Scrittori per sempre

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  1. .
    Pune, India. Maggio 2004.

    «Beh, non parli più?»
    «Non so che dire» rispondo, «non trovo le parole adatte».
    Il mio sguardo si perde, mentre entriamo nell’Osho Ashram, e la mente vola. Leggera.
    «Ti avevo preparato, comunque» dice ancora Dhyana.
    «Sì, certo, ma dal vivo è diverso».
    «Vieni, facciamo un giro per ambientarci un poco».
    Lo seguo, colpito non tanto da ciò che vedo, quanto da quello che sento. L’energia è palpabile, la puoi stringere fra le mani.
    «Questa è la vecchia Meditation Hall. Ora andiamo a quella nuova».
    Non possiamo entrare, è in corso una meditazione.
    Mentre aspettiamo, Dhyana mi racconta le sue esperienze in quel luogo. Sono parole già sentite, ma udirle di nuovo, proprio sul posto, fa un effetto diverso.
    Vedo uscire dalla Hall persone sorridenti. Occhi che luccicano. Sembrano felici.
    «Vai pure, io resto qui perché mi devo incontrare con un cliente. Sai, se si può fare un affare, si sfrutta ogni momento».
    Entro nella Hall.
    Fa quasi impressione, tanto è grande, ma appena dentro mi sciolgo, lasciandomi andare totalmente.
    Incrocio persone di ogni luogo ed età, mondi diversi che si ritrovano in unico universo, e vengo contagiato dalla loro gioia.

    «Non ti ho mai visto così. Che ti è successo» mi chiede Dhyana.
    Porto i miei occhi di fronte ai suoi. Non ho bisogno di parlare.
    Ci abbracciamo intensamente, piangendo.
    «Hai capito che cos’è l’amore, vero? Quello universale».
    «Sì» rispondo, singhiozzando di gioia.
    «Ma come è accaduto? Cosa ha fatto scattare la molla?» chiede ancora.
    «Mi è bastato guardare ognuno negli occhi, Dhyana. Si vedeva l’anima, e rifletteva ciò che erano. Nei loro occhi, io sono entrato. E loro nei miei. Insieme abbiamo visto l’universo intero. Sì, ora so cos’è l’amore».

  2. .
    Gh’èra na ólta

    Na ólta gh’era i prà, i ciós
    co l’erba verda e i fiur
    zalcc viola bianc e ross
    na maraèa de culùr.

    Ghe caminàem ‘nsìma
    curìem, zögaem con èl balù.
    L’èra come cantà ‘n rima
    töte le gioie ‘nsèma coi dulùr.

    Siem quàter gnari o òt o dés
    ridìem per gnènt e bastàa dò préde
    per rià a diertìs
    tirando dò pesàde.

    Ma giü a la ólta i prà i è scomparìch
    se zögàa ‘n strada, sö l’asfàlt
    se no bisognàa na dai précc
    che i gh’ìa sèmper èl posto pö adeguàt.

    Ma a me me mancàa l’erba
    me mancàa töcc i culùr
    e chèl asfàlt de mèrda
    èl fàa mia crèser i fiur.

    E caminà söl négher
    l’èra mia come söl vért
    l’èra düra èser alègher
    l’èra düra èser contét.

    Ma almeno certe robe i o pasàde
    go curìt a pè nücc ‘n mès ai prà.
    I me fiöi, le nòse gran zögàde
    no so mia se ‘n dé i a farà.

    Forse de mèi, forse àga de pès
    sarà dificil però che i se ritröe
    en quàter, ot o dés
    o ‘n sènto co le nòse òje.


    C’era una volta

    Una volta c’erano i prati, i campi
    con l’erba verde e i fiori
    gialli viola bianchi e rossi
    una meraviglia di colori.

    Ci camminavamo sopra
    correvamo, giocavamo col pallone
    era come cantare in rima
    tutte le gioie insieme ai dolori.

    Eravamo quattro ragazzi, o otto, o dieci
    ridevamo per nulla e bastavano due sassi
    per riuscire a divertirci
    tirando due calci.

    Ma uno per volta i prati sono scomparsi
    si giocava in strada, sull’asfalto
    oppure bisognava andare dai preti
    che avevano sempre il posto più adatto.

    Ma a me mancava l’erba
    mi mancavano tutti i colori
    e questo asfalto di merda
    non faceva crescere i fiori.

    E camminare sul nero
    non era come sul verde
    era difficile essere allegri
    era difficile essere contenti.

    Ma almeno certe cose le ho vissute
    ho corso a piedi nudi nei prati.
    I miei figli, le nostre gran giocate
    non so se riusciranno a farle.

    Forse meglio, forse anche peggio
    sarà difficile però che si ritrovino
    in quattro, otto, o dieci
    o in cento con le nostre voglie.


    Edited by mangal - 8/7/2014, 18:26
  3. .
    L’aria mi scaldava la schiena e io bruciavo. Tutto, anima e corpo. Bruciavo dentro prima che fuori, quasi fossi fatto a rovescio, e solo dopo che il fuoco aveva consumato l’interno, cominciavo a sentire il calore sulla pelle.
    I pezzi di legno ardevano, scoppiettando di tanto in tanto, e io, senza aspettare che si consumassero del tutto, a ogni vampata sulle spalle mi giravo e ne mettevo altri, fermandomi un poco a osservare le fiamme.
    Ipnotizzanti, malefiche.
    Bellissime.
    Fiamme dell’inferno, quell’inferno che avevo dentro e mi bruciava.


    Non so se ho mai creduto in Dio. Forse da piccolo, quando mi dicevano che lo dovevo fare. A scuola, al catechismo, ma in casa mia non se n’è mai parlato. Da ragazzo rifiutavo l’idea, ma avevo paura dell’inferno, quella paura che mi avevano insegnato ad avere e che mi era rimasta fissa dentro. Da quasi adulto, anche le idee politiche mi facevano andare contro, ma la paura inconscia restava e, a tratti, quando meno me l’aspettavo, riaffiorava.
    Ed era forte, pungente come un rovo, acuta e tagliente, tanto da lasciare ferite che necessitavano di tempo per rimarginarsi.
    Cominciava a prendere fuoco l’anima.
    Il corpo, invece, già friggeva. Di desiderio, ma friggeva.
    Bello, vero? Fatto al forno dentro e fritto fuori, meglio non si poteva.
    Poi, per alcuni anni, non me n’è fregato più nulla.
    Una moglie, dei figli, una famiglia, e un periodo di cui ho solo pochi flash, quasi la mente l’avesse accantonato per tirarlo fuori nei momenti bui. O forse perché commettevo una serie di errori incredibili, nei confronti miei, di lei, e dei piccoli.
    È come avere un vuoto nella testa, pur sapendo che non è così. Un vuoto che non esiste, ma persiste.
    Le mie idee sommate alle sciocchezze che sentivo, o che ritenevo tali, dalla chiesa e su di essa, mi stavano comunque segnando il percorso. Stavo divenendo anticlericale.
    Ma un anticlericale, in linea di massima, non crede a nulla di ciò che la chiesa dice, quindi non può avere paura, tanto della vita quanto della morte.
    Io ne avevo.
    Avevo quella paura inculcatami decenni prima, amplificata poi dalle difficoltà quotidiane, a loro volta alimentate dalla paura stessa. Erano anni di tensione interiore, che poi si esprimeva all’esterno e portava rabbia, tanta voglia di fare, e nessuna gioia vera di vivere.
    Anni comunque intensi, potenti. Vissuti nell’incertezza, nel timore di non riuscire ad andare avanti, nella confusione di tante serate in compagnia, con divertimento e risate, vino, caffè, canzoni.
    Poi tornavo a essere solo, e un altro pezzo d’anima prendeva fuoco.
    E bruciavo, ma non lo sapevo, non me ne accorgevo. Non sentivo il crepitio delle fiamme, o forse non lo sapevo udire. O non volevo.
    C’era la politica, l’impegno sociale, a mascherare tutto questo.
    Ma non me ne rendevo conto, ero convinto della genuinità del mio comportamento. E lo sono ancora, ma oggi so che quella era una specie di protezione.
    La vita proseguiva, tra alti e bassi, ma la gioia vera ancora non la conoscevo e, se avessi saputo in che modo l’avrei poi scoperta, di sicuro mi sarei dato del cretino.

    Mia moglie e alcuni amici, seguivano un corso di Reiki, tecnica giapponese di autoguarigione, e mi invitavano a fare altrettanto. Li mandai a quel paese.
    Ma per piacere. Io, comunista, impegnato politicamente, a un corso di Reiki. Roba quasi spirituale. Ma scherziamo?
    Accettavo però di fare dei trattamenti, non fosse altro che per lasciare esercitare loro.
    Scettico al 100%, durante uno di questi ebbi un’esperienza unica. Un satori.
    Non si può descrivere ciò che provai. Sensazioni ultraterrene, e gioia pura nel cuore. Consapevolezza totale.
    Fu la prima goccia. Ne seguirono altre, mai così potenti, ma tutti utili per far calare le fiamme interiori.
    Ho abbandonato la politica attiva, pur restando con quelle idee. Faccio meditazione e ricerca spirituale, cerco maestri, vado in ashram.
    Il fuoco non si è spento, lo sarà solo nel momento in cui saprò dare risposta alla domanda: chi sono io?
    Per oggi sono uno che cerca, domani non so.

    Edited by mangal - 25/9/2015, 16:07
513 replies since 30/12/2011
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