Papā di giovedė.

Mi siedo in cucina, su una sedia stretta di fōrmica,
la stessa di quando avevo vent’anni, riconosco un’ammaccatura.
Mia madre mette su la caffettiera da due tazze, č tutto poco in quella casa, pure il caffč.
Mi esplora come se non fossi figlio suo, come se fossi una novitā.
Arriva papā, si siede, non si era accorto di me, ci sente poco.
Lui sta sempre sul balcone, tra gerani e lillā, e gli piace la gente, vedere la gente.
Mi racconta di quanti aerei inglesi ha mandato gių.
Lo racconta come se fosse accaduto la settimana scorsa, con dovizia di particolari.
Cose che conosco, ma che riascolto volentieri.
- Papā, ti ho portato le ciambelline al vino, sono piccole, cosė non ti faranno male.
Le tiro fuori dalla busta della spesa: - eccole papā.
- E come si mangiano queste?
- Le bagni nel vino e le mangi, come le vuoi mangiare?
- E che ne so io, -dice.
Gli sorrido, lui mi stringe la mano, č ancora forte la sua stretta.
- Corri sempre vero?
- Si papā, ma meno, mi stanco facilmente.
- E lascia perdere la corsa.
- No papā, se mi fermo divento robusto come te.
- Io non sono robusto.
- Lo so, scherzavo.
- Che turno fai?
- Ho fatto la notte
- E non vai a dormire??
- Non mi va di dormire, mi sembra tempo perso farlo,
hai visto il Festival, papā?
- No, finisce troppo tardi.
- E tu guarda solo l’inizio, c’č quella che piace a te.
- Chi?!
- Nulla, papā (mia madre ride).
Sta sempre zitta mamma, quando parlo con papā se ne sta in disparte, per rispetto.
Ci guarda con un mezzo sorriso compiaciuto e ascolta tutti i nostri discorsi
semplici come se fossero la Santa Messa, con devozione.
Contenta se parlo con lui, contenta se parla con me, papā.
Ci torno ogni settimana in quella casa.
Sul balcone c’č sempre il sole, ci sono i gerani e i lillā.
Mi affaccio alla ringhiera per ricordare quanto č alto un terzo piano.
Modello la mano sinistra a portacenere, come faceva lui per sbatterci dentro la pipa.
Le lacrime mi escono dal naso, dal mento, dalle orecchie.
Sbattono sul collo della camicia e prendono velocitā.
Sta zitta mamma, quando piango per papā se ne sta in disparte.
Per rispetto.

Bellissimo racconto, da piangerci su.


Io non sto in buoni rapporti, con mio figlio:
Per colpa sua e responsabilitā mia.
Ma ormai ha cinquant'anni, ed č troppo tardi per tutto,
per ragionarci, per perdonarci, per comprenderci.
Ormai, siamo due estranei.
Ma naturalmente continuiamo ad amarci
perché č inestinguibile l'amore fra padri e figli.
Chissā se fra poco, oltre quella soglia, che ormai sto per varcare
e che poi passerā anche lui, sarā ancora figlio mio!