SUPERPREDATORI - parte 15

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     Mi piace   Non mi piace
     
    .
    Avatar

    Teropode assennato

    Group
    Gli irriducibili
    Posts
    1,308
    Me gusta
    +173

    Status
    Offline
    Torna alla parte 14

    ***



    Parte 15

    Il sole è sorto.
    Sorto da parecchio.
    Quando ho visto il chiarore, quando gli occhi hanno preso a sbattere infastiditi, mi sono sentita persa. Forse ho dormito, e se l’ho fatto è stato il peggior sonno della mia vita, qualcosa di talmente sottile da oscillare continuamente tra veglia e riposo, in un’alternanza che alla fine ha confuso i due stati facendoli apparire come un limbo da incubo.
    Se ho dormito non ho sognato, e se l’ho fatto credo di aver sognato d’essere legata a un pinnacolo e lì attendere l’alba per la mia esecuzione.
    Un’attesa snervante.
    Una preghiera che la notte non passi mai.
    La notte è passata.
    Il sole è sorto, da parecchio. Saranno le nove, le dieci. Ho ancora l’orologio al polso ma nessun modo di consultarlo.
    Restiamo lì, legate ai nostri pinnacoli, senza il coraggio di dire alcunché per paura di vederle arrivare, loro, le Erinni di merda. Le mani sono fredde e indolenzite, labbro, naso e orecchio non hanno smesso un attimo di pulsare, forse anche nel sonno.
    Poi il sangue.
    Ho finito di buttarne ma questo non è d’aiuto: ogni respiro è umido, bagnato, intriso d’odore dolciastro, ma la cosa peggiore è quello seccato su tutta la parte inferiore del mio volto. È difficile descrivere la sensazione del sangue secco sulla pelle, sul muso, giù per il collo: è come una patina, un velo, qualcosa che senti attaccato, come se una lumaca viscida e salata ti avesse passeggiato addosso, senza che tu possa fare niente per lenire il fastidio. Il sangue rappreso è come una seconda pelle.
    Ci guardiamo, in quattro, consapevoli.
    Il sole è tiepido, l’aria fresca, è una cazzo di giornata perfetta per andare al mare.
    Perfetta.
    I passi salgono dal sentiero.
    È l’ora.
    Vengono, un raspare di scarpe e scarponi sul pietrisco: i nostri cuori si stringono e manchiamo un respiro, poi il cuore accelera, le viscere si contraggono.
    “Con dignità,” scandisce Rita nel tono più calmo che trova, “Con dignità, ragazze, noi moriremo con dignità.”
    Candy inizia a singhiozzare mentre le labbra, le sue ampie labbra, si storcono in una smorfia di profondo, genuino dolore. Mormora e digrigna i denti, supplicando qualsiasi entità in cui creda, posto che una del genere possa davvero credere in Dio o un suo surrogato.
    Strattono i polsi in un ultimo, patetico tentativo di far cedere una corda: altre occasioni non ce ne saranno.
    Nessun Dio e nessun surrogato ascolta la supplica che invio tra i denti.
    Passi sul sentiero.
    Atreja è la prima a comparire, dietro di lei il resto della banda.
    Si ferma in centro allo spiazzo, apre le braccia in un gesto teatrale.
    “Buongiorno,” esordisce con la brezza che le scompiglia i capelli scuri e arruffati, la pelle segnata e assieme carezzata dal primo sole. “Buongiorno, mie care. Vi sentite pronte per questo grande momento?”
    Pronte.
    Non sono pronta.
    Pronta.
    Posso dirlo, affermarlo, gridarlo, e so di averlo fatto alla partenza per questo luogo maledetto, ma non lo sono. Non lo sono mai stata.
    “Credetemi, sono la prima, la prima, a considerare la vostra morte uno spreco. Uno spreco terribile.” La guardiamo sedersi su un masso, teatrale, quasi poetica nel sollevare un ginocchio e assumere una postura da ritratto, da foto di copertina; in fondo è il suo show, il suo mondo, noi solo una parentesi nel corso delle cose.
    “Prima di voi molte altre sono passate attraverso questo stesso corso di eventi. All’inizio, quando ero inesperta e spaventata, facevo mettere in ginocchio le mie prigioniere; le facevo mettere in ginocchio e sparavo loro in testa, senza una parola, senza neanche conoscere i loro nomi. Senza un saluto, un discorso d’addio. Potevano essere chiunque nelle loro vite passate, intendo quelle al di là del mare, e io le ho cancellate nello spazio di un secondo, premendo un grilletto. Cadevano per terra, come stracci; cadevano e in un solo momento non erano più lì, lì con me, restavano solo dei corpi inanimati.”
    Guarda in alto, come a cercare le parole migliori, umetta le labbra.
    “Poi, col passare dei mesi, ho cominciato a dare più importanza allo spettacolo, all’immagine. Allo scopo. Lo scopo di questo gioco, di questo reality, che parola orribile: lo scopo, ragazze mie, è quello di far vedere a tutto il mondo che queste cose, queste brutture, fanno parte della nostra vita. Fanno parte di noi, che ci piaccia o no, sono i nostri incubi e pulsioni, sono come cavalli malati e mostruosi che portiamo dentro, tutti quanti, che li si reprima nel recinto più profondo del cuore o li si lasci liberi di correre. E mi dispiace che dobbiate scoprirlo sulla vostra pelle, ma in fondo: chi mai vi ha obbligate a venire qui? Chi vi ha puntato una pistola alla testa dicendovi di firmare per Superpredatori, di diventare carne per Illumina?”
    Socchiudo gli occhi reprimendo l’amarezza.
    Atreja apre le mani in un gesto indifferente.
    “Ho dato peso allo spettacolo. Fatto qualche gioco, tagliato qualche dito, piccole cose. Più di tutto ho cominciato a spedire quelle povere anime in bocca alle bestie da vive, non più da morte, perché pochi secondi di orrore, di quell’orrore, valevano più di qualsiasi tortura, di qualsiasi violenza. Forse lo sapete, ma i picchi di ascolti sono sempre quando le belve di Illumina mangiano. La gente, quella gente che avete lasciato a casa, sul divano, per la strada, in auto, a lavoro: quella gente molla tutto e accede all’account quando voi finite divorate vive, quando io e le mie guerriere vi scagliamo di sotto.” Scosse il capo, accigliata, le mani ancora aperte come la Madonna in gloria.
    “Ma che succede? Cosa siamo diventati, tutti, che ci è accaduto? Arrivano ogni giorno barconi dall’Africa e quanti, quanti dicono e scrivono e pensano che sia cosa giusta lasciar affogare dei disperati, dei rifiuti umani, guardarli morire tra i flutti e raccoglierli gonfi d’acqua su qualche spiaggia? E queste persone, questi pensatori da pochi secondi, sono gli stessi che portano al potere governi populisti, che allevano i loro figli chiudendo gli occhi davanti ai loro soprusi adolescenziali, che parcheggiano nei posti per disabili, e che si connettono di nascosto al server quando una pazza sadica sbatte giovani fighe piagnucolanti tra i denti di improbabili mostri preistorici.”
    Mi guarda.
    Mi guarda e i suoi occhi sono il luogo più sicuro, più indomito della Terra. Non c’è una singola ombra di dubbio, d’esitazione, solo immensa, infinita consapevolezza.
    Un brivido si libera dai vincoli e s’affretta giù per la mia schiena.
    “Dovremmo cominciare a considerare, tutti quanti,” il suo tono è calato, più freddo, “Che in realtà noi, gli uomini, le donne, non siamo diventati nulla, non siamo cambiati di una virgola. Siamo sempre gli stessi. Sempre uguali, sempre crudeli, sempre affamati di sofferenza altrui per colmare la nostra. Sono diecimila anni che l’uomo e la donna ci descrivono per filo e per segno come sono, come siamo. Non è cambiato nulla, mai nulla: siamo solo diventati più ipocriti. Più timorosi di noi stessi. Più morti che vivi.”
    Il silenzio grandioso di Illumina.
    “Più morti che vivi.”
    Si alza all’impiedi con la stessa studiata calma.
    “Mi dispiace per voi e lo spreco che rappresentate. Niente di personale: sarebbe interessante torturarvi fino a farvi supplicare la morte, ma giocare col cibo è qualcosa che fanno solo gli animali sazi, e io non sono sazia. Non lo sono mai. Più di tutto, mi dicono che la community si è molto agitata per voi; forse Atreja la Sanguinaria e le sue Erinni hanno stancato il pubblico, che ora sta dalla vostra parte, e per questo dobbiamo dare un messaggio forte: Illumina ha una sola squadra vincente. Tutto il resto è carne morta.”
    I singhiozzi di Candy-Kane riempiono il breve silenzio prima che le Erinni si muovano, ci raggiungano. Sento la paura e l’ansia crescere.
    So di avere un’unica carta da giocare, ma non so quando: ora, tra poco.
    Ora.
    “Atreja,” la voce mi esce rotta, “Atreja!”
    I suoi occhi si posano su di me, fieri e sinistri.
    “Devo parlarti, è importante.”
    Rita, la suora, mi guardano perplesse. Io rifiuto d’incontrare i loro sguardi.
    Atreja si avvicina, a passo svogliato; ha un mezzo sorriso che sembra già preventivare la sua risposta prima ancora di sentire cos’ho da dire. Si ferma accanto a me. “Ti ascolto.”
    “Non qui. In privato.”
    “Parla.”
    “In privato! Lo giuro, Cristo, non è un trucco, voglio solo parlare.”
    La mia voce è bassa, quasi sussurrata. Mi vergogno, non ho scelta. Nessuna scelta.
    Passano i secondi più lunghi della mia vita, poi lei accenna col capo; una delle Erinni mi slega, e quando le corde cadono a terra è di nuovo orgasmo, è libertà, per quanto effimera. Amplesso.
    Vengo presa per un braccio e condotta innanzi, lungo il sentiero che sale ancora, poco più in là, appena oltre lo spiazzo, quanto basta per una dose di privacy. Le mie compagne osservano con preoccupazione crescente.
    “In ginocchio, puttana.”
    Obbedisco alla guardia, m’inginocchio sul pietrisco; metto le mani sopra la testa come vengo istruita di fare. La lama di un machete mi s’appoggia al collo: il freddo dell’acciaio infligge un brivido.
    Atreja mi passeggia accanto, indifferente e distante, fissando ora il cielo azzurro ora qualcosa che attira di lontano la sua attenzione.
    “Siamo sole,” scandisce senza guardarmi.
    La mia testa vortica cercando le parole migliori, quelle che possano darmi una speranza di uscirne viva.
    Deglutisco e, per un attimo, la lama del machete sembra premere di più contro il collo.
    “Ascoltami. Io sono venuta qui in Illumina perché non avevo scelta. Mia madre s’è giocata tutti i miei risparmi, mia sorella mi odia, ma a prescindere io sono… sono l’unica che può badare a quella strafottuta famiglia. Senza di me non ce la fanno, capisci? Senza di me sono finite, perse, non ce la possono fare.”
    La regina delle Erinni alza una mano, come infastidita, sebbene un nuovo sorriso di circostanza le illumini le labbra piene. “No, no, no, Silvia cara, risparmiati queste lagne da codarda. Tu non sei una codarda, giusto? Non giocarti la carta della pietà: con me non funziona mai.”
    “Non è la pietà!” protesto con garbo, “Non mi hai fatto finire! Io ho una proposta per te.”
    “Una proposta.”
    “Sì, una proposta. Io sono diversa da quelle altre, l’hai detto tu. Io sono… ero un soldato, okay? Sono venuta qui per disperazione, per salvare la mia stupida famiglia, non sono come le altre, per loro è un gioco del cazzo!”
    “Questa proposta?”
    Prendo un respiro come fosse l’ultimo. “Voglio stare dalla tua parte. Fammi diventare un’Erinni.”
    I suoi tratti si rilassano in un sorriso inquietante.
    “Fammi diventare un’Erinni: so sparare bene, ho ammazzato una donna, a Kandahar, le ho sparato in testa da più di venti metri, un colpo da manuale.”
    Anche la guardia che mi tiene la spada alla gola sorride nello stesso modo sinistro.
    “Hai bisogno di una prova?!” insisto con tutta la foga che riesco a raccogliere, “Te la do anche subito la prova. Subito te la do. Riportami di là, dammi un’arma, quella che vuoi: io ammazzo una di quelle tre cretine, quella che vuoi tu. La ammazzo, lo giuro, le taglio la gola se vuoi, la uccido a pugni se vuoi, son brava con la boxe. Quello che ti pare.”
    Anello e barbigli dorati mi oscillano sulla bocca togliendo qualsiasi dignità alle mie parole.
    Passano secondi lenti, pesanti.
    Secondi che sanno di amarezza e disillusione.
    Atreja muove un paio di passi, la sua espressione serena vaga di nuovo tra compiacimento e compassione. Si china con studiata lentezza davanti a me.
    “Un’offerta generosa, Silvia, ma temo di doverla rifiutare.”
    Per un attimo lo sconforto mi assale e divora.
    “Se tradisci le tue compagne per me,” prosegue lei, “Un giorno tradirai me per qualcun’altra più forte: non posso fidarmi di una che per salvarsi la vita è disposta a mettere le corna alla sua squadra.”
    “Ti sbagli! Se mi prendi con te io ti giuro fedeltà: non ti tradirò, in nessun caso, mai. Lo giuro.”
    Il cuore mi sbatte contro lo sterno.
    Atreja ride leggera, scuote il capo. “Non essere ridicola. E poi mi dicono che hai un discreto seguito nella community: meglio mettere in chiaro, col resto del mondo, che in Illumina c’è una sola regina. Ormai ti resta poco, Silvia cara, spendi bene il tempo che avanza.”
    Ti resta poco.
    Mi resta poco.
    Un assalto d’ansia.
    “Torniamo dalle altre, su, o penseranno che stiamo tramando qualcosa. Non è carino.”
    Ride, leggera. Vengo rialzata di peso, messa in cammino sul sentiero; ritorniamo allo spiazzo dove le altre tre sono state slegate e attendono il nostro ritorno. Mi guardano, non le guardo, fisso i polsi segnati di rosso dalle corde.
    Atreja mi passa un panno umido per il volto: pulisco il sangue secco alla buona, lo getto via.
    “Che hai fatto?” Rita domanda in un soffio.
    “Cercato di salvarci,” bisbiglio, “Proposto un accordo, che ci facessero fuggire, dare una chance di salvezza.”
    Non credo di averle convinte ma è tutto ciò che ho.
    Le Erinni ci allineano in riga, di nuovo mi ritrovo a essere su un lato della fila, di nuovo ho la suora fianco a fianco e la cosa m’infastidisce; si dispongono intorno, armate e ferine. Atreja apre una cassetta lunga e stretta, ne trae un pungolo d’acciaio che estende con un tocco: la punta prende a sfrigolare di un bagliore elettrico sinistro. Passeggia davanti a noi muovendo l’asta elettrificata con la destrezza di chi è abituato a usare strumenti del genere.
    “Siamo alla fine dei giochi, ragazze. Avete perso, purtroppo per voi, ed è ora di pagare il dovuto. Tuttavia ho una buona notizia: ho deciso”, pausa d’effetto, “Di essere misericordiosa. Lascerò vivere una tra di voi, una sola, purché si metta al mio servizio e si renda utile per un piccolo progetto che ho in mente.”
    Sento il cuore tuffarsi verso il basso. Gli occhi di Atreja percorrono il nostro quartetto con calma glaciale, gustando l’ansia che è di colpo raddoppiata, nutrendosi delle nostre false speranze come un parassita insaziabile.
    Atreja è insaziabile.
    Non è una creatura di questo mondo.
    I suoi occhi glaciali si fissano su di me e per un attimo, uno solo, sento il sollievo più caldo e profondo.
    “Oggi è il tuo giorno fortunato, cara,” scandisce allungando il pungolo come fosse una spada, “Tu, vieni: lascia queste perdenti al loro destino.”
    Ho persino l’istinto di muovere un passo, di uscire dalla riga, anche se i miei occhi, il mio cuore, realizzano, hanno già realizzato che l’asta non punta al mio petto. Candy-Kane emette un verso di stupore mentre si scosta da noi, nei suoi occhi c’è una meraviglia e un’incredulità che neanche l’apparizione di Dio in persona potrebbero suscitare.
    Barcolla via dalla fila per qualche passo, si butta in ginocchio prima ancora che una delle Erinni la metta giù di peso.
    “Grazie,” balbetta con gli occhi dilatati e le mani giunte, “Grazie, oddio, grazie.”
    Mando giù la delusione con un sapore amaro di sconfitta, di beffa. Atreja guarda me, solo e soltanto me.
    Nei suoi occhi c’è la derisione più nera mascherata dietro una placida espressione di superiorità.
    Si muove accanto a Candy, le accarezza i capelli biondi e lisci come fosse un cane, ed è quello che è: una cagna scodinzolante, senza un grammo d’onore.
    “Grazie…”
    “Aspetta a ringraziarmi, tesoro. Io ho bisogno di una prova di fedeltà.”
    Sento il sangue ribollire e la frustrazione montare sopra qualsiasi livello di guardia, lotto col bisogno ormai fisico di uccidere Candy e uccidere me stessa. Qualsiasi cosa per far cessare la vergogna.
    Atreja aiuta la cagna a rialzarsi, raccoglie dalla stessa cassetta di poco prima una verga di bambù, gliela mette in mano. Lei s’asciuga le lacrime prima di contemplare il dono.
    Ho una paura fottuta di quello che sta per succedere.
    “Sarai tu, cara,” il tono della regina delle Erinni è freddo e assieme suadente, “A portare le tue amiche dalla bestia, giù al canyon. E fustigherai loro il culo ogni volta che rallentano, ogni volta che si fermano, ogni volta che ti guardano in un modo che non ti piace. Hai capito?”
    Parla a lei ma è come se fissasse tutte noi.
    Sento freddo, un freddo d’inverno.
    Candy annuisce appena. Il suo sguardo è cambiato. Se c’è del rimorso, del disagio per il dover alzare la mano contro di noi, viene oscurato dalla fame disperata, dalla cattiveria dell’opportunismo, dell’occasione, quella che fa l’uomo, la donna, ladri.
    A piccoli passi s’avvia e va a mettersi dietro di noi, dove non possiamo vederla.
    Atreja mi guarda, guarda me, e sorride tra le rughe: è il suo modo d’insegnarmi una lezione, una che non dimenticherò per il poco che mi resta da vivere.
    “Molto bene, ragazze,” la regina di Illumina batte le mani due volte, come una maitresse, una signora nel suo feudo, “È ora di andare, è ora di far eccitare qualche milione di maschi e femmine da oltre il mare.”
    La pausa che segue è oscena. Trattengo il fiato.
    “Via i vestiti. Togliete tutto.”

    ***



    Con ansia, ansia, ansia alla parte 16

    Edited by Fante Scelto - 13/10/2018, 19:35
     
    .
  2.     Mi piace   Non mi piace
     
    .
    Avatar

    Penna furiosa

    Group
    Member
    Posts
    1,053
    Me gusta
    +109

    Status
    Offline
    Ben reso e angosciante, come sempre. A maggior ragione per me, che non amo particolarmante i piercing...
    Intanto Silvia è passata al contrattacco. Brava. Peccato che, almeno per ora, non sembra aver funzionato :(
    Staremo a vedere
     
    .
  3.     Mi piace   Non mi piace
     
    .
    Avatar

    Teropode assennato

    Group
    Gli irriducibili
    Posts
    1,308
    Me gusta
    +173

    Status
    Offline
    Ti ringrazio del commento.

    Sto anche lavorando su tutta una serie di cose di contorno: è mia tradizione corredare i racconti lunghi con vari tipi di attività complementarie.
    Stay tuned!
     
    .
  4.     Mi piace   Non mi piace
     
    .
    Avatar

    New entry

    Group
    Member
    Posts
    65
    Me gusta
    +8

    Status
    Offline
    Ansia, ansia, ansia.
    Ti segnlo solo una cosetta. Qui pare manchi qualcosa, o un pronome o un aggettivo, vedi tu.


    ma i picchi di ascolti sono sempre quando le belve di Illumina mangiano.
     
    .
3 replies since 6/10/2018, 20:25   46 views
  Share  
.