Scrittori per sempre

Posts written by Esterella

  1. .
    CITAZIONE (Lucabii @ 7/1/2021, 13:40) 
    Molto bella, la leggero alle mie bambine, che stravedono per le fate

    Gentilissimo Luca, un bacio alle tue bambine. :emoticons-saluti-6.gif?w=593:
  2. .
    CITAZIONE (Maurizio Fabris @ 4/1/2021, 12:37) 
    In un ambiente surreale una descrizione tra realtà e fiaba. Ben condotta nelle descrizioni degli ambienti e della protagonista camminando sul filo del pessimismo e del fatalismo.
    La chiusa per altro apre ala speranza. Abile penna quella di questa scrittrice. Piaciuto molto



    constimamauriziofabris

    Troppo buono Maurizio, non mi considero una scrittrice, ma solo una persona che ama scrivere moltissimo. Grazie. :emoticons-saluti-6.gif?w=593:
  3. .
    CITAZIONE (Petunia @ 4/1/2021, 12:47) 
    Mi hai fatta tornare bambina! Bravissima👏👏👏

    Una vecchia poesia rivisitata, l'unica filastrocca che ho scritto. Grazie Pet. :noviolence.gif:
  4. .
    Marlena


    marlena

    Nella strada della vita, Marlena trovò nuvole soffici dove scrivere storie e versi, e sassi acuminati attraverso i quali dover andare avanti nel cammino.
    Distratta la luna si svestiva e si nascondeva per paura di amare.
    L’indifferenza catturava gli animi e li imbrigliava nella sua ragnatela.
    Camminare a piedi nudi era lieve e carezzevole, ma camminando a piedi nudi sui sassi Marlena sì ferì.
    E quando le ferite furono troppe da poter sopportare, lei prese la sua valigia e decise di andar via, lontano… molto lontano.
    La vita le aveva rubato i sogni, specie quelli belli che facevano danzare sulle nuvole.
    Marlena fece a pezzi istanti e li sparse dolorosi in bui nascondigli dove sperava rimanessero per sempre.
    Sorrisi svanirono dietro vetri spessi che non mostravano più immagini e lei si sentì meno di niente, semplicemente non esisteva. E la vita era in standby, immobile, sorda alle emozioni, priva di dolcezza, avara di bene, solo colma di dolore, lo masticava tra i denti dal mattino, beveva dal suo pianto ogni giorno senza fine. Tutto senza senso. E la bellezza? Era finita fuori strada. E la scrittura era solo passatempo per folli, e la poesia chimera per chi osava ancora volare con la mente.
    I suoi ultimi versi li affidò a una civetta:
    “Addio, grandi passioni... addio tenerezza infinita, mia compagna,
    addio a voi che avete nutrito d'amore il mio cuore,
    addio a chi l’ha mangiato a morsi e poi gettato. Addio.”

    Prese una valigia di stelle e di stracci di quelle adatte a chi ha poche cose da portare con sé. Le stelle cominciarono a spaziare nel cielo e a disperdere la voce che invocava una briciola di bene, anche una sola.
    L’aria era ferma, senza colore, ma se domani il vento avesse portato un fiore, Marlena non sarebbe andata via.
  5. .
    CITAZIONE (tommasino2 @ 4/1/2021, 11:35) 
    Grazie per le belle parole

    non sono solo parole, lo penso davvero.
  6. .
    Fiabe




    fiabe

    La fata Chiarina lava al sole
    i suoi capelli d’oro e viole.
    Raccoglie rugiada e brina,
    di fiori s’adorna ogni mattina.

    La strega Frustina cuoce,
    nel nero calderone con noce,
    zuppa di ortiche e viole
    recitando strane parole.

    Beve d’un fiato la mistura
    e si dilegua la sua figura
    Appare una nuvola ammantata
    la bella fata è presto catturata.

    Piange Chiarina, piange ancora
    la notte fugge e appare l’aurora.
    E quando giunge luminoso il giorno
    al suo castello non farà ritorno.

    Cavalca impavido nel vento
    Belviso, principe di talento.
    Cerca la bella fata nascosta
    da incantesimi , senza sosta.

    Con la spada uccide impavido e lesto
    ogni nemico oscuro e molesto.
    Di lui si narra carambola di gesta
    tutte le genti del bosco gli fan festa.

    E nel finale senza sorpresa
    sposa Chiarina salva e illesa.
    Nella nuova vita, sorridenti
    saranno tutti felici e contenti.
  7. .
    Ciao tom, sai essere straordinario e lo sai.
    Ci presenti un mondo parlando con semplicità e i tuoi personaggi sono vivi,
    sono scavati dentro, rivoltati, nei loro problemi piccoli o grandi che siano,
    centellinati come un bel bicchiere di vino buono e arrivano a chi legge lasciando senza fiato.
    :noviolence.gif: :mazzate.gif:
  8. .
    Molto bella la tua filastrocca, piacerà molto ai bambini, la magia della luna la rende ancora più accattivante. Brava Pet. :noviolence.gif:
  9. .
    Anche io gradirei nome e cognome. grazie Fausto.
  10. .
    Accidenti, me scappato l' ottonario. :tisupplico.gif:
    Grazie Achillu.
  11. .
    Gli adolescenti hanno sogni e desideri spesso disfatti dagli adulti. Questa ragazza sta vivendo un momento critico, è in crisi, non viene capita dalla madre per cui secondo me va da un' amica per confidarsi.
    Interessante il tuo esperimento.
    Ciao Achillu.
  12. .
    CITAZIONE (Daxcosti @ 26/12/2020, 21:04) 
    Struggente quanto basta, femminile fino al midollo! Come tutte le cose che leggo tue (lo so mi ripeto) mi piace! Se non lo hai già fatto, quando scriverai il tuo libro fammi un fischio, sono ufficialmente, tuo Fan! 🤗😘

    Sono onorata di averti come fan, di solito sono io ad essere fan di qualcuno. Troppo buono. grazie. :pazzo.gif:
  13. .
    CITAZIONE (Petunia @ 27/12/2020, 09:10) 
    Una “ventata gioiosa” che porta una bella storia d’amore che... sboccerà?
    Un racconto dietro l’altro la saga continua e il vento mi è parso più gentile in questo capitolo.

    Grazie Pet, vento gentile stavolta, ma mai fidarsi il vento è capriccioso. :noviolence.gif:
  14. .

    La cascata delle fate



    La vita nella bottega trascorreva tranquilla. Era quasi primavera e nel locale accanto a “L’angolo della meraviglie”, dove un tempo c’era una falegnameria, cominciarono lavori di ristrutturazione.
    La gente curiosa si chiedeva chi avesse deciso di rimettere a nuovo il locale e cosa volesse farne.
    Un giorno arrivò nella bottega di Alfonsina una cliente venuta a comprare capi ricamati per la figlia che stava per maritarsi.
    — Mi hanno parlato molto bene di voi, abito in campagna verso Fontanelle e poi proprio qui accanto verrà ad abitare un mio parente. Berto si chiama.
    — Ah, e riaprirà anche la falegnameria?
    — Sì! È pratico del mestiere e ora anche suo padre è venuto a mancare ha deciso di ripristinare la vecchia bottega appartenuta a suo nonno Meo.
    — Mi fa piacere che abbia deciso di stabilirsi qui a Roccaraldina. Verrà con la famiglia?
    — Eh, poveretto, sua moglie è morta di parto dodici anni fa. Verrà lui e la figlioletta Clara —

    Nel giro di poco tempo Berto e sua figlia andarono ad abitare nella piazza, nella casa sopra la falegnameria, accanto alla bottega di Alfonsina.
    Il giorno dopo l’uomo si presentò sulla soglia con aria compunta seguito dalla figlia, una bambina bionda vestita di nero, che si aggrappava alla sua giacca come se avesse paura del mondo intero.
    — Sono Berto, il vostro vicino. Volevo dirvi che se avete bisogno del mio aiuto o di qualche lavoro di falegnameria, io sono a vostra disposizione— disse gentilmente ad Alfonsina.
    Poi aggiunse: — Lei è mia figlia Clara.
    — Grazie! Siete i benvenuti— sorrise la donna.
    La bambina intanto si era staccata dal padre e incantata guardava i giocattoli in bella mostra sugli scaffali, tutte quelle bambole… non aveva mai visto niente di simile in vita sua, il padre dovette chiamarla due volte per attirare la sua attenzione.
    Una ventata gioiosa entrò intanto nel negozio, Paolina aveva fatto il suo ingresso, sorridendo, accompagnata dall’ondeggiare dei suoi capelli. I riflessi accesi rosso brunito catturarono lo sguardo dell’uomo che parve ammaliato dall’immagine della fanciulla.
    — I nostri vicini, mia figlia Paolina.
    — I miei ossequi, signorina. Clara andiamo.
    Avendo notato lo sguardo rapito della bambina, Alfonsina le disse: — Puoi venire a trovarci quando vuoi.
    Per la prima volta da quando era entrata il volto della bambina s’illuminò e prima di andarsene si girò più di una volta, come ad accertarsi che fosse tutto vero.

    Clara tornò spesso nella bottega. Ad Alfonsina faceva tanta tenerezza, al punto che chiese alle ragazze della scuola di ricamo di confezionare un vestito per il ballo della festa di primavera anche per lei. Quando la giovinetta lo seppe chiese titubante: —Ma io sono a lutto, posso indossare questa bellissima camicetta bianca e ballare?
    —Oh, certo che puoi, anzi devi! Paolina ti farà vedere i passi principali.
    — Però devo chiedere prima a papà.
    Suo padre che era molto severo rimase così frastornato da tutte queste novità, ma non seppe negarle il permesso.
    — Basta che mi segui e fai come me, tutto andrà bene — le diceva Paolina e Clara imparava con diligenza. Pareva essere rinata e sebbene sentisse la mancanza della madre specie dentro casa, era infervorata da questa nuova vita, da queste donne che si occupavano di lei. Alfonsina le insegnava a leggere, Lena a ricamare, Paolina a ballare e lei scopriva un mondo nuovo che scacciava via ogni pensiero triste.
    Quando le due ballerine indossarono l’abito tradizionale per il ballo, Berto quasi svenne. Era emozionato per la figlia, ma anche estasiato da quella fanciulla bellissima coi capelli rossi che sembrava una fata. Alfonsina lo vide commosso fuori la falegnameria con l’aria persa e insieme a Lena gli portò i dolci e le focacce che avevano preparato per la festa.

    I mesi volarono lesti, l’inverno con le sue gelate portò con sé anche i malanni. Alfonsina che ormai non era più tanto giovane si ammalò, Lena e Paolina l’accudivano con sollecitudine. Lei le guardava con affetto, non era mai stata sola e il suo mondo fatto di sole donne era risultato forte e vittorioso. Non avrebbe potuto desiderare una vita migliore di quella che aveva vissuto, nonostante i momenti tristi.
    A volte sedeva nella bottega con una coperta sulle gambe, Lena veniva a trovarla sempre più spesso, Clara seduta composta su una seggiola si accoccolava accanto a lei, mentre Paolina si occupava dell’andamento del negozio.
    Col passare dei giorni il suo respiro a causa dell’infezione polmonare cominciò a diventare sempre più affannoso, fino a che Alfonsina non riuscì più ad alzarsi dal letto. Sentiva che la vita la stava abbandonando, avrebbe voluto ancora passare del tempo con le sue ragazze, specie con la sua adorata figliola, ma non era più possibile.
    Con un filo di voce chiamò Paolina, il cuore d’oro al collo della giovane luccicava, lo prese tra le mani e disse: — È arrivata l’ora che tu sappia chi era quel signore che ti fece questo dono. — e con un filo di voce fece alla figlia il lungo racconto della sua vita e di quel padre che troppo tardi si era ricordato di lei.

    Un giorno di primavera Alfonsina morì. Tutti gli abitanti del borgo l’accompagnarono nel suo ultimo viaggio. Berto tremava vistosamente col cappello in mano, Clara nel suo vestito nero affiancava suo padre con gli occhi vuoti. Paolina guardava quel cielo azzurro e le sembrava di una tristezza infinita, stretta al braccio di Lena cacciava indietro le lacrime seguendo sua madre nell’ultimo viaggio. Quando si volse verso il marmo bianco, prima di andar via dal cimitero, una tromba d’aria si fermò sulla tomba dove depositò una nuvola di fiori bianchi.

    Paolina rimase sola, sebbene ci fosse sempre Lena accanto a lei, l’assenza della madre, la cui immagine riempiva ogni angolo della casa e della bottega, la faceva sentire come un naufrago sperduto. La piccola Clara a volte si affacciava sulla soglia, ma non riusciva ad entrare nella bottega, per lei era come se avesse perso un’altra madre, ogni volta sull’uscio scoppiava a piangere e correva via e per Paolina erano momenti che le squarciavano il cuore. Berto non si avvicinava nemmeno alla porta, aveva paura di ogni sua reazione, ma quando lei usciva la seguiva con lo sguardo sospirando.
    L’unica cosa che procurava un poco di sollievo alla giovane era disegnare. Cominciò così dalla sua finestra a osservare i paesaggi che si districavano nei dintorni del paese, testimonianza della bellezza di quel luogo, e a dipingerli.
    Quando la madrina capì che la pittura poteva essere una medicina per l’anima della fanciulla, si ricordò del quadro che aveva acquistato tempo prima alla festa di primavera e il giorno del compleanno di Paolina glielo donò.
    — Avevo deciso di scoprire questo luogo fantastico qui raffigurato e lo farò, prima di diventare vecchia decrepita. Tu naturalmente verrai con me— disse Lena.
    La giovane ne fu entusiasta il disegno era splendido, doveva averlo realizzato un bravissimo artista e il posto raffigurato doveva essere fantastico. Emozionata lo mise sul banco della bottega per tenerlo vicino e poterlo osservare a piacimento lasciando spazio libero ai suoi sogni.

    Lena era stata capace di comunicarle energia, vitalità e questo per lei era molto importante.
    La donna veniva quasi tutti i giorni a trovarla col suo calessino da passeggio e cercava di risvegliare il lei quella giovinezza che si era offuscata.
    Un giorno arrivò animata da un entusiasmo così acceso che Paolina non riusciva a capire.
    —L’ho trovato Paolina, ho trovato il luogo del disegno. Chiudi la bottega e andiamo— disse, abbracciandola con un sorriso beato.
    — Ma andiamo dove?
    — Cambiati le scarpe! Ci sarà da camminare molto.
    Contagiata dalla madrina Paolina la seguì verso quel luogo sconosciuto inoltrandosi tra i viottoli che sinuosi serpeggiavano nella boscaglia. L’erba si piegava ai loro passi, accarezzando le caviglie in un fruscio. Attraversarono sentieri e s’inoltrarono tra la vegetazione con passo spedito, poi a rallentare fu proprio Lena che non più giovanissima aveva il fiatone.
    — Ci riposiamo? — propose Alfonsina
    — No, no siamo arrivate, dietro quegli alberi.
    Il mormorio dell’acqua che scorreva giungeva ai loro orecchi, poi apparve il luogo incantato, protetto dagli alberi, dove sorgeva una piccola cascata. Paolina ebbe la sensazione di essere arrivata nella terra delle fate, tanto quel luogo era di una bellezza rara. La cascata sgorgava tra il verde del bosco, fragorosa, e si tuffava in un abbraccio tra le acque del fiume, formando una tenda bianca di schiuma all’ingresso di una meravigliosa grotta naturale.
    –È la cascata delle fate– disse Lena, – quando una donna si bagna in questo luogo e un uomo la vede non può fare a meno di innamorarsi di lei.
    — Ma va, sono solo leggende— sorrise Paolina.
    — Sarà, ma adesso facciamo un bel bagno che ne dici? —disse Lena, togliendosi le scarpe e i vestiti.
    La ragazza la guardava un poco titubante, ma era tanta la gioia che emanava la donna che non poté fare a meno di seguirla.
    — Però io non so nuotare.
    — T’ insegno io!
    S’immersero entrambe in quell’acqua gelida indossando solo la sottana e lasciarono che il corpo galleggiasse, poi, Lena una bracciata dopo l’altra, cominciò a insegnarle a nuotare.
    I raggi del sole giocavano sulla pelle bianca, Paolina cominciò a capire perché quel luogo piacesse così tanto alla sua madrina e fu contagiata anche lei dall’euforia. Scherzarono a lungo tra le onde, poi però il sole cominciò ad allontanarsi dietro i monti e a malincuore dovettero andar via.
    — Torneremo vero? — chiese Paolina.
    — Ci puoi giurare! rispose Lena al settimo cielo.
    Arrivate a Roccaraldina si salutarono, Lena riprese il calesse e s’allontanò verso casa.
    Correva col suo calessino, spronando il cavallo, era già quasi buio lungo la strada che portava a Fontefredda. Sentiva addosso ancora i brividi provati, le sembrava di sognare, lei aveva sempre avuto sempre pochi entusiasmi, adesso si sentiva felice. Aumentò ancora l’andatura del cavallo incitandolo, quando a una curva a causa della velocità una pietra fece capovolgere il calesse e lei fu sbalzata dal sedile. Finì in fosso battendo con la testa contro una quercia e svenne.
    La trovarono il mattino dopo ormai senza vita, il cavallo senza guida aveva vagato nei boschi.

    Fu un altro duro colpo per Paolina, ora era davvero sola. Di quel gruppo di donne era rimasta solo lei, le loro ombre parevano riaffiorare nella casa, nella bottega, risentiva le loro voci, ricordava i momenti belli vissuti insieme e adesso le sembrava di essere caduta in un incubo senza fine. Ormai trascorreva quasi per intero le sue giornate, dentro la bottega, era triste tornare in una casa vuota dove non l’aspettava nessuno.
    L’inverno fu tremendo per il freddo e le nevicate che impedivano alla gente di muoversi, costringendole a rimanere chiuse tra quattro mura. Lei usciva al mattino chiudeva il portone ed entrava nella bottega attraverso la porta accanto, il tempo di respirare appena quell’aria gelida che trasformava il suo respiro in fumo, ed entrava in quel mondo che si rinnovava, con nuovi oggetti, con capi ricamati, ed era l’unica testimonianza della vita che in qualche modo andava avanti.
    Chiusa nel negozio riprese a disegnare, disegnava le sue bambole, la facciata della chiesa di fronte al suo negozio, rivedeva le immagini dei fiori, degli uccelli che adesso erano nascosti dalla neve e li faceva rivivere nei suoi disegni con i loro colori, era come se reinventasse la natura scuotendola dal sonno dell’inverno.
    Le capitava a volte parlava di parlare con la bambola Betty, che lì sullo scaffale era una presenza fissa e le ricordava sua madre.
    —Questa strada di neve mi gela il cuore, Betty e quest’inverno speriamo che passi— diceva sospirando.

    L’inverno per fortuna passò. Il sole tornò a baciare il piccolo borgo e Paolina ricominciò ad essere impegnata nell’attività frenetica della sua bottega. In occasione della “Festa della primavera” che si sarebbe svolta di lì a poco, bisognava preparare i costumi nuovi per le fanciulle e i giovanotti che avrebbero ballato attorno al fuoco. Lei vendeva molti di quei grembiuli con ricami e di quei fazzoletti bianchi con le trine che avrebbero indossato, sempre provenienti dalla scuola di ricamo che adesso era gestita dall’allieva più anziana della sua madrina Lena.
    Durante l’inverno aveva disegnato fiori, uccelli, stelle e forme varie, il suo tracciare figure che inventava con bravura e fantasia, più che una passione, come era inizialmente, era diventato un vero e proprio lavoro, impegnativo e meticoloso. Affidava i suoi disegni alle ragazze della scuola di ricamo che li riportavano su tovaglie, grembiuli e centrini di stoffa raffinata; i capi realizzati con somma bravura venivano esposti in un cesto per attrarre l’attenzione delle clienti.
    C’erano però quei momenti in cui si rendeva conto di non avere nessun altro con cui condividere le piccole gioie e un affetto familiare e diventava improvvisamente cupa e irritabile.
    Si sentiva prigioniera e soffriva sia dentro casa che in bottega, anche se adesso vedeva gente ed erano tutti buoni con lei, anche se i bambini a volte la facevano sorridere, non le bastava: il contatto con la gente che entrava in bottega era breve, fine a se stesso, e doveva fare i conti con le interminabili giornate, dense di un vuoto senza nome.
    Non le bastava la compagnia di Clara che gironzolava fuori la porta della bottega con i suoi occhioni tristi, bisognosi di un affetto che lei non riusciva a darle, perché aveva bisogno a sua volta di essere amata, di conoscere il mondo al di fuori di quel guscio in cui era vissuta fino ad allora.
    Non le bastava la bambola Betty, col vestito rinnovato con trine e merletti, che la guardava dallo scaffale, era un’amica che non poteva risponderle, ma lei le parlava lo stesso.
    – Vedi Betty, qui dentro abbiamo tutto un mondo, ma è solo un riflesso di quello vero che sta là fuori, ed è proprio quello che io vorrei incontrare. Un giorno o l’altro dobbiamo andar via di qui –

    A volte ricordava di Lena che era morta proprio in quel giorno in cui le aveva fatto conoscere quel luogo incantato, nel quale erano state felici. Il suo cuore di fanciulla cominciò allora a fantasticare sulla bellezza di quel posto; provò anche a disegnarlo, ma si rese conto di non esserne all’altezza.
    “Devo tornare in quel luogo” pensava tra sè e bramava di poter entrare in quella dimensione di sogno in cui era stata e che le aveva travolto i sensi.
    Un giorno non riuscì più a frenare il suo desiderio e decise di andare. All’ora di pranzo, chiusa la porta della bottega, s’ inoltrò lungo il viottolo che mentalmente aveva ripercorso molte volte. Risentiva la voce di Lena che la spronava a proseguire e fu come se qualcosa si riaccendesse dentro di lei, un istinto libero, selvaggio. Cominciò a correre attraverso il bosco, il sorriso riapparve a illuminarle il volto. Era quella la strada della sua felicità e nuotare nella cascata delle fate era tutto quello che desiderava in quel momento.

    Il luogo magico l’accolse in tutto il suo splendore, il sole brillava a pelo d’acqua, tutto aspettava lei, l’acqua per abbracciarla, il sole per baciarla, la natura cantava nei cinguettii degli uccelli sui rami e adesso non si sentiva più sola. Ricordava gli insegnamenti di Lena e con impegno cominciò a muoversi nell’acqua con armonia allontanandosi dalla riva fino a raggiungere la cascata.
    — “Queste sono le lacrime delle fate “pensò. “Solo dopo aver pianto si può essere felici.”
    Decise che sarebbe tornata in quel luogo magico ogni volta che avrebbe potuto.
    Era così presa da se stessa, dai suoi sogni che non si accorgeva delle persone attorno che le volevano bene, come Berto, quell’uomo era sempre stato presente anche quando c’era sua madre e adesso a maggior ragione si offriva per ogni cosa potesse servirle, le procurava oggetti da mettere in vendita e quando lei non se ne accorgeva la guardava con adorazione.
    Clara, che aveva cominciato a frequentare la bottega e l’osservava ammirata quando la vedeva disegnare dando colore a quelle immagini che parevano diventare vive.
    –Vuoi imparare? – le chiese un giorno e la ragazzina rispose: — I disegni sono splendidi, ma a me piacerebbe riuscire a ricamarli sulle tovaglie e i fazzoletti, come mi stava insegnando Lena.
    — Allora devi frequentare la scuola di Fontefredda— disse Paolina interessata.
    — Ma è lontano, come ci arrivo?
    — Parlerò io con tuo padre, ti accompagnerà lui.
    La prese per mano e insieme entrarono nella falegnameria. Berto quando le vide rimase imbambolato a guardarle. Paolina gli spiegò che per il bene della bambina era necessario che frequentasse la scuola di ricamo e che lui doveva accompagnarla.
    Di forte alla ragazza così decisa e travolto dal fascino che esercitava su di lui l’uomo acconsentì.

    Clara cominciò a frequentare la scuola, quando era a Roccaraldina passava il tempo nella bottega di Paolina, insistendo per aiutarla a mettere a posto gli scaffali e le raccontava dei progressi che faceva ogni giorno nell’arte del ricamo.
    Paolina era contenta di avere qualcuno vicino, non si sentiva più sola e quella ragazzina le ispirava un immenso affetto ed era contenta che stesse seguendo la sua aspirazione.
    Lei stava ancora cercando la sua e quando il suo sguardo cadeva sul disegno della cascata delle fate, sapeva che era lì che erano racchiusi tutti i suoi sogni. Quell’immagine rappresentava per lei la sua porta immaginaria verso un oltre che la estasiava.
    Il tempo da dedicare a se stessa era poco, ma ora che l’aria era calda e le giornate lunghe e quando la bottega era chiusa, per la pausa pomeridiana, si riaccendeva in lei la voglia di avventurarsi nei boschi che circondavano il paese e raggiungere quella che chiamava: la sua cascata. Immergersi in quell’acqua in quel luogo di quiete sembrava avere il potere di annegare ogni cruccio, ogni stanchezza, di far scivolare via i problemi quotidiani e la malinconia che a volte si presentava a farle compagnia. Avvolgersi in quella carezza che pareva essere riservata solo a lei, era una meraviglia.
    Quei raggi dorati che sfioravano l’acqua e il tremolio dell’onde che scivolavano davano ristoro agli occhi e al cuore. Dondolando l’acqua mormorava a e al suo ritmo cullava le membra abbracciandole. Ritrovava in quel luogo un misterioso senso di appartenenza, come trovarsi in un grembo materno dal quale non ci si è mai divisi completamente.

    Con la primavera il paese cominciò ad animarsi, la festa che s’avvicinava coinvolgeva tutti gli abitanti del paese, nell’attesa di poter vivere un momento di spensieratezza, più di tutto si attendeva con curiosità l’arrivo degli artisti che avrebbero dipinto scorci del paese, come accadeva già da alcuni anni.
    – Sono arrivati i pittori per la mostra. Sono in paese già da ieri. Ci sarà movimento– disse quel mattino Clara, eccitata.
    Poco dopo nella bottega di Paolina entrò un signore, vestito in maniera eccentrica, senza giacca e cappello. Si guardò in giro e poi soffermandosi ad osservare il disegno della cascata in bianco e nero sul suo banco le chiese: – Bellissimo, quanto costa?
    Lei confusa rispose che era un regalo e non per nessun motivo se ne sarebbe separata.
    – Dica all’autore di farne uno a colori. Questo luogo deve essere una meraviglia…. Buongiorno!
    Paolina incredula guardava quel disegno e le sembrava che trasmettesse dolcezza e calore.
    Paolina aveva capito che l’uomo che entrato era un pittore, ma era più che altro infastidita da queste persone, rappresentavano un elemento di interesse che animava il borgo richiamando numerosi visitatori ed amplificavano l’atmosfera di una festa che, però, lei non sentiva.

    Il gruppo di pittori arrivato per partecipare alla mostra di pittura estemporanea, che si sarebbe conclusa in occasione della serata finale della “Festa di primavera”, alloggiava presso la locanda “Rifugio del Cervo”. Spesso qualcuno di loro si incontrava nei vicoli, in angoli di bosco, e persino nei pressi della piazza intenti a studiare il paesaggio. Da allora Paolina cercò di evitare quei luoghi un po’ appartati, dove era probabile incontrare qualche artista in cerca di scorci caratteristici.
    La voglia di tornare alla cascata però era troppo invadente. La ragazza considerò che per arrivarci si dovevano seguire sentieri tortuosi ed era improbabile che qualcuno non pratico del posto ci arrivasse. Si sentiva padrona di quel piccolo paradiso e non seppe rinunciare al suo appuntamento con la cascata.
    I raggi caldi del sole brillavano sull’acqua e tutto era avvolto dal cinguettare degli uccelli sugli alberi e dallo scrosciare canterino dell’acqua che si riversava nel fiume.
    Tolse il vestito e con la sola camiciola si gettò in acqua o meglio abbracciò l’acqua perché s’immerse con delicatezza fino a sentirsi circondata completamente da quella massa liquida che pareva avere un magico effetto benefico che la faceva fremere di una gioia sconosciuta.
    Aveva trovato il suo elemento, spaziava con tutto il corpo attorno a sé e solo in quel mondo fluido trova la sua dimensione. Il fiume l’accolse lieve, non c’erano pericoli e lei s’involava nuotando nell’azzurro. Quanta forza in quella quiete che la cullava, si sentiva come una piuma nell’aria, non aveva peso né consistenza solo si affidava al dolce scorrere delle onde.

    Mentre usciva dall’acqua dopo quella nuotata, che pareva averla fatta rinascere a nuova vita, vide un uomo con pennelli e tavolozza che stava dipingendo proprio sulla riva del fiume.
    Qualcuno aveva dunque trovato la strada per raggiungere quel luogo magico. Del resto avrebbe dovuto considerare che anche se il suo luogo segreto lo conoscevano in pochi, forse nessuno, come lo aveva trovato lei non era escluso che qualcuno prima o poi lo scoprisse.
    L’uomo era tutto intento alla sua arte e pareva non essersi nemmeno accorto della sua presenza, mentre lei lo scrutava lui non aveva mai alzato gli occhi dal suo lavoro.
    Lei era confusa e imbarazzata, ma nello stesso tempo determinata. Pensò di recuperare i vestiti, lasciati a riva dal lato opposto a quello dove si trovava il pittore. Continuò a osservarlo, ma lui non si mosse e lei riuscì con cautela a guadagnare la riva e infilare i vestiti in fretta. Ce l’aveva fatta… adesso sarebbe scappata via, attraverso il sentiero che si apriva alla sua sinistra.
    Prima che potesse defilarsi, però, il giovane la guardò e le sorrise.
    – Buongiorno!
    – Come osate venire in questo luogo senza permesso! – lo apostrofò Paolina, non sapendo che dire.
    – Chiedo scusa, forse il fiume vi appartiene?
    – In un certo senso, solo io conosco la strada per raggiungere questa meraviglia e a quanto pare non più – disse lei delusa e rattristata.
    – Non volevo interrompere il vostro idillio. Sembravate tutt’uno col paesaggio, come una Venere che esce dall’acqua.
    Lei lo guardò interrogativa.
    – Mi presento sono Matteo De Guillard e faccio parte del gruppo di pittori che faranno la mostra estemporanea nel vostro borgo. Ero stato in questo luogo appena adolescente insieme a mio zio e avevo fatto un disegno a carboncino, fu l’unica cosa che mio zio riuscì a vendere. Sono tornato con qualche anno di esperienza per fare il quadro più bello di tutti i partecipanti alla mostra.
    – Devo dire che non siete affatto modesto signore, anzi mostrate sfrontatezza e arroganza. – disse Paolina, anche se aveva capito di avere di fronte l’autore del disegno che lei teneva in bottega e questa scoperta le aveva messo addosso un’inquietudine sconosciuta.
    – Mi credete presuntuoso. Ebbene sarà il fascino di questi luoghi magnifici che mi esalta. Anzi avvicinatevi così potrete ammirare la mia bozza. –
    E vedendola titubante continuò: – Non abbiate paura.
    Lei andò più vicino per osservare e vide tratteggiata l’immagine del fiume e una figura di donna appena abbozzata. Era lei…
    – Non vorrete presentare questo quadro, spero! –
    –No, se non mi date il permesso. Però se poserete per me ve lo regalerò. Beh, posso dire che non potrei avere modella migliore – concluse, osservandola scherzoso.

    Lei scappò via senza voltarsi indietro.
    – Domani vi aspetto qui alla stessa ora – le gridò dietro l’uomo.
    “Come si permetteva quello, che sfacciataggine!” pensò, ma dentro si sentiva una strana cosa che le stringeva lo stomaco e una strana leggerezza tanto che avrebbe voluto volare. Quella notte non chiuse occhio ripensando a quell’incontro e non sapeva se a farla fremere era che quel pittore aveva scoperto il suo luogo magico e voleva dipingerlo compreso lei stessa, oppure se era il pensiero di lui, così affascinante con quegli occhi verdi dalle lunghe ciglia che sembravano volerla catturarla. Non sarebbe tornata al fiume, certo che no, non ci sarebbe andata fino a quando quel Matteo e quegli altri intrusi non sarebbero andati via dal paese.
    La tentazione di andare il giorno dopo a quello strano appuntamento, che le sembrava una follia, fu forte, ma riuscì a resistere. Per tutta la mattinata ci fu un via vai di gente al negozio, che le lasciò appena il tempo di assaggiare un pezzo di pane e allontanò dalla mente l’insano proposito di correre al fiume per vedere il quadro del suo paradiso e anche per vedere lui.
    Prima di chiudere rimise a posto gli oggetti sparpagliati in disordine. Poi guardò la sua bambola Betty.
    –Oh Betty, tu che avresti fatto al posto mio? È così triste questo piccolo borgo e quando penso al fiume e alla cascata mi si apre il cuore. Forse ho fatto male a non andare… anche cinque minuti sarebbero bastati.

    Il giovane pittore che affollava di pensieri la sua mente, si trovava insieme agli altri artisti che partecipavano alla mostra al “Rifugio del Cervo”.
    Aveva atteso la sua modella invano per tutto il giorno, ma non si era arreso, avrebbe comunque completato il quadro della cascata, alla bozza della figura femminile avrebbe pensato poi. La sera era di malumore e pensò bene di trascorrere la serata in compagnia di un bel boccale di birra.
    – Ehi amico come procede il lavoro? Io ho adocchiato un picco di montagna particolare che chiamano: “Il picco del diavolo” e ne sono molto soddisfatto. – disse il pittore Joaquin la Nerve, un’artista di origini ispaniche abbastanza noto nell’ambiente, sedendo al suo tavolo con un boccale più grosso del suo.
    – Io mi accontento di uno squarcio di fiume, ma ho ancora tanti dubbi– rispose Matteo.
    – Il fiume… sei molto romantico amico. Lo sai c’è un negozio nella piazza del paese dove è esposto un disegno a carboncino di una cascata… sarebbe interessante trovare quel posto, se esiste nella realtà.
    Matteo ebbe un brivido, ma l’altro non se accorse, aveva trangugiato troppa birra e non era tanto lucido.
    – Sarebbe ora di andare a dormire Joaquin, domani ci aspetta il lavoro– concluse Matteo ritirandosi, lo stesso fece l’altro.
    La notte il pensiero di quel disegno lo tormentò per molto tempo prima che la stanchezza lo vincesse affidandolo al sonno.

    La mattina dopo si recò in paese e trovò con facilità la bottega che gli era stata descritta.
    Stava per entrare risoluto, quando si trattenne arretrando e calato il capello sulla fronte fece finta di osservare la vetrina con la merce esposta, ma il suo punto di osservazione era la fanciulla dai riccioli rossi che dietro il banco impacchettava gli acquisti, sorridendo ai clienti. Ecco dove si era nascosta la ragazza del fiume.
    Sentiva il sudore scorrergli dalla fronte e l’ansia gli impediva persino di respirare normalmente. Accanto a lei c’era il disegno a carboncino che lui stesso aveva realizzato anni addietro. Non poteva essere una coincidenza, lei doveva essere la sua modella… lei e nessun’altra.
    Emozionato come un bambino cominciò a memorizzare il colore degli occhi, i riccioli ribelli che le cadevano sulla guancia, quell’aria dolce, ma svagata che non dava nessuna certezza, le mani lunghe e sottili, il viso ovale. L’avrebbe ritratta lo stesso, anche facendo a meno della sua presenza disse a se stesso e abbassando lo sguardo si allontanò.

    Paolina, intanto, immersa nel lavoro non si era accorto di essere stata osservata, dietro il vetro del negozio. Confinata nei suoi pensieri, mentre era alle prese con i clienti che le si rivolgevano continuamente per l’acquisto dei vari articoli.
    Lei era garbata e gentile, ma la sua mente era altrove…
    Stava considerando che se lei non andava al fiume quell’uomo per ripicca avrebbe potuto mettere in vendita il quadro che la ritraeva, che sarebbe stato sotto gli occhi di tutti e anche se la figura femminile era appena abbozzata sarebbe bastato il rosso dei capelli a far capire che si trattava di lei. Non poteva permetterselo. Decise quindi che dopo chiuso il negozio sarebbe andata al fiume a parlare al pittore…
    Aspettò con ansia che il tempo passasse, non vedeva l’ora di andare fiume, ignara della visita che aveva ricevuto quella mattina. Chiuso il negozio si spazzolò con cura i capelli, indossò un paio di scarpe comode e si avviò lungo il sentiero a lei noto. Il cuore le batteva ribelle e lei cercava di calmarlo, ma quando arrivò non trovò nessuno. Delusa si guardò intorno e cominciò a gettare sassolini nell’acqua.
    “Meglio così!” pensò. Forse lui aveva trovato un altro posto da dipingere, il suo angolo speciale rimaneva incontaminato e poteva averlo tutto per sé. Senza pensarci due volte si spogliò e s’immerse nell’acqua fresca, le fece subito un effetto ristoratore e scacciò i pensieri molesti. Si sentì rigenerata e di nuovo viva a contatto con quello che era il suo mondo magico.

    Quando si decise a uscire dall’acqua, lui era sulla riva, accanto alla tavolozza, che la guardava rapito, con quegli occhi verdi carichi di promesse.Arrivata accanto al pittore si fermò a guardarlo senza riuscire a trovare le parole giuste. Poi lui sorrise: Posso sapere almeno il tuo nome? – disse con confidenza.
    – Io… io… sono Paolina biascicò lei confusa, mentre si rivestiva. Con l’abito addosso si sentì più sicura; gli avrebbe parlato, ma prima di dire qualsiasi cosa andò a sbirciare l’opera alla quale il pittore stava lavorando.
    – Non è possibile! – esclamò stupita, quando vide il quadro. I colori del dipinto erano tenui, sfumati, ma la donna aveva cominciato ad avere un volto e un corpo e le somigliava molto, anzi no, era proprio lei, l’aveva ritratta… anche se lei non era stata presente.
    – Ti piace? – continuò l’uomo.
    Senza neanche rendersene conto passò anche lei al tu e gli si rivolse stranita.
    – Come hai fatto… come hai fatto a ritrarre le mie mani e il mio viso in maniera così precisa, se mi hai vista una volta sola?
    – Segreti d’artista e poi avevo deciso che la mia modella dovevi essere tu.
    – Questo quadro sarà mio, te lo compro a qualsiasi prezzo. E farai bene a farne un altro per la mostra, non voglio che qualcuno veda questo dipinto.
    – Credi che io sia così crudele da metterti in mostra nel tuo paese, dove tutti ti conoscono, mezza nuda, mentre esci dall’acqua?
    – E se non lo sei, quanto vuoi allora per darmi il quadro?
    – Nulla solo che tu mi faccia osservare i tuoi occhi, il tuo volto in modo che il quadro sia perfetto. Vedi ho colto l’emozione di un momento importante per me, mentre osservavo la tua bellezza che si fondeva con quella del paesaggio, eri così persa nel tuo mondo che sembravi una dea del fiume, felice nel suo elemento. Non ci può essere prezzo per un’opera così…

    Lei ancora non capiva e il suo sguardo apparve corrucciato.
    – Se vuoi farmi da modella devi restare serena, non fare quell’espressione, il tuo viso ne soffre, guarda laggiù verso il fiume, come se fossi da sola.
    Paolina si distese, doveva solo guardare il panorama, a lui interessava solo il suo viso e poteva osservarla anche con i vestiti, quindi non c’era nulla di male.
    L’espressione degli occhi adesso era serena e lui poté cogliere la luce dei suoi occhi e studiarla. Dopo lunghi minuti lei come se si ridestasse da un sogno disse: – Adesso, devo andare, ho un negozio da riaprire. Allora quando sarà pronto il mio dipinto?
    Lui scoppio a ridere. – Tuo? Ma sono io che lo sto dipingendo e ci vuole ancora molto lavoro. Ti aspetto domani – disse lui, concentrandosi sui suoi colori.

    Paolina andò via infuriata. Quello lì l’aveva ritratta come una principessa e poi non la degnava di uno sguardo, lei era solo parte del paesaggio, non una donna o forse era solo un modo per provocarla?
    Nessuno mai era stato così impertinente nei suoi confronti, tutti si deliziavano della sua presenza e lui invece non vedeva in lei altro che una macchia di colore. Ma in fondo che le importava, tanto sarebbe andato via e tutto sarebbe ritornato nella normalità, doveva solo avere quel quadro.
    Sospirò. Sogni, illusioni, speranze che erano solo favole…
    —L’uomo che vede una donna bagnarsi in questo luogo se ne innamora- aveva detto Lena e se fosse stato veramente così, poteva esserci amore tra lei e un uomo di passaggio?
    Eppure sentiva che quegli occhi verdi le erano arrivati dritti al cuore fino a sconvolgerla.
    Avrebbe voluto vivere quel momento di felicità e farlo bastare per sempre, ma ne sarebbe stata capace? E lui avrebbe visto oltre all’immagine del quadro anche la sua essenza di donna?
  15. .
    tolta dall'autrice per concorso.

    Edited by Esterella - 29/12/2020, 20:59
272 replies since 6/9/2020
.