Scrittori per sempre

Votes taken by asbottino

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    “C’era una volta una gabbia”.
    “Una gabbia?”, ripetono in coro i miei amici. Cercano di mostrarsi increduli, come la prima volta che ho raccontato loro la mia storia, ma poi scoppiano tutti a ridere e io con loro.
    Succede così ogni volta. Ormai è diventato un gioco. Il nostro gioco quando si fa buio e i Vet che si prendono cura di noi ci lasciano soli.
    “Una gabbia, esatto. È così che comincia questa storia”, continuo. “E a voler essere del tutto sincero era così che pensavo che sarebbe anche finita. Lì dov’era iniziata, esattamente in quella gabbia.”
    “E invece sei qui”, sussurra appena l’orso ballerino.
    Viene dalle strade dell’India, orso. Il suo padrone lo picchiava per costringerlo a danzare. Se solo ci penso, mi vengono i brividi.
    Gli altri amici gridano a orso di stare zitto e mi fanno segno di continuare. Senza cattiveria però. Anche questo fa parte del gioco. Ogni sera qualcuno di loro ha una gran fretta di arrivare al punto della storia dove inizia la nostra amicizia, dove la storia finisce di essere solo mia o di orso o di chiunque altro e diventa quella di tutti noi.
    Un giorno, quando saremo fuori di qui, mi mancherà tutto questo. Ma è presto per pensare a quel giorno. Soltanto oggi ho camminato per la prima volta. La Vet che si chiama Christine mi ha afferrato forte le mani e mi ha guidato per la stanza. Pochi passi appena. Una gran fatica, se ci ripenso, ma ne è valsa la pena. Un altro pezzo di storia da raccontare.
    “Vai avanti, Mister B!”
    Mister B. È così che mi chiamano. Ma il mio nome è Budi.
    Una scimmia della mia età dovrebbe passare quasi tutto il suo tempo sulle cime degli alberi. Non dovrei nemmeno camminare. Non ce ne sarebbe bisogno. Mi basterebbe volare da un ramo all’altro degli alberi, senza mai toccare terra.
    Quando sono arrivato qui non riuscivo a muovere un muscolo. Se solo i Vet provavano a toccarmi, mi mettevo a urlare dal dolore. Colpa della gabbia. Della gabbia e di Miss Kubing.
    “Oggi Christine, domani le cime degli alberi”, mi ripetono sempre gli amici. È anche grazie a loro se ho camminato oggi.
    E così racconto loro della gabbia e del mondo oltre le sue sbarre. E dell’unica abitante di quel mondo, Miss Kubing. E poi racconto loro delle piume.
    “Piume di pollo!”, gridano tutti insieme. Ecco un’altra cosa che li fa impazzire. E pensare che molti di loro nemmeno l’hanno mai visto un pollo in vita loro. E anche chi l’ha visto almeno una volta, fa finta di nulla. Ognuno se le immagina a modo suo, quelle piume: bianche, grigie, colorate, piccole o grandi.
    È così. Ho trascorso i primi mesi della mia vita chiuso in una gabbia per polli, giocando con le piume rimaste pizzicate tra i fili di ferro, pensando che non esistesse nulla oltre quella gabbia, quelle piume e lo strano essere che mi guardava da dietro le sbarre.
    “Ma esiste. Quel qualcosa esiste. Altrimenti non saresti qui.”
    È Mister Socks che parla. Anche lui viene dall’India. Lottava per strada con altri cani. Deve averne di storie da raccontare. Se solo gli andasse, potremmo ascoltarne una diversa ogni sera. È pieno di cicatrici e gli piace fare il duro, ma ha un cuore d’oro.
    C’erano volte in cui una delle piume si staccava dalla gabbia e volava via acchiappata da qualche invisibile corrente d’aria. Altre invece non se ne sono mai andate.
    All’inizio speravo che accadesse anche a me, che un giorno sarebbe arrivata una corrente d’aria abbastanza forte da portarmi via. Poi con il tempo ho smesso di sperarci. Lo sapevo. Sapevo che sarei rimasto lì per sempre.
    Ogni giorno Miss Kubing avvicinava il suo viso alla gabbia e mi guardava per un po’.
    Mi diceva sempre: “Ti piacerebbe uscire di lì vero, Budi? Ma vedi, piccoletto, il mondo là fuori è solo una gabbia più grossa. Una gabbia di cui non riesci a vedere la fine. E ogni volta che ci provi, ti rendi solo conto che non c’è un altro posto dove scappare”.
    Mica lo capivo tanto quello che voleva dirmi.
    Poi si stropicciava gli occhi a mandorla e mi faceva un gran sorriso. “Hai fame, vero, scimmietta? È in arrivo uno speciale per te”.
    Lo speciale. Così lo chiamava lei. Latte condensato. Altro non c’era. Nemmeno si era mai posta il problema di cosa avrebbe dovuto mangiare una scimmia.
    Mi teneva chiuso in quella gabbia per polli e mi rifilava il suo “speciale”. Era felice, a modo suo, e forse pensava che lo fossi anch’io. Io nella mia gabbia e lei nella sua.
    “E la tua mamma? Era in una gabbia anche lei?”, mi hanno chiesto la prima volta che ho raccontato la mia storia.
    Non ricordo mia madre. Per quanto mi sforzi di tornare indietro con la memoria, non trovo che la gabbia. Ma so che lei c'era. Prima di ogni altra cosa, prima di questa storia. Lei c'era. Il ricordo è volato via, ma non la certezza della sua presenza.
    Ma con i ricordi è così, immagino. Sono come quelle piume. Certi volano via, altri invece restano lì attaccati per sempre. Non puoi scegliere. Anche se quelli che ti restano attaccati sono brutti.
    “E poi? E poi?”
    “Un giorno Miss Kubing si avvicina alla gabbia. Come al solito dice che ha uno speciale pronto per Mister B. Ma io non ho nemmeno più la forza di aprire gli occhi e guardarla. È a quel punto che deve aver chiamato i Vet. Mica lo so com’è andata poi, ma so che mi sono ritrovato qui.”
    La storia finisce. Chiudiamo gli occhi e pensiamo a quel che è venuto dopo, ai primi giorni insieme, ai progressi che ognuno di noi ha fatto, a quelli che ancora ci restano, ai giorni che verranno, alla prossima volta che ognuno di noi racconterà agli altri la propria storia.
    Oltre questo c’è soltanto un sogno, quello che faccio ogni notte, da quando sono qui. Nel sogno sono tra le cime degli alberi. I miei muscoli funzionano come non mai. Sfioro appena i rami, tanto che mi sembra di non toccarli nemmeno, mentre volo da un albero all’altro.
    Ma la cosa più bella è che non sono solo. Anche se non lo vedo, so che qualcuno dietro di me si muove allo stesso modo, tenendomi d’occhio perché io non cada. Andiamo avanti per ore, senza stancarci mai.
    Nel sogno non mi giro mai per guardare l’altra scimmia dietro di me, ma non importa. Mi sento al sicuro. Penso solo al prossimo albero. Mi piace pensare che quella scimmia sia mia madre.


    Edited by Vlad - 21/3/2015, 16:40
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    Tra l'altro trovo ottima l'idea dell'edizione italiana di mettere tutte le note al fondo del romanzo perchè a piè pagina sono molto più scomode, soprattutto dato che alcune sono davvero lunghe. Comunque l'infodump in Wallace è quasi una dichiarazione d'amore nei confronti del lettore. Sembra incredibile a dirsi, ma per chi lo conosce bene, è così.
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    Buck, il racconto resta bello impresso nella testa di chi lo ha letto, anche se sparisce dall'elenco. Grazie per il bacio in fronte. Chiudo con le tue parole e l'immagine più bella che mi porto via:
    "Anche i gemelli, come i fratelli che li avevano preceduti, presero vita, ma questi, guardandosi negli occhi, si riconoscevano e si dirigevano verso la destinazione finale tenendosi per mano." :appaluso: :appaluso: :appaluso:
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    Mi fa riflettere una cosa che ha scritto Allerim, sul fatto che la fantascienza sia passata di moda. Per certi versi è vero e mi chiedo perchè. Forse perchè il futuro è arrivato e non assomiglia poi tanto a quello che si immaginava. Forse perchè a lungo andare uno si stufa di immaginare un futuro che non arriverà mai e allora tanto vale smettere di cercare di guardare così lontano.
    La fantascienza a me piace. Una roba che ami o che odi, non c'è nulla da fare. Magari è perchè sono uno di quelli che nel presente ci vive poco. Il passato è passato. E allora tanto vale pensare sempre al domani. Però se leggo la fantascienza questa sensazione del "fuori moda" riesco a sentirla pure io e un po' mi spiace.
    Al di là di queste riflessioni, il racconto l'ho letto volentieri. Ci sono delle cose belle e delle altre invece un po' frettolose. I limiti di solito non aiutano il genere, che per definizione è "oltre i limiti". Nel complesso, quindi, una prova soddisfacente.
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    Non credo sia freddo o frettoloso. Non lo trovo nemmeno così pesante da leggere, essendo così breve. Credo soffra del fatto di non aver fatto una scelta. Una vita, quasi una doppia vita in questo caso, è troppo per un racconto breve, che per definizione è incompleto e lascia fuori tanto, prima e dopo il momento che decidi di raccontare. COme altri trovo che il finale sia davvero riuscito. Ha soprattutto una grossa potenza visiva, perchè non puoi fare a meno di vederle stese una accanto all'altra sul letto, mentre una si spegne e l'altra continua a vivere ancora un po'. Ecco, forse potrebbe essere quello il tuo momento, quello da raccontare, l'inizio e la fine di questa storia.
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    Intervengo al volo su questo. Ringrazio Ecly. Sei troppo buono: ad esempio i miei commenti non sono un granchè. Non riesco mai a capire se davvero quello che scrivo, come commentatore, è di qualche utilità, soprattutto per coloro che, finita la competizione (perchè pur sempre di competizione di stratta), devono tornare a lavorare sulle loro storie. Ma è vero che ci sono tanti commenti davvero validi ed è molto bello che chi scrive possa avere qualcuno che legge così attentamente. Se devo essere sincero secondo me ci dovrebbe essere più lavoro dopo, più commenti dopo che lo step si è chiuso, quando si sa chi ha scritto cosa. A quel punto i commenti si trasformerebbero in una sorta di dialogo che potrebbero fare un gran bene alle storie che devono migliorare.
    Sto rileggendo il Giovane Holden in questi giorni. C'è una nuova traduzione, molto bella (che consiglio a chi ama quel modo di scrivere). A un certo punto Holden dice che di certi scrittori gli piacerebbe avere il numero di telefono, per poterli chiamare e parlare delle loro storie. Ecco secondo me sarebbe bello parlare di più di queste storie quando sappiamo chi le ha scritte.
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    CITAZIONE (Tessa v. @ 1/10/2014, 22:53) 
    :appaluso: :appaluso: :appaluso: :appaluso:
    Mi piace il tuo punto di vista, ci tenevo a dirtelo, ma resto del mio parere ��

    Grazie Tess. Migliore è il racconto, migliori sono i pensieri che nascono leggendo. Che ci piaccia oppure no. Restando in tema gemelli è come se nella mia testa ne vivessero due: uno a cui piace leggere e non ha mai pensato di scrivere e uno a cui piacere scrivere e non è più capace di leggere con la stessa innocenza di un tempo. Nei commenti cerco di farli andare d'accordo, ma è un casino...
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    Scritto davvero bene e ben condotto, fino alla fine, senza la minima incertezza. Quel che trovo meno convincente è la psicologia del personaggio. O forse a guidarmi è la sensazione che il dolore che dovrei sentire spesso si perda dietro la bellezza di certe frasi. E così alla fine non lo sento più. Come un profumo che credevi di sentire ma sparisce troppo rapidamente.
    Lo spiraglio finale arriva di fretta, forse. Altri te lo hanno fatto notare. Ma forse, di nuovo forse, è che non credo che lo spiraglio di una relazione possa davvero provare a colmare il vuoto della perdita di un gemello, che è qualcosa di più che perdere un fratello o una sorella.
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    Quoto Tom: qualche virgola la metterei. Altrimenti sa troppo di improvvisazione, ed è un peccato perchè l'idea è valida.
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    Ciao a tutti. Mi affido alla vostra esperienza. Una proposta editoriale che prevede l'acquisto di 50 copie del libro da parte dell'autore "a scopo promozionale" è da considerarsi a tutti gli effetti editoria a pagamento, vero? Vi ringrazio!
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    Dico la mia. Prima di Flash credevo che non sarei mai riuscito a scrivere un racconto partendo da un incipit non mio, perchè l'incipit è forse la cosa che sento più mia, a cui lavoro di più, senza la quale posso avere anche una bella storia in testa ma nemmeno inizio a scriverla, per assurdo (mica tanto). Detto questo, ci sono riuscito, quindi ringrazio Mangal per l'idea e SPS per la realizzazione. Ci tenevo a dirlo.
    Se proprio dovessimo cambiare la formula, credo che sarebbe interessante avere un incipit solo, per vedere quante strade diverse riusciamo a prendere. Più difficile, ma più interessante a conti fatti. Soprattutto se l'incipit riuscisse in qualche modo a determinare il "colore" della narrazione. Lo diceva Tommasino altrove, se ricordo bene: sarebbe bello scrivere una storia d'amore (niente erotismo, please). Non se ne scrivono più.
    Quanto all'anonimato, per me è indifferente, tanto mi riconoscete comunque :rotfl: :rotfl: :rotfl:
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    CITAZIONE (wyjkz31 @ 30/12/2013, 22:42) 
    Non sono tanto sicura di aver capito.
    Dunque.
    - Marta torna indietro nel tempo e prende i biglietti per il balletto. Quindi direi almeno due e, tenuto conto della scritta sullo specchio, deduco (mi sento Watson…) che la Marta dell’89 avesse un appuntamento con Joey. Perciò il fatto che non abbia più i biglietti non comporta la certezza che non lo riveda. E se invece l’incontro con Joey è stato casuale (e allora mi sta bene il furto dei biglietti) perché la scritta sullo specchio?
    - Perché Marta torna indietro nel punto in cui nasce la decisione di sposare Joey e non in un punto successivo per salvare la vita di suo figlio? Perché rinuncia al bambino anziché tentare di salvarlo?
    - Frase finale.
    “Poi si alzò e decise di andare allo spettacolo”
    Cosa vuol dire? Che si sostituirà alla Marta dell’89? Che ha cambiato idea? Che non ho capito niente?

    Rispondo a Wyjkz31 e poi vi dico ancora una cosa sulla questione dell'inglese.
    Lo spettacolo è un punto di non ritorno. Diciamo che è come la prima tessera del domino. La butti giù e viene giù tutto il resto. La Marta dell'89 e Joey vanno insieme allo spettacolo e da lì i loro destini sono definitivamente incrociati. La Marta del futuro (non è esplicitato quanto lontano nel futuro, ma io me la immagino molto lontana) torna indietro nel tempo e ruba i biglietti alla Marta dell'89, bloccando l'effetto domino sul nascere. C'è la certezza che la Marta dell'89 non rivedapiù Joey? Forse no, ma è uno stereotipo comune delle storie sui viaggi nel tempo di individuare un singolo evento che sia causa prima di una catena di eventi. Perchè non farla tornare indietro a un punto successivo e salvare la vita del figlio? Bella domanda. Ci rifletterò sopra perchè è un'opzione che non ho mai preso in considerazione. Ho cercato di andare all'origine di tutto il dolore.
    Ultima cosa: la Marta del futuro va allo spettacolo perchè a quel punto la Marta dell'89 non ci andrà più. Ha due biglietti e ha voglia di vedere il balletto. Tutto qui. Forse è un po' scorretto nei confronti di chi legge, perchè magari il lettore vorrebbe che Marta tornasse nel suo tempo per vedere come è cambiato il futuro, ma il racconto parla della possibilità di cambiare, non del cambiamento stesso, quindi a quel punto la missione è compiuta e allora tanto vale portare l'attenzione altrove.

    Riguardo all'inglese. Ti quoto su tutto. Quoto anche Ti-s. Viviamo in Italia e scriviamo in italiano. Già rispondendo a Ti-s, ho scritto che vivo il mio essere "più di là che di quà" come un punto debole e lo ribadisco. Ed è anche vera la cosa della minestrina esotica che scrivi. Ho scritto anche che cerco da un po' di tempo di trasformarlo in un punto di forza, o se non altro di renderlo meno attaccabile. Faccio molte ricerche e cerco di rendere l'ambientazione quanto più dettagliata possibile. I riferimenti culturali saranno per forza di cose diversi, ma saranno molto forti e se il racconto da delle emozioni, le darà comunque, al di là dei riferimenti.
    In questo racconto non ho fatto un buon lavoro, in questo senso. "Joey" era ampiamente evitabile e il riferimento a Jeopardy! è rimasto dopo tutti i tagli che ho fatto, ma avrei potuto a quel punto tagliare anche quello. Il racconto non avrebbe avuto alcun riferimento, di nessun tipo, e sarebbe stato sospeso nello spazio e nel tempo. Il che per un racconto di fantascienza ci sta. Per certi versi è l'altra faccia della medaglia. O rendi i tuoi riferimenti solidi o li elimini totalmente e scrivi di cose che accadono in nessun luogo e in nessun tempo, ma è molto più difficile e forse ancora più controproducente.
    A proposito: Jeopardy! l'ho scelto perchè nella prima stesura era presentato come metafora dei viaggi nel tempo. è un quiz televisivo dove la domanda è la risposta e la risposta è la domanda, ovvero il presentatore formula la risposta e il concorrente deve rispondere fornendo la domanda che ha dato origine a quella risposta. Ho pensato che il viaggio nel tempo funziona alla stessa maniera: dalla risposta cerchi di risalire alla domanda che l'ha generata.
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    CITAZIONE (mangal @ 21/5/2013, 21:12) 

    mai avuto intenzione di spaventare il lettore. tutt'al più di tenerlo attento
    il paragone con stephen king non regge, sono molto meglio
    non mi sono mai permesso, in alcun concorso su alcun sito o forum, di consigliare all'autore la lettura di un libro per dire che ha scritto una cagata. questo è offensivo
    se non mi piace un racconto, lo dico e lo motivo
    amen
    [/QUOTE]
    Scusa Mangal, mi dispiace che tu abbia considerato il mio commento offensivo. Non era mia intenzione. Raramente nei commenti scrivo in maniera impulsiva, ma probabilmente è quello che ho fatto qui.
    Quanto al paragone con King: sinceramente non so dirti se regga o no. Non conosco gli altri riferimenti che sono stati citati, Dylan Dog o Ammaniti. Forse la parola babau mi ha risvegliato il ricordo di quel racconto e ho travisato gli intenti del tuo. Scusa ancora. Non era proprio mia intenzione essere offensivo. Se consiglio una lettura è perchè spero che in quella lettura stessa l'autore possa trovare stimoli e ispirazione per migliorare il suo lavoro.
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    Divertente e condotto con i tempi giusti. Magari non un capolavoro letterario, ma colpisce il bersaglio e sembra già pronto per la sceneggiatura. Non si prende troppo sul serio, anche con le citazioni, che ho trovato molto funzionali.
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    Santo cielo quanti complimenti! Grazie a tutti ragazzi, sono un po' emozionato. Le vostre parole: quelle si che hanno importanza!
    Aki, anche io ti ho votato come primo!!!!
106 replies since 3/2/2012
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