Spaghetti western

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    Scrivano supremo

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    Higgs

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    Stabilimento De Paolis.
    Via Tiburtina, Roma.
    Ore 7.


    Non mi preoccupo nemmeno di mettere la catena al motorino, il posteggio all’interno è un posto sicuro, ci sono più guardie giurate qui che in una banca. Mi accendo una sigaretta e comincio a sentirmi meglio, più rilassato, penso che in fin dei conti le cose potrebbero andare anche peggio. Mi asciugo il sudore sulla fronte con la manica come ho visto fare in un film per essere già nel ruolo. Osservo la geometria delle cornacchie stese sul filo della luce. Osservo un miscuglio di gente sotto il filo della luce.
    Il capogruppo che mi ha chiamato la sera prima è quello che allunga le mani, ma ho imparato a tenerlo a bada, d’altra parte questo mondo è così, e devi imparare a tenere a bada. Non ho mai saputo il suo vero nome, nell’ambiente del cinema lo chiamiamo Pippo. Lui è molto generoso e ha un debole per me, e quando può mi aiuta per una stravagante forma di amore paterno. Seppellito ogni pensiero mi avvicino a lui.

    - Ti avevo detto di non farti la barba, e togli la catenina della Roma, - dice.

    - Non mi cresce la barba.

    - Vai dalla guardarobiera e sbrigati che c’è la fila, tra un’ora si gira, testa di cavolo.

    Mi dà un calcetto sul culo, proprio per far capire che non ha una pietra al posto del cuore e che è mio amico. Che poi, a dirla tutta, per le comparse come me non c’è grande rispetto, per gli attori sì, quelli li trattano come dei re e arrivano sempre dopo.
    Al trucco mi sporcano le guance con cerone e carboncino per spiaccicarmi in faccia il sole della prateria e l’ebbrezza di un po’ di barba, poi impongono con tono protettivo:

    Tieni il cappello calato sulla fronte, hai la faccia da frocetto, e i frocetti non bevono whisky e non giocano a poker.

    - E che fanno? – Chiedo io.

    Addestrate a demolire i poveri cristi rispondono mettendomi troppo a fuoco: Vanno a quel paese.

    Il filone umoristico della loro piccola ignoranza mi si attacca addosso come bava di lumaca senza far vacillare la mia passione per quel tipo di lavoro. Fingo di guardare sognante fuori da una finestra che non c’è. Far parte di un film è comunque per tutti una festa, un’allegria senza confini, un raduno di gente abituata a una rassicurante comicità semplicistica e naturale. Io mi ci devo ancora abituare, non mi diverto tantissimo, me ne starei volentieri in disparte in attesa del cestino e della paga, con la voglia matta di tornare a casa o nei posti che conosco, qui è tutto finto, niente mi lascia il segno.

    Per parecchio tempo, quello seduto dall’altra parte del tavolo da gioco con un gilet da mandriano di due taglie più grande smanaccia un mazzo da poker, poi mi fissa, con gli occhi chiusi in un barattolo, impossibile definirne il colore, senza dire una parola. Dopo uno sbadiglio di sonno capisco che è così triste perché gli mancano due incisivi. Provo a pensare a qualcosa di piacevole per evitarlo e mi viene in mente che da bambino mi addormentavo sulla poltrona del barbiere. Non c’entra niente, lo so, ma la figura incurvata sulla mia fronte e le forbici che fanno un rumore ritmico, piacevole, mentre osservo altri piccoli pezzi di mio padre che fuma e gente seduta che aspetta il taglio, è l’unica cosa che mi viene in mente. Chiudo gli occhi per cercare nel torpore dei ricordi qualcuno capace di volermi bene e per mettere distanza tra me e questo finto giovane cowboy con cappello bianco e camicia a quadrettoni butterata di vecchiaia, che non mi rappresenta.

    Ora siamo in quattro al tavolo da gioco, tutti vestiti suppergiù allo stesso modo, con cinturone e pistola finta nella fondina, un sigaro e una bottiglietta di minerale da tenere nascosta sotto il tavolo. Quando l’aiuto regista dirà ‘movimento’ dovrò far fallire quel silenzio e cominciare ad agitarmi. Per disinfettare l’attesa faccio le prove mentali per migliorare la mia esibizione fingendo di essere più disperato possibile. Quello alla mia destra ha occhi a triangolo e dà l’idea, per dire una cattiveria, di uno che indossi il suo odore da una settimana. Seduto da almeno un’ora su una specie di divano a un posto, con lo schienale che sembra la lama di una motosega, sento qualche scheggia sotto la pelle e quanto sia insopportabile quella vicinanza. Uno con la faccia bianca da tubercolotico e un blocco notes in mano si avvicina, con parole senza erre ci comunica qualcosa di fondamentale:

    - Quando dirò movimento comincerete a giocare e a spostare i soldi sul tavolo, bere e fumare.

    - Senza interrompere il poker guarderete le signorine in alto, le gambe delle signorine in alto. Non abbiate paura di essere volgari.

    - Tutt’e quattro? - Chiedo.

    - Tu no, sarai concentrato sulla porta dove entrerà Sartana vestito di nero accompagnato da polvere e vento. Per voi il saloon è divertimento, per lui sarà una trappola mortale.

    - Naturalmente è mio amico Sartana, - dico.

    - Naturalmente ti sparerà in fronte, - dice. E sparisce tra gonne e cappelli con tutto il suo bisogno di una trasfusione.

    Il colpo di stanghetta del macchinista dà l’allarme: Ciak si gira.

    Parte la musica del pianista, agli altri tavoli ci sono partite furibonde e artigianali, tutto deve essere eccessivo per sembrare vero. Le ragazze sullo scalone mostrano di più le gambe, altre girano tra i tavoli cercando di compiacere i brutti ceffi seduti in cambio di misere mance finte. La macchina da presa, meno nomade di tutti, scorre silenziosa sul binario di fronte. Cerco di mostrare il profilo migliore, può darsi che ne esca fuori vivo, quella dello sparo in testa era solo una battuta, credo.

    La scena frenetica della seduzione globale non mi convince, le ragazze sono poco belle e avanti con l’età e non voglio essere pedofilizzato, nemmeno per finta. I miei compagni stanno più di me al gioco e allungano le mani su tutte quelle a tiro. Io mi concentro sulla porta, la porta si apre, entra Sartana con la faccia spettrale di chi se la sta facendo sotto, ha la pistola in mano. Con due balzi raggiunge lo scalone che porta al ballatoio delle camere in alto.

    - Stopppppppppp! - Urla l’aiuto regista, buona la prima, mezzora di pausa, non vi imboscate, che il cinema è così, fate a botte per una particina e poi vi nascondete per farvi i cazzi vostri. Nessuno ride.

    Una delle ragazze sullo scalone mi osserva da un bel po', mi saluta e grida: Ehi monta su.

    La riconosco, siamo compagni di scuola e di quartiere, ma non c’è stata mai grande confidenza tra di noi. Non mi sposto e lei non la smette di chiamarmi. Il cowboy di fronte facendo ombra con la mano alla bocca sdentata mi dice: C’è una che ti cerca, siamo in pausa, non avere paura ti puoi spostare.

    Con il colore di un ubriaco la raggiungo alla base della scala, lei è l’immagine della grazia in quell’inferno.

    - Così fai il cowboy, ma quanto sei carino.

    Nemmeno posso togliermi lo sfizio di arrossire, ho troppo cerone in faccia.

    - E tu che fai?

    - La puttana, non si vede?

    - E quanto costa un giro d’amore? - Dico.

    Mi molla un ceffone sull’orecchio sinistro, proprio dove fa più male, provo la stessa sensazione di un tuffo dal trampolino. Comunque è piacevole il calore di una persona che conosco, anche se doloroso.

    - Offrimi una Coca sto morendo di sete, ‘scemo’, - dice.

    - E dove?

    - Fuori c’è un piccolo bar.

    Usciamo all’aperto, case di cartapesta si alternano a stalle vere con dentro cavalli veri e vere staccionate. L’aspetto provvisorio del piccolo bar è piacevole e ordinato. Minimali mattonelle di pizza rossa in mostra sono accarezzate da un vento leggero e pulito. Lei beve Coca, io caffè.

    Con il mio cappello bianco in mano mi sento fotografato.

    - Dai… una foto sola per ricordo.

    - Tanto domani dobbiamo ritornare, - dico per dire qualcosa, imbarazzato.

    Di nuovo nel saloon lei riprende posizione sullo scalone di legno colorato, io al tavolo da poker. Con sorprendente contentezza mi accendo il sigaro vero della finzione, poi chiedo ai coinquilini: Dà fastidio il mio fumo? I tre sorridono e io non ho più la sensazione di essere l’unico essere umano. Alle mie spalle sento lo stesso rumore che avevo sentito prima: quello che sembra lo splash di una torta rovinata e il sibilo della macchina che scorre sul piccolo binario di ferro. I nostri movimenti si ripetono. Tengo gli occhi premuti su Sartana che ora prende perla gola qualcuno e lo colpisce con un pugno senza emettere suono. Il pavimento scricchiola sotto la scena concitata. Cerco di ricordare quale attore è, ma non mi viene in mente nessuno conosciuto.

    Alle sei della sera sono abbastanza stanco, questi film sono compressi, si girano in tre settimane al massimo. La sinfonia di zip degli zainetti della gente che recupera le proprie cose compresi gli abiti originali accompagna il drappello dei figuranti fino al box della paga. Un uomo semplifica il momento tenendo un mazzetto di banconote in mano. Ne molla sette a ognuno, trattenendo gli spicci per il sindacato.

    Una sorprendente e elevata percentuale di belle ragazze si avvia verso l’uscita. Ora c’è un vuoto di autorevolezza, nessuno ci comanda, ma alle mie spalle sento la sottospecie di un rimprovero, mi giro e mi arriva una spruzzata di occhi luminosi:

    - Ti sei infrattato bene per non accompagnarmi a casa.

    - Sono in motorino, - mi dispiace.

    - Non ci provare, so andare pure io in motorino, - dice.

    Mentre guido nello scarso traffico serale lei si ancora ai miei fianchi.

    Con la mascella storta e lo sguardo danneggiato dal vento dico: Non mi sento più un bambino infelice con te
    vicino. Ride.

    - Però eri più carino con il cappello bianco, - ti è volato via?

    Mi fermo accanto a un’edicola per comprare qualcosa da leggere e riflettere sul sogno di averla accanto.

    Accarezzandomi una mano, senza cerimonie, dice con voce registrata: So che ‘non’ sei una brava persona,
    ma spero di andare d’accordo.

    - Non importa, - dico. Poi rido.

    Il gesto intimo di prenderci in giro sembra il continuo della recita, per non complicarci la vita.

    Oltre la cima dei palazzoni e degli alberi poco verdi di periferia.

    Il buio non si dà pace.

    Ci muoviamo io, lei, e la scena del film.

    Edited by E©ly - 22/11/2017, 11:37
     
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    Sarà che ne ho letti due in fila, ma mi ritrovo a esprimere lo stesso identico commento: c'è del genio infarinato in una forma strana, atipica, che tuttavia non ostacola la lettura, che a tratti la esalta, che a tratti disorienta.
    Non so come vi vengano certe idee, ma qui c'è qualcosa di vero, di umano, di concreto, quasi come se fosse una storia di vita vissuta.

    Ho un amico che fa/faceva l'attore, che per anni ha lavorato come comparsa, e che penso si divertirebbe a leggere questo racconto.

    Il mio unico, grosso dubbio è: conterà come western?
    Ai poster l'ardua sentenza.
    Sì, proprio ai poster. Qualunque cosa voglia dire.
     
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    Questo è veramente un bel racconto!
    Una penna felice e leggera che tratteggia con invidiabile facilità momenti e emozioni allo stesso tempo intensi e delicati.
    Il brano è scorrevole, accattivante, ben bilanciato e scritto bene, dove le scene ti prendono letteralmente per mano portandoti in un amen nella storia stessa.
    Le emozioni e i pensieri del protagonista s'impastano con quello che vive e vede, restituendo un quadro completo e soddisfacente della realtà da lui vissuta.
    L'entusiasmo provato nel leggere questo brano viene spietatamente smorzato dalla poca attinenza al genere imposto...
    Giusto perché parli di motorino rientri nel XX secolo, altrimenti poteva essere un brano di questi anni, facendoti mancare, oltre al genere, anche gli anni imposti...
     
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    Penna stilografica

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    MONDO

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    Bello spaccato di vita scritto bene, con buon ritmo e dialoghi che scorrono piacevolmente... ma devo però ribadire come chi mi ha preceduto che con il genere, a mio parere, non c'entra niente. Certo, c'è l'ambientazione, l'atmosfera... ma la cornice, il contenitore, sono altro... non so. Mi mette in difficoltà. Essendo il primo letto, mi riservo una seconda. Comunque complimenti all'autore.
     
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  5. hacherina
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    Motorino, spaghetti western,lo stabilmento De Paolis...quanti ricordi! Non riesco ad essere obiettiva, mi è piaciuto leggere questo racconto. Complimenti autore.
     
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    Dio della penna

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    Splendido autore. Naturalmente l'oggetto è l'ambiente del cinematografo, visto da una comparsa. Temo anch'io che sia fuori genere visto che non si svolge nel West ma allo Stabilimento De Paolis . Io me lo sono goduto al massimo, come sempre quando mi innamoro della scrittura.
     
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    Su chef

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    Lasciamo da parte il fatto che sia fuori genere, tanto lo sa pure l'autore. Anzi, una parola la dico: mi dispiace che lo sia, perché altrimenti si sarebbe beccato di sicuro i miei punti. Non vorrei, ma non credo, che lo abbia fatto come una sottile provocazione.
    Veniamo a noi, il racconto mi ha conquistato, nelle sue perfezioni e imperfezioni. Ha una patina d'altri tempi, leggermente Felliniano, nostalgico. Ma nonostante la malinconia e questo buio che non si dà pace mi hanno accompagnato per tutta la lettura, ho intravisto anni felici, sorrisi, battute leggere di ragazzi, spensieratezza. La recita della vita. In sostanza è la commistione tra questi due ingredienti che fa di questo racconto un gran bel pezzo.
    Alla fine, terminato il racconto, mi sono sentito meglio. C'è complimento più grande da fare a un autore?
     
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    Penna suprema

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    Sono d'accordo con Akim, l'autore è consapevole di essere fuori competizione con un racconto così, ma l'occasione è troppo ghiotta e ci ha passato un pezzetto della sua vita. Mica capita a tutti di fare il cowboy. Fosse pure per finta. Potessi ti abbraccerei.
     
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    Penna furiosa

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    Come già detto da altri qui il genere non viene centrato, però il pezzo è molto bello. Si respira una verità che si contrappone alla finzione del cinema, seppure tendano apparentemente a mischiarsi nel momento della ripresa. Volendo usare un escamotage si poteva iniziare con la descrizione della scena del saloon, imbastire una storia, e poi sul ciak di fine ripresa sfumare col cowboy/attore che se andava in motorino con la prostituta/attrice. Così facendo però si sarebbero dovute sacrificare parole e emozioni, cosa che l'autore(se è chi dico io)non si sarebbe mai perdonato. Anzi, credo che questa possibilità che ho appena descritto non l'abbia neppure presa in considerazione.
     
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    Penna furiosa

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    Nessuna provocazione, ma un gran pezzo di bravura. Nostalgia a secchiate in una finzione cinematografica raccontata con un occhio speciale, che quasi la rende più vera della realtà di un vero western. Fuori competizione, ma grazie per averlo scritto. Un omaggio al cinema e un regalo per i lettori.
     
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    Penna furiosa

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    Hai voluto giocare con le tue regole, in questo step, infischiandotene del genere.
    Non so cosa aggiungere a quanto già detto da altri: ho messo tanti “I like”.
    Vera penna di scrittore.
    Il giorno poi in cui ti convincerai a sistemare la formattazione… (oppure a lasciare che qualcuno te la sistemi).
     
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    Dio della penna

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    Riletto per il solo piacere della lettura e non per modificare il giudizio alla luce dei commenti altrui come a volte mi capita di fare.
    Sempre splendido. Mi domando solo se sia possibile metterlo al primo posto dato che è fuori genere. Mah!
     
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    Penna stilografica

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    trecase

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    L'umanità è più facile trovarla e apprezzarla nella finzione scenica che nelle menzogne della vita quotidiana. E' questo il messaggio intuito da questo racconto adattabile a tutte le epoche perché l'uomo di fondo non cambia. Perché non potrebbe essere un western se le uniche scene vere sono quelle nel saloon e il resto invece è tutta finzione?
     
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    Penna furiosa

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    Branzack

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    Chissà, magari fare l'attore/attrice è un sogno nel cassetto dell'aut...evitando di essere ripetitivo,dico anch'io che ho letto un grande pezzo che a tratti mi ha fatto sentire sul set come i suoi protagonisti. Con l'attinenza genere siamo forse al limite, ma questo nulla toglie al racconto...o forse gli toglie un po' di punti in più che avrebbe potuto avere. Complimenti.
     
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    Penna furiosa

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    Io credo che l'aut... abbia lavorato realmente nel cinema (me lo fa pensare la descrizione dell'ambiente e il fatto di aver percepito chiaramente il "rumore" delle macchine)
    Non so se si possa definire fuori genere: anche se è stata interpretata in maniera del tutto personale e "originale", l'atmosfera western si respira.
    Pezzo piacevole e scritto bene. Mi è piaciuto questo protagonista dall'animo sensibile che si nasconde dietro una corazza: sembra disinteressato a tutto e pare che la presenza della ragazza gli sia indifferente, invece gli importa eccome... :)
     
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