| LA SIGNORA “PU” Ci furono tempi oscuri in cui le puttane non erano riverite come oggi che hanno la loro associazione professionale, scrivono autobiografie, sono le ospiti d’onore nei migliori programmi televisivi. La gente le additava ed erano costrette a vergognarsi del mestiere che facevano. Nel cortile in cui io abitavo, da piccolo, ce n’era una che si chiamava Marilena Galimberti, in arte “Rosellina”. Però nella mia famiglia tutti la chiamavano la “Pù”. A me era simpatica più delle altre signore del caseggiato che erano tutte uguali con gli stessi tayerini di colori spenti, i capelli castani o grigi ben riavviati. Lei invece aveva capelli fiammeggianti e ondosi, sciolti sulle spalle, labbra rosse come ciliegie, occhi nerissimi e ciglia lunghe e scure. Portava tacchi altissimi e vestiti estrosi. In più aveva la buona abitudine di buttare dalla finestra manciate di caramelle alla menta e poi stava a guardare, ridendo, noi bambini che facevano a botte per raccoglierle. Figuriamoci se mai e poi mai mi sarebbe venuto in mente di farle uno sgarbo di qualsiasi tipo. Così rimasi di stucco, per la sua reazione, il giorno in cui le dissi: “Buongiorno, signora Pù”. Sì, io lo sapevo che lei si chiamava anche Galimberti Marilena (c’era scritto sotto al campanello) e che molti la chiamavano anche Rosellina. Ma, che volete, a furia di sentirla chiamare in casa mia “la Pù” mi venne spontaneo di chiamarla con quello che pensavo fosse un grazioso vezzeggiativo così come la mamma mi chiamava “Popi”. Lei invece mi guardò inviperita e venne a protestare da mia madre per la mia sfrontatezza e maleducazione. Mia madre, a sua volta dovendo incassare, si rivalse su di me molto ingiustamente. Io allora non ci capii nulla e mi rinforzai nell’idea che il mondo degli adulti fosse ben strano e contraddittorio. Oggi che la televisione insegna tutto ai bambini piccoli, potrebbe apparire incredibile la mia ignoranza ma tutti quelli della mia età sanno che dopo il carosello c’era la nanna beata della innocenza e dovevamo aspettare l’adolescenza perché ci si aprissero gli occhi sui tanti misteri della vita. Così perdonami mia cara signora Rosellina se t’ho chiamata con quel nome che in fondo corrispondeva sì a quello che facevi ma tu, poverina, te ne vergognavi tanto. Se fossi nata trent’anni dopo ne saresti andata invece orgogliosa come le tue colleghe d’oggi che, tra l’altro, non sono simpatiche e genuine come te. |
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