da risate soffocate, rimbalzarono dal bar alla piscina, dai viali alle docce fino alla chiusura del lido.
    L’orchestra alternava i lenti alle canzoni di Madonna e dei Duran Duran. Tutto, a parte la gaffe di mia madre che aveva suscitato la mia ilarità, mi lasciava indifferente.
    Poi la vidi, bella da mozzare il respiro.
    Indossava un vestito lungo di seta color blu madonna che le illuminava l’abbronzatura; il corpino accollato davanti e annodato dietro il collo lasciava la schiena completamente nuda, avrei baciato ogni centimetro della sua pelle. Sul retro della gonna un ventaglio di plissé simulava una coda; sembrava una sirena.
    Quella sera vidi per la prima volta il colore dei suoi occhi, incrociò il mio sguardo e ne fui trafitto. Erano verdi. Forse lei sentì urlare il mio sguardo; avrei voluto inventare parole per dare un senso nuovo al colore dei suoi occhi.
    Si sedette a un tavolo e cominciò a sorseggiare un drink.
    Mi ero mimetizzato dietro una pianta di bouganville per poterla osservare, senza dare nell’occhio. Era sola o aspettava qualcuno? A un tratto un uomo si avvicinò al suo tavolo e la invitò a ballare.

    “pari agli dei mi sembra
    quell'uomo che ti sta accanto
    e ascolta da vicino
    mentre tu parli dolce
    e seducente sorridi…”

    Quando la coppia cominciò a muoversi sulla pista, l’uomo che fino a quel momento avevo visto di spalle, si girò.
    Mio padre!
    Non so descrivere cosa provai in quel momento e nemmeno dopo, quando tornando al tavolo dove mia madre stava chiacchierando con la zia ne sentii i commenti. Mezze frasi, percepite sulla mia pelle come coltellate di realtà, che facevano a pezzi le mie fantasie.
    «Ora sta proprio esagerando; Ilde, come puoi sopportare? Tuo marito ha perso le staffe!»
    «Lascia correre, le sbandate estive sono passeggere e poi che dovrei fare, mettergli il guinzaglio?»
    «Ma c’è un limite. Qui, davanti a tutti!»
    «Proprio davanti a tutti vuol dire che non c’è nulla di male. Tu faresti una scenata, non è vero? Così anche chi non ne sa nulla, sarebbe messo al corrente. No, non fa per me e poi, lo sai, non sono gelosa.»
    «Zitta, c’è Nico.»
    Mi guardarono entrambe con sorpresa, dovevo avere l’aria stralunata.
    «Guarda quante belle ragazze, Nico, perché non vai a ballare?» Disse mia zia.
    «Quella pesciolina in lamé non ti toglie gli occhi di dosso», aggiunse mia madre.
    «Vero», insisté mia zia, «guarda che costume originale!»
    Risposi che avevo un terribile mal di testa ed era vero. Avevo appena realizzato che mio padre aveva una relazione con Serena e mi sentivo tradito due volte. La testa mi scoppiava e mi sentivo infelice come soltanto un quindicenne deluso può sentirsi.
    Come Dio volle, la festa finì. Si concluse con i fuochi d’artificio a mare. Per venti minuti il cielo si riempì di stelle marine multicolori spioventi sull’acqua e tutti dissero che lo spettacolo era stato grandioso e se ne tornarono a casa soddisfatti. La direzione del lido quell’anno aveva superato se stessa: non aveva badato a spese.
    Quella notte a casa mia nessuno dormì. Io piangevo, mordendo il cuscino, e dalla camera dei miei genitori arrivava l’eco di una discussione animata, a tratti quasi violenta.

    Durante il periodo che seguì ebbi un rapporto molto difficile con mio padre. Lo guardavo con odio, lo rintuzzavo sempre. Non mi lasciavo sfuggire l’occasione di lanciargli le battute più ironiche e velenose. Lui si accorse del cambiamento, ma non disse nulla. Io, meno che mai.
    Mia madre mi interrogava: «Si può sapere perché ce l’hai con tuo padre?»
    «Io, ma quando mai?»
    «Dai, se ne accorgerebbe anche un cieco. Che ti ha fatto?»
    «Ma niente. Davvero.»
    Per forza si vedeva, mi sembrava di odiarlo. Ne ero geloso e lo invidiavo da morire perché lui era un uomo mentre io soltanto un ragazzo, ma non potevo parlare di queste cose con mia madre. Mi tenevo tutto dentro, negandomi anche la consolazione di uno sfogo, perché quelli erano pensieri che non si potevano confessare nemmeno al prete. Ero proprio un figlio degenere in aperta violazione del quarto comandamento.
    Il lido Acquario chiuse i battenti il 15 settembre, pochi affezionati continuarono a frequentarlo finché gli operai non finirono di smontare le cabine. Alcune signore non rinunciavano a prendere il sole sugli scogli e gruppi di ragazzi arrivavano dopo la scuola per fare il bagno prima di tornare a casa. Io andai un paio di volte col motorino nuovo, ultimo regalo di mio padre, ma la zattera era stata tolta. L’estate era finita davvero.
    Non vidi più Serena e, per quanto ebbi modo di saperne, nemmeno mio padre la vide. Per lui era stata un’avventura estiva, a me aveva lasciato di più. Serena mi aveva fatto scoprire emozioni nuove legate al corpo della donna: l’ombelico del mondo, ma aveva anche segnato la fine delle mie fantasticherie da adolescente.

    Quell’estate mi torna in mente stamattina: sono al mare con mio figlio Umberto. Uno spilungone tutto ossa, come ero io trent’anni fa. Caspita, è davvero trascorso tempo?
    Siamo sdraiati al sole sugli scogli; la pelle brucia, i pensieri vagano lontano.
    Umberto solleva il busto, appoggiandosi sui gomiti al passaggio di una bruna mozzafiato e sottovoce mi dice: «Papà, hai visto che schianto?»
    «Già», faccio io, «bella donna, avrà almeno quarant’anni. Ehi, guarda quelle due ragazze che escono dall’acqua; che spettacolo!»
    «Che fai, papà, guardi le ragazzine?»




    spoiler:
    I celeberrimi versi citati sono di Saffo. Il testo continua così:

    "solo che un istante ti scorga
    ecco che non riesco
    ad articolare suono alcuno
    e mi cade la lingua
    e subito serpeggia
    un fuoco sottile tra carne e pelle
    e tenebre vedo
    e ronzano le orecchie
    e tutta grondo di sudore
    e un tremito mi pervade
    interamente
    e divengo più livida dell’erba
    e poco lontana dalla morte
    d’essere mi sembra"
     
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  2. allerim
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    A quindici anni Nico si innamora di una donna che potrebbe avere l’età di sua madre; rimane – come è ovvio – un sogno impossibile, ma lascia il segno nell’adulto che rievoca le ansie, i furori e la cocente delusione di quell’estate lontana. Il ricordo è indotto da una frase del figlio adolescente, mentre padre e figlio si trovano al mare, sdraiati sugli scogli a prendere il sole.
    Nico ripensa a quel sentimento struggente, inappagato e vissuto solo nella sua immaginazione, ma già pienamente amore. Anzi amore totale, senza riserve, una sorta di adorazione, assoluta ma impotente, come può capitare forse solo a quella età. Affascinato dal corpo della donna, la vede come una dea; la zattera di legno su cui si sdraia diventa l’isola del tesoro oggetto di ogni desiderio, pari agli dei è l’uomo che la stringe a sé, ballando, una sera di festa.
    La distanza dall’accadimento rende il tono del narrare distaccato e talvolta ironico: “Forse all’epoca avevo la vocazione del voyeur, o piuttosto del bagnino… ” e solo in alcuni passi – quando la memoria restituisce le emozioni del momento – l’adulto esprime i pensieri del quindicenne “Avrei voluto seguirla fino al portone di casa; avrei preso in affitto un angolo di marciapiede, per vederla passare.”
    “ Forse lei sentì urlare il mio sguardo; avrei voluto inventare parole per dare un senso nuovo… ” senza tuttavia scadere nel melenso.
    Il secondo personaggio di questa storia, forse il vero protagonista, è il lido Acquario, tanto è vivo con la sua insegna ammiccante, la zattera, gli odori, il suo sapore di mare e di brioches. Spettatore immobile sembra ascoltare schiamazzi di bimbi, pettegolezzi e canzoni. Suoni e voci di tanti piccoli episodi che vivono tra le sue tavole di legno, gli scogli e il mare. Poi svanisce, con discrezione, quando gli operai smontano cabine e tavole. Il lido Acquario finisce con l’estate, come la giovinezza di Nico. Restano solo frammenti di ricordi per una storia che restituisce tutta la freschezza ingenua dei primi tumulti del cuore.
     
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    Penna suprema

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    Gli irriducibili
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    Lettura piacevole. Si perdona la poca sintesi. Si perdonano le cadute di stile che la fanno somigliare a tratti alla scenografia di uno dei tanti film dei fratelli Vanzina.
    L'autore /l'autrice impiega più del dovuto per mostrarci questo pittoresco Lido Acquario, ma merita un voto decente : dieci.
     
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    Un "Malena" in versione balneare, o almeno questa è l'imporessione che mi dà. Molto piacevole da leggere, certe descrizioni sono artistiche, come quella della cascata di diamanti sulla pelle.
    La storia è una storia che forse ogni adolescente ha passato (la mia si chiamava Michela) e che quasi sempre ha avuto lo stesso epilogo.
    Ma scritta così ha un bel sapore vintage, che fa tornare indietro nel tempo, e che fa pensare con nostalgia a uno degli eventi più critici dell'adolescenza.
    Bravo.
     
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  5. wyjkz31
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    Eh sì, il lido Acquario è l'emblema degli stabilimenti balneari; io li odio, gli stabilimenti balneari :sbam.gif: , ma ho gradito ugualmente le descrizioni.
    L'infatuazione del protagonista è un classico adolescenziale e l'uomo rievoca il passato a tratti in modo ironico e a tratti in modo più intenso e coinvolto, segno che Serena ha lasciato un segno: trovo che tu sia riuscito a descrivere molto bene il sentimento ambivalente del protagonista nei confronti di quell'episodio.
    La comparsa del padre pone fine al sogno di Nico e introduce un elemento di conflitto nel racconto che mi sarei aspettata di veder "risolto" in qualche modo, invece, dopo un'iniziale scontrosità di Nico nei confronti del genitore abbandoni l'argomento, portando la narrazione ai nostri giorni.
     
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  6. allerim
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    "Io andai un paio di volte col motorino nuovo, ultimo regalo di mio padre... "

    "Non vidi più Serena ... nemmeno mio padre la vide."
     
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  7. semprefalcone
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    L’ESTATE DEL SOGNO IMPOSSIBILE: mi prende Già ALL’INIZIO, scorre via veloce la lettura, piacevole. L’ho letto tutto d’un fiato, mi hai fatto sorridere. Mi riporta bambina.
    “La chiamai «Serena» per la sensazione di pace che il suo corpo perfetto trasmetteva” mi ha fatto ridere, ma per ora è un racconto bello ma leggero, non lascia insegnamenti. Andiamo avanti.
    “Del resto sapevo di avere un bel giocattolo, ma ci giocavo da solo” super risata.
    «Volentieri signora, ma in che veste?» non l’ho capita, forse è un modo elegante di chi ha studiato per dire “sono notaio”? Carino che diventi un tormentone.
    “Quella sera vidi per la prima volta il colore dei suoi occhi, incrociò il mio sguardo e ne fui trafitto. Erano verdi. Forse lei sentì urlare il mio sguardo; avrei voluto inventare parole per dare un senso nuovo al colore dei suoi occhi.” WAW.
    “Mio padre!” ah mi hai sorpreso! Si fa interessante.
    “l’aria stralunata” di un ragazzino che ha più cervello degli adulti: spettacolare.
    “stelle marine multicolori” non avevo mai sentito definire così i fuochi d’artificio, splendido.
    “l’ombelico del mondo” carina definizione.
    “ma aveva anche segnato la fine delle mie fantasticherie da adolescente.” Io quasi l’avrei finita qua, ma poi il seguito è davvero spettacolare: bravo. Alla fine ci trovo tanto, la giusta rabbia del figlio, l’amore vissuto - immaginato… gli insegnamenti ci sono, forse trasmette anche che gli adulti talvolta trasmettono poco, per paura della solitudine accettano persone insignificanti a fianco, il ragazzino pare l’unico saggio (poi battuto dal figlio del ragazzino diventato adulto).
     
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  8. ASTARTE
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    Il racconto è un tantino annacquato ma c'è. Il tema è stato centrato? Marginalmente. Le fantasie e i drammi adolescenziali sono ben rese.
     
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    Dio della penna

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    mamma

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    lo trovo deboluccio
    buone le descrizioni di luoghi, cose e persone, ma la storia lascia il tempo che trova
    è vero che ognuno di noi ha avuto amori adolescenziali di questo genere, però non vengo preso dalla narrazione, mi pare quasi distaccata, lontana

    :noviolence.gif:
     
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  10. Silma Kemi
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    Questo racconto mi ricorda quello di un altro step in cui il giovane amante uccide la donna che tanto ambiva. Chissà se sei sempre tu, autore.
    Hai reso ben palpabili i patemi di Nico, riportandoci a ricordi dolci-amari dell'adolescenza che mi turbano e preferirei dimenticare.
    E se riesci a suscitare sentimenti così forti, allora vuol dire che sei stato proprio bravo!
    Eppure, caro autore, qualcosa mi stona. Non sono le descrizioni, abbiamo già appurato che sei capace; è la struttura, la trama: anche io, come Man, lo trovo un po' debole.
    Trovo che manchi qualcosa...
    O forse gli ingredienti ci sono tutti e bisognerebbe solo dargli un po' più di vita.
    Comunque è un buon lavoro.
     
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    Scrivano supremo

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    Godevole, a modo suo.
    Sei stato bravo a ricreare un'atmosfera, vivida, comune nell'immaginario collettivo. Ottimo.
    Poi, per il mio gusto personale, l'argomento non mi stende. Sarà che son femmina...
    Ci sono delle cosette che mi sono segnata, per migliorare il racconto, ma sono cosucce. Tipo io non direi mai "una trentacinquenne", riferendomi a una gnoccona stratosferica. Al massimo direi "una donna fatta e finita", o cose del genere.
    Umberto? Chi chiama Umberto un bimbo del duemila?
    Decollettès: qui c'è gente che t ucciderebbe perchè pluralizzi una parola straniera con la s. Resta al singolare.
    Ripeto, cosucce.
    Bravo :)
     
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    Penna furiosa

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    Narrazione molto sentita e appassionante. Anche se non è il mio genere di storia, l'ho letto molto volentieri. Come lettore non scatta l'immedesimazione, ma come scrittore ho apprezzato ritmo, qualità della scrittura e l'indubbia personalità di chi sta dietro alla storia. Mi pare che l'unico vero difetto sia l'aggancio al tema, forse un po' debole. Comunque un buon lavoro.
     
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    Penna stilografica

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    Spiccano molto le sensazioni e le emozioni adolescenziali, le rendi bene ed è stato questo a farmi piacere la tua storia facendomi immedesimare. Un po' ripetitive le descrizioni d'ambiente, ma sempre secondo me. Sono d'accordo con chi dice che avresti dovuto spiegare qualcosa di più alla fine. Il padre non vede più Serena, d'accordo, ma il rapporto con il figlio? Sarà incrinato per sempre?
     
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  14. LEG
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    Il tema è decisamente centrato (mi dirai, il centro balneare potrebbe chiamarsi in un altro modo, ma riempe tutta la storia ed è buono così).
    Mi sto chiedendo se hai un figlio adolescente o se hai una buona memoria perché hai ben descritto le emozioni del tuo protagonista, bravo/a.
    Hai lasciato nella penna un paio di termini, occhio e rileggi.
    Complimenti ancora.
     
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    Scrivano supremo

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    Higgs

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    Una storia ben gestita, belle descrizioni, belle atmosfere.
    Mi manca quello scatto che riesce a farmi entrare nella storia totalmente.
    Ma resta una storia gestita in modo esperto, dal buon ritmo.
    Brav.
    Ele
     
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17 replies since 7/10/2015, 20:51   254 views
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