Hako, help me

- a ヴェイパーウェイヴ s a m p l e s t o r y /01 -

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  1. VivaTorro!
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    Apro gli occhi. Il salotto è un acquerello rosa fenicottero. Ho di nuovo pianto nel sonno. C'è umidità, caligine, mi sudano le sinapsi. Sono uno Sputnik alla deriva, perso nell'orbita d’un soggiorno démodé. Falci di luce gialla, intanto, ibridano le ombre afose della stanza. Un allarme. La centralina domotica segnala un problema. È la pre-allerta meteo.

    «Istantanea report, per favore.»

    Dai fono-diffusori sgocciola piano la robo-voce di Ophelia, attenzione, avverte, precipitazioni a pH tre attese per mezzogiorno, parla di piogge acide, eppure ascoltarla è l'unico balsamo che ho, previsti livelli di H2SO4 sulle due punto due parti per milione.
    All'improvviso un'ondata di nausea, no, forse è nostalgia. Dio, quanti Long Island Aesthé ho bevuto ieri sera? Decisamente troppi, scopro – oltre un velo di lacrime tremola il digitimer, segna le nove di mattina. Sono in ritardo. Al chiosco ci sarà già calca, hanno bisogno di me per confezionare quei Fruttaccinos alle bacche di Goji, ma perché dovrei alzarmi? Là fuori non c’è niente, solo smog e anonimali da marciapiede.
    Doppio bip, l’Hamlet Software s’attiva a tradimento. Dovresti essere al lavoro, ammonisce, un'assenza dall'impiego può costare ammende pecuniarie e licenz-
    Lo ignoro, lo spengo. Attorno a me cala il buio, un'oscurità striata soltanto dal giallo fluo del segnale meteo. Da risacca, il moto della nostalgia si fa mareggiata. Schiuma. No, bucare il turno al Kokonut non mi costerà mai quanto aver perso lei. Mi manca da morire, ma più scorre il tempo, meno riesco a ricordare. E se di colpo svanisse tutto?

    «Hako.»

    Pronuncio quel nome ad alta voce e Ophelia m’interfaccia alla neuro-teca.
    Come un fiore di loto, l’ologramma vermiglio di Hako sboccia al centro della stanza. Bagliori elettrici le sfrigolano a fior di pelle, finché il mio avatar non la stringe a sé.
    Il loro... Il nostro contatto sprigiona scintille viola. C’è odore d’ozono nell’aria.
    Eccola – penso – l’unica donna che abbia davvero trasceso la post-modernità, perennemente assorta a scrutare il cielo, con quel nasino puntato a Est di un sogno.
    Sulle pareti sfarfalla un teleshow lo-fi pieno di memorie, e così la rivedo sorseggiare una Saint Pepsi al nostro primo appuntamento, mentre le sfioro i capelli, poi guardo le sue labbra chiare, la spiaggia, baci in punta di piedi, mi dice. Il nebulizzatore diffonde il suo profumo in Smell-O-Vision. Sa di vaniglia e salsedine.
    Hako, dove sei? Continuo a chiedermelo. Dovrei smettere, però non voglio. Non voglio dimenticarti.
    Mi sento smagnetizzato, sai, come un vecchio Betamax, ma osservarti mi dà sollievo. I tuoi occhi, soprattutto, quelli non sono cambiati – sempre vivi, due finestre al neon spalancate su piogge di stelle cadenti.

    «Ophelia» ordino «Avvia Esprit

    Adoravamo quella canzone.
    Aiutami a non dimenticare, Hako, ti scongiuro. Un giorno troverai qualcuno, mi rassicura lei, col suo sorriso che glitcha fondendosi a un panorama del monte Fuji. Allora la supplico. Non lasciarmi di nuovo solo, non oggi. Vorrei uscire, vorrei alzare la testa come facevi tu e trovare uno scopo. Mi senti? Sono io. Ti prego, parlami. Salvami.
    Lentamente, una frase a metà fra caratteri kanji e hiragana si sostituisce agli ologrammi. La riconosco subito, era uno dei suoi proverbi preferiti. Sorrido di tristezza.

    失敗を繰り返すことで、成功に至る。

    “Ripetuti fallimenti conducono al successo”, traduco a mente. La neuro-teca si spegne.
    È sempre questo il tuo messaggio, Hako? Quanto ancora dovrò fallire per rivederti?

    Edited by VivaTorro! - 18/6/2019, 20:03
     
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    piaciuto
    nonostante alcune "forzature" nel linguaggio, un po' troppo ricercato, la storia mi ha preso
    parte in sordina, ma poi trascina fino in fondo e lascia un amaro in bocca che profuma di speranza
    o illusione, forse
    in ogni caso mi è piaciuto proprio
     
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    Non mi è chiarissimo se è una cosa autoconclusiva o meno, parrebbe di sì.
    Comincio col dire che su pezzi brevi il tuo stile risalta di più, colpisce di più, morde di più. C'è sempre qualche espressione che mi suona eccessiva, ma nel complesso funziona.
    Sulla storia in sé non riesco a esprimermi: c'è un piccolo scorcio di distopia che è difficile valutare fuori dal contesto.

    Preso così com'è, come quadretto, è comunque assolutamente d'impatto.
     
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    CITAZIONE (mangal @ 18/6/2019, 18:46) 
    piaciuto
    nonostante alcune "forzature" nel linguaggio, un po' troppo ricercato, la storia mi ha preso
    parte in sordina, ma poi trascina fino in fondo e lascia un amaro in bocca che profuma di speranza
    o illusione, forse
    in ogni caso mi è piaciuto proprio

    Ti ringrazio, mangal. Il punto è che questo racconto era un banco di prova, anzi è, per una questione più ampia. Esiste un fenomeno culturale, una sub-cultura meglio, nota come vaporwave. Il vaporwave è nato innanzitutto come fermento estetico e musicale, quindi non possiede alcun tipo di lavoro in ambito letterario. L'obiettivo che mi ero proposto era perciò di creare qualcosa che potesse definirsi letterariamente vaporwave, ma che funzionasse anche in modo slegato da ciò che in effetti è il vaporwave. Questo pezzo, ascoltato con la canzone citata quasi alla fine (Esprit degli Esprit), avrebbe tutto un altro mood, ma apprezzo il tuo commento perché, pur senza musica, le tue sensazioni sono state le stesse che avresti provato ascoltando il brano nel mentre. Per quanto spesso sia forte la tentazione di creare un racconto che funzioni in concerto con altre arti, è difficile che qualcuno si "prepari" in modo così minuzioso per leggere un racconto breve, quindi non ho voluto dare carattere ancillare al pezzo, solo concentrarmi su quello che concettualmente definisce la vapor: nostalgia, senso di sospensione, malinconia, rapporto conflittuale fra passato, presente e futuro.

    CITAZIONE (Fante Scelto @ 18/6/2019, 18:49) 
    Non mi è chiarissimo se è una cosa autoconclusiva o meno, parrebbe di sì.
    Comincio col dire che su pezzi brevi il tuo stile risalta di più, colpisce di più, morde di più. C'è sempre qualche espressione che mi suona eccessiva, ma nel complesso funziona.
    Sulla storia in sé non riesco a esprimermi: c'è un piccolo scorcio di distopia che è difficile valutare fuori dal contesto.

    Preso così com'è, come quadretto, è comunque assolutamente d'impatto.

    La settimana scorsa ho letto delle riflessioni importanti sul racconto breve fatte da Carver ed Hemingway. Il secondo, in particolare, diceva che la storia breve è come un iceberg. Ciò che è sott'acqua dev'esserci, e lo scrittore deve conoscerlo, ma ciò che spetta al lettore è solo il blocco di ghiaccio che salta fuori. Io non amo essere così breve. Non mi ritengo prolisso, solo ho bisogno che tutto venga spiegato nei tempi e nei modi giusti, ma quelle frasi mi hanno fatto riflettere, e le critiche recenti soprattutto. Non mi sarei mai aspettato di sentire che un mio scritto mordesse di più, se tarato su questi parametri di lunghezza, ma ovviamente fa piacere :D la distopia che vedi, la vedi perché c'è. E' solo accennata, ma se il lettore la percepisce significa che ne ho dato gli indizi giusti, e finché ne "senti" la presenza, va bene così. L'immaginazione dei lettori ha bisogno di creare a sua volta ciò che non esiste. Sì, in ogni caso ho voluto che fosse autoconclusivo, ma non del tutto - questo perché, come spiegavo a mangal poco fa, uno degli obiettivi era creare uno stato di sospensione.

    P.S.
    Con superpredatori sto andando avanti a rilento, ma devo dire che mi ha preso. Sei riuscito a farmi piacere una situazione di partenza che consideravo troppo abusata per risultare originale, fra remake di Predator e altri prodotti videoludici più recenti (Ark, in primis), ma sono rimasto sulla pagina e sono contento sia accaduto :D c'è tensione in ogni riga ed è bellissimo così.
     
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    CITAZIONE (VivaTorro! @ 18/6/2019, 19:04) 
    La settimana scorsa ho letto delle riflessioni importanti sul racconto breve fatte da Carver ed Hemingway. Il secondo, in particolare, diceva che la storia breve è come un iceberg. Ciò che è sott'acqua dev'esserci, e lo scrittore deve conoscerlo, ma ciò che spetta al lettore è solo il blocco di ghiaccio che salta fuori. Io non amo essere così breve. Non mi ritengo prolisso, solo ho bisogno che tutto venga spiegato nei tempi e nei modi giusti, ma quelle frasi mi hanno fatto riflettere, e le critiche recenti soprattutto. Non mi sarei mai aspettato di sentire che un mio scritto mordesse di più, se tarato su questi parametri di lunghezza, ma ovviamente fa piacere :D la distopia che vedi, la vedi perché c'è. E' solo accennata, ma se il lettore la percepisce significa che ne ho dato gli indizi giusti, e finché ne "senti" la presenza, va bene così. L'immaginazione dei lettori ha bisogno di creare a sua volta ciò che non esiste. Sì, in ogni caso ho voluto che fosse autoconclusivo, ma non del tutto - questo perché, come spiegavo a mangal poco fa, uno degli obiettivi era creare uno stato di sospensione.

    Morde di più perché, per me almeno, più si allunga un lavoro e più aumentano le chance di cadute di stile, forzature, o che lo stile alla lunga annoi se chi legge non ne è rimasto conquistato.
    Per questo lo esalterei nei pezzi più brevi e lo limerei un poco (non tanto, solo un pochetto) quando scrivi cose più lunghe.


    CITAZIONE
    P.S.
    Con superpredatori sto andando avanti a rilento, ma devo dire che mi ha preso. Sei riuscito a farmi piacere una situazione di partenza che consideravo troppo abusata per risultare originale, fra remake di Predator e altri prodotti videoludici più recenti (Ark, in primis), ma sono rimasto sulla pagina e sono contento sia accaduto :D c'è tensione in ogni riga ed è bellissimo così.

    Vai tranquillo, io non ho fretta e anzi ti ringrazio del tempo che ci dedichi.
    Non ho giocato Ark ma è tra le varie ispirazioni che hanno mosso la mia creatività, assieme a Lost, Dino Crisis (lo ricordi? :tisupplico.gif: ) e un sacco di altre cose.
     
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    Vai tranquillo, io non ho fretta e anzi ti ringrazio del tempo che ci dedichi.
    Non ho giocato Ark ma è tra le varie ispirazioni che hanno mosso la mia creatività, assieme a Lost, Dino Crisis (lo ricordi? :tisupplico.gif: ) e un sacco di altre cose.

    Con tutti i salti dalla sedia che ho fatto, Dino Crisis lo ricordo molto bene. E anche le mie vertebre lombari. :sbranato.gif:
     
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    CITAZIONE (VivaTorro! @ 18/6/2019, 19:23) 
    Con tutti i salti dalla sedia che ho fatto, Dino Crisis lo ricordo molto bene. E anche le mie vertebre lombari. :sbranato.gif:

    Noi parliamo la stessa lingua. :welcome.gif:
     
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    Ho di nuovo pianto nel sonno.

    La frase più bella di questo racconto.
     
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    CITAZIONE (tommasino2 @ 18/6/2019, 20:46) 
    Ho di nuovo pianto nel sonno.

    La frase più bella di questo racconto.

    Ti ringrazio, tom :tisupplico.gif:
     
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    Voi che parlate a stessa lingua siete sempre "troppo" per le mie possibilità. Troppo bravi, troppo colti, troppo lunghi.
     
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    CITAZIONE (Lycia @ 19/6/2019, 08:50) 
    Voi che parlate a stessa lingua siete sempre "troppo" per le mie possibilità. Troppo bravi, troppo colti, troppo lunghi.

    Lycia, ti assicuriamo che Dino Crisis è una delle cose più "ignoranti" mai concepite al mondo. In ogni caso, ho voluto fare questo esperimento perché il vaporwave, per quanto venga utilizzato spesso solo per farci i meme su internet, in realtà è il primo genere musicale sviluppatosi all'interno della rete, e quindi ovunque e da nessuna parte al tempo stesso. Io di mio sono abbastanza anti-tecnologico, e per questo il fenomeno mi interessa. E' nato dalla spinta all'ipertecnologizzazione del mondo, ma si nutre di lo-fi, simboli e sentimenti tipici degli Anni Ottanta, di nostalgia. E' un controsenso concettuale che, secondo me, ha bisogno di essere meglio esplorato soprattutto dalla letteratura, che in tal senso finora ha fatto zero, soprattutto perché a detta di molti non è possibile fare letteratura vaporwave. Vorrei, nel mio piccolo, sfatare questa congettura.

    Edited by VivaTorro! - 19/6/2019, 13:48
     
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    Mi riferisco alla vostra "stoffa" di scrittori di un certo tipo che emerge da ogni scritto, compresi i commenti.
     
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    CITAZIONE (Lycia @ 19/6/2019, 10:05) 
    Mi riferisco alla vostra "stoffa" di scrittori di un certo tipo che emerge da ogni scritto, compresi i commenti.

    Non penso di scrivere chissà cosa, per me l'importante, dopo ogni pezzo (lungo o breve), è ricominciare da capo. Fare tesoro di tutto, ma ricominciare da capo. L'asticella si alza solo così, secondo me. E in mezzo c'è tutta una marea di rischi, anche espressivi, che bisogna prendersi. Per mia esperienza personale, ormai so dove e come andare a colpire se voglio lasciarmi leggere normalmente, ma avrebbe senso agire così, marciando nella propria zona di comfort senza osare, un po' alla volta? Secondo me no, altrimenti uno che scrive a fare? :D
     
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    Penso che il punto di arrivo di uno scrittore sia perfezionare il proprio stile , per renderlo più fruibile ai lettori, ma senza alterarne la sostanza.
    Voi complessi risultate più faticosi.
    I più letti risultano i più sintetici e i più semplici ( da distinguere dai semplicioni)
     
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    CITAZIONE (Lycia @ 19/6/2019, 12:21) 
    Penso che il punto di arrivo di uno scrittore sia perfezionare il proprio stile , per renderlo più fruibile ai lettori, ma senza alterarne la sostanza.
    Voi complessi risultate più faticosi.
    I più letti risultano i più sintetici e i più semplici ( da distinguere dai semplicioni)

    Sono d'accordo, e sicuramente rispetto a cinque anni il mio stile si è semplificato di parecchio, ma se è la sostanza stessa a essere complessa ovvio che c'è una finestra di flessibilità minore. In ogni caso sì, sei stata molto precisa, l'intento è proprio quello che hai descritto tu. Cercare di raggiungerne il più possibile, ma senza giungere a compromessi deleteri per la qualità.
     
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