Scrittori per sempre

Votes taken by allerim 4

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    Grazie a tutti per le letture, i commenti e i voti Complimenti ad Akimizu e a Fante che questa volta non ho votato,ma altre volte sì.
    Infine un bravissimi a tutti i partecipanti.
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    Paradossalmente il pregio del testo ne costituisce il limite. L’incubo è reso bene nell’incapacità di muoversi: ”Non riesco a scappare da lui perché le gambe si rifiutano”.

    Il tratto è realistico e rappresenta la condizione della protagonista; il suo dramma è l’incapacità di agire, il volere e disvolere che blocca l’azione e caratterizza una personalità immatura.
    La protagonista non è una ragazzina, ma non è cresciuta perché le è mancato il sesso. Cioè, le è mancata quell’esperienza che permette una conoscenza completa di sé. Per questo non sa cosa fare, non sa nemmeno lei cosa vuole.

    Tecnicamente il genere è azzeccato - niente da dire - ma l’incazzatura, la rabbia vera non c’è e non può esserci, perché la protagonista non può “muoversi”. Vede le sbarre della gabbia che altri le hanno costruito intorno, ma vi rimane dentro.
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    Un’incazzatura paranormale e chi si incazza? Dovrebbe Graziano, ma chi è, uno spirito? Tanti dettagli sui gemelli, ma su questo personaggio, niente.
    Mi spiace, preferisco la rabbia “normale” autentica e spontanea.
    Per me, una lettura pesantissima che non mi lascia niente.
    Un esercizio di stile, forse, ma è uno stile che non apprezzo, colmo di divagazioni che distraggono e descrizioni che personalmente trovo talora senza senso.
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    Uno dei racconti che mi è piaciuto di più. Trama articolata, bella ambientazione, personaggi caratterizzati. Il tema dello step è rispettato. (Un bel crescendo di rabbia)
    Non ho trovato strano che Carlos, dopo aver sparato, non si sia allontanato di corsa sulla moto, mi sembra naturale perché è stravolto dopo aver riconosciuto Betty. Nemmeno mi sembra strano che non la riconosca subito: la consegna è di sparare subito e lui lo fa.
    ““Sei stato tu a chiamare la polizia. Hai scoperto che tua moglie ti tradiva con me e hai fatto in modo che fossi io a ucciderla e poi venissi scoperto. Così ti sei doppiamente vendicato con lei e con me”.
    Questo spiega il tempismo della polizia.
    Ma il vero colpo di scena, secondo me, non è nella doppia vendetta – già preannunciata , d’altra parte - dell’uomo dalle scarpe rosse, ma nella rabbia che si ritorce contro Carlos stesso: “Sentiva che stava già tornando l’incazzatura verso l’uomo, verso di sé, verso la sorte, verso tutti. Non la voleva, non la voleva più quell’incazzatura ossessiva e velenosa. Cercava solo il freddo ora, la bellezza del freddo. Liberatorio, totale, definitivo.”
    E Carlos “non abbassò la pistola”
    Questo non si poteva intuire.
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    PREFERITI da allerim

    Diventare Nora ***** Per la caratterizzazione dei protagonisti e loro traformazione in seguito all’esperienza che, grazie all’amore, acquisiscono di se stessi.
    Il re di pietra **** Perché è una bella storia italiana
    Margherita *** Per la trama rosa e la capacità di coniugare levità di scrittura e profondità di contenuti
    La velocità della neve ** Per l’atmosfera ricca di suggestione
    Soldatino e Principessa * Per la gustosa parodia del genere rosa

    Questo step mi lascia insoddisfatta. I racconti – compreso il mio - mi sembrano sottotono rispetto a quelli precedenti.
    Non è colpa del genere né degli autori, ma - come ha scritto Barthes in un lontano saggio – “ Il discorso amoroso è un discorso di estrema solitudine”. Difficile da comunicare, rimane il luogo di un’affermazione: sì all’amore, sempre e comunque.
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    Caro autore, perdonami, ma - a mio parere - il distopico col rosa non ci azzecca proprio e non mi aspettavo di trovare un racconto così in questo step. Ben scritto fino all’occhio nel ciondolo, ma poi hai esagerato. Mi sembra originale come certe ricette che mi fanno storcere il naso. Gli ingredienti vanno mescolati con cura e gusto: ti piace la trippa con la marmellata nell’insalata russa? A me no. Poco male, alcuni ne vanno matti.
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    L’atmosfera USA sembra creata da un autore americano. Gli anglomani apprezzeranno. Io no. Sono un’appassionata della nostra tradizione letteraria ed europea. Ovviamente si può ambientare il proprio testo in una città americana e ovunque si voglia, ma – secondo il mio discutibilissimo parere – un autore italiano dovrebbe farlo da italiano.
    La lunghissima introduzione mi è sembrata superflua (o almeno da snellire): un inutile compiacimento dell’autore. In effetti, il racconto horror comincia da qui: “Ed è stato allora che l’ho visto. Era chino su di lei. Su mia madre. E lei era muta, con gli occhi spalancati, la bocca aperta in un urlo che non arrivava mai. Le sue mani, le mani di quel mostro… beh, le sue mani erano dentro la sua testa.”
    Sembra che sia Milo a raccontare della sua infanzia, del signor Adler e di sua moglie, di sua madre, dell’ospedale, di Jenny e a dissertare con Adler su paura, solitudine e perdita della memoria , invece no.
    Infatti non può dal momento che non ricorda nulla. L’autore se ne accorge e ricorre all’ escamotage finale: “È stato il Signor Adler a raccontarmi questa storia. Ed è tutta qui, per filo e per segno. Come se fosse mia.” (ma il signor Adler come poteva conoscere certi particolari e certe sensazioni provate da Milo?)
    L’incongruenza - a mio avviso – rimane. Ho dovuto rileggere in più punti per capire la struttura del testo, perché confusa dall’ esposizione in prima persona dei tanti fatti raccontati. Non è sempre facile distinguere quanto del narrato appartiene a Milo e quanto ad Adler. Comunque un buon lavoro, in grado di conquistare il lettore, anche se non ha conquistato me.
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    Se il racconto è ambientato nella preistoria Saleen e Tsabo sono dinosauri sopravvissuti, ma allora Tsabo non può dire: “C’è stato un tempo”, sollevò la propria mano nera, “Nel quale portare questo colore significava emarginazione”. Perché qui allude al razzismo, e la storia deve ancora venire.
    Se la caverna-stazione è preistorica non ci possono essere monitor con batterie autoricaribili (per millenni?) nella preistoria non c’erano: una preistoria fantasy?
    I dinosauri si sono evoluti al punto di usare l’i-Paid, ma anche armi immaginarie come il folgoratore(lo slammer di Guerre stellari) e combattono con i cinocefali(figure mitologiche egizie) Insomma, non rileggerò più questo racconto. Confermo il mio primo commento: horror-fantasy
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    Qualcuno ha scritto che lo smarrimento della città è incarnato egregiamente dalla narratrice. A dire il vero, ho ricavato dalla lettura del testo l’impressione opposta.
    Nell’incipit donne e uomini appaiono come una folla anonima, sembrano fantasmi e come tali si dileguano. Dalla discussione tra la narratrice e la nuova amica, sembra che la folla sia divisa in due partiti: quelli che vogliono la ricostruzione della torre abbattuta e quelli che invece vogliono l’eliminazione anche dell’altra. Come se questo fosse l’unico problema di fronte a un dramma collettivo di portata immane.
    La narratrice sembra presa dalla sua tragedia personale, chiusa nella sua emotività, esclude chiunque altro (compreso il nuovo compagno) dal suo dolore. Questa la mia opinione. Per il resto, il racconto è scritto in forma corretta e tende a suscitare empatia per lo stato di choc in cui versa la protagonista/narratrice. Infine - altra pecca del racconto - l’alternativa ucronica, modifica ben poco la realtà storica.
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    Autore, forse mi sbaglio, ma ti penso donna.
    il tuo racconto mi è piaciuto tantissimo perché hai prospettato una realtà ucronica investendola della tua affettività in cui riscontro grande sensibilità ai valori della famiglia, della natura, della comunità urbana. Una città non è fatta solo di case, monumenti, piazze, ma anche delle persone che ci abitano, di piante che crescono nei giardini e lungo i viali. Per questo forse la frase dell’incipit “Poi hanno iniziato a tagliare gli alberi lungo il corso del Tevere” mi ha raggiunto come un colpo di motosega.
    Ho apprezzato il tuo modo di congegnare la trama, partendo da una storia individuale che rispecchia esperienze comuni, senza trascurare i dettagli ” Vicino a largo Trilussa, con un coltello, Gianni ha inciso le nostre iniziali sopra un tronco… A me fa male pensare che entrambi non ci siano più.”
    E a poco a poco, da casa di Tina e dal lungotevere a via della Vittoria a Via Giulia mi hai condotto in giro per una città che devi amare molto fino a Via dei Gracchi, dove “il negozio dei fili” dà luogo a una similitudine che diventa metafora di una condizione umana.
    “Chissà se in via dei Gracchi c’è ancora il negozio di fili, la merceria dove mia madre mi mandava a comprare il materiale per cucire.
    Adesso le nostre vite sono fili neri, si confondono sopra vestiti troppo scuri, sospesi in aria, senza una direzione, in assenza di punti da unire.”
    Il tuo racconto non è solo un itinerario urbano e affettivo tra inusitati percorsi, ma un’abile costruzione dell’ ucronia, ispirata certo al muro di Berlino, senza però cadere nel rischio di farne una sorta di copia. Attraverso una scrittura molto personale sei riuscita a evitarlo.
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    "Sopra l'ingannator casca l'inganno!" Molto carino.
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    Hai fatto bene a presentarcelo; per noi tutti è motivo di gioia. Complimenti vivissimi!
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    M'accorgo adesso che ieri era il tuo compleanno, ma visto che Caipi ha aperto la lista degli "auguri del giorno dopo", mi associo: aauguri Dafne!
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    A tutti i compagni di penna auguro 365 giorni di serenità e di gioia. Buon anno!
109 replies since 5/7/2013
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