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Quando morì il presidente avevo nove anni. La mamma venne da me in lacrime e mi strinse forte al petto. Non l’avevo vista piangere nemmeno al funerale di mio padre. «È morto il Maresciallo!» esclamò asciugandosi lacrime mentre alzava il volume del televisore in bianco e nero che trasmetteva le immagini di politici sconvolti dalla notizia. Quel triste giorno iniziò il lento sgretolamento del Paese più bello del mondo in cui ebbi la fortuna di nascere.
Nel piccolo borgo in cui vivevo all’epoca non c’era un’anima viva che non fosse addolorata: tra gli operai e le casalinghe non so chi versò più lacrime in quei giorni nefasti per la repubblica federale. Tutti infelici tranne me: il più confuso come sempre. Che potevo sapere a soli nove anni? Mi dispiaceva soprattutto di non poter più partecipare alla staffetta della Giornata della Gioventù, il compleanno del Maresciallo che ci vedeva tutti vestiti da festa con il foulard rosso al collo da sfoggiare con orgoglio.
La mattina dell’otto maggio, la mamma mi svegliò presto. Non accolse le mie lamentele da dormiglione inguaribile quale sono tutt’ora. Mentre mi bagnavo preparò i vestiti migliori che avessi allora, candidi e profumati giacevano sul letto dove li aveva poggiati con cura dopo una lunga e attenta stiratura. Mi fece vestire davanti uno specchio grande in cui vedevo il bagliore nei suoi occhi orgogliosi del primogenito, mi sorrideva di continuo a mò di incoraggiamento. Quando fui pronto, mi pettinò a quel modo tipico suo che detestavo, per farmi assomigliare a un cantante rock che ammirava, mentre cercavo di liberarmi dalle sue amorevoli premure urlando. «Fermo, Ivan!», mi sgridò ma non era veramente arrabbiata. Non lo era mai. «Andiamo nella capitale, non farmi sfigurare con le altre mamme. Ci saranno tanti bambini della tua età a dare l’ultimo saluto al Maresciallo! Comportanti da uomo di casa quale sei ora!» Da quando era morto il babbo l’anno prima, non me lo aveva mai detto. Sentii un orgoglio sfrenato scorrermi nelle vene. Mi sembrò anche di aver guadagnato qualche centimetro di altezza, in quell’occasione.
Ci mettemmo in viaggio verso le sette. Arrivammo a destinazione solo quattro ore dopo, il traffico era infernale vista la folla della gente da ogni lato del Paese e del mondo che era accorsa nella città bianca per l’ultimo omaggio a un grande leader, tanto amato da tutti, allineati e non. Mamma teneva in mano una grande corona di fiori che mi avrebbe passato al momento opportuno perché toccava all’uomo di casa, diceva emozionata, porgere l’omaggio floreale sulla tomba del compianto padre della nazione.
Madido di sudore, le gambe tremavano come le foglie secche in autunno sospinte dal vento, procedetti lentamente nonostante la stanchezza nelle ossa, seguendo la direzione indicata da un omone dalle spalle larghe che mi si era piazzato davanti. Dall’attuale postazione non riuscivo nemmeno a scorgere la tomba del presidente anche se cercavo inutilmente, alzandomi sulle punte, a sovrastare il gigante di fronte che singhiozzava di continuo. Intorno vedevo solo le teste chine sui fazzoletti sporchi dal muco. Un muro di pianto umano lungo all’infinito. In quel momento preciso una mano si appoggio sulla mia testa e mi accarezzò teneramente. Riconobbi subito il profumo della mamma. Mi incoraggiava in silenzio di tenere duro: prima o poi sarebbe arrivato il mio turno. Stringevo forte la corona, le dita erano quasi viola dal dolore. Un dolore fisico. Il cuore taceva ancora, perplesso evidentemente quanto me riguardo alla mia partecipazione a un cordoglio che facevo fatica a comprendere del tutto. Nessuna emozione particolare dentro, ero un mostro, lo so.
Intanto l’omone aveva smesso di piangere e commentava il funerale del presidente come un vero cronista esperto. Tutti i capi di stato dell’Est e dell’Ovest erano presenti, diceva, in piedi con compostezza. Quanto era amato il Presidente! Le donne intorno a me lo ascoltavano in lacrime, ogni tanto si passavano fazzoletti ormai spiegazzati e tormentati da ore sotto gli occhi velati da tristezza. «Seguiremo il tuo cammino lo giuriamo!» Un canto libero si alzava a momenti alterni. Il paese che ci hai lasciato, gridava un vecchietto alle mie spalle, lo faremo crescere come il più bello dei fiori. Le promesse volavano a destra e a manca, il cuore dei presenti ai funerali di Stato battevano all’unisono al ritmo dell’unità e della fratellanza. Il mio invece taceva ancora, immune a tutte quelle chiacchiere di circostanza. Non sentivo né tristezza né dolore, solo una confusione che non capivo ma l’avrei fatto solo dieci anni dopo.
Ore più tardi, arrivò finalmente il momento tanto atteso per cui avevamo fatto quel viaggio lunghissimo e stancante che avrei evitato volentieri; il momento di dire addio al padre della nazione. Appoggiai la corona floreale insieme alle altre, indietreggiando, le gambe rafforzate come se non vedessero l’ora di andarsene da qual luogo triste e nauseante. La gente intorno a me piangeva, una mano stretta in pugno sul petto, scandendo il nome del Maresciallo. Negli anni seguenti tornai più volte nella casa dei fiori, come chiamavano il luogo scelto per l’eterno riposo del Presidente, in gita scolastica. Era una tappa obbligata di ogni visita alla capitale. Il cuore sempre silenzioso, la confusione dipinta sul viso adolescenziale. Anche oggi, c’è chi colpito di nostalgia ama visitare la casa del Maresciallo per farci due chiacchiere. Io no. Non avrei belle cose da dirgli, suppongo.
Da quella primavera 1980 nulla fu più come prima, anche se ci sforzavamo forse a tenere in vita un essere artificiale, creato ad hoc dalle grandi potenze e che al momento giusto avrebbe smesso di respirare come il suo presunto creatore. Crebbi convinto però di una cosa: quello era e sarebbe stato per me il più bel paese che ci sia al mondo. Imperfetto quanto vuoi ma l’unico nel suo genere.
A vent’anni, mamma mi svegliò gridando. «Ivan, corri! Ci sono i carri armati fuori!» Sentivo delle botti come quelle a mezzanotte di capodanno. Mi precipitai in tuta da ginnastica mettendo le prime ciabatte che trovai. L’immagine che vidi mi raggelò il sangue. «Mamma!» Era a terra, un lago rosso attorno a lei. Mi inginocchiai e le accarezzai il viso. La cullai non so per quanto tempo. Dovevo pensare al funerale e invece pensavo a lui e lo incolpavo: se avesse vissuto ancora più a lungo la mia povera mamma sarebbe stata ancora in vita.
Non riuscì a seppellirla. Le fiamme inghiottirono l’intero villaggio nel giro di poche ore. Non so nemmeno come sono riuscito a sopravvivere.
«Maledetto Tito, tu e la tua fottuta Jugoslavia!» urlai l’ultima volta prima che un camion militare mi caricasse e portasse via. Il giorno del funerale vero di Tito e la sua perfetta non-allineata repubblica unita. -
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Ragazzi. L'anonimato va mantenuto fino alla fine del concorso, pena l'esclusione dalla gara.
Occhio, mi raccomando -
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Complimenti a tutti, vincitori e partecipanti.
E grazie a mangal che ha avuto la pazienza e la perseveranza di gestire questo concorso in tutte le sue fasi.
Applausi. Quelli veri.
Ele -
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Ci sono alcune immagini bellissime, delle belle atmosfere, momenti poetici.
Però manca qualcosa, a mio parere.
Ho cominciato a leggere e l'incipit mi ha catturata ma poi ho avvertito un certo distacco, come se ci fosse un muro invisibile che mi separa dai personaggi.
Dipende tutto dai dettagli. Questo racconto manca di quella speciale attenzione che rende i personaggi vicini al lettore.
Resta una buona storia, brav.
Ele -
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Il racconto è mio, e scusate.
Quando si fanno mille cose insieme si perde qualche pezzo, ehehehehehe.
Sia chiaro che commenti, pareri, consigli sono non solo benvenuti, ma ospiti d' onore.
Grazie a tutti.
Ele -
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Ed eccoci finalmente al momento tanto atteso.
Ci abbiamo messo un po' ma ci siamo.
Prima di proclamare i vincitori voglio solo dire (scrivere, sì) un paio di cose.
Ci sono state molti intoppi durante questo concorso, e voglio ringraziare tutti voi per la pazienza e la disponibilità nell'aiutarci a portarlo al gran finale senza troppi strascichi.
Voglio dire grazie, ma un grazie davvero grande, a Sara C. e Speas: in modi diversi siete arrivate e vi siete fatte apprezzare da tutti, con una delicatezza e un'educazione e un amore per il mondo della scrittura che mi fa dire: che bello che siete arrivate .
E ringrazio anche le altre new entry che hanno partecipato (magari più timide, ma non meno apprezzate): Thot, Dimitri, Thebaron, Omar, Desertrose. Qui siete i benvenuti.
Ma ora basta, a voi le 5 poesie più votate:
1° posto Dalla terrazza di Miss Rottermeier
2° posto Dopo di te di Zakka
3° posto Buche di Eclypse
4° posto Poeta senza memoria di Speas
5° posto (parimerito) Dolore di DimitriKutznezov e Bolero di Vlad
Ecco la classifica completa:
A breve verrà resa accessibile a tutti l'area di voto.
Grazie a tutti, di cuore.
Eleonora e tutto lo staff
Edited by Bosone&Sacripante - 24/4/2016, 14:38 -
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Sono altrettanto amareggiata, se non di più, dato il lavoro che ci è costato e ci sta costando questo concorso.
La prossima volta imparerò, io per prima, a non dare per scontato nulla.
Quando si è tra adulti, tendo a dare per scontate troppe cose.
Gli errori sono tutti miei, ma almeno ho imparato qualcosa di nuovo.
Per le prossime edizioni ci saranno più paletti, così nessuno dovrà donare il suo tempo a chi non è disposto a contraccambiare. -
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Eccoci alla resa dei conti per questo componimento.
Plagio o non plagio?
La questione è spinosa, ma una decisione è d'obbligo.
Voglio credere alla buona fede dell'autore- autrice e considerarlo un omaggio. Non mi piace pensare che si copi e si plagi: credo ancora alla "santità" della creatività e della farina del proprio sacco.
In questo caso specifico, decidiamo che si tratti di un omaggio. In quanto omaggio, però, avrebbe dovuto essere segnalato o nel sottotitolo o nelle note.
Questa mancanza costerà al testo 5 punti di penalità.
Attendiamo la fine del contest per sapere qualcosa in più dall'autor.
Grazie a tutti,
Eleonora -
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Grazie a Thot per la segnalazione.
Ci stiamo lavorando.
A breve avrete aggiornamenti.
Ele -
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Donna in rinascita………..
o salato declino.
Lui è stanco di attendere,
schiumoso è il suo riflesso
che scivola a trasportarmi
in respiri d’amori che conservo
in quell’aria di mare.
Rinasco per una volta e attraverso
luci di scaglie smeraldiche, così
divento insenatura di paure mai sciolte.
E riemergo nuda di me….sola tra canti
di estati lasciate andare al fascino dipinto
dei miei rami rugiadosi.
Eh sì….su di me sussurri impressi, nei
cuori di creta a far da capolino al mio
vero amore aperto, quello che mi regala
emozioni che mi vogliono bene.
Nella velocità del tempo…..che porta
ventate di nostalgia e fa piazza pulita….
gridano i nidi, pazienti, a vestirsi dei miei
fiori, tra mimi che gettano àncore come
tenerezze mai scolpite.
Così…l’albeggiare beve poi il mare……
ancora su di me ed io come donna triste,
lacrimo come bimba di vegetale vetrina,
ma sogno sempre, come anima vera.
E quel mare su di me…….come ristagno
tenero, appoggia misteri su un corpo…..
ora arbitro del nulla. -
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Disperso tra le corde dormienti del fato
un tempo raccontavo il tragico giuoco
delle passioni che ardevano in petto,
i discordi e mal posti sentimenti.
Trascinavo così la mia assorta pigrizia
tra appassite pianure care e obliate;
si spargeva nel cielo infiammato
l’eco delle città in subbuglio.
Giungeva la luna dall’uniforme sbiadito,
un soldato seduto triste l’ammirava.
Scalfivo gli angoli delle insonnie,
e sogni mi passarono accanto.
Abbandonato al capriccio delle onde
pure si fa di bronzo il riso di pietra;
innocenti betulle ora mormorano
segreti alle fanciulle di passaggio;
sulla strada del ritorno – odore di trincea.
Per le cime - false voci di finti imperi.
Destandomi tra spighe di grano
vedo il cielo battere in ritirata.
Malato di memorie infantili immagino
accarezzare la luna con le onde;
desto restaurare praterie mutate,
ricostruite margherite calpestate;
giunge il tramonto come sordo carcere,
e questi finti versi - fili di ragnatele.
Diffidenti scendono bianche perle;
s’insedia un tremore - ed è inverno. -
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Luna che mi stringe dentro
con la voce di ragazzi
c'è l'eco fra la polvere
di una risata persa.
Buche piene di catrame
il pianto di un mausoleo
che urla in un lupo
alla luna piena,
di schegge e ferite
schizzi di fango
tu, suona la musica
per coprire il pianto.
Continua la marcia
per ordine del re
mentre il cielo intero si fa nero;
lui sa che cosa c'è
oltre la collina.
Una macchia sul prato
e un soldato
che con la pala scrive
sulla luna.
Scava e non sa,
il tempo non si scorderà
del suo valzer nel fango.
Fra i pezzi di quelle risate
vivrà,
lupo dannato
che senza luna piena
urlerà per sempre
di quei ragazzi il pianto. -
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Alza il tappeto
ripugnante di grigio,
frenetico cambia identità
per non gettarsi via
altri interminabili giorni,
s’immola il canto e livoroso
bussa ai respiri in letargo,
tace il vento,
il corpo spoglio rinasce,
occhi della vita addormentano
la gloria del buio e birbante
sfiora il profumo…
di ogni sorriso,
di ogni organismo,
di ogni suono,
di ogni allegria
della Natura, nobile regala
per noi innocenti viandanti
l’incanto del suo risveglio. -
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Se fossi musa
darei al mio poeta
l’ispirazione che mi chiede;
gli insegnerei il volo controvento
e la coltura della luce
negli angoli in penombra.
Se del poeta fossi la musa
in guardia lo terrei
dai suoi deliri;
lo esorterei a cercare la salvezza
issando il foglio in bianco
nella pace del silenzio.
Se tra le muse fossi Erato
di desiderio profumerebbe il canto;
alternerei il piacere
alle pene del travaglio
per conferire la poesia
all’umano innamorato...
ma sono quel poeta,
smemorato ed infedele,
che ha smarrito la sua musa
nel contendersi la luce
sulla scia
della friabile meteora. -
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Intravedere il passaggio del tempo
sotto il ricco mosaico dei rami,
quando il sole profuma il colore dei frutti
e le nubi sfumano i toni al casuale intreccio.
Costeggiare in preghiera le case
per aspirare il sudore degli avi
e ritrovare, sulla silenziosa pietra,
la solida resa dei bianchi respiri.
Sedere e annegare
nel comestibile dolore di un tramonto
per poi riemergere traendosi in salvo
con la parola buona di un ricordo.
Vespertino passaggio
sull’impronta del tempo
che calca e affina
ogni passito tempo.