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Odore di brodo di dado e una porta che struscia, e resta aperta. Nella credenza sciangai di spaghetti spezzati circondati da polvere e muffe, e foto, tante foto, di gente che si sposa. Un bottiglione a metà di un liquore giallo e madonnine, tante madonnine di carta e bicchieri scompagnati. Un filone grande di pane fisso al centro del tavolo della cucina con accanto l’ammazzino di plastica per le mosche appoggiato con cura su un centrino. Un vaso enorme con le albicocche incartate da bollette della luce, e chiavi, tante chiavi, come se quella fosse la casa più grande del mondo. Piove pioggia sottile sui tetti di Margherita e non fa rumore sulle pattumiere sgangherate. Non c’entriamo nulla con questo posto, abbiamo sbagliato a nascere qui, mi diceva. Se ci siamo nati insieme va bene, rispondevo. Allora va bene anche per me, rispondeva.
Dopo la scuola vivevamo come giocattoli io e il mio compagno di banco ripetente, contenti della nostra libertà. Alle ragazze che spippettavano sulle macerie dei monumenti chiedevamo di passarci una sigaretta e loro ce la passavano. Tutto l’incanto e la luce della città trasformava, quelle per certi versi penose azioni giovanili, in virtuoso teatro, facendo somigliare il passaggio dalla scuola al centro città a una spensierata vacanza. Scherzare con le ragazze aumentava il desiderio di toccarne una, o almeno di averne una più fissa nella testa. Per carità non simile alla mamma, che faceva sempre il bucato o il sugo, quando non aveva i cinque minuti e trasformava la casa in una specie di manicomio, e usciva solo per andare in chiesa o al cimitero o a quel puzzolente negozio di detersivi. Che se una va al cimitero dove non ha nemmeno un morto recente significa che le manca la gioia di vivere, e anche se non sono fatti miei, a lei mancava. Mi sciroppavo tutte le mattine le compagne di classe, e con loro perdevo l’orientamento, erano accanite solo sul voto, e sui ricordi dei professori più fighi. L’unica sopportabile stava al primo banco, la vedevo bene quando ero interrogato e mi ero accorto di quanto fosse forte di seno per quei lunghi sospiri che faceva. Più volte avevo pensato di trasferirmi da quelle parti, frammenti di lei scheggiavano i miei pensieri. Ci si può innamorare dei frammenti a quella età e pure quando si è un po’ più vecchi, credo. Se non si è in grado di gestire una ragazza intera ci si fissa sui dettagli preferiti lasciando da parte, come riserva, il resto, nel senso che potevo apprezzare un giorno la sua bocca, un altro il seno, un altro il girovita sottile. E questo mi dava l’idea di avere più materiale a disposizione. Qualcuno potrebbe leggerci qualcosa, ma la spudorata verità è che non mi bastava più cerchiare i desideri, e mi sentivo sì romantico, ma pure voglioso. Quando i nostri sguardi si incrociavano inespressivi lei mi mandava un messaggio inequivocabile: un suo sorriso pieno di luce che condensava la mia gioia semplice dentro, senza farla scappare fuori.
Com’era complicato far capire a mio padre che la sua Opel Kadett verde mi faceva schifo, e che da quando mi ci vedevano dentro le mie compagne di classe mi chiamavano: ’ piselli findus’, e che preferivo fare l’autostop sotto il sole cocente per non avere rogne o prendere l’autobus dove potevo incontrare la ragazza del primo banco, anche se lei stava sempre seduta e guardava fuori dal finestrino perché soffriva il mal d’auto, e se si fissava su di me poteva pure vomitare. Per sicurezza, quando trovavo posto accanto a lei, tenevo i libri sullo stomaco, come uno scudo. E lei quando gli passava la nausea mi toccava, mi toglieva qualche capello sul maglione e faceva la batteria sulla mia spalla mentre canticchiava le canzoni di Ivan Graziani. Aveva un golfino rosa e mi sembrava di non averla mai vista con qualcosa di diverso. Viveva in una famiglia modesta, e questo mi dispiaceva un sacco, e se ci penso ancora adesso ci sto male. Io le offrivo il pandispagna della colazione e lei lo accettava senza imbarazzo, sapeva che ero un ragazzo alla mano, e le piaceva il mio modo di ascoltarla senza intervenire mai. Ogni volta mia madre mi domandava se avevo mangiato il pandispagna, lo chiedeva perché ero magro come un chiodo e io che nemmeno l’avevo assaggiato diventando rosso dicevo: Un po’ secco. E lei diceva: Ma se ci ho messo dentro dieci uova.
A Margherita avrei potuto raccontare che anche mio nonno aveva una povertà contadina e dormiva su un materasso imbottito con le foglie del granturco trebbiato. E che pure io ci avevo dormito, felice di farlo, e nemmeno i mille violini dei grilli erano riusciti a superare il rumore delle mie giravolte. Forse questo l’avrebbe fatta più contenta. Non la vedevo mai contenta. Pure quando prendeva bei voti non era contenta. Si illuminava solo quando raccontava che di sera provava di nascosto le camicie della madre lasciandole sbottonate davanti, e gli stavano molto bene al seno. Forse me lo diceva per farmi capire che era bella sviluppata. Non credo per umiliarmi, anche se i miei compagni avevano il viso come il culo di una formica, nero di barba e io nemmeno un pelo, liscio. ‘Ma se mi parte la testa la ingravido’, pensavo. Che cosa brutta mi era venuta in mente. Mi vergognavo di averla sostenuta, che a conoscere quei pensieri Margherita si sarebbe ammalata di dolore.
A Margherita piacevano le cose serie, mica le cavolate da disperati che facevamo io e il mio amico. Mi portava in tanti posti mai frequentati prima: caffè letterari, biblioteche sperimentali, centri di ascolto, centri sociali dove facevano buona musica e costava tutto la metà. Lei aveva i miei stessi anni, sedici, ma era come se avesse vissuto una vita in più della mia. Accanto a lei mi sentivo al sicuro, e avevo completamente abbandonato il mio amico, e lui ci era rimasto male. Un giorno in ascensore il mio amico mi aveva detto: Quando vi innamorate diventate tutti pagliacci. E io non avevo risposto, non mi sentivo un pagliaccio, tutt’altro, avevo scoperto che la vita era piena di cose interessanti, non difficili da raggiungere per chi le cerca.
Un giorno che sull’autobus ero quasi da solo con Margherita mi prese il ‘matto’ e attaccato al suo orecchio le sussurrai che volevo fare l’amore con lei e che non l’avevo fatto mai prima. Per nulla sorpresa rispose:
- Con me? Ma sei fuori di testa, ciccio mio.
E cominciò a piangere, prima piano, poi singhiozzando, facendomi quasi paura. Dopo essersi calmata e senza guardarmi negli occhi disse:
- Va bene, possiamo fare pure l’amore, ma tu fai sparire quella camicia a quadri da cacciatore.
- La farò sparire, -risposi.
- Tu farai sparirei quel golfino rosa.
- Lo farò sparire, - rispose.
Non eravamo stati molto originali nelle nostre risposte e guardandoci negli occhi ci prese a ridere. Margherita, somigliava davvero a quel fiore. Aveva il naso sottile, le narici come due buchi di spillo e gli occhi senza trucco, ogni tanto spalancava la bocca per prendere più aria e di quel respiro profondo sentivo di potermi fidare. A ripensarci il giorno della prima uscita insieme mi aveva detto quasi furibonda: Io non posso pagarti! Facendomi sentire per un momento uno che viene da qualsiasi posto. E quando commosso l’abbracciai con gli occhi uguali ai suoi sentii il suo batticuore. E lei fuggì facendo girare veloci le ruote della sua sedia a rotelle, spingendole con accanimento, lasciandomi dietro. Quando si accorse della distanza, si fermò, e mi mandò un bacio con la mano. Per qualcosa come cinque minuti restai a guardarla, con l’incapacità di fare altro. L’amavo, e quello era l’unico modo per spiegarlo.. -
Grace K.
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Un altro che rientra tra i miei brani preferiti.
Una storia che va anche al di là dell’amore, che giunge alla comprensione di se stessi e dell’altro in una società che impone prototipi non calzanti proprio a tutti.
Preferisco non aggiungere altro se non ripetere che ho adorato le descrizioni e il sentimento puro ed umano che può provare qualsiasi teenager, quella scoperta tra sacro e profano. Complimenti autore!. -
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Questo racconto è spiazzante. Ha una profondità emotiva e psicologica notevoli, e anche lo stile con il quale è scritto è molto personale e autorevole.
Ci sono alcune chicche nei dialoghi che donano un tocco di sapore extra, non ho solo capito il "Io non posso pagarti!", magari me lo spiegherai.
Un ottimo lavoro da tenere in considerazione.. -
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Questo racconto smuove qualcosa dentro. Qualcosa di bello
Un rosa delicato e garbato. Complimenti.. -
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L’incipit è quasi prosa poetica, anche per le frequenti allitterazioni, le iterazioni, un richiamo tematico immediato a Gozzano e alle sue “buone cose di pessimo gusto” (“L’amica di nonna Speranza”).
Sono dovuta tornare più volte sul passaggio dall’incipit alla seconda parte, per capire se mi ero persa qualcosa. Poi, invece, ho capito che dovevo aspettare la fine del racconto, per riunire i fili.
Non ho capito bene la frase “Io non posso pagarti”.
Arrivata alla fine, ancora non ho colto bene il collegamento fra le due parti del racconto.
Quindi, a livello di storia, alcune cose non mi sono chiare.
A livello di formattazione, avrei inserito qualche “a capo”, per guidare un po’ il lettore.
Il bello di questo testo è certamente la scrittura: l’autore ha uno stile personale, sicuro, tutto suo.
Bello è il modo in cui sono resi i personaggi, l’atmosfera in cui sono immersi.
Nel complesso, il racconto sembra uno stralcio autobiografico reso in modo quasi poetico: per questo forse alcuni passaggi non risultano chiari, perché sono ricordi dell’autore e così sono stati restituiti nella scrittura, in modo evocativo e non didascalico.. -
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Delicato come solo i sentimenti. Bravo autore. . -
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Questo si che è un rosa candido pieno di bei sentimenti..Il rosa che piace! . -
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Storia complessa affrontata in modo molto originale.
La formattazione è veramente terribile ma, mi chiedo, se sia una cosa voluta perchè ci sta bene quel muro di parole in contrapposizione con un testo oltremodo tenero.
Non ho capito il legame tra inizio e fine, ma penso che sia perchè il racconto merita più di una lettura. Lo rileggerò cercando l'arcano bandolo della matassa. I personaggi si delineano bene nella mente del lettore, anche senza ulteriori spiegazioni da parte dell'autore.
Testo profondo che parla di un amore semplice. Niente male, davvero.. -
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Le immagini iniziali casalinghe testimoniano modestia e vita semplice.
Ma non si è sufficientemente preparati quando arriva la diffidenza della ragazza disabile.
Una diffidenza feroce e commovente.
Il cuore gigante dei due ragazzi risolve tutto.
Per fortuna.. -
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Notevole. Molto particolare, delicato, alterna parti di grande potenza visiva ad altre più parlate, accattivanti ma forse meno potenti. Il livello resta però sempre alto, godibile, intelligente. Una storia d'amore che vive di ricordi, impressioni, pennellate rosa che riempiono la pagina seguendo l'ispirazione più che una logica narrativa, alla ricerca di un'emozione dominante piuttosto che di una trama ben precisa.
"frammenti di lei scheggiavano i miei pensieri"
"Ci si può innamorare dei frammenti"
"Se non si è in grado di gestire una ragazza intera ci si fissa sui dettagli"
Frasi che simboleggiano come lavora questo racconto e come va letto, e apprezzato.
Piaciuto molto. -
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Trama semplice. Un amore tra adolescenti. Lei ha addosso un peso enorme che cerca di superare minimizzando, ma quando lui le chiede di fare l’amore, scoppia a piangere.
Lacrime, senza parole. Si capisce lo sfogo improvviso; si comprende perché lui tace, senza tentare di consolarla. Del racconto è il momento che preferisco. A volte il silenzio parla.
Piaciuto, nonostante la rapidità della scrittura (colpa della fretta o dell’autobiografismo? Meglio raccontare in terza persona.). -
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Ciao Aut-.
Una bella storia adolescenziale che mi ha sorpreso più volte. Per la sincerità che traspare dalle parole del tuo narratore protagonista. Per il colpo di scena che non mi aspettavo, perché col cavolo che un adolescente "normale" come quello che ci hai regalato si innamorerebbe di una disabile. Eppure non si è spezzato nulla nel tacito accordo tra lettore e autore, non tra me e te, Aut-! Grazie.. -
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Bel racconto, piccoli gesti sinceri e un finale sorprendente, un sentimento che si sviluppa in un crescendo d'emozioni, complimenti autore. . -
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Mi ha riportato indietro ai miei anni con particolari simili alla mia vita trascorsa… Io andavo su una Opel Rekord.
E poi la scrittura piace e… prendo l'autobus del tempo e annoto il racconto tra i preferiti. Veramente piaciuto!. -
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niente male, anche se alcune cose mi restano oscure e a tratti la storia pare discontinua
ottime le caratterizzazioni dei personaggi, splendidamente delineati
buone le descrizioni, con qualche gioiellino che risalta in maniera particolare
anche l'atmosfera che riesci a creare fa la sua parte
nel complesso devo dire che mi è piaciuto, nonostante i pochi dialoghi e il muro di parole
da tenere presente.