Scrivano supremo
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Vincent con le braccia incrociate sul petto in segno d’attesa osserva il suolo da vicino per poter contare le cicche fumate. Lui è l’apparizione moderna di un primitivo, ogni suo gesto è naturale, ma non si ama più, e prima che la sua faccia affranta venga scoperta prova, in maniera semplice, a far sfiatare la sofferenza all’aperto del solito bar per un periodo prolungato. - Non mi guardare, - dice Emma, passandogli accanto. - La bellezza è di tutti, mi dispiace, -dice Vincent sollevando la sigaretta per un brindisi di fumo. - Non riesco a credere che sto sentendo la tua voce, credevo fosse rimasta nascosta come te, sembra pure dolcificata. Sei come non ti ho immaginato: materiale promozionale consumato. - Ascolta, non ho mai detto niente di noi, e ora me ne sto solo per i fatti miei. Disturbo? Se disturbo me ne vado. - Proprio non aver mai detto niente di noi è stata la tua peggiore e schifosa bugia, Vincent. Almeno non perdere di vista il tuo cervello se te ne vai, ogni tanto dagli un’ occhiata. Hai bisogno di soldi? Dimmelo se hai bisogno, io me la passo bene, adesso. Tu potrai continuare a far crescere le tue basette rigogliose, la tua barba e io mi sentirò appagata come dopo aver fatto l’elemosina, non in chiesa, ma sulle scale della chiesa, dove stazionano i poveri cristi veri. - E io sarei un povero cristo vero? Sono sempre stato onesto con te, lasciami in pace, se avrò bisogno farò un urlo raccapricciante, va bene? - Sei troppo istruito, non lo farai mai invaghito del tuo golfino coperto di polvere da bar. - Che? - L’urlo raccapricciante. Vincent si sente schiaffeggiato, non capisce se è una vera lite o un semplice chiarimento. Si sposta, inizia a tamburellarsi lo stomaco, poi estrae dalla sua bisaccia, come distrazione forzata, un complimento: - Sei minacciosa, ma continui a piacermi, hai i boccoli degli angeli, e il lettino abbronzante ti dona. - Te le sogni la notte queste citazioni? Comunque il digiuno fa bene, anche tu continui a piacermi, mi hanno raccontato che da quando ti sei licenziato nemmeno mangi e non porti più la tua salute in palestra. - Solo invidia, sto bene, non mi lamento, la palestra è l’università degli idioti. - Allora offrimi qualcosa, come ai vecchi tempi, quando il barista ti permetteva di preparare i tuoi famosi drink, e in questo posto di anziani sembravi a tutti un giovane sfrontato. - Se sono ancora sfrontato possiamo tornare a essere amici. - Non ne valgo la pena, e tu come amico non mi piaceresti mai, saresti un’eterna punizione che non mi sento di meritare, preferisco continuare a distruggere i corteggiatori incauti che mi si avvicinano. Vincent la saluta con un cenno cordiale, un piccolo asterisco con la mano aperta, come se la brutta conversazione l’avesse migliorato. - Grazie. - Perché? - Sei terapeutico, sei nocivo, e funzioni, caro mio. Si commuove. Vincent le prende le mani senza stringerle e lasciandole inerti la fissa negli occhi. - Non voglio stare qui se tu ci sei. - Magari potremmo andarcene insieme da qualche altra parte, - risponde Emma asciugandosi le lacrime con il polsino della camicia. Vincent vuole lei, vuole molto di più di quello che ha avuto. Una certa fetta di vuoto è rimasta in attesa. Il non lusso totale del bar lo spinge a ordinare due drink. Dopo aver bevuto, lei si avvicina il più possibile al suo viso con le labbra fresche di ghiaccio e menta e gli occhi appesantiti dal rimmel. - Vuoi baciarmi? - Si ne ho una voglia matta, ma va a quel paese! - E cosa vuoi? - Posso fidarmi di te? - Be’, almeno questo te lo devo. - Ho ucciso un uomo. - Tu? - Sì. Proprio io. - L’hai investito con l’auto? - L’ho ucciso in camera da letto, era uno che non mi dava pace e che ha provato pure a violentarmi. - Perché non lo hai denunciato come fanno tutte? - Perché non c’era tempo. - Devo crederti? - Devi. Ora Vincent ha la faccia di chi vorrebbe sedersi da un’altra parte, non fuggire, ma stare lontano da quella orribile situazione, e pensa che non basta a una donna essere bella per cacciare un uomo come lui nei guai. O basta? Vincent si guadagna un sorrisetto stentato con la sua indecisione e frammenti di luce degli occhi truccati. Che poi nessuno gli ha chiesto aiuto, e lei, ora, si allontana fredda come un ghiacciolo trascinandoselo dietro insieme al rumore potente dei suoi stivali sulla strada. Guardandolo con la coda dell’occhio gli sussurra un: - Dai accompagnami. - Dove? - A casa mia, lì c’è il morto. Vincent pensa che proprio non ce l’ha la faccia di una che farebbe qualcosa di veramente criminale. E se fosse solo un brutto scherzo? Dopo averla appaiata cerca di vedere se l’espressione dei suoi occhi, guardandoli da vicino, è cambiata. Ora la casa è lì, un palazzone coperto da piante acrobatiche tutte della stessa specie. Vincent nauseato da tre piani senza ascensore fa rientrare gli occhi nelle orbite prima di entrare nell’appartamento. - Ti prego, non avercela con me, Vincent, tu mi hai sempre voluto bene, per questo ti ho cercato. Con la faccia morbida di paura Vincent sorride. Aperta la porta, con la mano cerca l’interruttore e ci resta minuti sopra per mantenere la luce accesa, mentre due dita diventano pallide per la pressione. - Ti sei incantato? - Stavo pensando che qui non si tratta della solita partita di biliardo. A destra del lungo corridoio un giardino di fiori di plastica illeso nonostante la siccità, a sinistra scorci infantili, perlopiù paesaggi ad acquerello, pessimi ricordi di vacanze estive nella tenuta di campagna. In fondo al corridoio il probabile hangar dell’omicidio: la camera da letto. Non ci sono altri posti per dormire oltre a un divano celeste di cinz molto vissuto e due sedie di alluminio. Vincent si mette a studiare gli oggetti che trova sul percorso spostandoli con la punta delle scarpe. Dopo averlo notato Emma dice: - Andiamocene via, sei troppo perbene per poter sopportare tutto questo. - Mi ci devo abituare, tutto qui. - D’accordo il prossimo che ucciderò ti chiamerò. Ti piaccio ancora almeno un po’? Non c’entra niente con la situazione, ma lei lo chiede e Vincent annuisce con la fronte. - E non ti ricordi nemmeno il mio nome, non mi chiami mai. - Ricordo che hai un nome poetico. Emma si abbassa per cercare qualcosa di pesante da tirargli. Poi lo afferra per lo zip dei pantaloni posizionato ad arte, e dice: - Appena sistemata la faccenda voglio fare sesso con te, poi ognuno per la propria strada. Subito pentita per la sua inopportuna durezza sposta una ciocca di capelli e appoggia la fronte sulla sua spalla. Lo scarto di tenerezza conquista pure i tatuaggi di Vincent. - Mi sa che ho bisogno di una pausa, - sussurra Emma buttandosi sul divano, e dopo aver sottratto un paio di bicchieri da un piccolo mobile bar di mogano li riempie di Martini. Ora Vincent si farebbe carico di un magazzino di cadaveri pur di averla. - Vado a vedere, - dice Vincent con il coraggio ripristinato dall’alcol. Tu resta qui, potrebbe essere ancora vivo. Afferra il coltello più grande che trova nel cucinino, quello a sega del pane, e se lo infila nella cinta dei pantaloni per avere le mani libere durante un’eventuale colluttazione. Per stare comoda Emma si sfila il reggiseno da sotto la maglietta, senza mostrare nulla, poi afferma: - Vincent io non sono una brava persona, e se dico che l’ho ucciso, l’ho ucciso. Per un balordo atto eroico, Vincent spalanca la porta fissando una presenza invisibile, cerca il morto sviluppando rughe insolite sul viso. Lei fissa il bicchiere che ha in mano e beve un sorso . - Be,’ te lo ricordi o no, questo tipo?- Urla Emma. Nonostante tutto la voce di Emma resta melodiosa e Vincent sente un lampo di desiderio attraversargli l’inguine. L’uomo è disteso sul letto circondato da sangue secco. - Mai visto prima. Sta facendo la cosa giusta, se ne convince sempre di più, ma non sa dove andrà a approdare, Vincent. Con un calcio spedisce le scarpe dell’uomo dall’altra parte del letto, lo solleva dal lenzuolo insanguinato e dopo aver controllato il respiro assente lo lascia cadere sul tappeto. Accanto all’armadio trova un contenitore grande di plastica trasparente, di quelli che usano nelle tintorie, lo svuota degli abiti e ci infila il cadavere. Una gamba resta fuori. Senza apparente crudeltà afferra il coltello del pane e con abilità chirurgica la sega sotto il ginocchio. Ora ci sta dentro, e ci infila pure il lenzuolo insanguinato. Spinge la scatola fuori della stanza. Si ferma accanto al divano. Pure a pezzi l’uomo si riconosce, Emma ha un gesto di disprezzo. Vincent asciuga una macchietta di sangue sulla camicia con il phon e la fa sparire nella cintura. Emma gli toglie un pezzetto di carne flaccida del morto dal risvolto dei pantaloni, un gesto quasi affettuoso. Vincent beve, fuma e afferra la donna goffamente. Lei lo lascia fare per un paio di ore, poi con espressione spaventata dice: - Non ti eri ancora reso conto di averlo, eh? Nessuno mai mi ha presa così intensamente. Sul serio, da quanto tempo non tocchi una donna? - Mi è andata bene, sono single da parecchio. Ride. - Hai passato al setaccio tutto il mio corpo, vuoi farmi innamorare? Ride. Coprono la scatola con una coperta e la portano in macchina proponendo a un pubblico inesistente qualche battuta spiritosa. Una pioggia pesante e brutale comincia a battere sul tetto dell’automobile di Emma, una vecchia Renault. Lei guida nervosamente,spingendo sul pedale dell’acceleratore a tratti, come se fosse una macchina da cucire. Sul lago si è fatto buio e c’è foschia. Emma e Vincent mangiano le provviste che hanno comprato lungo la strada. Poi Vincent afferra la scatola come se fosse una confezione di acqua minerale, con tutt’e due le mani da un lato, appoggiandosela sullo stomaco. - Sei una bestia, stai trasportando un uomo di almeno ottanta chili. - Lascia stare, dice Vincent pieno d’orgoglio per la sua forza. - Gettiamola in acqua e vediamo se affonda o galleggia. - Abbiamo fatto tutto bene, non sbagliamo proprio adesso, dice Vincent. - Parla a bassa voce. - E per quale ragione dovrei parlare a bassa voce. Qui c’è solo il canto delle cavallette. - Sono grilli d’acqua, - dice Emma che ha fatto campeggio con gli scout. - Seppelliamolo sarà facile scavare nella sabbia. - Con che? Ci vorrebbe una pala che non abbiamo. - Con le mani. Emma scuote la chioma bionda. - Mi si spezzeranno le unghie, - dice. Vincent comincia a scavare da solo molto concentrato. A venti centimetri di profondità chiede: - Quell’uomo come ha fatto a arrivare al tuo letto? - Sei curioso eh? Ma è una storia lunga, lui è un mio ex al quale erano rimaste le chiavi in tasca e io non lo sapevo. - Capito. A mezzo metro chiede: - E che ti aveva fatto di male? - Niente di particolare era pure un brav’uomo. - E tu uccidi tutti i brav’uomini? - Certo e ora seppellisco pure te se non la finisci. Scusami, non avrei dovuto coinvolgerti in questa faccenda. - E perché hai scelto proprio me? - Perché sei il più stupido e robusto che conosco. - Sono un disastro lo so. - Sto scherzando, sei l’amico migliore che io abbia mai avuto, se ho detto il contrario è stato solo per rabbia. Vincent durante la sepoltura, grazie all’illuminazione di una luna prodigiosa, non le toglie gli occhi di dosso. - Ti piace il mio seno? - Mi piace come si muove. - Va bene, è tuo, dove devo firmare? Ride Pure Vincent ride. - Ho perso il telefonino, ecco cosa mi mancava in tasca. - Non ti azzardare a lasciarmi sola qui per ritrovarlo. Vincent torna indietro dopo dieci passi, con le dita sanguinanti per aver scavato sabbia e detriti, l’accarezza. - Dobbiamo andare via di qui, o vuoi restarci? - Se c’è acqua e cibo, perché no? – Dice Vincent. - Non siamo abbastanza ubriachi per non tornare a casa, caro mio. Emma sta appoggiata all’auto con le mani sui fianchi, il profumo del suo corpo affaticato arriva fino a lui. - Pensi di lasciarmi sola domani mattina? - Penso di no. - Perché ti sei fatto crescere la barba così lunga? - Perché non ho voglia di guardare la mia faccia, a essere imparentato con me sento una fitta al cuore. - Non che significhi qualcosa, ma mi è sempre piaciuto il tuo modo di prenderti in giro. Vai ancora all’università o hai interrotto pure gli studi? - Ho interrotto, - dice Vincent facendo il gesto di inclinare un cappello inesistente. La luna si sposta sopra le colline. Quella che sembra la conversazione tra due studenti in gita scolastica sfuma lungo la strada del ritorno. Per colpa della radio accesa.
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