Una sosta al bar Bone o perlomeno ex Bone oppure in caso di lockdown da Trapasso e asportare quel che resta di noi in tuta mista kevlar da gastronauti del caffè e col manuale del podista microchippato agonista via verso i tombini degli scoli che non scolano nulla e le buche sono il corollario mentre l'asfalto è quello da evitare, si fa prima a immergersi nel fosso, e da Capannelle Alberto Giubilo non giubila nel vedere tali maradoneti del piede che scalpitano e scalciano fango, ma la vita è questa meglio una tuta che un tutù e vuoi mettere il gusto della strigliatura in doccia dopo che l'irta salita par di fango colma e il deretano porta stampato una mano di qualche fanciulla che voleva solo incitarti al gareggio, ma non era meglio il trotto?
C’è er vello? Quello d’oro Quello dell’argonauti C’è o non c’è? Insomma me volete da risponne… C’è er vello? No Er cervello se lo so trafugato li ladri nottetempo se so ‘ntrufolati a casa mia e li hanno razziato tutti l’ori e siccome che avevo lasciato il prezioso avere in una cassapanca lo hanno trovato e se lo so piato Dovemo capii in fonno feceva freddo e coprisse con un vello era utile specie se era puro de orificeria.
Ma mo me sto a chiede come devo da fa si non lo posso più indossa? E di che me serviva proprio dimani, ci ho un colloquio de lavoro e come se po fa? Me ricordo quanno che c’era er vello... come se stava bene sempre ar carduccio, me potevo permettere pure de pensa pe li fatti miei e poi ansai quanti che me invidiavano er vello mio. Me sa che quarcheduno ha fatto la spia… Ma si lo pio, je smozzico tutto er culo. Nun se po campa senza er vello so scoperto nelle idee, nun ci ho protezione me se intruppa il pensare Io ar carduccio me sento mejo protetto e accudito In fonno si c’è er vello pe ognuno sai quante cose meno agghiaccianti che avrebbero meno ner monno...
E così sarà, perché deve essere così, quando ci si rende conto che il sentiero è bloccato da un albero caduto, si cerca un qualcosa che serva per non fermarsi e spesso, se avanti è impossibile andare, non è male nemmeno ritornare sui passi e cercare nuove vie. La ricerca e un po' la metafora del cammino di Santiago, in definitiva oltre la meta ci siamo noi e l'oceano, siamo noi che dobbiamo scoprire il nostro viaggio. Posso citare l'amico Tom che è sempre in viaggio dentro se stesso e questa sua ricerca interiore inquieta e incessante lo tiene vivo sempre proteso nella ricerca di quel "Fare" che lo sostiene realmente nel suo cammino principale che avviene all'interno della sua anima. «Nella consuetudine muore l'intelletto»
Oh quante belle novelle Tutte tue sorelle E non credere che sian solo quelle…
Declamerò ora
Mala tempora currunt e c’è del marcio in Danimarca C’è anche qui «E il sole se ne scende e mi viene una certa malinconia ma sotto una finestra vorrei stare oh sole mio»
Iniziai un viaggio tanto tempo fa, fa nulla se non ve lo racconto tanto poco importa dove la strada porta
Scorgevo nel salotto di casa alcune figure di refluo rifiuto alcune erano finte altre pure finte ma erano tutte figlie a mammà e ogni scarrafone si sa…
Iniziai un viaggio vi era un mulo e quattro carri e un topolino che al mercato mio padre comprò «Alla fiera dell’est per due soldi un topogigio mio padre comprò e venne lui, si ma lui chi è? Una testina di cetriolo e una rosa blu sul tuo seno ci impiegò cinque giorni a morire»
Iniziai un viaggio con un torpedo e forse qualcuno mi seguì in torpedone e mangiammo panini al salame e salami mangiarono panini. Era un giorno di maggio e da un locale dislocato male usciva fuori un new yorkese jazz Jack faceva lo squartatore dopo la Brexit e in Europa si festeggiava il capodoglio Per le vie della grande mela il sindaco Giuliani aveva spazzato via la melma dai quartieri Brexit e Bronx… Charles Bronx era il giustiziere della notte e gli stupratori non avevano vita facile, un colpo di 44 sui coglioni e poi non dirti che non ti avevano avvertito. Il tenente Harry Callaghan ripuliva con la sua 44 le vie di San Francesco Forse qualcuno faceva ancora il presepe e i poveri erano la chiesa Iniziai un viaggio in torpedone e vidi cose che voi umani non avreste potuto veder mai né immaginare… Vidi chiare di uovo che si montavano da sole e viaggiai, si viaggiai con Lucio Battisti e Mogol oltre i confini della RCA. Spaccai 33 giri e feci volare dalla finestra un giradischi automatico della Thorens ma non riuscii a farmi assumere da nessuno. Nessuno volle avere a che fare con me, avevo una voce da tacchino e vestivo magliette Sergio Tacchini e Borg vinceva in cinque set a Wimbledon mentre Mc Enroe mangiava il budello delle corde e la Bertè Loredana convogliava a nozze un paio di racchette. Il viaggio lo feci davvero, non penserete che vi prenda per i fondelli? C’erano luci e profumi nella notte e il signor cinquepalle non mi conosceva e io non conoscevo lui, alla malora allora, un autobus procedeva seguendo le strisce confinate a bordo strada… Declamerò: «Non vedevo luci e ascoltavo musiche balcaniche mentre dei danzatori bulgari guardavano i film di 007 e cercavano di inseguire Octopussy e disinnescare quel muro di Berlino» Provai a telefonare al tenente Callaghan ma era troppo impegnato sul set e io che vivevo di set non mi feci pregare rifilando tre set a zero nella finale del campionato a squadre del circolo tennis. Dicevo e dirò ancora del viaggio e magari vi stuferete pure di leggere. E l’autobus viaggiava pure lui verso due piatti di maccheroni al forno e a San Marino s’organizzava già il veglione 2020 per fottere il covid italiano, era un sabato italiano, un sabato qualunque e l’orchestrina suonava delle note jazz e poi io a Posillipo non ci volevo andare, ma cosa m’hai portato a fare signor FFSS, io non ci volevo venire. Papocchio e papocchi aguzzavano la vista e sapevo che in futuro m’avrebbero spiato. Scrissi molto in quel viaggio, anzi per tutto il viaggio che non finì mai e per soddisfazione personale buttai il giardino delle orchidee nere sulle mani d’un amico e in cambio mi fu lanciata una racchetta da un treno in corsa. Continuai a cazzeggiare e guidando una Lancia color bronzo cercai di fare lo stronzo ma non era indole buona e allora strappai il carrozzone, i pennini e ogni foglio bianco o macchiato d’inchiostro. Detto fatto fu così che il sacro libro fu archiviato e…
Iniziai un viaggio nuovo e scrissi su SPS e vomitai molto della mia vita senza pensarci, senza remore e senza coscienza pensante, volevo solo scrivere di me della mia scrittura, volevo mangiare le vocali, le sillabe, volevo divorare gli anni persi, volevo tante cose e null’altro che una penna per scrivere o una voce per raccontare.
Ora il viaggio si ferma e anche SPS andrà a dormire e quel nome mi seguirà in un altro viaggio, forse butterò ancora pennini fuori dai finestrini, oppure ululerò alla luna o mangerò caramelle con uno sconosciuto…
Ma un viaggio è sempre un viaggio e ciò che resta dentro di noi non si fermerà mai perché noi siamo il viaggio.
E giaci ora inerme nel tuo spazio per un futuro che non sa Giaci tra legni rozzi e travi senza cuore e chiodi arrugginiti serrano il piombo…
Va il becchino a consolar il fosso e terra salta un badile va e l’altro viene e tu non sei
Piange un tizio con un martini on ice in mano brinda e non sa perché Suona la banda jazz dimenticati e un ritornello s’infila pe i platani dormienti e scuote i larici e gli abeti e lascia muti e tristi pur i cipressi
E giaci ora ascoltando suoni lontani immagini rubate voci interpretate Ma non senti Come puoi sentire oramai Tu morto tra i morti che nei vivi eri pur morto?
E giaci nudo di pelle cotta dai mali dai veleni e giallognolo appare il viso e scarti la confezione del tuo corpo e litighi con il becchino e urli dicendo il tuo nome
Ma chi t’ascolta? Il vento forse? Il tizio che beve martini? Una pagina d’un libro rubato?
Urla pure che niun ascolta e declama nel viaggio tutti i compagni e chiedi a ogni voce d’urlare e ti scuoti Tu morto nei morti…
Un corteo funebre s’avvicina e una dopo l’altro s’ammucchiano i legni sepolcrali uno sull’altro nella strage dell’uno e del molto e un nome non si scrive e cento se ne sussurrano e una è la lapide Bianca spoglia
Piantata la felce Acceso un lume Una scritta inesistente adorna il mausoleo e gli uomini in silenzio sfilano fra cipressi e la banda suona jazz serale e la pioggia ti saluta ticchettando sulla nuda terra e vive la felce piangendo nomi che non sa
Ove il vento parla e l’alberi tremano al cospetto Ove il folle parte dimenticando di innestare il passo Ove un ove è senza ove e nessun posto vale Ove trecento volti si mangiano tra loro e l’ultimo rimasto scopre di non aver volto Muore ogni ove misero piangendo tutti gli ove dove non è stato e quanti ove ha perduto e ove avrebbe potuto andare e l’ove tace silente dove il giglio spunta dove una cassa che non è panca si serra nella fine e lì or giace l’ove e trema il pensiero di non aver un ove futuro e nulla giace invano senza ove e ove il fulmine cade ove ove ove ove s’ode il silenzio delle mortadelle il vecchio ove assaggia pistacchi e tra un dente cariato e altro declama l’ove
«Ove s’ode, ove s’ode… Chi vole ove sode fresche di iornata, ove sode fresche e belle avvicinatevi al furgoncino… Ove paesane fresche e sode, gente venite a comprare l’ove sode dall’ovaio sodo il vostro ovomo di fiducia. Gente venite a comprare l’ove sode, forza non aspettate che poi si marciscono in fretta, ove sode col pepe nero, avanti gente ci metto pure il pepe nero, comprate le mie ove sode...»
«Essere o non essere. Quale essere può dire di non essere nella sua essenza. Qual è l'essenza se misero mi ritrovo in questo stanzino vuoto del teatro. Misero... Ah, me misero. Come è triste la vita e come è duro recitare la vita stessa.»
Il copione... Non lo ricordo Oh misero.
Me misero 'na dentaura nova che persi i denti in una caduta dal palco essendo finito sopra l’orchestrale che suonava la tromba. Che trombata. Il medico di turno mi ha consigliato una pane e ramica dentale dell’arcata superiore A me non piace pane e ramica e non so nemmeno se mai l’assaggerò.
Ora che ho i denti novi nessuno vuol vedere il mio spettacolo e la platea è deserta.
Me misero, me misero, sì.
Me misero due dentici d’ argento smaltito nel piombo che non si levavano manco colla bomba monoclonale. Bene me mi son detto, farò un successione co sta faccia bella nova e invece mi sono ri trombato a recitare sul palco a una platessa che non c’è. Eppure sono il miglior attore da e dramma e spurgo in cir colazione, quando fui giovine il sul cesso non mancava mai, m’hanno voluto morto bene. Ma, ma sono un tipo testardo e non ammollo mai in candeggina e tornerò limpido a recitare. Anzi di più, sarò scrittore, sceneggiatore e sempre un attore dalla bava pronta a mo di lumaca.
“Oh teschio con rutto d’omo sciapito. Parlami di te. Chi fosti? Qual assenza coltivi oltre la morte? Chi sei dunque, tu dal liscio osso che levi e gatto mi guardi senza occhi? Sai qualcosa di me? Dimmelo allora, parla ti scongiuro! Perché non parli? Perché mi lasci in due buoi e senza soldi? Ora e dunque rispondimi allo squisito quesito che ti pongo. Non parli vignacco! Co tardo e vi gnacco, e io che pure ti tengo in mano. Ma io ti ripongo nella barra din e don vieni e la... potrai parlare anche con la morte Io, non perderò ulteriore tempo con te.”
Or ti seppellisco nella spogliata terra e là ti consumerai nelle vermische viscide che sgusciano del profondo umore.
Beh, me sembra codesto uno attimo lavoro, mo pubblico e che non se ne parli più
Ciao Tom, il verso chiave è volli essere e non fui. In definitiva lo scrittore si sente fuori dal contesto storico comunque e dovunque egli si trovi, come mettere un'auto in un film medievale senza che il film sia di fantascienza. Insomma, incoerente e fuori posto.
Terrore di me stesso. Ero inconsapevolezza nella notte della certezza. Non semplice il vivere. Volli non essere e non fui. Breve il tempo e il destino bussò tante volte. Allora fui e accettai. Impossibile dare spiegazioni, non v'erano canoni prestabiliti, tutto avveniva su un foglio bianco scritto con l'inchiostro dell'oltre. Solo io leggevo senza leggere. Spesso vagavo disgiungendomi dalla realtà e dal vuoto dimensionale tornavo con l'animo colmo di nozioni. Non esistevano leggi, l'universo chiamava all'improvviso rapendomi completamente. Poi... il risveglio.
E questo ero io “l'anacronista del tempo”, viaggiatore per parallelismi dimensionali non consueti.
Scrivevo fedelmente dei miei viaggi, mi sentivo come Gulliver... Per cui nulla era scontato e tutto relativo. Si può essere giganti in un mondo piccolo e piccoli in un mondo di giganti. Non potevo dare dimissioni, il mio datore di lavoro era l'universo. Continuai le mie avventure, in fondo non dovevo preoccuparmi con un capo così...
Ciao grazie... Ecco un esempio in cui la prosa prevale in quanto non considero questa una poesia e forse nemmeno prosa. Potrei definirla un contenitore di visioni che non vuole regole e si dà forma propria. Nella sua elaborazione la mia scrittura non consta di strutture barocche ma gode di flussi di pensiero immediato che a fiume vanno a coprire il vuoto riempendolo nella forma, senza costruzioni a priori, che odio alquanto... se così fosse odierei molto scrivere. Ti ringrazio ancora del passaggio sullo scritto.