Scrittori per sempre

Posts written by Giancarlo Gravili

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    Ed ecco compiuto il misfatto
    or giace lorda di sangue
    anima e corpo, sì disfatto,
    dell'horror Esterella tinge tutto il giardino
    e noi in sps dal terror presi infiliam testa e occhi sotto un caldo cuscino
    e se questo fu sogno
    possibil trovare diman solo tormentate membra in un bagnato catino.
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    audio narrazione



    Orizzonti in prosa poetica



    «Cenere grigia solca la tela
    fra pastelli colorati di cera»

    Scorre via su quel ruscello
    il tuo dipinto.
    L'acque lo trasportano leggero,
    un sobbalzo lo scuote,
    un vortice lo risucchia in fondo...
    d'improvviso eccolo su nuovamente.
    Girotondi di piccole rane lo fan galleggiare in mulinelli,
    un rametto intralcia la corrente,
    alghe spumose s'accostano curiose,
    chissà se a loro piacerà mai quel paesaggio.
    Infine sopraffatto si lascia andare e nel mescolarsi
    dei tratti nulla più è delineato,
    nulla è più come tu l'avevi creato

    S'ode un lieve cinguettio.
    Cangia il tempo.
    Fra poco la primavera
    tornerà e ti ritroverà immerso
    nella tua continua ricerca.

    Nell'essere caduco dell'esistenza v'è qualcosa d'eterno.
    Fra piogge dorate la cerco o fra gesti colmi d'abitudini.
    La vedo negli spenti desideri generati dal freddo inverno,
    in versi composti fra infinite solitudini.

    Nell'essere caduco dell'esistenza v'è qualcosa di forte.
    Inesorabile imprime rughe sui volti,
    imperscrutabile ordisce trame contorte
    senza riguardo alcuno lascia sconvolti.

    Nell'essere caduco dell'esistenza spesso cado
    e come colui che più non vede
    cerco l'ausilo d'un bastone per la strada dove vado.

    Nell'essere caduco dell'esistenza con diletto mi tuffo
    m'acquieto nello spirito e lieto aspetto
    che una leggera brezza mandi un piccolo sbuffo

    Ora,
    che questi tristi pensieri... or belli... or brutti,
    come funghetti accolti in fresco muschio,
    se ne stanno al riparo in attesa che qualcuno li
    colga, badando bene a scansar i cattivi,
    posso tornar a osservare il cielo.

    «Questa sera son rosse le nuvole nell'universo,
    sembrano aprire gli occhi verso di me.
    Vanno i ricordi a rincorrersi fra esse,
    non li raggiungerò mai, son troppo veloci
    quasi mi manca il fiato.
    Andrò a sedermi in riva a quel laghetto,
    accenderò la lanterna del mio amore
    e illuminato dalla sua luce,
    nell'odor dei tigli,
    leggerò le mie poesie»
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    Dante e Gilio in Ferno

    «Per me si va nel dolente senso dello sgorgo
    che simil a massa dura e inerte come sasso
    ferma lo scorrer dell’ acquoso e torbido gorgo
    che nulla puote il tubo seppur posizionato in basso.»

    «Ah, tant’è dura la questione del bloccato sciacquone
    che niun attento e solerte spurgo ave forza tale
    da rinsavir il flusso andante di simil situazione
    e onne cosa par dirigere la parola tal che non vale.»

    E sì, che tal vicende furon vissute in loci indistinti
    indove latravan immonde randàgie e lessi topi
    e il lor narrar m’è duro e fastidioso negli istinti
    che niuna speranza osa anelare per raggiungne li scopi

    Vado a dire del buon poeta che di per sé talora annega
    se del lavabo s’intasa il contorto tubone
    e per trovar giusta purga vaga e non diniega
    per ottemperare al giusto solvente che vinca la tenzone.

    Allor che fu di mezzo nel vivere tal poeta Dante Nato
    molto assai di avo nato e concepito
    che non essendo dell’idraulica molto ferrato
    vagò errabondo e spaurito per le vie come ebetito

    Dissi di tal scribendo ch’egli visse in Ferno
    paesino ridente e pur piangente di fama oscura
    e per grazia nemmen tanto voluta senza scherno
    vicende furon contate laddove si forma codesta pianura

    In codesto loco malsano e pur ombroso
    visse pur un omo nomato messer Gilio
    latino robusto e a detta di donne molto villoso
    che mai in vita si seppe ebbe anco un filio

    Ei era ‘sì talmente forzuto da pretendere il nome Vir romano
    che onne abitante di Ferno lo appellavano Vir Gilio
    e tant’era la sua indolenza che poco fregava tal soprano
    che poscia tempo scrisse poema che trattava della bruciata Ilio


    Vir Gilio e Dante Nato si incontrarono per caso in Ferno
    un giorno qualunque d'un anno qualunque in un'ora stabilita
    che la diritta via per la ferramenta si voleva come un perno
    e non sembra uscir soluzione adatta a salvar vita.


    «Bah, Dante dove te ne vai accuscì de prescia?»
    «Oh Vir Gilio vo in Ferno in cerca d'un negozio di ferra e menta"
    «Ma guarda che de fronte lì c'è sta un ipermercato Veneziano, ci è pure l'insegna:" Ca' Ronte".
    Ma de grazie che te devi da compra?»
    «Poscia ch'ebbi venuto fuori di casa e non mi si va a rompere il tubo del lavandino e mi si intasa tutto lo scarico!»
    «E allora che te servirebbe?»
    «E la vo in cerca d’un purga da tore al negozio»
    «Certo però non dannarti l'anima se non trovi il purga da torio al negozio,
    vedi là in fondo nel mezzo del cammin c'è la via Nostra Vita, la imbocchi e troverai un ferra e menta che all'uopo te eviterebbe er fai da te che è deleterio, e chi te dice che se tori il purga poi te se salva il lavandino»
    «Ma io ti ringrazio e di molto assai Vir Gilio, ci vo subito ma e la mi garbasse assai che tu mi ci accompagnarsi che parvemi vedere in fondo branco di pelve brutte e affamate.»
    «E sciai ragione, me sa che l'accalappiacani è fori servizio»
    «E come la si pole fare a passare oltre le pelve senza che ci si mangino le braghe»
    «Ho un'idea, entriamo da Ca' Ronte e prendiamo un pistola che ci scacchi i cani, affittano proprio dei tizi bravi a traghettare fuori dai maroni ste pelve pelose e sbavanti»

    Usciti da Ca'Ronte i due s'avviaron per il cammino di via Nostra Vita
    seco recando il pistola scaccia cani e poi di là furon altre girate
    e i due infatti gironi in Ferno finché Dante Nato non trovassi uscita
    che beccaron gatti e sciacalli che il cul mordevan a mandibole spalancate

    Nulla potette il pistola che come omo sol di parola pisciossi alla sol vista
    Gilio e Dante al pronto soccorso delli infermi furon portati
    e da medicanti volenterosi piaghe e morsi messi in lista
    che poscia nella degenza in Ferno di molto gridarono li morti andati.
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    Una notte di allovin al cimitero

    Era la notte della notte di allovin e gli zombi uscivano dalle tombe a fare due zombi perché erano solo due che il cimitero era piccolo e poi non è che ce ne fossero molti di morti che pure il paese era piccolo abbastanza.
    I lupi inseguivano i pupi ululando alla luna mentre essi mangiavano caramelle al petrolio balsamico.
    Un serpente boa segnava l’ingresso al porto mentre un cobra con gli occhiali era in fila alla usl per una visita di controllo ma era stupido assai perché era notte e gli ambulatori erano chiusi.
    La notte insomma era così buia che non si vedeva una mazza e pareva proprio adatta a un film horror in cui due zombi uscivano dalla tomba e sequestravano il custode del cimitero e, dopo averlo legato alla sedia, lo spogliavano e gli facevano il solletico ai piedi con una penna di struzzo.
    «Ma voi siete due veri struzzi, che mo due zombi fanno solo il solletico? Ma non li vedete i film orrorifici?»
    «Zitto, custode del cimitero che c’è scritto fuori che sei custode e che se ci incazziamo ti sbrindelliamo la pelle che hai attaccata addosso e ci si fa il brodetto con un paio di omeri e due orecchie che noi non ci si mangia da circa trent’anni e poi a te che te frega che sei vittima e che ora ci siamo stufati e ti tagliamo a pezzi, non ci avresti a portata di ossa la forbice da pota? Che ti tagliamo prima le dita dei piedi e...»
    «Ma a chi credete di fare paura che io quelli come voi li conosco sin da vivi, tu per esempio che presenti quello zigomo arcigno… in vita non ti chiamavi Gublindo Marculli da tutti conosciuto come il più fesso del paese e tu, che mi guardi con quella testa di teschio, non ti chiamavi Butrino Elemiro? Quello che tutti deridevano additandolo come il più grande cornuto in giro?»
    «Senti custode del cimitero ora sei nelle nostre ossa e non fare lo spiritoso se no ti caviamo gli occhi col cucchiaino e ci facciamo il dessert»
    «Ma non fatemi ridere, ma non vi siete visti siete due zombi che non zombereste nemmeno davanti a una donna nuda che zomba per voi e poi che cavolo volete fare che non ci avete nemmeno più il pistolino»
    «Ah, la metti così? Mo te tagliamo pure il tuo così siamo pari… passami un po’ quella forbice che lo sistemo io sto sbruffone.»
    Zac!
    «Ecco e ridi ora custode»
    «Brutti figli di scheletra, ribadisco che siete due imbecilli»
    «Ancora parli? Tagliagli un braccio, anzi no, fagli un piccolo taglietto e poi glielo strappiamo»
    Swissssssssssshhhhhhhhhhh, straaaaapppppppppppppp!
    «Tanto io sono mancino imbecilli»
    «Capperi, allora ti maciulliamo pure l’altro braccio»
    Fishhhstrappppppppppppsbrangbeng
    «Ecco fatto e ora che te ne pare»
    «Resta il fatto che siete due zombi imbecilli»
    «Ma allora vuoi proprio soffrire… tagliagli la gamba destra»
    Vrrrrrrrrrrrrrrrrstrupstrischhhhhhhhhhhhhhhhhh
    «Che fai non ridi più»
    «Ma siete proprio due imbecilli, quella era la gamba di legno»
    «Scusa ma senza gli occhi non vediamo bene, ma nun te preoccupà mo ti tagliamo pure l’altra gamba»
    Aritagllllllllvrrrrrrrsegsprushhhhhhhhhhhhhhhhhhhh
    «Cominci a fare schifo caro custode, ma non stai morendo dal dolore?»
    «Voi due mi fate solo ridere»
    «E allora mo la facciamo finita che ti magnamo tutto a morsi e poi vediamo se ridi più»
    Gnam, gnam, cotolett, polpett, arignam, slurp, slurp gnamgnam…
    «Ihihihihihih, che bello scheletro pulito pulito caro custode e mo che dici?»
    «Dico che voi siete due imbecilli morti e rimorti, ma non vi siete accorti che questa è la sala funeraria e la targhetta appesa all’ingresso è quella col mio nome, io mi chiamo Angelo Custode e sono morto l’altro ieri e il custode del cimitero ci ha appeso la targhetta per non sbagliare nel seppellire»
    «Porca urna funeraria imbecille d’un imbecille era meglio che uscivamo dalla tomba a carnevale almeno non facevamo ridere, brutto imbecille e io che te sto sempre a sentire ma li mortacci tui»
    «Ma dai non fare così, siamo sempre i due zombi più tremendi del cimitero?»
    «No, semo solo du stronzi morti e patentati»
  7. .
    Facciamo fatica a trovare qualcuno che porti avanti i terreni, un tempo ci pensava mio suocero... Grazie dell'informazione.
  8. .
    Abbiamo perso circa un centinaio di alberi e anche le "mazzarelle" nuove che avevamo impiantato dieci anni fa sono morte per soffocamento della linfa...
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    Al cor comandi

    Madonna che nel cor mi dai visione
    porta sicuro lo mio pensiero,
    apri dimora e mostrame sentiero
    non far ora d'esso mera illusione

    Tue mi son grazie per attenzione
    Sembianze vedo sul sonno sincero
    che viver giammai fu sì veritero
    aspro sapor di mera tentazione

    Preso a ciò da sentimento deciso,
    così alma e spirto in palmo di mano
    saprò conquistare lo tuo amore

    fulgido come fior da stelo odore
    mostrommi diman a voi pur certano
    spavaldo di rivelarlo a ogni viso





    sonetto in endecasillabi piani schema ABBA ABBA CDE EDC
    in stile AMOR CORTESE.
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    Purtroppo i miei alberi di olive sono stati frantumati dalla xylella, erano centenari, dopo generazioni che facevamo l'oro di puglia abbiamo dovuto comprare l'olio... e ci vorranno generazioni finché torni a crescere e produrre un albero della varietà della cellina, la tipica oliva nera del Salento. Ettari su ettari di ulivi guardano ora il Sole con i loro rami secchi e bruciati come morti che allungano le loro braccia verso la luce in cerca di vita...
    xylella
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    Uno specchio senza cornice non ha vita, manca qualcosa e il riflesso comprende che anche per esso manca qualcosa e quasi non si ha il coraggio di scoprire cosa manca. Intimismo profondo che si specchia dentro l'anima e cerca le sue chiare visioni che rendano una cornice cercata a lungo. Molto intensi questi versi...
  12. .
    Legno e finestre

    Veliero disperso.
    Dante legge Ugolino
    e mangia cantuccini e vin santo.
    Un sedile di legno e finestre al quinto piano.
    Piano non fate rumore.
    Cinque sono le ore e alla mezza,
    via per le fermate.
    Fermati maledetto autista da strapazzo,
    voglio andare a casa.
    Casa mia.
    Pettino i miei lunghi ricci,
    dispersi anche loro
    nel veliero disperso.
    Ma che cacchio era di così importante?
    Presi un vassoio di dolcetti di carnevale.
    Presi in faccia quel vento irriguardoso che ti spoglia senza toccarti.
    Presi l'abbonamento per il liceo dei grigi toni.
    Assemblea plenaria e tutti d'accordo,
    domani al porto si gioca a biliardo.
    “Cazzo, ma quello è il prof di matematica, che ci fa qui?”
    Dammi il tuo cappello da marinaio
    per la festa di questa sera al circolo nautico.
    Marinai le ore per non subire interrogatori
    e corsi verso la stazione dei stanziati dimenticati.
    Passa un autobus pieno di scheletri...
    Ma quanta gente allegra,
    ci salgo su.
    Autista da strapazzo volta lo specchio
    io sono seduto in fondo.
    In fondo ero solo seduto,
    accanto a te
    e da una cannuccia infilata negli occhi
    succhiavo cervello fresco.
    Averlo saputo non sarei sceso...
    e un autista da strapazzo guidava
    e io testa di cazzo scrivevo.
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    Sì era proprio un bellissimo stralcio della mia vita, grazie...
  14. .
    Matite nere

    Urla
    e matite nere
    strappi sul muro
    stringo e passo futuro.
    M'ascolti e ritorni
    sussurri e colmi giorni.
    Scrivo solo frasi,
    vieni sul mio marciapiede
    e paperino guida
    e aspetto l'una.
    Il jack aspetta,
    taglio il vinile
    nel geloso.
    Piove oggi,
    corri da me.
    Affanno
    Affanno
    Ci sei
    e risacca nel cuore.
    Panini al salame,
    siepi e panchine
    vele e banchine.
    Piove oggi
    pioverà forse... ieri
    e tu dove eri,
    quando gli angeli
    portarono via i pensieri.
    Piove e muoio
    nei miei versi
    distrutti e persi,
    nei tuoi occhi
    sul mondo riversi.
  15. .
    Che bel canto bucolico che s'insinua nella vita interiore e attraverso il neoclassicismo dei versi esprime tutta la forza della beltà interiore che cerca le primavere dolci del vivere. Ottima idea quella d'utilizzare metrica e sonetto minore che ben si prestano a questo tipo di materializzazioni dello spirito e della visione naturale di ciò che ci circonda. Il settenario nel sonetto minore dona alla musicalità un fresco vento di recitazione e leggerezza.
3255 replies since 30/5/2017
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