From Salem to Lyon

storia di un gatto

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    Dio della penna

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    Ricordo ancora la prima volta che ci incontrammo. L’inserviente aprì la piccola porta e mi prese tra le mani per donarmi al suo abbraccio. Ricordo il seno caldo e il profumo inebriante della sua camicetta.
    “Eccolo qui l’unico maschietto che non mi tradirà mai!”, esclamò carezzandomi. Sorrise e vidi i grossi denti gialli incastonati tra labbra rosso fuoco. Sarebbe stata la mia padrona per la maggior parte delle lune della mia vita, Madame Chevalier. Mi diede un nome che si addiceva sia a me, un gatto nero dagli occhi color ambra, che alla sua attività: Salem.
    Madame Chevalier svolgeva il lavoro di cartomante in un piccolo appartamento a sud di Londra, arredato con mobili antichi e tappeti persiani, dimora di tarme e ricordi. “È l’unica parte di Lione e della mia famiglia che sono riuscita a portarmi dietro”, diceva sfiorandoli con gli occhi lucidi. Non capii mai cosa successe alla sua famiglia e perché dovette andarsene dalla Francia, ma sapevo quando i volti cari e le strade della sua città le rivenivano su, come qualcosa che le graffiava l’anima, perché in quei momenti ascoltava un disco francese, sempre lo stesso, canticchiando tra una boccata di sigaretta e l’altra, tra una lacrima e l’altra. Poi, mi prendeva in braccio e diceva: “Siamo due pirati io e te, senza patria né famiglia”.
    Madame Chevalier amava il rosso, il velluto e i ricami, elementi sempre presenti nei suoi vestiti. Per ricevere i clienti soleva aggiungere un foulard dorato a mo’ di turbante, perché, a parer suo, le dava un tocco più professionale. A consultarsi con lei venivano in tanti, anzi, secondo me, tutti gli abitanti di Londra. Arrivavano uomini e donne di tutti i colori, con i problemi più disparati, chi con bei portafogli pieni, chi invece con cesti contenenti formaggi e frutta. “Non bisogna badare ai soldi ma alla necessità di chi si ha di fronte quando si ha un dono come il mio, mon chér…”, diceva sospirando davanti l’ennesima forma di formaggio alle carote.
    I primi tempi, devo essere sincero, mi domandai perché chiedessero certe cose così personali a lei e cosa Madame Chevalier realmente potesse saperne della vita di quegli sconosciuti. Quella dinamica mi aveva riportato alla mente quella volta che al gattile si sparse voce che era stato catturato un cane che aiutava un mendicante a truffare i passanti con un gioco di carte. Su come facesse non circolò nessuna voce, nemmeno i gatti più anziani riuscirono a svelare l’enigma, sta di fatto che quel cane fu l’unico che riuscì a scappare dal vicino canile. Che Madame Chevalier fosse come quel mendicante e che mi avrebbe addestrato a comportarmi da lestofante come quel cane? Fui preda del dubbio per lungo tempo, fino a spingermi ogni notte a mettermi sul cuscino accanto al suo per scrutarla mentre dormiva, quando era senza trucco e finzioni, che magari al chiaro di luna il suo mistero mi sarebbe stato svelato.
    Cosa che, invece, accadde inaspettatamente un giovedì. Venne una signora che aveva problemi con sua madre, la quale soffriva di nervi. Era andata da vari specialisti, diagnosi diverse e nessuna terapia efficace. Aveva sentito parlare di lei e voleva un suggerimento per la guarigione. Madame Chevalier, allora, mescolò le carte e le mise sul tavolo invitando la signora a smezzare il mazzo. Mi colpì il fatto che per tutto il tempo non smise di fissare un punto alla destra della donna, poco sopra la sua spalla. Presi a guardare anche io in quella direzione, concentrandomi il più possibile, e alla fine lo vidi: un ragazzo vestito di luce che blaterava qualcosa. Capii solo che era una cosa che riguardava il passato amoroso della malata, poi si girò verso di me e sorrise, io saltai per lo spavento facendo cadere il posacenere pieno sul tappeto persiano. Madame Chevalier non s’arrabbiò – anche perché non lo faceva nemmeno quando sputavo le palle di pelo sulla trapunta – mi venne vicino e mi sussurrò: “L’hai visto anche tu, Salem, vero? Lo sapevo che potevi, dal primo momento che ti ho visto. Il mio Custode mi disse di scegliere te e sono contenta di aver seguito il suo consiglio”.
    Non era sempre così. Alle volte venivano persone “che più che avere problemi se li creavano”, come li definiva lei, oppure che ne avevano di grossi. E, allora, lei rispondeva calcando od omettendo alcuni particolari, basandosi più sul bisogno intimo del loro cuore che sullo stato delle cose. “La realtà ognuno se la inventa come meglio crede”, asseriva, così assecondava i creatori di problemi nei loro timori affinché cadendoci dentro potessero trovare la forza per rialzarsi, “tanto se dici che non hanno nulla non ci credono”, sosteneva. E con chi aveva guai seri…beh, tendeva ad alleggerire la loro preoccupazione, consigliando il più delle volte un bel viaggio, magari per nave. “Alla morte e al dolore non si sfugge, mon petit coeur. Si può solo sfuggire alla paura e all’angoscia che suscitano in noi”, era il suo pensiero.
    Madame Chevalier era la padrona migliore che mi potesse capitare, perché era una brava signora, dolce e buona di cuore. Non mi faceva mai mancare buon cibo e coccole, io adoravo farle le fusa prima che si addormentasse, quando la vedevo come nessuno poteva: semplice e naturale nella sua camicia da notte di seta rosa.
    Fumava così tanto che a volte mi pareva di avere la nebbia anche in casa, ma il suo profumo francese mitigava l’odore del tabacco.
    Io ero il suo unico amico e usciva raramente di casa, giusto per le incombenze della vita quotidiana. Ma una sera al mese, quando la luna era piena, metteva il suo abito più bello, si acconciava i capelli con piccoli fermagli d’oro e andava a cena fuori. “Stasera vado a caccia del mio sagittario”, diceva. Rincasava con un uomo e lo amava tutta la notte.
    Io, allora, preferivo andare a dormire sulla sedia in cucina. All’alba il forestiero toglieva il disturbo e lei preparava le uova sorridendo. Quelle mattine il suo viso si accendeva di una luce particolare. “Eh, solo un sagittario sa amarmi con il cuore di un uomo e la selvatichezza di un animale”, soleva commentare versandomi latte e bacon nella ciotola.
    Purtroppo, però, una sera qualcosa non andò come doveva. Ricordo che in cielo era alta una luna piena striata di rosso che mi drizzava il pelo. Mi parai anche dinanzi alla porta per non far uscire la mia Madame, ma niente. Mi scansò con gentilezza per andare incontro al suo destino.
    Portò a casa un signore, che sembrava anche più elegante e perbene degli altri. Ero sulla sedia in cucina quando, a un certo punto, i gemiti mutarono in una sorta di grido strozzato. Andai a vedere e avrei tanto voluto essere cieco: quell’uomo nudo sulla mia Madame le stringeva forte la calza nera attorno al collo, come volesse staccarle la testa dalle spalle. Saltai addosso all’aggressore e lo graffiai ma con un ceffone mi fece carambolare giù dal letto. Quando vi risalii, non c’era più nulla da fare. Madame era una bambola coi capelli biondi scompigliati e lo sguardo vitreo, solo la pelle ancora calda sapeva di vita. Mi accoccolai accanto a lei miagolando di dolore, sfregando il muso sulla sua guancia nella speranza che si ridestasse, ma niente. Da quel genere di sonno non ci si sveglia più, ahimè. Quell’uomo si rivestì, mise la calza in tasca e poi rivolse gli occhi di ghiaccio verso di me. Ebbi paura, lo ammetto, ma non m’importava di quello che mi avrebbe fatto. Avevo perso Madame, avevo perso tutto.
    Invece, le sue grandi mani mi afferrarono e mi avvolsero dentro una sciarpa di lana. Lo guardai attonito e lui bisbigliò: “Tu mi piaci”. Il suo sorriso m’appariva bianco nel buio della stanza, come una lama nella notte. Stetti con lui per ben nove lune, cercando sempre di scappare, ma era ben accorto a chiudere finestre e porte. Aveva un cassetto pieno di calze da donna, collezione che cresceva ogni settimana. E, ogni volta che ne portava a casa un paio nuovo, sentivo sulle sue mani l’odore di profumo da donna e morte. Tutto cambiò un giorno che il campanello suonò, la polizia fece irruzione e io nella confusione riuscii a scappare. Arrestarono Harry Jay Klupton, noto strangolatore seriale di donne. Ma questo, il suo nome e tutto quanto il male che fece, lo seppi solo tempo dopo dalla radio, solo quando, dopo un lungo peregrinare tra vicoli e scatole dismesse ai mercati, poco fuori Londra una bambina mi raccolse.
    “Come sei carino!”, disse stringendomi a sé. Le mancavano i denti davanti, eppure aveva uno dei sorrisi più teneri che avessi mai visto. “Io mi chiamo Paris, e tu?”, miagolai ‘Salem’ ma so che gli umani non comprendono la lingua dei gatti come noi capiamo la loro.
    Mi portò a casa, mi ripulì, mi rifocillò e convinse i suoi genitori a tenermi.
    “E come lo vuoi chiamare, Paris?”, chiese la mamma.
    “Lord Black. Perché ha un portamento da vero signore ed è tutto nero!”, e rise. Oh, le risate di Paris! Una delle cose che amavo di più al mondo, assieme all’arrosto la domenica, alle giornate di sole e al latte appena munto.
    Una notte, poco tempo dopo che ero con Paris, Madame Chevalier venne a farmi visita. Non saprei dire se dormissi o meno, ma fu meraviglioso.
    “Hai visto che bella famiglia ti ho trovato, mon trésor?”, disse carezzandomi. Era adorabile come la ricordavo.
    “Paris è dolcissima, le voglio bene. Ma tu mi manchi”, le miagolai.
    A Madame scese una lacrima che accompagnò un sommesso: “Anche tu”.
    Le sue visite continuarono per le notti seguenti, per mesi e anni, mentre Paris dormiva e cresceva. Finché una notte Madame Chevalier mi prese in braccio e mi portò con sé in una città affacciata sul fiume, in una casa ricca di musica e allegria.
    “Dove siamo, Madame?”, le chiesi.
    “A casa mia, a Lione, con la mia famiglia. Mancavi solo tu perché il mio Paradiso fosse completo, mon amour”.

    Edited by mangal - 5/3/2016, 18:47
     
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    Storia dura raccontata come una favola.
    Non riesco a dire se questo è un pregio o un difetto.
    Comunque a me è piaciuta.
     
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    Racconto meraviglioso.
    Una storia forte, forse anche vera o dallo spunto tale.
    Mi ha affascinato l'intreccio: davvero non riuscivo a staccare gli occhi dallo schermo.
    Molto meno mi ha affascinato il titolo, che avrei preferito privo di sottotitolo; oltretutto si capisce già dalle prime righe del racconto, quindi davvero ridondante, secondo me. Molto più d'effetto il titolo in inglese, che suggerisce anche un'ambientazione esotica.
    Scrittura sicura e capace: nessun suggerimento da darti.
    Non ho capito se ci sono dei richiami precisi al Sagittario, a parte ciò che è più evidente (non conosco l'astrologia, né mi interessa, in realtà). Se l'aggancio fosse solo "cercare il suo sagittario", forse è un po' poco. Magari i prossimi commenti mi toglieranno anche qualche dubbio.
    Comunque un altro ottimo racconto, che può puntare al podio.
    Porca miseria quanti racconti belli!!! :)
     
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  4. semprefalcone
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    FROM SALEM TO LYON: …pensavo di prostituta, ho capito alla fine! “le palle di pelo” non ho capito che sono. Mi ha sorpreso, andando avanti: vestito di luce.

    “così assecondava i creatori di problemi nei loro timori affinché cadendoci dentro potessero trovare la forza per rialzarsi” rifletto. Sconvolgente in buono. E’ vero, anche i gatti vanno in paradiso.

    "storia di un gatto" mi era sfuggito
     
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    bellissima storia stupendamente raccontata
    magnifica la figura del gatto, ma le altre non sono da meno
    ottima idea sviluppare il racconto come punto di vista felino: rovescia l'abitudine
    se devo fare un appunto dico che sarei andato a capo un po' di più, ma è relativo

    complimenti sinceri

    :appaluso: :appaluso: :appaluso:
     
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    Bella la storia, scritta con stile morbido e ammaliante.
    Il pdv felino, invece, ha a tratti raffreddato la mia partecipazione emotiva.
    Se dovessi puntare un euro direi che la mano è femminile. In ogni caso chi l'ha scritto ha fatto davvero un buon lavoro.
    Complimenti.
     
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  7. allerim
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    La storia è gradevole, ma il legame col tema dello step è davvero debole. Tuttavia…
    Tuttavia il gatto narratore mi è piaciuto tantissimo, i personaggi (gatto compreso) sono ben strutturati e dolcissimi e anche l’idea di un paradiso per i gatti mi piace.
     
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  8. hacherina
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    Storia gradevole e ben scritta con qualche spunto di pacata originalità. Mi piace.
     
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    Mi sono piaciuti molto la voce narrante, i personaggi, la trama e la conclusione dolce; ho trovato la forma a volte ridondante e la punteggiatura spesso imprecisa (a mio avviso, of course).
    Brav., Autor.
     
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    Secondo giro di letture. Comincio dal racconto che ha meno visite, ma questo non significa che sia il meno letto. Molte delle cose scritte per il concorso somigliano a dei dibattiti, a sfoghi personali, questo no, questo somiglia a un racconto, questo è un racconto, e mi complimento con l'autrice/ autore.
     
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    Veramente bello anche questo, in questo step pochi racconti ma di spessore.
    Molto simpatico Salem, la storia col suo pdv mi ha affascinato, potrebbe essere il continuo degli aristogatti.
    Nessun appunto da fare, solo complimenti.
     
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    Davvero delizioso. Sagittario appena sfiorato, ma con gran classe. Complimenti!
     
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    Una storia di sofferenze raccontata con delicatezza.
    Piaciuto.
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  14. LEG
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    Se ti dico che ho un gatto, capisci già quanto possa aver apprezzato il tuo racconto.
    Dolcissimo come una favola per adulti, bravo/a.
    Sto rimuginando su cosa poter aggiungere di utile, ma non mi viene in mente nulla di intelligente, il più è gia stato detto.
    Bravo/a.
     
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    Scrivano supremo

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    Grazie, grazie, graziiieeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee!!!
    Sono molto felice di questo primo posto! :D

    Questa storia l'avevo pensata ancor prima di Zodiaco, poi ho cercato di adattarla al segno in gara di volta in volta, ma sentivo che il Sagittario sarebbe stato il segno giusto.
    Grazie a chi ha votato il mio racconto, grazie dei bei commenti.

    A presto, con "Oltre la poesia - II edizione" :emoticons-saluti-6.gif?w=593:
     
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