Scrittori per sempre

Posts written by G.Leroux

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    Molto molto bello. Scrittura semplice, essenziale, quella che prediligo. E' tutto molto tenero e romantico. Un amore che attraversa e supera gli anni e le mille difficoltà di una malattia devastante che colpisce nella parte più intima distruggendo ricordi e affetti. La differenza di età diventa veramente insignificante e cade in secondo piano, come anche lo scorrere del tempo che non riesce a scalfire quell'amore. La vicenda è triste ma non è certamente autocommiserativa. Ho apprezzato quella fine distinzione nella descrizione dei due giovani sposi: "lui un ragazzo di venticinque anni, lei una donna dal fascino unico". Ecco in poche parole superato di slancio il limite della differenza di età. Veramente un buon lavoro!
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    Una poesia nelle vesti di prosa ma questa non è un'osservazione critica. Resta il fatto che è scritta molto bene e realizza ciò che si propone: trasmettere un senso di disperazione e di rabbiosa impotenza. Non è il genere che prediligo, non amo quelle storie senza speranza in cui l'autore sembra immergersi quasi con masochistico compiacimento. Pur riconoscendone i grandi pregi, preferisco le storie che ti danno un barlume di speranza, una via d'uscita che, a ben guardare, c'è sempre.
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    L'attribuisco al torpore della quarantena o al pranzo pasquale un po' più abbondante del solito, ma non ho capito bene il senso. Diciamo che non ho capito la cosa forse più importante: se il giudizio finale sugli insegnanti sia positivo o negativo, cosa che mi sembra fondamentale. Darei una prevalenza al primo ma mi confonde la definizione "autoritarie maestre". Poi mi farai sapere.
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    Cose che succedono in questo periodo. Uno va a mettere a posto la cantina e ritrova vecchie edizioni di Tex Willer. E' inevitabile che ne rimanga influenzato e che poi se lo sogni la notte. Lo capisco bene io che sono cresciuto in anni lontani a pane e Tex. Lo stesso effetto mi avrebbe fatto la riscoperta di di Salgari, dove Sandokan (Tex) se la vedeva con James Brooke (Mefisto).
    Il racconto è molto carino e del tutto coerente con il tema proposto, in una chiave meno drammatica della prevalenza dei racconti letti. Anche il finale molto azzeccato.
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    Prosa che sconfina nella poesia. Anzi, l'avrei vista benissimo in versi liberi. Mi ha dato l'idea, non so se corretta, di un'autrice comunque abituata a scrivere in versi. Mi ha dato questa convinzione l'uso accurato e sapiente della parola e il ritmo incalzante che cattura e coinvolge. In ogni caso una bella prova di chi sa scrivere molto bene.
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    Pessimismo cosmico in 100 parole. Non capisco l'invidia per il ragno perennemente frustrato da solerti massaie che lo costringono a ricominciare sempre un paziente lavoro appena terminato, oppure a finire tragicamente schiacciato contro un muro senza poter nemmeno dare la colpa al coronavirus. Teniamoci quindi stretti i nostri libri e i nostri interessi senza invidia degli aracnidi o di altri invertebrati. Ho trovato una inutile ripetizione in "ha uno scopo nella vita" e "la sua vita ha uno scopo".
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    Un plauso sull'originalità dell'idea del racconto di questo periodo attraverso il punto di vista felino. Mi ero risentito un po' sulla frase degli "inutili cani" ma subito dopo è arrivato il colpo di scena. Il miagolio finale avrebbe potuto però essere un ruggito se non ci fosse qualche debolezza strutturale nel racconto. Avrei scelto un profilo meno umano e più felino del gatto che in questa forma appare fin troppo saccente e in qualche modo snaturato. Comunque, gradevole.
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    Messaggio di positività e di ottimismo che finalmente se ne frega del virus e del tempo inesorabile che passa. All'inizio avevo pensato: eccoci di nuovo all'orologio, alle lancette, al tempo che scorre... e invece ecco la svolta: una bella occasione per approfittare di questo terreno fertile per seminare e poi raccogliere. E' un inno e un invito alla creatività e a non sprecare inutilmente il tempo. Ottimo pezzo!
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    La voce narrante fa una riflessione su se stessa del tutto naturale, ma l'ho trovata un po' artificiosa, come avvolta in una spirale senza via d'uscita in cui la stessa protagonista contribuisce a immergersi mettendoci del suo. I tempi dei verbi completamente da rivedere. La frase "La mia più grande paura era quella di scoprire un giorno di non essermi mai innamorata veramente." l'ho trovata un po' eccessiva. Sarà perché ho una diversa concezione delle "grandi paure".
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    L'immagine iniziale è un po' troppo tragica e cruenta ma su tutto il resto non mi sento di fare osservazioni critiche. E' tutto ben scritto e dà perfettamente l'idea della preoccupazione di una madre che teme, in stato di assoluta impotenza, per l'incolumità dei propri figli esposti ai rischi di lavori in trincea
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    Non sono certo di aver capito bene il passaggio e il significato fra prima e seconda parte. Immagino che si tratti di una maggior consapevolezza della bambina, una raggiunta maturità che le fa abbandonare i sogni fantastici delle fiabe e scegliere la realtà della vita e degli affetti che le sono più prossimi. So per certo però che ho provato una certa emozione nel leggerlo e questo mi pare abbastanza e più che sufficiente per darne un giudizio positivo.
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    Veramente gradevole questo racconto. L'autore ha aggirato l'ostacolo della difficoltà di esprimere in prima persona le sensazioni di un bambino, sempre difficilmente riproducibili. Ha immaginato invece un futuro da adulto che rincorre i suoi ricordi dell'infanzia al tempo del coronavirus. Ne esce fuori una storia molto plausibile e coerente. Fra i racconti di questo tipo, sicuramente il migliore che ho letto, fino ad ora.
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    Ironia amara, con qualche fondo di verità. Un po' discutile la coerenza dei fatti narrati, tipo la multa per la mancanza di autocertificazione o il pagamento cash della stessa. Il miglior brano mi pare questo: "La spesa è una missione bellica: distanziare il nemico; sopprimere il passante killer senza mascherina. L’auto dei carabinieri mi toglie il respiro; mi segue, mi spia, mi affianca, mi ferma." Il resto da rivedere.
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    Ho apprezzato l'idea e la buona intenzione ma sa un po' troppo di lezioncina morale. Non riesco proprio a vedere questa funzione educativa del virus, come se questo potesse farci ritrovare alla fine persone diverse e migliori. I mio non è pessimismo ma realismo: alla fine di tutto questo saremo inevitabilmente le stesse persone. Non credo affatto all'illuminazione da virus, come non credo ad altre illuminazioni.
    Questa frase. " Lunghe ore in lezioni da un minuto, giorni e attimi, istanti… dis-tanti." la trovo mal posizionata e interrompe il ritmo dei "vorrei insegnarti"
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    E' quello che tutti ci auguriamo. L'idea è condivisibile ma ci sei arrivato attraverso un percorso tortuoso con una premessa che anziché avere una funzione esplicativa appare assai più contorta e complicata della situazione reale. La struttura poteva essere giusta ma l'introduzione pregiudica le buone intenzioni.
484 replies since 29/9/2018
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