E vissero per sempre felici e contenti

aut. Caipiroska

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    Dio della penna

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    Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.
    Rimase ancora un attimo a fissare quella frase, che con il tempo era diventata un po' il motto della sua vita, anche se presto non poté più farlo, perché le parole iniziarono a vacillare.
    Lacrime, ancora lacrime.
    Le sentiva ammiccare dalle ciglia, scivolare silenziose sulla guancia, seguire le rughe profonde per scendere giù, a morire sulle labbra, lasciando quel sapore incerto, salato.
    Come il salmastro del mare.
    Chiuse il libro e lo appoggiò sul tavolo.
    Un sospiro si fece largo tra le sue labbra e fuggì via; il vecchio lo inseguì come s’insegue un sogno.
    Victor sopportava con difficoltà i momenti in cui non poteva contenere la malinconia, e la tristezza diventava un’onda nera che avvolgeva anima e cuore.
    Non avrebbe dovuto preoccuparsi più per niente, nemmeno per lei, eppure gli faceva una gran pena.
    Per sempre felici e contenti… Tra le lacrime sorrise.
    Aveva letto la storia di sua madre mille volte e ancora adesso rimaneva un mistero come avesse potuto renderlo così felice: o forse era tutto semplice per chi vive con il solo compito di rendere felice gli uomini che ama.
    Con un gesto della mano azionò i comandi della sedia a rotelle, spostandosi dalla vetrata per voltare le spalle al mare che furioso e immenso sbatteva con impeto sulla scogliera sottostante.
    Lui lo aveva sempre odiato, il mare. Sentiva che aveva un debito con lui, troppo grosso da saldare.
    Il mare è troppo orgoglioso, non si può capire.
    No, non si può.
    Pensieri, solo pensieri: li sentiva volteggiare intorno alla testa come rapaci intorno alla preda, ansiosi di scovare qualche crepa nella barriera che aveva issato contro il passato, per tuffarsi voraci a banchettare.
    Sciò, via, maledetti… Lasciatemi in pace…
    Il rumore della chiave nel portone riuscì a distrarlo dalle sue riflessioni. Fece un profondo respiro cercando di darsi il tono di un normale vecchietto annoiato, ma mentre i passi svelti risalivano il corridoio, sentì ancora qualcosa agitarsi dentro. Chiuse gli occhi e si concentrò su quella camminata: era incredibile come riuscisse a indovinarne l’umore da l’eco della falcata. Incedere svelto, deciso. Passi che rimbombavano sul parquet, rumore di tacchi larghi, forse un paio di stivali. Forse quelli nuovi che si era comprata la settimana prima. Gli piaceva e al tempo stesso lo inquietava quel rumore: era il modo che aveva di annunciarsi, di introdursi nella sua giornata. L’eco si spense appena fuori della porta della stanza. Un attimo d’esitazione, giusto il tempo per confezionargli un sorriso. Dai passi aveva intuito che era nervosa.
    La porta si aprì, e lei fece capolino con la testa: gli splendidi capelli rossi brillarono come una fiammata, mentre sul viso giovane e liscio si apriva il sorriso più dolce del mondo.
    “Ciao” disse lui.
    Lei alzò la mano per salutarlo. Entrò chiudendo la porta alle spalle e si avvicinò alla sedia a rotelle curvandosi per abbracciarlo e lo strinse forte, fortissimo. Aveva gli stivali nuovi.
    “Basta, dai… Mi fai male!” disse sorridendo, perché in realtà non avrebbe mai potuto fargli del male.
    La ragazza lo guardò negli occhi, scrutando ogni piega delle rughe, cercando qualcosa nelle ombre di quel viso scarno. Victor notò la sua ansia nella fronte increspata da rughe di preoccupazione e uno strano senso di colpa serpeggiò in lui. Abbassò lo sguardo, ma lei con delicatezza tirò su il vecchio mento con la mano bianca in modo che la guardasse e segnò.
    “Sì, sì, certo che ho dormito bene!”
    Sopracciglio alzato.
    “Non ti posso nascondere niente, vero?”
    Lei inclinò un po' la testa di lato come per inquadrarlo meglio, mentre un velo di tristezza calava sullo splendido viso, senza offuscare la magia dello sguardo. Poi le mani iniziarono a muoversi veloci.
    “Sì, me l’hai già detto ieri, lo so. Adesso smettila di preoccupati, va bene?”
    Lei annuì, cercando di sorridere. Si voltò e andò a prendere la busta di plastica che aveva lasciato vicino alla porta, la mise sul tavolo e iniziò a disporre il contenuto sul piano sgombro del tavolo, riempiendolo velocemente. Confezioni di siringhe, scatole di medicinali, un pacco di pannoloni da adulti. Il vecchio intuiva la sua schiena sotto il maglione beige, vedeva la massa ribelle dei capelli ondeggiare di qua e di là, sentiva la rabbia che aveva dentro da come sbatteva gli oggetti sul tavolo. E notò la meticolosa perfetta inutilità con la quale ripiegò il sacchetto di plastica vuoto prima di chiuderlo nel cassetto. Cosa che fece con un colpo secco. E rumoroso. Poi vide l’impercettibile sobbalzo delle spalle e a quel punto fu sicuro che stesse piangendo. Spinse la sedia a rotelle nella sua direzione e le appoggiò una mano sulla schiena facendola sobbalzare. E quando si voltò Victor si rese conto di stare osservando una madonna torturata.
    “Smettila, ti prego” e le prese le mani, forte.
    La ragazza si arrese, e fu strano vederla scuotere la testa in un segno di negazione mentre cercava di segnare ancora qualcosa. Poi, all’improvviso, come se si fosse svuotata di qualcosa all’istante, si lasciò cadere ai suoi piedi inginocchiandosi sul pavimento e cingendo forte le sue gambe.
    “Mamma, ti prego…” ma lei scosse la testa con furia iniziando a piangere nel suo strano pianto silenzioso, senza nemmeno un sospiro, senza il minimo accenno al più piccolo rumore. Niente. Niente di niente.
    Un bagliore improvviso entrò nella stanza: un raggio di sole aveva trovato la forza di forare il cielo gonfio di nuvole nere e regalò l’ultimo guizzo di luce prima di essere risucchiato nel buio di quel tramonto invernale. Un attimo appena che bastò a incendiarle i capelli di riverberi rossastri che si spensero subito dopo, appena quel raggio improvviso lasciò definitivamente la stanza.
    “Come sei bella!” sussurrò Victor passando la mano scheletrica tra i capelli scompigliati. Erano morbidi, lunghi e ribelli e gli piacque la sensazione che provò a quel tocco. Lo fece stare bene.
    Quella chioma esagerata era il luogo segreto dove trovava conforto e consolazione, da sempre. Era l’ultima cosa che toccava quando era bambino, addormentandosi con le ciocche ancora annodate tra le dita; era la visione terribile di quando si arrabbiava, lingue di fuoco furiose che si agitavano intorno alla testa; erano il particolare che la rendeva unica tra mille teste nella folla. E adesso, nel poco tempo che ancora gli rimaneva da vivere, erano l’unica cosa che gli potesse dare un minimo sollievo. Insieme a lei, naturalmente.
    Ariel alzò gli occhi sul viso provato del vecchio: ne spiò il colorito spento, le macchie, le increspature cupe e profonde e nella sua mente si accavallarono pensieri di una tristezza infinita. Quelli erano gli ultimi momenti di Victor, lo sapeva.
    Scosse la testa piano e rimase ai suoi piedi, come uno straccio ormai inutile gettato a terra.
    Rimasero in quella posizione fino a che le ombre della notte non li avvolsero nell’oscurità: occhi blu e spalancati in occhi senza più colore, entrambi impreparati ad affrontare quel momento così grande.
    “Adesso vai via, mamma.”
    Gli occhi blu e immensi si sgranarono. La chioma rossastra si mosse di qua e di là.
    “Ariel, ti prego, Ne abbiamo già parlato.”
    Lei si alzò piano, tirando su con il naso. Una mano ancora intrecciata a quella del figlio, mentre l’altra svolazzò in aria stanca, come una farfalla morente.
    “Non è colpa tua, lo sai.”
    Lei disegnò nell’aria il segno più bello, il più importante.
    “Anch’io ti amo e ti amerò per sempre, mamma.”
    La ragazza sussultò e fece il gesto di gettarsi ancora su di lui, ma si trattenne.
    E veloce come un battito di ciglia si voltò e uscì.
    “Addio, principessa” sussurrò Victor al legno lucido della porta.
    Si avvicinò alla finestra e la vide esitare un attimo di fronte alla portiera, entrare in macchina e andarsene via, senza mai voltarsi indietro.
    Il vecchio deglutì e lasciò un lungo sospiro scappare via, mentre il corpo svuotato si abbandonava allo schienale della sedia.
    Era andata via. Non sarebbe più tornata.
    La sua parte nella favola infinita di Ariel finiva lì. Lei avrebbe per sempre avuto sedici anni, e per sempre sarebbe stata condannata ad amare gli uomini, amanti o figli. Nella sua natura appassionata avrebbe fatto qualsiasi cosa per loro, brillando in eterno, mentre intorno a lei i grandi amori della sua vita avrebbero ceduto alla morte, diventando ombre.
    Fuori la luna aveva trovato uno spiraglio e brillava tra le nubi. Il mare, un po' più calmo, mandava le onde a infrangersi senza pietà sulla costa, regalando alla notte spruzzi argentati che ammiccavano nel buio come i sorrisi di mille sirene.
    “Che vita fantastica…” sussurrò Victor e chiuse gli occhi.
    Il respiro divenne più lento, mentre il petto si alzava appena a ogni respiro.
    Stava scivolando via, eppure si sentiva felice, senza sapere il perché.
    Oppure il motivo era semplicemente lei.
    Sarebbe andato via, ma era convinto che Ariel se la sarebbe cavata alla grande. Avrebbe trovato un nuovo uomo da amare, un nuovo figlio da crescere con tutto l’amore del mondo.
    E nel loro limitato per sempre quegli sconosciuti sarebbero stati felici.
    Lei: e vide i suoi capelli e il suo sorriso.
    Lei: e tutto si tinse di una nuvola rosa.
    Lei: e il modo tutto strano che aveva di essere ironica.
    “Pensa se tu fossi stato il figlio di Belle!” gli aveva segnato un giorno, e poi risero fino a piangere.
    Le labbra si piegarono nell’ultimo sorriso.
    Forse non era così che dovevano andare le cose. Ma così stavano.
    "Nel complesso", rifletté, "sarebbero potute andare decisamente peggio".
     
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    Scrittura scorrevole e pulita con qualche ripetizione di troppo:
    "Poi vide l’impercettibile sobbalzo delle spalle e ....... una mano sulla schiena facendola sobbalzare.": Due sobbalzi in due frasi consecutive.
    Questo è quello che ho notato di negativo.
    Un'altra frase che sul momento mi ha lasciato spiazzata è questa:
    "Abbassò lo sguardo, ma lei con delicatezza tirò su il vecchio mento con la mano bianca in modo che la guardasse e segnò."
    Segnò? L'ho riletta un paio di volte e sono anche tornata indietro cercando di capire... e dato che sono lenta, solo dopo ho compreso che lei era muta.
    Comunque è una favola bellissima con descrizioni particolareggiate che trascinano il lettore e lo avvincono costringendolo a proseguire la lettura.
    La storia è davvero originale e per farla funzionare senza tediosi spiegoni inutili ti è bastato un nome 'Ariel'.
    La ritengo una prova strepitosa.
     
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    La vecchiaia, con tutta la sua tenera regressione infantile, viene inquadrata in questo racconto. Un epilogo agrodolce, triste per la confusione che si verifica nella mente di Victor, eppure dolce per l' umanità che racconto.

    Un momento che lasciamo ad un futuro a cui non vogliamo pensare, ma che qui ci viene proposto in maniera nitida, senza veliche non siano quelli che la senilità stessa induce in Victor.

    Una prova riuscita
     
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    Narrato in modo perfetto, tra sogno e fantasia. Un interagire silenzioso tra un vecchio prossimo al ritiro e un’Ariel che assume il ruolo che più piace a lui. Il finale rimuove lo spleen che aleggia per tutto il racconto. Mi è piaciuto molto. Brava/o
     
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    Penna furiosa

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    Ciao Caipi,

    mi trovo in difficoltà a commentare questo pezzo, sono sincero. È scritto davvero bene, come al solito, ha delle belle descrizioni, ma non mi è arrivato.
    La cosa è strana e mi ha sorpreso molto, perché sei da sempre tra i miei favoriti di Sps e ciò che scrivi mi piace sempre da matti. Apprezzo sempre le atmosfere che riesci a creare, quel senso di inevitabile, quel brivido che regali al lettore.
    Questo tuo pezzo però non mi ha dato un brivido, non mi ha dato uno scossone, mi ha lasciato troppo tranquillo.
    Non so, se mi passi il termine è tutto troppo contemplativo, oppure mi manca una chiave di lettura. Eppure me lo sono ripassato attentamente una decina di volte.
    Al vaglio delle mie ipotesi Victor prima è stato un vecchio, poi un ragazzo affetto dalla malattia rara che fa invecchiare precocemente, poi è ritornato a essere un vecchio sul viale del tramonto. Ariel invece è passata dallo stato di amante a quello di madre, poi figlia, nipote e per un breve lasso di tempo badante/infermiera/amante.
    Sicuramente c'è qualcosa che mi sfugge, qualche tessera che devo ancora inquadrare bene per avere una visione ottimale del mosaico. Mi ripeto, come forma è ineccepibile, sul contenuto ho bisogno di ritornarci ancora su.
     
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    Ammetto che ho fatto un po' fatica a comprendere il racconto e l'ho dovuto rileggere un paio di volte, sia per capire che Ariel è muta, sia per capire cosa Victor sia effettivamente stato per lei.
    Una volta rimessi insieme i pezzi (Ariel, capelli rossi, sedici anni, Belle), posso dire che è una storia geniale e brillante.
    Penso di non averla compresa al primo colpo perché il mio sforzo di intuire il legame tra Victor e Ariel e il motivo per cui solo Victor parlasse mi ha distolta dalla lettura vera e propria.
    Ottimo stile e assolutamente nessuna osservazione da fare.
    Una bella prova!
     
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    Ottima scrittura, anche se un po' ridondante per i miei gusti, e grande capacità di creare atmosfera. La storia ha una sua "logica" nel genere fantastico, che però trovo un po' schematica e poco originale, ma forse questo deriva dalla mia scarsa capacità di apprezzare la narrativa fantastica in generale. Un dettaglio marginale, ma che secondo me è incoerente per l'atmosfera che hai creato, è l' ironia di Ariel: “Pensa se tu fossi stato il figlio di Belle!” La protagonista di una fiaba che fa riferimento ad un'altra fiaba secondo me indebolisce il patto narrativo tra lettore e autore: mi fai entrare nella tua storia consapevole che è una favola inventata, tanto che la metti a confronto con un'altra favola... interrompi l'atmosfera magica che mi avevi convinto ad accettare per reale nella finzione letteraria.
    In ogni caso una buona prova.
     
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    CITAZIONE (Byron.RN @ 30/11/2020, 13:14) 
    Ciao Caipi,

    mi trovo in difficoltà a commentare questo pezzo, sono sincero. È scritto davvero bene, come al solito, ha delle belle descrizioni, ma non mi è arrivato.
    La cosa è strana e mi ha sorpreso molto, perché sei da sempre tra i miei favoriti di Sps e ciò che scrivi mi piace sempre da matti. Apprezzo sempre le atmosfere che riesci a creare, quel senso di inevitabile, quel brivido che regali al lettore.
    Questo tuo pezzo però non mi ha dato un brivido, non mi ha dato uno scossone, mi ha lasciato troppo tranquillo.
    Non so, se mi passi il termine è tutto troppo contemplativo, oppure mi manca una chiave di lettura. Eppure me lo sono ripassato attentamente una decina di volte.
    Al vaglio delle mie ipotesi Victor prima è stato un vecchio, poi un ragazzo affetto dalla malattia rara che fa invecchiare precocemente, poi è ritornato a essere un vecchio sul viale del tramonto. Ariel invece è passata dallo stato di amante a quello di madre, poi figlia, nipote e per un breve lasso di tempo badante/infermiera/amante.
    Sicuramente c'è qualcosa che mi sfugge, qualche tessera che devo ancora inquadrare bene per avere una visione ottimale del mosaico. Mi ripeto, come forma è ineccepibile, sul contenuto ho bisogno di ritornarci ancora su.

    Ciao Byron.
    Ariel è la sirenetta dai capelli rossi (dalla omonima favola) che è diventata donna per amore di un uomo e Victor ne è il figlio. Lei è immortale mentre i suoi mariti/figli, no.
     
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    Penna furiosa

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    Ciao Stefia,

    grazie dell'imbeccata. So chi è la sirenetta ma la storia non la conosco del dettaglio... per la verità so solo che rinuncia a essere una sirena per amore di un uomo, tutto qua. Ora è tutto più chiaro. Grazie.
     
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    Regina di cuori

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    Scrittura decisamente interessante per i vari passaggi che ho ben compreso solo dopo averlo riletto.
    Una favola riproposta evidenziando i ruoli importanti che una donna può ricoprire per affrontare le mille prove della vita,
    il linguaggio dei segni ha dato quel tocco che mi ha colpito, pochi ne parlano e l'ho particolarmente apprezzato, complimenti!
     
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    Penna suprema

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    Menomale che ho atteso gli altri commenti, avrei scritto una baggianata.
    L'altro giorno ho visto in tv un film di Verdone che mi mancava: Al lupo al lupo.
    Splendidi gli attori protagonisti e splendido il finale. I tre sono alla ricerca del loro padre,
    un artista egocentrico e bizzoso. Lo trovano e senza scambiare grandi parole lui prende una cartellina da disegno e un gesso nero.
    I tre, contenti di essere finalmente considerati dall'anziano genitore artista, si mettono in posa.
    Carlo a sinistra, Francesca al centro, Sergio a destra.
    Il vecchio li osserva e disegna velocemente.
    Loro cercano di trovare un'espressione importante. Una postura importante.
    Finisce il film e appare il disegno.
    Un bimbo moro e paffuto a sinistra, una bimba bionda al centro, un altro bimbo a destra.
    Somiglianti ai tre.
    Perché ti racconto questo, autrice?
    Perché mi sono dovuto nascondere in un altra stanza con una scusa.
    Non mi andava di singhiozzare davanti a mia moglie.
    La stessa commozione me l'ha data il tuo racconto.
    Sì ho dovuto aspettare le spiegazioni di Byron.
    Ma secondo me, gli occhi si sarebbero lucidati lo stesso.
     
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    Penna furiosa

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    Ciao a tutti e grazie del graditissimo passaggio!
    Sapevo di osare un pò troppo con questo brano, ma va bè...
    Sì, questo è il mio personalissimo seguito della favola della Sirenetta (sorvolo sul fatto che nel testo originale si trasforma in schiuma di mare...).
    In generale mi ha sempre incuriosito la clausola del "felici per sempre" a chiusura delle favole: per sempre sì, ma fino a quando? E i loro congiunti?
    Per scrivere questa storia più che al genere fantastico mi sono ispirata al realismo magico (cito Wikipedia:... in questa corrente letteraria si rimane affascinati e un pò sorpresi perchè le tematiche sovrannaturali sono esposte con innocente sincerità, come se gli eventi fossero tranquillamente classificati nella norma).
    Quindi mi sono immaginata questa Sirenetta giovane e muta che per sempre sorvolerà i secoli, con l'unico scopo di amare. Il risultato? Sarà quello di veder invecchiare e morire i suoi figli.
    Sono un pò contorta...
    Rispondo a Dafne: il finale mi ha obbligato a fare un triplo avvitamento carpiato all'indietro in apnea per rientrare in uno degli exicipit! Il risultato è quella manciata d'ironia finale che di solito non mi appartiene... Però, dando per scontato che stiamo parlando di personaggi delle favole, mi sono permessa la battuta su Belle: sì, forse a Victor poteva andar peggio perchè è risaputo che a Belle piacciono le... Bestie.
    Quindi Victor è il figlio di Ariel: chissà quanti ne ha avuti e quanti ne avrà!

    Mi scuso se a molti la lettura ha aggrovigliato il cervello: pensavo bastasse inserire il nome Ariel per dare una chiave di lettura al testo, anche se in effetti rimane un pò criptico. Colpa mia, sorry!
    Il fatto che sia arrivato a Stefia però mi rincuora!
     
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    Una bella genialata! La rivelazione definitiva la offri con “Pensa se tu fossi stato il figlio di Belle!”. Racconto singolare, circolare, Ariel, Highlander versione femminile, muta, bellissima, tristissima interprete di mille vite e quel “e vissero felici e contenti” assume i toni più scuri che mai ci si possa aspettare da una favola. Ci sono il tuo marchio, il tuo stile e la tua indiscutibile bravura di scrittrice esperta. Sorprendente.
     
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    Diventi sempre più brava, Caipi, altroché.
    Un'idea originale esposta con una grande cura dell'atmosfera, un racconto che ha un lieto fine senza un lieto fine e viceversa, dove tu hai messo parecchio impegno e lo chiedi al lettore, dal momento che almeno una rilettura (io ho riletto dall'inizio una volta arrivato e Belle) è necessaria per metabolizzare tutto.
    All'inizio scrivi a un certo punto "e segnò" e suona male (io avevo pensato a un metaforico goal), potresti sicuramente sistemarla.
    I segnali per la chiave di lettura ci sono, non sono scontati ma titolo/linguaggio dei segni/Ariel/Belle = fiaba, non si può andare lontano.
    Una prova eccellente.
     
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    Quasi una fiaba,accattivante, che fa sognare.
    Tenero il vecchio nella parte finale della sua vita che piange e ancora si fa coccolare falla tenera madre. Straordinaria la figura di Ariel eternamente giovane per troppo amore, instancabile e attenta resta accanto al figlio che la vita sta portando via.
    Intensi i personaggi, magica la storia benbinserita tra incipit ed excipit. Ottimo lavoro, complimenti.
     
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