Una decisione sofferta

Lucabii

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    Dio della penna

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    La differenza tra pensiero e azione è evidente a chiunque, la può intuire con semplicità anche un bambino.
    Non fu sicuramente per quello che si fece cogliere tanto impreparato dalle emozioni, mentre stringeva tra le mani la busta bianca, così fintamente e meschinamente leggera. Tuttavia qualcosa di imprevisto gli si era aggrovigliato nello stomaco, nel momento in cui l’idea originale aveva assunto i contorni concreti della realtà.
    Per la verità una sensazione di disagio aveva cominciato ad albeggiare già alle prime luci di quel sabato che, in fondo lo sapeva, non sarebbe stato un giorno come gli altri. Si presentò inizialmente con le sembianze della “luna storta”. Questo quantomeno fu il nome con cui la moglie classificò l’atteggiamento a dir poco scorbutico con cui l’uomo si presentò a colazione. Non che di solito i suoi risvegli fossero particolarmente raggianti, né i rapporti con la consorte più caldi della spremuta che aveva appena tolto dal frigorifero. Ciò nonostante, soprattutto negli ultimi mesi, gli equilibri tra i due si giocavano sull’ignorarsi con delicata attenzione e, quando proprio non si scorgevano altre vie d’uscita, colloquiare il minimo indispensabile scambiandosi diplomatiche freddure. Quel mattino però gli sporadici interventi dell’uomo non avevano proprio nulla di diplomatico. Pertanto catalogarli come “luna storta” era il minimo che a Maddalena fosse venuto in mente, cercando di non strabordare troppo dai rassicuranti confini della consueta diplomazia velenosa.
    La cosa buffa, se qualcosa di buffo poteva essere trovato in quella situazione, stava nel fatto che Fausto aveva avvertito in quegli asciutti scambi, impastati di stizza, un’autenticità che non rammentava se non in tempi molto remoti. Ben lungi dall’essere considerata una piacevole chiacchierata, quel breve dialogo aveva però in qualche modo messo in luce dei lati di Maddalena che sembravano da tempo svaniti, inghiottiti nella coltre dei meccanismi che controllavano meticolosamente la loro relazione. Nonostante avesse palesemente gettato le basi per un litigio, rompendo l’implicito patto di non alterare i solidi equilibri costruiti con tanta fatica e costanza, avvertì comunque una sorta di piacere nel cogliere nella moglie volti nuovi, sconosciuti, o semplicemente dimenticati. Umanità. Ecco l’aspetto che indubbiamente aveva fatto la differenza, solleticando piacevoli emozioni latenti. Aveva sentito, come non gli era accaduto nemmeno agli albori della loro infatuazione (sempre che ci fosse stato un periodo di vera infatuazione) il lato umano della donna che si trovava quotidianamente innanzi, pur senza vederla davvero. Aveva scorto un brandello della persona nascosta dietro una maschera inanimata.
    Gli era piaciuto, constatò. Solo per un istante, però.
    Polverizzò immediatamente il timido appagamento con un lampo d’odio, che recuperò senza difficoltà rovistando nell’arsenale del suo cervello.
    Se c’era una giornata meno adatta per formulare pensieri di quel genere, era proprio quella. Era chiaro che non si trattava di una casualità. Avvertiva nel profondo lo sgradito tentativo della propria coscienza (non sapeva con quale altro nome chiamare quel fastidioso foruncolo interiore) di rimescolare le carte, di far vacillare le sue convinzioni. Che fosse quella davvero l’intenzione, piuttosto che qualche altra stronzata, non gli interessava. Aveva preso la sua decisione e dedicato troppo tempo ed energie per pensare di rimetterla in discussione. Inoltre ciò che era fatto era fatto, non c’era più modo di tornare indietro.
    O sì?
    Come la più rognosa delle zanzare, il dubbio non smise di ronzargli nelle orecchie per tutto il pomeriggio. Non c’era modo di farlo secco. Più ci provava e più il ronzio si faceva acuto. Insopportabile.
    Prima delle tre aveva già i nervi a pezzi. Erano persino venuti a fargli visita, belli infilati uno dietro l’altro, i sintomi di quella che poteva definire senza alcun dubbio come la più terribile crisi di panico che l’avesse mai investito. E lui se ne intendeva, non era certo un pivello a riguardo. Mai a casa, però. O, meglio, mai per motivi legati alla vita familiare. Per dirla tutta, in parte la famiglia c’entrava, tenendo conto che le fatiche che facevano vacillare la sua lucidità erano legate non tanto alle responsabilità riguardanti l’azienda, quanto piuttosto alle pressioni che quell’infido di suo suocero gli caricava quotidianamente addosso. Quel porco di Giancarlo godeva nel tenerlo al guinzaglio per tutte le ore che doveva trascorrere in quella maledetta ditta, facendogli pagare, fino all’ultimo centesimo, il lusso che si era guadagnato convincendo sua figlia a sposarlo. Per certi versi Fausto quel guinzaglio non lo sentiva mai sciolto, cambiava solo la mano che lo strattonava qua e là. Quando non era Giancarlo, era Maddalena a tenerlo legato, confinato in una prigione dalle sbarre d’oro.
    Era scontato che sarebbe finita in quel modo. Era solo questione di tempo. Non fosse stato per Matteo, probabilmente si sarebbe deciso molto prima. E avrebbe fatto bene, considerando quanto quel piccolo farabutto si stesse rapidamente trasformando nella copia sputata di suo nonno.
    La certezza di aver preso la decisione giusta, l’unica possibile, gli rendeva ancor più incomprensibile, nonché terribilmente fastidioso, quel dannato brulicare morale che, da qualche parte dentro di lui, stava cercando di far fiorire una sorta di sentimento…o di pensiero, non sapeva come definirlo. Sapeva solo che quel tormento andava ricacciato da dov’era venuto. Subito. Altrimenti sarebbe impazzito, ne era certo.
    Quando la sagoma scura disegnò i suoi tenui confini sul vetro opaco della porta d’ingresso, le gambe di Fausto tremavano al punto da indurlo a pensare che non sarebbe riuscito ad alzarsi dalla poltrona senza l’aiuto di qualcuno. Nel momento in cui la busta passò dalle mani del visitatore alle sue si sforzò di mantenere un atteggiamento calmo e freddo, celando come meglio poteva la percezione di poter perdere i sensi da un momento all’altro.
    Si nascose con impacciata disinvoltura nel suo studio, chiudendo finalmente fuori gli sguardi attoniti e interrogativi di Maddalena e Matteo.
    Respirò profondamente sperando di rallentare i battiti farneticanti che gli mitragliavano il petto.
    Il silenzio venne riempito dal lieve fruscio della carta. Il laconico messaggio, una volta disvelato, stazionò per lunghi secondi davanti agli occhi persi di Fausto.
    La transazione era andata a buon fine, annunciava il primo rigo. I numeri presenti nel secondo rivelavano invece la data e l’ora precisa in cui la moglie e il bambino sarebbero morti.
    Trattenne a stento l’istinto di liberare lo stomaco.
    “Ma cosa sto facendo?”, tuonò una voce rimbalzando disperata tra le pareti del cranio, prima di perdersi nell’oblio.
    Si accorse che stava piangendo quando osservò una lacrima affondare nella carta del biglietto, inumidendola.
    Andò in bagno e chiuse la porta a chiave. Distrusse in mille pezzi il contenuto della busta e lo buttò nel water.
    Seduto sul bordo della vasca, si asciugò gli occhi con un fazzoletto.
    Poi costruì il suo miglior sorriso e tornò nel suo lussuoso salotto, da sua moglie e suo figlio.
     
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    Caspita che pre-excipit agghiacciante. Proprio una “flashata” che passa direttamente dagli occhi allo stomaco e poi torna alla testa e mi dice... non va. Non è plausibile, non è costruito. Mi sarei aspettata che quella che temeva in mano fosse una lettera di dimissioni dall’azienda dell’odiato suocero, oppure la comunicazione (inaspettata dal protagonista) di una richiesta di divorzio da parte della moglie. Ma addirittura l’assassinio! Certo in epoca di femminicidi se ne sentono di storie malate... ma dirittura pensare di uccidere il figlio!
    L’incipit è piuttosto lento e la storia tarda un po’ troppo a partire, ma successivamente sei davvero bravo a catturare l’attenzione del lettore e fargli vivere lo squallore di tutta la situazione. La parte centrale è la migliore di tutto il racconto. Scritta bene, scorrevole e piena di “vissuto”. Del finale ti ho già detto.
    Spero che quanto ti ho detto non ti faccia rimanere troppo male. Non è un fatto di scrittura. In effetti trovo che tu abbia una bella penna e sono felice del tuo ingresso nel forum. Avremo occasione di leggerci ancora🤗🌼🌼🌼


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    Penna d'oca

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    Grazie Petunia 😊
     
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    Penna stilografica

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    Dal punto di vista linguistico non ho trovato particolari refusi, mentre ho sofferto l'uso di un linguaggio molto ricercato, costruito, dove gli stessi concetti potevano essere espressi in modo più diretto. Questione di gusti, certo, ma fatico a farmi coinvolgere se devo troppo lavorare di testa e poco di cuore. Il ritmo, per questa ragione, mi è risultato un po' lento e sempre per la stessa ragione, in alcuni momenti ho faticato a seguire la trama.
    Ci sono poi dei punti in cui lo stile cambia, e anche questo mi ha creato un po' di confusione.
    La costruzione dei personaggi non mi è dispiaciuta, anzi, risaltano chiaramente angoscia, rabbia, umanità, anche se la scelta linguistica a me ostica non mi ha permesso di "entrare in empatia" con loro.
    La storia in sé regge, anche se il finale effettivamente appare un po' forzato... ma fino a un certo punto. Le cronache ci dicono che alla fin fine non c'è più da stupirsi di niente.
    Concludendo direi buona idea, costruzione di una bella storia e buona capacità di coinvolgere però un po' ostacolata da scelte linguistiche e stilistiche per me un po' ostiche.
     
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    Penna d'oca

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    Grazie dalpaca
     
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    Ho trovato molto buono l'inizio del racconto e l'idea di fondo: la busta che resta tra le mani del protagonista per tutto il racconto e incuriosisce il lettore fin dall'inizio. Anche il rapporto ormai esaurito tra moglie e marito è inizialmente ben delineato e linguisticamente efficace, ma si protrae troppo a lungo diluendo inutilmente la narrazione. Mi è piaciuto il finale efficacemente collegato all'excipit: l'idea di eliminare fisicamente moglie e figlio per risolvere i problemi esistenziali non è poi cosi irrealistica, forse non sono ben chiari i meccanismi mentali che hanno portato il personaggio a cambiare idea. Oltre al fatto che in casi analoghi non è poi cosi semplice tornare indietro dal proposito. Non è detto sia sufficiente fare a pezzi il biglietto per fermare il killer, come parecchia letteratura in proposito dimostra.
     
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    Penna d'oca

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    Dafne il protagonista non cambia idea. Lotta con un inaspettato senso di colpa dell'ultimo minuto e lo respinge. Elimina la busta perché è una prova da far sparire, poi torna in salotto e fa come se nulla fosse...
    Mi spiace non si sia compreso.
    Grazie per l'analisi!
     
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    Ah ecco, no scusa, sono io che ho male interpretato, così certamente è più logico.
     
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  9. Piccola artista
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    Complimenti, particolare e agghiacciante allo stesso punto...l'idea è originale ed il testo coinvolgente, mi ha particolarmente colpito la lettera che accompagna tutta la storia, lasciando "suspense", se così volessimo definirla.
    Il linguaggio è colto e ricco, il racconto in sé coinvolge.
     
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    Penna stilografica

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    Esprimere un flusso di coscienza è sempre molto difficile. Tu ci riesci "abbastanza" bene. Se mi permetti avresti dovuto però usare un linguaggio più semplici con frasi meno strutturate. Più dirette. Non si pensa con frasi lunghe. Ho trovato strana la conferma per lettera del killer ma a pensarci bene è l'unico metodo per non farsi intercettare. Un ottimo lavoro.
     
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    Penna suprema

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    Peccato che uno che scrive così bene, forse il migliore di noi, sia al servizio di compiti così ingrati, così difficili, così atroci.
    Mi piacerebbe vederti neonato in braccio a frasi d'amore, a scene futili, confortevoli, normali. Rassicuranti. Tutti gli scrittori doverebbero esserlo, rassicuranti.
    Sto scherzando, amico mio.
    Mi viene in mente Carver, del quale ho letto tutto, che in ogni suo cavolo di racconto, anche quello che sembra più sereno, deve impaurirti. Qualcuno ha scritto che Carver è un mago dell'orrore, e il suo di orrore supera tutti, anche quello di scrittori specializzati. Perché non ti fa capire, se davvero accade ogni cosa. C'è sempre quel magico taglio prima della fine. E resti imbambolato a pensare. Come resto imbambolato con te, che non sei Carver. Quante sere ho passato con un suo libro tra le mani dimenticandomi di ogni problema, affascinato da quell'orrore spezzato.
    Gli devo molto, e ora devo molto a te.
     
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    Penna suprema

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    Ciao, Luca.
    Ho letto il tuo racconto e l’ho trovato un po’ troppo “costruito”, con passaggi forzati che spingono il tuo lettore a stare sul chi vive per capire dove lo stai portando. Io sono un’anima candida, soggetta agli scherzi di amici, fratelli e compagno, quindi non faccio testo, però non avevo capito la faccenda del killer se non dopo aver letto i commenti di chi mi ha preceduta. Sono anche una lettrice accanita e, in qualità di tua futura “cliente”, ho un consiglio per te: dato che scrivi senza refusi e con proprietà di linguaggio, dovresti cimentarti con storie più semplici, alla portata di tutti i tuoi lettori. (Tanto per darti un’idea, hai buttato lì i nomi dei tuoi protagonisti e io sono tornata indietro più volte per essere ben sicura di chi si stava parlando).
    Comunque si sente che sei abituato a tenere la penna in mano: qui troverai pane per i tuoi denti e un mare di amici. Un abbraccione, Luca. Al prossimo incrocio.
     
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    Penna furiosa

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    Ciao Lucabii,
    il protagonista che ingaggia un killer per far fuori la famigliola la trovo un'idea semplicemente geniale.

    Vero è che tutto il racconto si basa però sulle elucubrazioni mentali del protagonista, sui suoi sensi di colpa dell'ultimo minuto: paradossalmente questo toglie qualcosa al racconto.
    Sì, perchè alla fine non dai nessun indizio su moglie e figlio: io, lettrice, non li conosco, non provo empatia per loro, non mi ci affeziono, e di conseguenza (brutto a dirsi…) per me non cambia molto se i due muoiono o meno…
    I pensieri sparsi di Fausto, i suoi vaneggiamenti e le sue pallide considerazioni, prendono gran parte della storia (anzi, tutto è basato su questo) infarciscono troppo la torta, tanto da renderla quasi stucchevole e alla fine io non so a cosa sia dovuto tutto questo odio feroce.
    Soprattutto per quanto riguarda il bambino: decidere di ucciderlo è una scelta narrativa impegnativa, che va preparata bene per essere accolta e "digerita". Ma di lui non si sa niente di niente, solo che assomiglia sempre di più al nonno. E questo mi deve bastare.

    Senz'altro la scelta di focalizzare l'attenzione su Fausto è interessante e ti permette di giocare sui tipi di paranoie che intasano l'anima di quest'uomo: forse alla fine non ci sono perchè per giustificare i gesti di una persona fuori di testa.
    Ho un pò faticato a entrare nel vivo della storia, in quanto ho percepito una sorta di pesantezza nella prima parte che ha avuto su di me un effetto un pò "respingente": tante (troppe) parole per descrivere lo stato d'animo confuso di quest'uomo.
    Quando allenti un pò la vena introspettiva il racconto diventa più fruibile e alcuni passaggi sono veramente gustosi, ti porto questa frase come esempio: "Come la più rognosa delle zanzare, il dubbio non smise di ronzargli nelle orecchie per tutto il pomeriggio. Non c’era modo di farlo secco. Più ci provava e più il ronzio si faceva acuto. Insopportabile." A mio parere quando diventi più secco e netto raggiungi meglio il cuore del lettore.

    Un buon racconto e una buona penna: anche tu (come me!) appartieni alla schiera degli "scultori": abbiamo bisogno di "togliere" per dare alla luce la nostra opera!
     
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    Penna furiosa

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    Di questo racconto mi è piaciuto il modo in cui le informazioni vengono date al lettore un po’ alla volta, centellinate e insieme progressive, creando l’effetto di una costruzione che cresce un gradino sull’altro, oppure di un quadro che si dipinge pennellata dopo pennellata, svelandosi nella sua completezza solo alla fine. Si crea un ben congegnato senso d’attesa.
    Confesso che non mi sarei aspettata un finale tanto drammatico e crudele: vedere come unica via d’uscita alla situazione uccidere moglie e figlio, l’ho percepito un po’ come un eccesso tragico. È comunque una bella impennata conclusiva che spiazza il lettore. L’excipit risulta molto bene integrato nel racconto.
    La forma è completamente corretta, l’ho trovata però un po’ faticosa alla lettura, che richiede una certa vigile attenzione.
    Secondo me, tu hai delle buone capacità: hai creato un testo solidamente costruito. Forse in effetti anche troppo, nel senso che a volte si cerca nella lettura un po’ più di fluidità.
    Resta però il fatto che la tua scrittura mi sembra già molto matura.
    Hai fatto un buon lavoro.
    P.S.
    Se a qualcuno interessa, grazie alle letture dei miei pargoli ho scoperto che nel deep web si trova tutto il male che si desidera, compresa la possibilità di commissionare tranquillamente omicidi così come si ordina un pacco su amazon.
     
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    Teropode assennato

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    Un racconto spiazzante: mai si sarebbe detto, dall'incipit, che stavamo andando nella direzione torbidissima del finale.
    Epperò il finale, anche se ti fa spalancare gli occhi, non mi pare troppo fuori dal mondo, anzi. L'idea che Fausto stia lentamente scivolando verso una sorta di sragionevolezza permea tutto il racconto e quindi mi fa pensare che il gesto, per quanto estremo e forse tutt'altro che risolutore dei problemi del protagonista, abbia per lui comunque un senso logico.
    Forse era meglio pagare il sicario per far fuori il suocero? :P

    A parte questo, stile ottimo, solo di tanto in tanto troppo ricercato; non sono un amante del narratore onniscente, questo è forse l'unico limite pratico di questa scelta di scrittura.
    Per il resto, un buon lavoro.
     
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31 replies since 11/11/2019, 12:52   531 views
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