Glielo leggo negli occhi

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    Dio della penna

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    Oltre le cortecce d’asfalto la vasta gamma dei campanili di tutte le chiese romane e la foschia opaca di un verde intenso.
    Siamo bloccati in un piccolo ingorgo alla sinistra del posteggio, un vagabondo con la camicia illustrata prova a pulire il vetro del lunotto posteriore nonostante il caos. Il bar Lo Zodiaco, dove siamo, è la rappresentazione di una cosa che si fa tutti insieme contemporaneamente : bere avvicinandosi il più possibile alla stelle. E ci ritroviamo in tanti proprio per colpa di quella distanza e di un modo insolito per conoscere la grande città: esplorarla dall’alto.
    Il divano in pelle ha l’odore di un portafoglio imbottito, odore rassicurante. Da qualche buco nel muro esce musica classica. Lei da vicino vicino ha gli stessi occhi che aveva quell’estate. La grossa questione in ballo è: siamo due semplici amici o quello che eravamo prima? Nel nostro deposito di anime abbiamo cambiato idea più volte pur mantenendo i sentimenti nel perimetro piccolo di un giro di vite. Immersi in un vecchio programma di yoga teniamo la posizione faticosa da anni senza grossi spostamenti.
    <<bevi la tua birra, se non altro vuol dire che sei qui.>>
    <<non cominciare>>, dico.
    <<non dovevi vestirti elegante, non abbiamo nulla da festeggiare>>, dice.
    Non mi importa di essere maltrattato, lei ha sempre riempito il mio spazio vuoto con la sua bellezza tanto esagerata da sembrare una finzione addosso a una ragazza di periferia. Ho dimostrato una miserabile classe nell’interessarmi solo di aspetti superficiali di lei. Le mie capacità elementari mi portano a pensare che la ragazza seduta davanti a me senza un valido motivo abbia un valido motivo. Mi sento infelice come non lo ero da tempo e mi rendo conto che sono un bastardo al quale l’infelicità è mancata più di quella ragazza. Le sue occhiate gelide la fanno allontanare sempre di più e io pure sembro un bambino ingenuo che la calcia lontano e invece di correre a raccoglierla urla al primo passante : << Palla>>. Ora la mia attrazione per lei equivale a quella per uno scaldabagno fuori uso.
    La virtù di altre due portate alcoliche accende il suo linguaggio che comincia a essere gradevolmente delicato e femminile e il mio meno complesso, volevo dire meno complicato. Forse tutto accade solo perché siamo stufi di non vedere accadere nulla. L’impressione che lei resti ancora vicino a me per un’insolita gratitudine consolida la mia sfortuna inimmaginabile con le donne.
    I camerieri rimettono in ordine i tavoli abbandonati . Comincia il canto degli uccelli e un’alba dannosa. Pago il conto a una cassiera addormentata, mi meraviglio di non aver finito le sigarette. Saliamo in macchina. Le faccio guardare le gambe da qualcun altro. La luce diventa sempre più nitida. Lei comincia a cantare una canzoncina, poche e strampalate parole che avevo scritto qualche anno fa. La bellezza collettiva del posto aumenta. La mia mano fredda di un sole appena nato combacia perfettamente con il suo mento liscio. Si sta ripristinando una collisione sentimentale. Il suo lamento è un debole sorriso. Annusa l’aria fresca. Mi è sempre piaciuta l’inutilità delle cose che fa. Io apprezzo le cose inutili. Mi sento capace di nuovo di volerle bene proprio per questo.
    Al mercato di Campodifiori centinaia di mele e pere ci guardano. Nel forno come primi clienti siamo serviti benissimo, facciamo una colazione strana: pizza bianca e caffè. Come quando eravamo più poveri e meno seducenti. La sua camicia sanguina molliche microscopiche. Beviamo l’acqua fresca di una fontana scolorita. Seguiamo una guida di metallo fino al fiume con il sollievo di un traffico ripristinato. Non serve lavorare di immaginazione per capire che siamo in una splendida città di cui ci fidiamo e se dovesse rubarci qualcosa le diremmo: te la regalo.
    L’idea che mi sono fatto è che uno di noi due aspetti che l’altro sia più malleabile.
    <<io non sono affatto così>>, dice.
    <<così come?>>, dico.
    <<come mi vedi tu>>
    Batto la sigaretta sul marmo della sponda del fiume per comprimere il tabacco, per avere fumo gigante, per avere la tenerezza che manca. Il mio coma morale sparisce. Una volta vivevamo ventiquattr’ore su ventiquattro insieme senza esserne massacrati.
    Ricomincia la canzoncina. L’accompagno con la percussione delle mie ginocchia e la cantilena di una specie di coro stonato. Il canto è terapeutico come quando diceva che ero la cosa più importante della sua vita e sentirglielo dire mi faceva stare bene.
    Un insieme di ricordi si spalma sul bordo della strada. Li sposto avanti a ogni passo. I ricordi.
    Lei è dimagrita, me ne accorgo adesso. Le gambe sono due ramoscelli scheletrici.
    Non ha il seno. Non ha più il seno.
    Pure i capelli sembrano diminuiti.
    Forse mi sbaglio, ma sembra meno esageratamente graziosa.
    Non la tocco da mesi, certi particolari mi erano sfuggiti.
    Non mi faccio vivo da mesi, da quando mi sono accorto che nessuno dei due provava le stesse cose.
    Quando le ho spedito una composizione di rose lei mi ha detto per telefono che le rose devono essere tutte dello stesso colore, altrimenti non vale. Voglio dire che se ti accorgi di dare più di quello che ricevi vai avanti per un po’, poi ti fermi.
    Non me l’aspettavo questo peggioramento fisico repentino.
    Se è per colpa mia m’ammazzo.
    Comincio a provare angoscia per qualcosa che nemmeno conosco.
    Comincio a rendermi conto che se lei non esiste non esisto nemmeno io.
    Non sono un cucciolo caldo da abbracciare, ma lei ora mi abbraccia lo stesso. Ha capito che ho capito.
    <<con tutti i mascalzoni che ci sono in giro proprio me dovevi scegliere?>>
    <<eri il meno mascalzone di tutti.>> Ride.
    Si stropiccia un occhio, l’altro resta vigile. Sembra contenta.
    Il Tevere è basso e silenzioso. Un volo di gabbiani supera bottiglie di plastica galleggianti.
    <<vorrei essere bellissimo per farti un regalo>>, dico.
    La sua risata mi avvisa che vado bene così e che è stanca di vivere senza far accomodare nessuno accanto a se.
    Glielo leggo negli occhi.
    Arriva una nuvola di lana, copre tutto.
    Meno che il sole.

    Edited by mangal - 6/6/2016, 18:42
     
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    Si sente che è un racconto scritto in fretta e furia, anche se a volte le cose così riescono meglio: non si ha il tempo per mentire.
    Lo voglio rileggere.
     
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    mi permetto una annotazione:
    chi ha scritto il racconto dice che le lettere a inizio dialogo sono diventate minuscole e invece erano maiuscole
    ho provato personalmente a cambiarle più volte, ma il programma le continua a trasformare in minuscole
    vi chiedo di non considerarlo un errore, è un problema di forumfree

    grazie
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    Galleria di quadri, alcuni dei quali sembrano veri capolavori. Si avanza guardando le tele: spesso ci si ferma ad ammirarle, qualche volta per capirle. Ne risente un po' la fluidità di lettura.
    Il tema è soddisfatto tecnicamente ma è davvero al minimo sindacale secondo il mio personale punto di vista.

    Edited by fumoblu - 6/6/2016, 20:15
     
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    Ringrazio il buon mangal per la tempestiva segnalazione, anche se in tutta onestà non credo che il racconto potesse per questo essere penalizzato. Poi a cambiare << e >> con « e » si fa presto.
    Il problema principale di questo racconto in questo concorso, oltretutto di una penna che sfido io a non riconoscere, è che la corrispondenza col tema è affidata al nome di un bar dove poi si sviluppa tutto. Le stelle, che potevano salvare la situazione, spariscono dalla riga successiva per non tornare più.
    Secondo questo criterio, se il bar si fosse chiamato Il clavicembalo sarebbe stato un racconto sulle melodie di Joan Sebastian Bach.
    Capirete perché non lo considero neanche minimamente votabile.
    La scrittura è comunque corretta e, soprattutto, rivela una grande maturità artistica che rende lo stile dell’Autore inconfondibile.
     
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  6. allerim
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    Ancora un bar, ancora una lei della periferia romana, ancora una love story disastrata, dove non succede quasi nulla. Questa volta però l’autore ha avuto un lampo di originalità: il bar Zodiaco non è in periferia. Bravo.
     
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    Ci sarebbe tanto da dire sulla riconoscibilità di certe scritture e di come dai commenti emerga quanto può esserci di buono e quanto di meno buono (tecnicamente? artisticamente?) nell'essere riconoscibili al punto da diventare inconfondibili. Ci sono autori che per tutta la vita scrivono la stessa storia e alcuni di noi si stufano mentre altri non farebbero che leggerli a rileggerli. Ci sono autori che cambiano sempre e c'è chi ama il continuo rinnovamento e chi invece ci vede un indizio dell'incapacità di avere una voce personale. Tutto e il contrario di tutto. Si potrebbe parlare a lungo di questi argomenti, ma toglierei spazio a ciò che voglio dire di questo racconto. Questo, non quelli che l'autore può aver scritto prima, anche se Zodiaco è stato per noi tutti l'occasione di costruire delle costellazioni di racconti ed è ovvio (forse anche interessante se osservato da una certa distanza, proprio dalla distanza da cui dovrebbe osservarsi il cielo) che certi elementi ritornino comunque a formare un disegno che è qualcosa di più della somma di singole parti.
    Tre frasi, mi porto via:
    "Mi è sempre piaciuta l’inutilità delle cose che fa. Io apprezzo le cose inutili. Mi sento capace di nuovo di volerle bene proprio per questo."
    "Forse tutto accade solo perché siamo stufi di non vedere accadere nulla."
    "La sua risata mi avvisa che vado bene così e che è stanca di vivere senza far accomodare nessuno accanto a se."
    Tre frasi per un racconto che parla di coincidenze e casualità, di ciò che inutile e ciò che conta davvero, di quanto sia sottile il confine tra queste due verità, di come certe cose importanti accadano perché qualcosa deve accadere e di come l'essere umano sia in grado di ricondurre la propria avventatezza al destino.
    Ci diciamo così poco grazie per le storie che scriviamo l'uno per gli altri. E allora grazie, autore.
     
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  8. Esterella
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    Per definire questo racconto io userei la parola affascinante, per come descrivi gli oggetti,il divano di pelle, la sigaretta..,le gambe sottili della ragazza.e poi le sensazioni sull'inutilità delle cose e la bellezza di poter leggere negli occhi dell'altro.piaciuto
     
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  9. Tiziano de Marchi
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    Concordo con tommasino2. Racconto che appare scritto di getto e poi ricontrollato appena. Si perde in organicità e precisione, si guadagna in immediatezza.
    Vi sono frasi che quasi compaiono come lampi a rischiarare altri passaggi del racconto un po' approssimativi.
    Asbottino ha citato tre di questi bagliori. Io ne aggiungerei un altro:
    "Non serve lavorare di immaginazione per capire che siamo in una splendida città di cui ci fidiamo e se dovesse rubarci qualcosa le diremmo: te la regalo."

    La traccia zodiacale è appena accennata. Purtroppo bisogna tenerne conto, come si deve tener conto dell'approssimazione di diverse parti per rispetto di chi ha letto più volte e limato il suo racconto.

    Restano quei bagliori e nello Zodiaco si parla appunto di stelle nel cielo.
     
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    Coppia superficiale come tante coppie superficiali in un posto superficiale:il bar Zodiaco.
    Conosciuto a Roma più del Colosseo.
    Dagli innamorati.
     
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    Questo racconto mi ha messo addosso una gran nostalgia. Lo Zodiaco, Campo de'Fiori, il forno di Campo de'Fiori e la pizza bianca...hai fatto centro, autor. E mi hai fatto anche venire una gran fame!
     
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  12. Vlad
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    Ci sono due punti di vista in cui collocarsi per "osservare" questo racconto (più un terzo squisitamente tecnico):
    # quello del concorso (in cui è deficitario)
    # quello della narrazione ( e dei contenuti) in cui è potenzialmente stimolante.
    Quello tecnico, e ce lo togliamo subito davanti, è deficitario: sono certo che chi mi ha preceduto ha rilevato le imperfezioni delle caporali, del DD che inizia con la minuscola, delle spaziature sovrabbondanti e chissà cos'altro.
    Mi ripeto: un brutto abito è capace di rovinare una bella persona.
    e, con una punta di cattiveria, rivela sciatteria, o peggio, mancanza di rispetto verso il lettore.
    Ciò detto, il richiamo al concorso ( e qui la responsabilità va ripartita con l'Organizzazione che, a mio parere e senza ombra di polemica non avrebbe dovuto allargare tanto lo spazio fra i paletti: dell'Ofiuco se si vuole, se ci si impegna si può scrivere) è talmente labile da risultare del tutto ininfluente.
    Molto più interessante l'aspetto narrativo.
    Ci sono concetti espressi nel corso del DD sotto forma di riflessioni/affermazioni, che stimolano la riflessione del lettore: e questo è un must del testo.
    CITAZIONE
    Forse tutto accade solo perché siamo stufi di non vedere accadere nulla.

    Qui si entra, in punta di piedi, nel profondo, più profondo dell'Essere: è l'Essere, qui, che costruisce la Realtà, un aforisma di derivazione sartriana, esistenzialista;
    CITAZIONE
    La sua risata mi avvisa che vado bene così e che è stanca di vivere senza far accomodare nessuno accanto a se.

    , qui, invece, siamo nel territorio dell'affettività, dell'emotività: la Solitudine - non la Scelta (o l'eccesso di selezione, all'opposto) - ci spinge ad accostarci all'Altro; una situazione che riecheggia un po' Schopenauer.

    E poi c'è quell'aforisma sulla inutilità delle cose che apre uno squarcio sul vissuto del protagonista del testo e, chissà, su quello dell'Aut-ore/rice.

    Una occasione buttata là con disinvoltura, un testo da "intagliare" come una pietra grezza da cui tirare fuori la luce.
     
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  13. LEG
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    Il collegamento al tema è un po' debole, ma cavoli...che bel racconto! Mi è piaciuto da morire il lavoro psicologico che c'è alle spalle.
    Non so chi sia l'autore, e poco me ne curo, sarò onesta, quindi ti faccio i complimenti a prescindere. Per inciso, io appartengo al gruppo di chi non ama i cambiamenti: ho smesso di leggere S. King perché non è più lo stesso dei primi tempi.
    Bravissimo/a
     
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    eggià
    pure qui lo zodiaco passa semplicemente a sfiorare la storia
    e pure qui la storia è bella
    bella perché la trovo reale al cento per cento
    ottima descrizione di quanto accade nella vita reale di tanti
    con una differenza sostanziale: qui i protagonisti ne sono consapevoli, mentre il più delle volte noi non lo siamo

    delle maiuscole si sa che è un problema di forumfree, quindi mi limito a segnalare qualche refuso e qualche spaziatura errata
    ottimo lavoro pure questo

    :noviolence.gif:
     
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  15. semprefalcone
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    GLIELO LEGGO NEGLI OCCHI: “da vicino vicino ha gli stessi” ripetizione; “Le mie capacità elementari mi portano a pensare che la ragazza seduta davanti a me senza un valido motivo abbia un valido motivo” urca. <<bevi la tua birra, se non altro vuol dire che sei qui.>>
    <<non cominciare>>, dico. Maiuscolo. Anche leggendo te capisco cose di me. “Ora la mia attrazione per lei equivale a quella per uno scaldabagno fuori uso” sublime conoscenza dell’essere. “Le faccio guardare le gambe da qualcun altro”, “la mia sfortuna inimmaginabile con le donne” Wow. “Al mercato di Campodifiori centinaia di mele e pere ci guardano” sublimi parole. “<<vorrei essere bellissimo per farti un regalo>>, dico” maiuscolo ma che bello; una storia senza storia, il racconto di un amore bello.
     
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26 replies since 4/6/2016, 21:15   406 views
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