Scrittori per sempre

Posts written by caipiroska

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    Bellissimo present!!!
    Complimenti ai vincitori!!!
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    Ciao Molli,
    ma che bella idea riabilitare Ratzinger e, se possibile, renderlo ancora più impenetrabile!
    Trovo che sia l'uomo adatto per il ruolo che hai deciso di fargli recitare e il suo carattere torvo e un pò fosco ben si adattano a questo papa che ha tanta fretta di passare alla storia.Un ucronia azzeccata e alla quale attorcigli la tua storia con una forte carica di passione
    Per l'esigenza di fornire informazioni, la maggior parte del testo viene occupata dai dialoghi. Scelta probabilmente forzata, ma che a mio avviso ti penalizza un pò: infatti non sei riuscito a introdurre le accurate descrizioni di luoghi, azioni e stati d'animo che avevi inserito nel Past e che avevano dato a tutta la storia delle belle pennellate di vivacità. La sensazione è che questo Present sia più concitato, dove ci sono meno momenti di riflessione.
    Un racconto che si basa sui dialoghi può essere molto insidioso: si rischia di farli diventare poco credibili, forzati e pesanti. Inoltre danno un ritmo veloce a tutto il testo con il rischio che invece non vengano immagazzinate tutte le informazioni che l'autore vuol dare.
    Tutti i personaggi impersonano gli stereotipi esatti delle figure che ci si immaginerebbe di trovare in una situazione simile (non c'è nemmeno una donna!), e questo toglie un pò d'originalità alla storia che sembra seguire una strada tracciata da altri prima di te.
    Forse in questo Present ti sono mancati i caratteri per infondere un pò d'umanità nei tuoi personaggi e renderli quindi più empatici con il lettore: credo che per un religioso mettersi sulle tracce del Santo Graal sia molto emozionante e tocchi vette di fede intensa. Qui risalta di più il lato "commerciale" della questione (il papa stesso lo vuole usare per far crescere il suo prestigio…).
    Un buon racconto, allacciato al suo Past e che rivela una buona struttura per l'intera trilogia.
    Forse però il racconto che più di tutti ha accusato il limite delle battute.


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    Ciao Achillu,
    mi piace il taglio che stai dando alla tua trilogia: una scrittura precisa, pulita, senza troppi fronzoli, al servizio della storia.
    I due capitoli sono ben intrecciati tra loro, il racconto si snoda in maniera elegante e diretta e sei riuscito solo con i dialoghi a far emergere l'anima dei due protagonisti: due figure convincenti e ben strutturate.
    A mio avviso però, la scelta "chirurgica" che hai fatto di lasciare solo l'essenziale, lascia una strana sensazione di "sospensione": avevi molte battute ancora a disposizione, ma il racconto non le sfrutta chiudendosi in un cerchio perfetto. Diciamo che avrei preferito un ovale, con dentro qualche espansione nelle emozioni, nella nuova direzione ucronica che prenderà la storia…
    In generale posso dire che il racconto è inattaccabile sotto molti punti di vista e le fragilità di Nicoletta sono descritte con partecipazione e rispetto.
    Uno stile strano e che colpisce piacevolmente: sei riuscito con un racconto preciso e ben calibrato a far emergere l'umanità dei personaggi.
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    Ciao Aki,
    hai scritto veramente un racconto magnifico!
    Niente, lo posso girare e rigirare come un calzino ma non trovo pecche ne punti deboli, solo la tua bravura intatta e inconfondibile che mi emoziona sempre.
    Però…
    Per me nel tuo racconto c'è un però grande come una casa: ho aspettato fino all'ultimo per vedere se gli altri commentatori potessero far luce sull'argomento, ma non è venuto a galla: dov'è l'ucronia? Dove cambia il presente?
    Senz'altro sono di coccio io e non l'ho trovata, e di questo mi scuso già, ma paragonando questo racconto con il precedente il confronto non regge: là hai proposto una delle Ucronie più eclatanti, qui non so, tutto sembra ordinario. Come fattore "insolito" c'è solo questo ragazzino che comanda le menti altrui…
    Non voglio essere fraintesa: il racconto è ottimo, probabilmente (dato che al momento ho deboli appigli a cui aggrapparmi) il collegamento con il past è solido ed è inserito alla perfezione nell'ottica della trilogia, ma a oggi non lo vedo come logica conseguenza del past.
    Posso dedurre che il ragazzino sia un discendente di Gesù (e qui prende vigore tutta l'ucronia), ma perchè non dirlo? Perchè non inserire una scena riconducibile al suo avo? (resurrezione di un morto, moltiplicazione del cibo… cosette così…). So che non ti piacciono gli infodump, ma tra il troppo e il niente avresti senz'altro trovato una via di mezzo molto convincente.
    Il fatto è che mi piace come scrivi e la descrizione della scena dove si manifesta un discendente di Gesù me la sarei gustata davvero volentieri! (era un pò quello che mi aspettavo, sinceramente…).
    Però sono solo una voce fuori dal coro, quindi va bene così.
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    Ciao Petunia,
    trovo che hai avuto davvero una buona idea con questi libri!
    Libri profetici che scandiscono e seguono le tue storie come lunghe ombre: bello e inquietante!
    E' stata anche una piacevole sorpresa scoprire come sono legati insieme il past e il present: una soluzione che mostra come tu abbia le idee ben chiare su cosa vuoi scrivere e sulla trama della tua trilogia in generale.
    Il racconto si legge con molta facilità perchè è scorrevole e ben definito. Perde un pò in "frizzantezza" rispetto al primo, ma il testo non ne viene scalfito più di tanto rimanendo ben saldo nel suo progetto d'insieme. Ti segnalo solo il passaggio troppo repentino dello sbarco a Cuba: sorvoli sul lungo viaggio e questo ci sta, ma avrei inserito uno stacco per far capire meglio la distanza temporale tra il lungo viaggio e l'arrivo.
    A differenza del past, in questo racconto però percepisco la mancanza di veri e propri perchè. Risulta un pò fumosa la scelta di abbandonare Wellington, come sembra poco giustificato l'omicidio: fino a quel momento avevamo una Ros malinconica e nostalgica e scoprire che cela dentro di se un'assassina spiazza un pò, anche perchè fino a quel momento non aveva dato segni di essere violenta, anzi, la cura e la delicatezza che usi nei suoi confronti nel commiato dal padre mi avevano fatto immaginare una figura diversa.
    La protagonista rimane quindi un personaggio un pò irrisolto: paragonando Kate a Ros, si percepisce come la seconda sia meno caratterizzata, o meglio, meno motivata a fare quello che fa. La prima lotta con tutta se stessa per la sopravvivenza sua e del bambino, la seconda invece "abbandona" il padre e sembra ficcarsi intenzionalmente in un enorme pasticcio. Non ho ben capito questa scelta: prima era prigioniera a Wellington, mentre adesso che cos'è? Forse per far capire meglio la sua scelta andava tratteggiata con più incisività l'orribile vita condotta da reclusa.
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    Speriamo passi presto questa assurda situazione…
    Forza Tom!!!
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    Ciao Asbottino,
    questo racconto ha qualcosa di magico, sappilo!
    Un testo scorrevole, corretto e che non si arena mai, che invita il lettore a leggere ancora e poi ancora.
    Sei riuscito a introdurre un'ucronia fine, del tutto inaspettata, dolce ma che allo stesso tempo ti tira un pugno allo stomaco.
    Nel primo step non avevo capito (e nemmeno intuito) dove saresti andato a parare, invece noto che c'è un progetto ben solido dietro il tuo lavoro: una storia convincente, curata e descritta con ammirevole cura, nella quale cambi tutto e senza la minima pietà per nessuno ci proponi questo mondo alternativo, ferito, che zoppica a fatica da qualche parte.
    Focalizzi la narrazione solo sui due protagonisti, ma dai loro discorsi trapela lo stesso lo squallore del mondo che li circonda e rendi bene il quadro della situazione al lettore: un mondo senza cinema che racchiude tutta la frustrazione della fantasia imbrigliata di Steve.
    Un'idea difficile perchè far arrivare al lettore tutte quelle emozioni non era per niente facile: ottimo l'inserimento di Peter pan, che accomuna e avvicina i due, aiutandoli a sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d'onda.
    Anche l'atmosfera che sei riuscito a creare contiene una strana velatura poetica che si appoggia tra le righe ricoprendole con la polvere del tempo che passa e fa invecchiare qualsiasi cosa. Tranne loro due.
    Proprio una bella prova, il continuo inaspettato e convincente di una trilogia che si prospetta davvero interessante!
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    Ciao Mangal,
    in questo racconto s'intrecciano diversi temi, anche molto sostanziosi, che per forza di cose risultano condensati.
    Carola, migranti, virus, Matteo e questo misterioso Maestro e il suo tavolo a forma di pesce. Tutto si collega in modo fluido e non si percepiscono forzature, anche se alcuni temi sono solo accennati, senza l'adeguato approfondimento, lasciandone un pò in penombra il peso e il significato.
    La storia mi è sembrata un pò "asciutta" senza i tocchi di delicate emozioni che sai dare ai tuoi scritti e che mi piacciono tanto, anche se comunque ho molto apprezzato il fatto che il racconto strizza l'occhio a qualcosa di molto interessante e mettiamoci anche inquietante và, che ci sta sempre bene.
    Le varie scene si susseguono con un ritmo sempre più incalzante: la scena iniziale è quella dove ti sei soffermato di più, giustamente essendo il cardine intorno al quale si avvita tutta la vicenda, ma allo stesso tempo ho notato un distacco forse troppo netto tra questa e le successive, tanto che ricorri spesso a veri e propri riquadri dal taglio giornalistico. Forse anche perchè il traguardo dei 20000 occhieggiava sempre più da vicino e l'urgenza di dare informazioni reclamava il suo spazio.
    La scelta ha però il merito di dare un buon ritmo a tutta la seconda parte della storia, dove ci si addentra sempre più a fondo in una vicenda che assume tinte fosche e che, immancabilmente, affascina.
    A questo proposito ti faccio notare questa frase:
    Quell’Europa che quando serve un aiuto non c’è mai, ora urla contro. Che coraggio, che ipocrisia.
    Questa non è espressa da nessun giornalista e nemmeno dal narratore onnisciente: ti è scappato un sospiro liberatorio, che ha messo un pò la firma al testo.

    Nel finale il racconto prende un bel guizzo che lo solleva e lo fa andare "altrove", cioè il posto dove mi piace andare quando leggo.
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    Ciao The Real,
    paragonando questo racconto al precedente trovo un grande cambiamento: non nel senso di migliore o peggiore. Proprio diverso.
    Dove là ti dilungavi qui sorvoli quasi, dove prima parevi insicuro adesso vai come una scheggia.
    La sensazione generale che mi ha dato la lettura di questo brano è quella di una trama ben chiara e complessa… ma solo nella mente dell'autore.
    Sembra quasi che tu abbia voluto condensare sia le scene d'azione che le descrizioni profonde dei personaggi e questo, a mio avviso, penalizza molto il racconto.
    Poi, a mio avviso, ci sono delle scene che suscitano una reazione strana, quasi avversa a quella che dovrebbe essere.
    Ti faccio un esempio:
    guardando il marito come se lo avesse sorpreso a rubare caramelle.
    leggeva negli occhi del suo uomo come nel ricettario dei dolci.
    Passeggiarono lungo la banchina, mangiando un gelato

    Ecco, queste similitudini e immagini che usi, così "zuccherose", leggere e carine, riescono magicamente a sgonfiare qualsiasi tensione avevi voluto dare alle tue scene: sono frasi che ci si aspetta di leggere in un romance, non in un racconto dove si vuol far scorrere adrenalina a fiumi e impegnare i protagonisti in azioni rocambolesche.

    Credo che nell'urgenza di buttar giù un certo tipo di storia, tu non abbia dato il giusto peso alla caratterizzazione dei personaggi, che di conseguenza fa perdere un pò di mordente alla storia: perchè devo appassionarmi alle avventure di Roberto (alcune volte hai scritto Robert) e Juliette se per prima cosa non mi appassiono a loro due?

    Il limite di battute è tiranno e non perdona, però se a mezzanotte qualcuno suonasse al mio campanello non sono sicura che lo farei entrare in casa: tutto questo perchè non hai preparato bene la scena per il lettore. In una situazione dove il peso della tensione, della fatica e della responsabilità fosse stato più curato, quel trillo di campanello avrebbe fatto fare un salto anche al lettore.
    Quello che manca, (o quello almeno di cui io ho sentito la mancanza) sono la rosa infinita di emozioni che un brano del genere dovrebbe suscitare: Invece il ritmo serrato che imponi alla narrazione impedisce a te per primo di essere convincente creando le atmosfere giuste per ogni scena, e a noi lettori impedisce di provare empatia per ciò che accade. Forse il racconto contiene troppi cambi di scena, troppa azione per così poche battute...

    Avrei usato il corsivo invece del grassetto.
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    Ciao Bar Abbas,
    ti confesso che ho fatto una faticaccia a leggere questo racconto!
    Comunque, prendo per buono il consiglio che esce dalle labbra di Ludovico: Non mi aspetto che lei comprenda, ma solo che mi ascolti.
    E quindi farò così.

    Mi lascio quindi condurre da quel simpatico ubriacone di Ego Wenger a fare un giro sulle montagne russe della sua mente contorta.
    Scendo e sono confusa.
    La prima domanda che mi faccio è questa: come mai uno scrittore capace di scrivere un racconto così convincente, intrigante e completo come quello del past, si diverte qui a shekerarmi il cervello? Come mai là c'era una cura accurata affinché il lettore si sentisse "a suo agio", mentre qui si fa di tutto per confonderlo?
    Un virtuosismo? Per sostenere una traballante autostima, per l'avidità di elogi? (come tu stesso dici da qualche parte nel testo)?
    Non credo.
    Credo invece che dietro a questo testo ci sia un fine intervento machiavellico di depistaggio, la volontà di distrarre il lettore, perchè questo racconto è un bluff. Non esiste.
    La scelta del punto di vista è un indizio: un immotivato cambio da onnisciente a prima persona, per poi cambiare ancora e ancora, unito alle diverse informazioni che dai all'inizio e alla fine riguardo lo stupefacente risultato di un preciso esperimento, mi hanno fatto dedurre che tutto questo non è accaduto.
    Tutto legato insieme dalla riflessione finale di Vales: o esiste il primo esperimento a Ginevra, o esiste il secondo. Anzi, forse ne esisterà un terzo, perchè Vales non mi sembra molto soddisfatto.

    Ecco, se leggo il testo come "copertura o distrazione" da qualcosa di più grande, riesco a trovarci qualche soddisfazione e il racconto ha un suo perchè.
    In caso contrario rimane solo una vaga sensazione di soffocamento...

    Cosa volevi dirmi?
    Ed esasperato sollevò lo sguardo al soffitto.
    Porto l'esempio di questa frase, che non ho ancora ben compreso: o quel cosa volevi dirmi è un pensiero, o altrimenti non so proprio chi la pronunci e ne a chi.

    Un racconto che ha l'indubbio merito di aver fatto riflettere un bel pò!
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    Ciao Dalcapa,
    la domanda sorgeva spontanea e intricante: come sarebbe continuato un racconto che stravolgeva secoli di storia e condensarlo in una manciata d'anni?
    Semplice, cambiando prospettiva e portando l'attenzione su un unico episodio.
    Mi piace questa ucronia fantasiosa, scoppiettante e carica di frecciatine anche se, a mio personalissimo parere, la scelta obbligata di descrivere una situazione ben precisa sconvolge un pò gl'intenti, li frena, come se il racconto ristagnasse un pò, discostandosi dalla struttura che stava alla base del racconto precedente.
    Nel past tutto rotolava via in maniera naturale, si seguiva un "copione" conosciuto e le freddure e le battute si chiamavano le une con le altre, tutto con una rocambolesca freschezza narrativa che mi ha fatto più volte sorridere, dove si percepiva nel sottobosco del racconto un barlume di rivalsa femminile, una storia alternativa e parallela che dava a noi donne una nuova "dignità" storica, mooolto interessante.
    Nel present si smorza un pò questa volontà di cambiare le cose: cioè, tutto cambia, ma è come se non cambiasse niente. Le donne sulla Fortuna, ingrassate da millenni di superiorità sui prepuzi, si crogiolano nella loro situazione, risultando un pò anonime.
    Fanno le donne come gli uomini fanno gli uomini.
    Quindi nessuna rivalsa… Ecco, questo è l'aspetto di questo racconto che mi ha entusiasmato di meno, lasciando dietro di se uno strano sapore.
    Meno male che da qualche parte c'è una creatrice che sicuramente ha trovato il modo giusto per sistemare le cose!

    Achillu ti riporto quello che ho letto (per caso!) in questi giorni: il Sistema Internazionale di unità di misura e la norma internazionale ISO 31-0 prescrivono l'utilizzo di uno spazio tra il numero e il segno di percentuale.
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    Ciao Fante,
    gran bel pezzo, complimenti!
    In questo present hai messo più sentimento, più cuore e il risultato è questo racconto, che risulta (almeno da parte mia) molto più convincente del precedente.
    Tutto il testo è costruito con cura, con un'attenzione quasi maniacale nella scelta delle parole, nella costruzione delle frasi: si sente che dietro ogni parola c'è una ricerca ben precisa, la volontà di creare un determinato effetto. Si ha però, in alcuni punti, la sensazione che la ricerca della frase perfetta prenda il sopravvento: nel testo infatti spuntano qua e là frasi troppo costruite, affettate.
    Un fremito: Livio aspetta che lei s’accomodi sulla poltrona, aiutata, che prenda le raccomandazioni dell’altra donna sul restare tranquilla, il non fare sforzi. Quella poi si scosta, lo raggiunge. Ha una bellezza curata che regge il peso dell’età.

    Molto personale il modo in cui spezzi il parlato: non sempre mi convinci, ma riconosco anche qui l'intento di riportare qualcos'altro insieme alle semplici parole, di ricreare l'effetto di quel preciso momento.
    Alcuni esempi
    “Grazie,” mormora lui, “Di aver accettato l’incontro. Dopo così tanti anni.”
    “Così,” Livio sorride, stempera, “Alla fine l’hanno trovato, quell’aereo.”
    “Non,” la signora mormora, voce rotta, “Non l’han trovato?”


    Ho notato anche che usi spesso intere frasi, anche molto lunghe, senza introdurre forme verbali: l'effetto è interessante perchè si ha la strana sensazione che il testo galleggi, che arrivi tutta l'impalpabile leggerezza che hai saputo infondere nelle frasi, libere di essere solo emozione svincolate dal "peso" del verbo che le confeziona in forme prestabilite: mi piace questo effetto e l'uso che ne fai.
    Riporto alcuni esempi:
    Il sole a picco sulle Land Rover bianche ferme nel vuoto, il logo dell’ENI sulle portiere.
    Nella conca, adagiata sulla sabbia, la carcassa distrutta d’un vecchio aeroplano da guerra. Sulla coda cinque lettere sbiadite dal vento: G-MUND.

    Un fremito leggero, lontano, sui tratti candidi. Un gioco di sguardi accorati.
    “A molti chilometri dall’aereo.”
    Silenzio, le foto abbandonate in grembo


    Il registratore spento con un tocco malinconico.

    Un testo molto interessante per le varie soluzioni che adotti e che lo rendono molto personale.
    In tutte queste attenzioni che metti però, una cosa mi rimane molto criptica: come fa ad accorgersi che Ennio è Vincenzo?
    Non mi è arrivato il momento dell'illuminazione...

    Ottimo titolo.
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    Ciao Tony,
    grazie per questo bel racconto e per avermi fatto conoscere l'anomalia del Baltico. Molto, molto interessante!
    Trovo che la scelta del tema trattato sia molto originale e coinvolgente: confesso che dopo aver letto il past non ero riuscita a immaginarmi un seguito che non fosse un elenco di cambiamenti. Invece questa sterzata imprevista che dai alla tua storia mi ha piacevolmente stupito. Focalizzare il racconto sul recupero di materiali misteriosi che saranno la prova della reale esistenza degli extraterrestri. Perfetto!
    Leggendo si avverte la sicurezza dell'autore, la sua mano salda e sicura nel condurre la narrazione con la sensazione che la meta sia ben chiara nella mente del capitano: un testo strutturato con questa cura si legge molto volentieri!

    Ho trovato molto più autentico questo present rispetto al past: si sente che parli di cose e situazioni a te care e vicine e la narrazione diventa solida e robusta, informa senza essere troppo pesante. A mio parere sei riuscito molto bene a far emergere le emozioni dell'avventura in una storia che non devia mai, rimanendo sempre molto credibile e avvincente.
    In alcuni tratti ti dilunghi su tecnicismi vari, ma lo fai con una tale naturalezza che non risultano mai abbondanti o eccessivi, incastrandosi senza fatica nella narrazione.
    Non ho notato niente di particolare da farti notare, se non il fatto di studiare meglio l'impatto visivo del testo per smorzare l'effetto "muro di parole" e di rivedere l'inserimento di alcune virgole: a volte abbondi.

    Sempre molto graditi e simpatici i riferimenti che fai agli autori e su questo meraviglioso sito: un lupo di mare con il cuore grande così!
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    Ciao Byron,
    hai proposto proprio un bel racconto, complimenti!
    Per commentare il tuo brano ho deciso di dividerlo in due.
    La prima parte l'ho trovata praticamente perfetta: mi piace come hai caratterizzato i due personaggi e il ritmo che hai saputo dare all'intero pezzo. L'incipit è di quelli che ti aggancia subito e per i quali ti metti bello comodo e dici "Vai, sto per leggere qualcosa d'interessante!"
    Ti destreggi con abilità nel creare momenti e situazioni, lasciando che siano i protagonisti a muoversi sulla scena, senza intervenire mai (cosa che invece fai nella seconda parte).
    Ben raccontato l'aneddoto di Walsh, con i suoi modi molto personali e coloriti di esprimersi, dal quale ci possiamo fare un idea ben precisa del comandante, e ben strutturata la figura di Adam che si delinea senza invadenza come protagonista della storia.
    I dialoghi (ostici da gestire…) sono ben calibrati, credibili e reali. Ottimo lavoro!
    Tra l'altro hai collocato l'esperienza di Walsh nell'aprile del 1972: bastava che tu inserissi un 3 al posto del 2 e avresti chiuso un cerchio molto interessante: infatti nell'aprile del 1973 furono inaugurate le Torri Gemelle! Avresti collocato il fatto in una di quelle strane coincidenze che la vita si diverte a seminare qua e là e che m'incuriosiscono assai.

    Nella seconda parte, pur mantenendo lo stesso tono accattivante, il racconto perde qualcosa.
    suo padre, che stava fantasticando toglierei il che.
    speranze e paure, che volavano a una velocità toglierei anche questo che: frenano le frasi e le ingarbugliano.
    ripeté nuovamente l'accoltellatore. strano definirlo così (anche se di fatto lo è...).
    cominciarono a defluire diligentemente sul fondo avrei usato un'altra parola al posto di defluire. Sicuro che ci vanno diligentemente? Io sarei spaventata, nervosa, a un passo dal panico.
    quel povero ragazzo incursione dell'autore: perchè ci dici che è povero? Potrebbe essere anche sprovveduto, avventato, irragionevole…
    l'espressione terrea sul volto. con ammutoliti avevi reso bene l'idea, questa frase è superflua.
    nella sorpresa della morte frase ad effetto, ma che paga poco: in realtà sei più agghiacciante e colpisci più a fondo nella riga dopo, quando affermi che la donna non serve più ai dirottatori.
    senza soluzione di continuità, mmm...
    la soluzione finale. Non mi piace. Queste due "soluzioni" nel giro di poche battute perdono tanto.
    Adam ebbe la certezza di essere arrivato alla fine del suo percorso mortale. Mortale? Forse volevi dire vitale, comunque è brutto anche vitale. Meglio: Adam ebbe la certezza che sarebbe morto.
    del povero pilota, riusi questo aggettivo, ma nel contesto non lo trovo appropriato.
    Adam urlò per il dolore, In questo racconto urlano tutti: nessuno grida o si lamenta o inveisce. No, urlano e basta...
    Adam era una persona a modo, di base tranquilla, Adam era un uomo tranquillo.
    prendeva subito d'aceto. Questa frase poteva essere interessante se inserita in un dialogo. Detta dalla voce narrante stona un pò.
    del povero comandante Walsh....
    come in una rissa da bar, Perchè questa frase? La scena non è assolutamente una rissa da bar!
    Adam e Abd al, incuranti, continuarono a darsele di santa ragione, come animali. Questa frase toglie mordente al brano (in termini di suspance).
    Dopo un primo momento di stordimento, momento, stordimento: non è un bell'effetto.


    Come nel past anche qui hai inserito scene di lotta violenta: senz'altro ti piacciono, sembra proprio che tu le veda e le vuoi descrivere al lettore, ma il fatto che ad avere la meglio sia il protagonista (che ci presenti come un tipo tranquillo, quindi senza molta esperienza in scazzottate) contro due "professionisti" fa perdere un pò di credibilità alla scena.
    Che fine fa il coltello? Se lo citi non lo puoi fare sparire.
    La cicatrice sulla testa di Mike strizza l'occhio a qualcosa che leggeremo nel futuro?

    Mi sono un pò dilungata, per cercare di analizzare le parti che, a mio discutibilissimo avviso, possono risultare un pò deboli.
    Spero di esserti stata utile.
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    Ciao G. Leroux,
    hai proposto proprio un buon racconto e la lettura mi ha lasciata soddisfatta.
    Il testo è ben bilanciato, non si perde mai il filo del racconto e anche quando scendi nella terminologia tecnica di alcune scene, riesci sempre a essere credibile e a non perdere l'attenzione del lettore. Questo brano mette in risalto la tua capacità espressiva molto meglio che nel past: nel precedente racconto, forse, sei rimasto troppo ingessato dal confronto con personaggi realmente esistiti che reclamavano il loro pezzo di storia "rubando" la scena al racconto stesso; qui invece hai potuto esprimere senza restrizioni la tua lucida fantasia, risultando, a mio avviso, molto più convincente e interessante.
    La vendetta dei nativi è un'idea brillante, nuova, trasversale che gestisci molto bene senza lasciare dubbi o falle nella storia: il racconto inizia, sconvolge e si completa nel finale.
    La figura di Jenny rimane un pò marginale, ma forse il suo ruolo sarà più approfondito nel futuro, chissà.
    Buono l'aggancio tra l'inizio e la fine, con l'intuizione d'inserire quel bordello: una sola parola ben colorita che spiana la strada a tutto il testo.
    Mi piacciono molto le righe finali dove, con una piroetta, ti riallacci con eleganza al titolo.

    Qui di seguito ti lascio alcune osservazioni:

    di una certa rinomanza. questa la percepisco come un'incursione dell'autore.
    di età media abbastanza ridotta modo un pò contorto per dire che la popolazione era composta per la maggior parte da giovani.
    Le sue lezioni erano svolte nelle varie materie con una flemma soporifera che raramente riusciva a catturare l’attenzione dei bambini ma si animava quando parlava di storia e soprattutto della storia che aveva segnato, : questa frase è troppo lunga, metterei una virgola prima di ma.
    Non passava inosservato Tommy, in quella specie di Babele che era quella enorme sala: di poche parole ma quelle mani erano di una rapidità impressionante su quelle tastiere . Quella, quella, quelle, quelle... troppi...
    I suoi lineamenti erano quelli tipici dei nativi americani e la cosa l’aveva stupita al primo impatto, perché non erano molti i “pellerossa” che erano riusciti ad affrancarsi dalle riserve indiane per affermarsi nel mondo della finanza. Ho notato che fai un uso abbondante del verbo essere (era, ero, erano, c'era, c'erano...): siccome ho anch'io lo stesso "problema", ripoto qui il sunto di una chiacchierata con un mio amico sulla questione. Lui sosteneva che l'uso indisciplinato di tale verbo, appesantisce le frasi, le priva di carattere e le standardizza in maniera imbarazzante, rendendo le scene meno vivide, personali e incisive.
    Il verbo essere, per lui, è una specie di scorciatoia, per arrivare prima non si sa bene dove.
    Io ci ho riflettuto e, forse, ha un pò ragione.
    La tua frase "diventerebbe" così: Quei lineamenti, tipici dei nativi americani, l'avevano stupita al primo impatto perchè i "pellerossa" riusciti ad affrancarsi dalle riserve indiane per affermarsi nel mondo della finanza, si potevano contare sulle dita.
    Cosa ne pensi?
1085 replies since 30/9/2016
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