| L’aria mi scaldava la schiena e io bruciavo. Tutto, anima e corpo. Bruciavo dentro prima che fuori, quasi fossi fatto a rovescio, e solo dopo che il fuoco aveva consumato l’interno, cominciavo a sentire il calore sulla pelle. I pezzi di legno ardevano, scoppiettando di tanto in tanto, e io, senza aspettare che si consumassero del tutto, a ogni vampata sulle spalle mi giravo e ne mettevo altri, fermandomi un poco a osservare le fiamme. Ipnotizzanti, malefiche. Bellissime. Fiamme dell’inferno, quell’inferno che avevo dentro e mi bruciava.
Non so se ho mai creduto in Dio. Forse da piccolo, quando mi dicevano che lo dovevo fare. A scuola, al catechismo, ma in casa mia non se n’è mai parlato. Da ragazzo rifiutavo l’idea, ma avevo paura dell’inferno, quella paura che mi avevano insegnato ad avere e che mi era rimasta fissa dentro. Da quasi adulto, anche le idee politiche mi facevano andare contro, ma la paura inconscia restava e, a tratti, quando meno me l’aspettavo, riaffiorava. Ed era forte, pungente come un rovo, acuta e tagliente, tanto da lasciare ferite che necessitavano di tempo per rimarginarsi. Cominciava a prendere fuoco l’anima. Il corpo, invece, già friggeva. Di desiderio, ma friggeva. Bello, vero? Fatto al forno dentro e fritto fuori, meglio non si poteva. Poi, per alcuni anni, non me n’è fregato più nulla. Una moglie, dei figli, una famiglia, e un periodo di cui ho solo pochi flash, quasi la mente l’avesse accantonato per tirarlo fuori nei momenti bui. O forse perché commettevo una serie di errori incredibili, nei confronti miei, di lei, e dei piccoli. È come avere un vuoto nella testa, pur sapendo che non è così. Un vuoto che non esiste, ma persiste. Le mie idee sommate alle sciocchezze che sentivo, o che ritenevo tali, dalla chiesa e su di essa, mi stavano comunque segnando il percorso. Stavo divenendo anticlericale. Ma un anticlericale, in linea di massima, non crede a nulla di ciò che la chiesa dice, quindi non può avere paura, tanto della vita quanto della morte. Io ne avevo. Avevo quella paura inculcatami decenni prima, amplificata poi dalle difficoltà quotidiane, a loro volta alimentate dalla paura stessa. Erano anni di tensione interiore, che poi si esprimeva all’esterno e portava rabbia, tanta voglia di fare, e nessuna gioia vera di vivere. Anni comunque intensi, potenti. Vissuti nell’incertezza, nel timore di non riuscire ad andare avanti, nella confusione di tante serate in compagnia, con divertimento e risate, vino, caffè, canzoni. Poi tornavo a essere solo, e un altro pezzo d’anima prendeva fuoco. E bruciavo, ma non lo sapevo, non me ne accorgevo. Non sentivo il crepitio delle fiamme, o forse non lo sapevo udire. O non volevo. C’era la politica, l’impegno sociale, a mascherare tutto questo. Ma non me ne rendevo conto, ero convinto della genuinità del mio comportamento. E lo sono ancora, ma oggi so che quella era una specie di protezione. La vita proseguiva, tra alti e bassi, ma la gioia vera ancora non la conoscevo e, se avessi saputo in che modo l’avrei poi scoperta, di sicuro mi sarei dato del cretino.
Mia moglie e alcuni amici, seguivano un corso di Reiki, tecnica giapponese di autoguarigione, e mi invitavano a fare altrettanto. Li mandai a quel paese. Ma per piacere. Io, comunista, impegnato politicamente, a un corso di Reiki. Roba quasi spirituale. Ma scherziamo? Accettavo però di fare dei trattamenti, non fosse altro che per lasciare esercitare loro. Scettico al 100%, durante uno di questi ebbi un’esperienza unica. Un satori. Non si può descrivere ciò che provai. Sensazioni ultraterrene, e gioia pura nel cuore. Consapevolezza totale. Fu la prima goccia. Ne seguirono altre, mai così potenti, ma tutti utili per far calare le fiamme interiori. Ho abbandonato la politica attiva, pur restando con quelle idee. Faccio meditazione e ricerca spirituale, cerco maestri, vado in ashram. Il fuoco non si è spento, lo sarà solo nel momento in cui saprò dare risposta alla domanda: chi sono io? Per oggi sono uno che cerca, domani non so.
Edited by mangal - 25/9/2015, 16:07 |
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