I gemelli Lowenstandt

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    Dio della penna

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    Ding dong!
    Il bitonale annunciatore richiamò la mia attenzione sul portone di casa.

    I due gemelli dovevano essere arrivati, con leggero ritardo rispetto all'appuntamento concordato. Fra i tanti candidati come assistenti al mio studio sui fenomeni paranormali, Grace e Kelly Löwenstadt, nati ad Haarlem e cresciuti non so dove, risultavano in assoluto i più promettenti. In quanto fini conoscitori del mondo oltre il mondo, io, Luis Piccolo, studente di Psicologia e futuro genio incompreso/premio Nobel, non potevo certo farmeli scappare.

    Aperta la porta le due figure si ersero come evocate dalle liriche araldiche sullo zerbino a forma di raganella.
    Sulla sinistra, distinto come un compito elementare un ragazzo di circa vent'anni sorrideva in silenzio. Di una leggerezza di tratti sopraffina, sembrava inchiodato in terra dall'ombrello blu notte con punta d'acciaio che teneva nella mano destra, poiché tanta era la sua bellezza tiepida che pareva in grado di volteggiare a mezz'aria senza un qualche appiglio terreno. Oltre alla creta con cui sono fatti gli esseri umani qualche Dio dell'invidia doveva aver mischiato alla sua argilla polvere dell'Orinoco che, metallica e lucente, dava freschezza a quel corpo satinato. La piega dei capelli, complementare alla linea del naso giocava alla perfezione con la curvatura degli orecchi i quali lobi, simili a gocce di burro di karité al calore della Costa degli Schiavi, sembravano vivere nella propria bolla di gravità. E fra la sanguigna pulsione delle labbra cotte da un forno ventilato e l'opalescente rotondità delle unghie montate con grazia su mani da sultano era impossibile percepire la fonte primaria di quella meraviglia in carne e ossa. Se non fosse per il vestiario anonimo, maglione grigio piombo con colletto di camicia bianco, blu jeans, scarpe marroni da passeggio numero 42, poteva essere facilmente essere scambiato per un principe persiano perduto fra i granelli del tempo.
    Sulla destra, invece, zuppa come uno sputo di cammello una figura femminile, più piccola di almeno venti centimetri, esprimeva con tutta la forza della sua anima un broncio di dimensioni epiche. Il trucco sugli occhi aveva assunto ormai l'aspetto di un'albicocca nera che, troppo in alto per essere raccolta, cede all'Agosto che avanza. I capelli lunghi fino alle spalle, inchiostrati dall'umidità, cazzeggiavano per la testa quando serpeggianti in ciuffi velenosi, quando diritti come parafulmini di elettricità statica, quando incollati da acqua e farina. Il vestito che pareva essere carino, viola o rosso scuro a fantasia, era costituito da una lana appartenente ad un ovino chiaramente raffreddato. Le calze a quadri grigi e verdi non erano da meno e chiaramente neppure le scarpe, così kawaii in vernice nera e verde, potevano fare a a meno di gracidare imbevute di acqua piovana. Riuscendo a scansare quell'ingombrante broncio che appianava le fossette sulle guance allungando gli zigomi, il visino di quella damigella risultava piacevole alla vista. Un nasino piccolino sorreggeva delle sopracciglia fini ma folte come una palma datterifera, e la bocca, seppur in netto disappunto, si mostrava con la bassa definizione dei baci strappati. L'unica parte del corpo che si era rivelata impermeabile alla furia della pioggia erano le mani che, smaltate di un verde bottiglia che prima della tempesta doveva essere intonato al resto, sembravano stringere nel pugno le redini della giornata. E fu proprio da questa napoleonica presenza, una volta allentate le briglie delle labbra e della lingua, che uscirono le prime parole della giornata:
    “Prendimi per il culo e ti ammazzo! Siamo sempre insieme io e Kelly, ma ovviamente quella volta che facciamo due strade diverse viene giù il mondo! E indovina chi ha l'ombrello, non io di sicuro. Ce l'hai mica un fohn e una maglietta, così provo ad evitare di morire di tisi. Ottima scelta i Clash, non ti facevo un tipo da Clash. Ah, scusa del ritardo ora ti spiego, però prima abbi la cortesia di indicarmi la via per il bagno.”
    Allungai un dito verso una porta bianca, immediatamente prolungato dal passo deciso di Grace che approfittò per lanciare un commento: “Comunque è un bel casino questo locale.”
    Ah! Il caos che sorregge la vita degli studenti universitari! Il suo fascino è irreversibile, l'ordine del disequilibrio chimico riempiva il cuore di chiunque varcasse quel portone.
    “No davvero c'è polvere ovunque.” continuò la ragazza che sembrava aver colto quel senso di vissuto che ogni casa dovrebbe avere.
    Quasi coperto dal soffio deciso dell'asciugacapelli arrivò un ultimo appunto dalla creatura nel bagno: “Che poi pensi che non abbia notato, la pila di pentole e piatti nell'acquaio? Che schifo!”

    Il silenzio si impadronì di noi. Accanto alla porta Kelly vegliava la sorella con un largo sorriso ma alcuna intensione di aprir bocca, ed io non me ne potevo che restare imbarazzato a riflettere sulla sacralità del momento mentre il fohn fluiva fra le valli dell'appartamento come vento fra le montagne. Gli occhi di Kelly poi non mi lasciavano scelta in quella calma avrei potuto anche addormentarmi, poco importava se nei riflessi verdi della sua iride avevo riconosciuto alcune iscrizioni presenti in antichi tomi del Basso Medioevo.

    Mi ripresi immediatamente dal mio torpore quando un urlo da passerotto incazzato arrivò dalla stanza da bagno squarciando l'atmosfera come un balloon di un fumetto made in USA, seguito da Grace in mutande e nudità e da un palloccolo nero attaccato ai suoi stinchi. Scrollandolo vistosamente riuscì a porre il centro di massa di quel cosino sul collo del piede, facendolo poi schizzare con un calcio balistico in un perfetto volo parabolico. La creaturina fece una capriola ninja per poi ricadere sul fianco scivolando due o tre volte prima di riuscire a rialzarsi. Grace che con un braccio copriva i seni lasciando intravedere solo l'anello perimetrale di quelle grazie, caricò un'invettiva adirata che si rivelò cotta a puntino solo quando, con un rumore da tostapane, si drizzò un giudizioso dito indice.
    “Mio caro Luis, non hai pensato che forse avvertirmi che nella tua toilette ci fosse un petit chat noir in preparazione per le prossime olimpiadi di omicidi in salto sarebbe stato carino?” precisò con una calma da Vesuvio.
    “Mi scuso ma non sapevo che Torsolo fosse in bagno, di solito a quest'ora dorme” mi espressi in mia difesa.
    Boom! Come un bravo geologo avrebbe potuto prevedere il vulcano tremò vistosamente gettando fumarole bollenti di disappunto
    “Quindi signor “Chiamo il gatto Torsolo così deridono lui invece della mia stessa persona” sostiene che la regolarità giornaliera di quel felino superi la precisione del mensile flusso mestruale delle donne con la D maiuscola, e che quindi le probabilità che quel coso mi attaccasse i polpacci e mi costringesse, a metà fra l'infuriata e la spaventata a morte, ad uscire con le mie tettine a spasso per la cucina fossero in qualche modo ininfluenti?”
    Colpito da lapilli inaciditi abbassai lo sguardo, aggiungendo a bassa voce: “Non è il mio gatto.”
    “E di chi è?”
    “Di Graziano.”
    “E chi sarebbe?”
    “Lui.”

    La meraviglia è un sentimento assai singolare poiché è il motore stesso della vita. Se il nostro vivere fosse fatto solamente da eventi prevedibili potremmo credere di essere immersi in un oceano di Terabyte, memorie di un programma lanciato al tempo del Big Bang la cui deterministica fine e il cui utilitaristico fine possono sfuggirci, ma ci risultano essere sempre chiaramente fissati. Ma così non è, e lo stupore che accompagna l'inaspettato ci fa sentire dei bambinelli sui banchi di scuola dell'universo, infimi rispetto alla conoscenza, suprema entità mitologica.
    Così si sentì Graziano, giovane studente d'informatica, che mentre stava andando come ogni mattina a dare da mangiare al suo gatto mignon, quel giorno incrociò lo sguardo con un paio di spalle di nude, che filettate come viti da legno, avvitavano il suo sguardo su un sedere umido e gentilmente avvolto da una mutandina violetta con un piccolo fiocco rosa decisamente femminile. Lo sguardo si sarebbe felicemente assopito seguendo la legge gravitazionale di Newton sulle gambe di quest'ultima, che avevano dall'aspetto di tronchi levigati dal mare, ma proprio in quel momento nacque un secondo momento di meraviglia.
    Grace, disoccupata con un futuro da assistente, bagnata, schifata e poi artigliata si era vista rompere l'ultimo baluardo di pazienza, e davanti a quella faccia sconosciuta dalla novizia estasi stampata sul viso, eruttò con un potenza tale che se Plinio il Vecchio fosse stato vivo, non solo l'avrebbe ucciso, ma avrebbe aiutato i parenti a cercare le sfere del drago per resuscitarlo, per poi ucciderlo una seconda volta.
    Cosa successe nei due minuti seguenti è illogico da descrivere.
    Volarono parole così oscene da ripristinare l'ordine degli esorcisti, schiaffi frizzantissimi, un gatto impazzito attaccato alle tende, e fin qui tutto tranquillo, ma poi incominciarono ad alzarsi sedie e tavoli con bottiglie di succo d'arancia ancora aperte e dalle piastrelle uscirono ombre dai sorrisi affilati e macchie di mucose ultraterrene oltre a figure più o meno umane vestite da cameriere. Solo Kelly appoggiato al solito ombrello, con la faccia beata come sempre sembrava essere immune alla baraonda che aveva investito il piccolo appartamento.
    Alla fine del centoventesimo secondo Grace indossava una polo arancione ed un paio di jeans che non si erano mai visti in quella casa, l'acquaio era vuoto ed i piatti ad asciugare, e Torsolo, il dispettoso gatto bassotto, miagolava preoccupato sul pino del parco di fronte, a un centinaio di metri di distanza.
     
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    Teropode assennato

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    La storia è scritta in maniera incredibile, con un tale e disinvolto uso del linguaggio da lasciar intendere notevole maestria ed esperienza.
    Le descrizioni sono così pittoresche da essere dei veri e propri quadri, così come la scena che ritraggono: viva, artistica. Lo stile, poi, è così coinvolgente da trascinare nella lettura dall'inizio alla fine per capire dove stiamo andando a parare.

    Ci sono però anche due difetti che individuo in questo brillante pandemonio.
    1) La Grace parla esattamente con lo stesso stile e intonazione della voce narrante, secondo me improprio, anche se contribuisce a tenere una grande uniformità sul racconto.
    2) Credo che alla storia in sé manchi qualcosa, o non l'ho colta io.
    Tutta la premessa iniziale, sul fatto che i due gemelli siano lì per fare da assistenti a uno studio del paranormale, non trova poi alcun riscontro nella storia in sé, eccetto che nel finale, dove però solo a una seconda rilettura ho intuito che siamo davanti a uno sfoggio di poteri psichici o qualcosa del genere. Alla prima lettura avevo inteso fosse un'altra pittoresca descrizione della furia della ragazza.
    In ogni caso, manca secondo me il collegamento con la premessa, o almeno una frase finale che dia un senso a tutto quello cui abbiamo assistito.

    Forse sacrificare qualche rigo nelle pur ottime descrizioni dei due gemelli avrebbe lasciato più spazio per definire meglio il finale.

    A prescindere, è un racconto notevole che terrò in considerazione.
    :)

    EDIT - nel titolo c'è una "N" di troppo nel cognome dei gemelli.
     
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    Purtroppo devo constatare di non aver capito questo racconto. Mi sembra un'accozzaglia di descrizioni, seppur con una notevole padronanza del linguaggio, che non riesco a capire dove vadano a parare. D'accordo i gemelli, poi Luis, Torsolo, Graziano...boh? E l'ambientazione, uno studio, un locale con camerieri che girano. Qua mi sa che di incazzato ci sono solo io perché l'autore, proprio per la padronanza di linguaggio e termini di cui sopra, ha buttato all'aria un'occasione d'oro.

    "...zuppa come uno sputo di cammello..." :mumble.gif:

    "...cede all'Agosto che avanza." È voluta la A maiuscola di Agosto?
     
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    Padronanza dello scrivere ma fondamentale reputo, nel raccontare, il giusto livello di comprensione da lasciare al lettore.
    Sono antico allora e perdo sempre questa sera, anche in questo racconto.
    Ottimo nel connotare i personaggi, meno nell'intreccio della trama.
    Faccio fatica a star dietro.
    Colpa mia e mi scuso.
    Non è nelle mie corde questo racconto.
    Però i gemelli sono veramente descritti bene, per questo i complimenti sono obbligatori.
    E il muoversi nel soffuso è ok.
    Good dear author!
     
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    L'autore sa scrivere e ha grandissima proprietà di linguaggio, ma questo pezzo a me sembra un virtuosismo fine a se stesso. Proverò a rileggerlo ma sinceramente il feeling è poco.
     
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    "poteva essere facilmente essere scambiato" "le mani che, smaltate di un verde bottiglia" "ma alcuna intensione di aprir bocca" e passo. Il racconto è di una surrealità tale che ne ho perso il filo varie volte. la domanda che mi sono posto è: dov'è l'incazzatura?Probabilmente quella nascosta del gatto che si ritrova lanciato prima magistralmente sul divano e poi a uscire da quella casa per nascondersi lontano su di un albero.
     
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    Penna suprema

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    Il trucco sugli occhi aveva assunto ormai l'aspetto di un'albicocca nera che, troppo in alto per essere raccolta, cede all'Agosto che avanza.

    Bravura superiore.
    Follia.
    Libertà.
    Ti amo autore.
     
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    Nel leggere questo racconto ho provato le stesse sensazioni che mi procurano i dipinti degli accademici. Opere perfetta sintesi di tecnica sopraffina e autocompiacimento. Sarà perché prediligo l’imperfezione e l’immediatezza, pur riconoscendo le grandi doti dell’autore, non sono riuscita ad apprezzare questa storia neppure per l’arrabbiatura.
     
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  9. Cristina Lombardo
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    L'autore sa usare le parole, lo sa e vuole farlo sapere a tutti. Lo urla proprio. Dietro a tutte queste descrizioni c'è studio e volontà, cosa che solitamente io premio, poiché non credo per niente all'arte come dono divino, per me è impegno e sacrificio. In questo caso, però, devo dire tanta ricerca non va da nessuna parte. Molte delle descrizioni non hanno arricchito la mia immagine dei fratelli, ma addirittura hanno distratto la mia attenzione da essa.
    Leggendo mi sono venute in mente due cose: le vecchie canzoni di Carmen Consoli, quando sembrava aprire il vocabolario e inserire tutte le parole che trovava, e i libri di Alessandro Baricco... e non la si può mica prendere per una critica! Fatto sta che a me la tendenza di Mr. scuola holden a propinare la sua seppur ammirabilissima abilità lessicale, annoia parecchio. Che devo farci? Non sarò all'altezza di capirlo.
    Non ho dubbi sulle capacità dell'autore, ma di questo racconto, distratta da tutto quel parlare, non ho capito il senso, né dove stia l'incazzatura.
    Mi è piaciuta molto la parte sulla meraviglia.
     
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    Penna suprema

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    Riletto.
    Confermo l'impressione di parecchi: dopo la meraviglia resta poco dentro, ma potrebbe essere un suo pregio nascosto.
    Mi sono venute in mente le parole di uno sconosciuto mentre studiavo etichetta e prezzo di una bottiglia di vino costoso. Fraternamente mi consigliò un Frascati, più facile per il palato e più rassicurante per le tasche.
    Il tuo racconto è costosissimo, contiene bravura esagerata e non me lo posso permettere. Non so. Rubero' qualche moneta, come facevo da piccolo. O, alle brutte, mi imbuchero'. Come facevo da grande. Non voglio perderlo. Di vista.
     
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    Penna furiosa

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    Da leggere e rileggere. E nonostante con gli occhi fai su e giù su questo ottovolante di parole e cerchi di afferrare qualcosa che vada oltre le parole stesse e di tenerti stretto, alla fine rinunci e ti lasci andare.
    "I capelli lunghi fino alle spalle, inchiostrati dall'umidità, cazzeggiavano per la testa quando serpeggianti in ciuffi velenosi, quando diritti come parafulmini di elettricità statica, quando incollati da acqua e farina."
    Santo cielo, riesci a vederli davvero quei capelli, come se fossero sulla sua testa e ti stessi guardando allo specchio.
    Mi manca un senso, però. Di cosa parla il racconto, ecco. Poterlo dire in due parole. Le storie che ti restano nel cuore sono così. Sai immediatamente di cosa parlano. Qui non so.
    Ti gira la testa, quando scendi. Ma un po' vorresti salire ancora. Un giostra che stordisce, ecco. Vale il prezzo del biglietto, però. Non si discute.
     
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    Mmmmmmmhhh... Stile particolarissimo, ma... ci sono immagini, metafore, descrizione che davvero vanno un po' oltre... c'è un miscuglio di stili, ricercatezza e poi... "i capelli cazzeggiavano"... l'impressione finale è davvero quella di un esercizio di stile fine a se stesso. Il racconto non ha una trama particolare. I personaggi sono belli e il ritmo è buono... ma manca davvero l'inkazzatura, la carne, il guizzo... tutto alla fine risulta davvero un po' soffocato da questo uso veramente eccezionale della lingua che però alla fine risulta un po' sterile, poco finalizzato... quasi "un'occasione persa"!
    Complimenti, al di là di tutto, per la capacità linguistica...
     
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    Dio della penna

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    Io me lo ero perso e arrivo a commentare quando è stato già detto tutto e c'è ben poco da aggiungere.
    Qualcuno lo ha definito un esercizio stilistico e io aggiungo: cui manca l'anima,
    Comunque ognuno dei partecipanti fa le proprie scelte e sfoggia ciò che ha di meglio da mostrare.
    Il livello linguistico qui è altissimo.
     
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    Penna d'oca

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    Vorrei saper scrivere come te. Il mio registro linguistico è incommensurabilmente più basso.
    Ma vorrei scrivere bene come te per raccontare una storia, per dire qualcosa.
    Sei tecnicamente bravissimo, ma questa tecnica appare fine a se stessa.
    Questo tipo di scrittura, mi ricorda quei servizi di piatti - spesso regali di matrimonio - che non vengono usati mai e rimangono come belle statuine a farsi ammirare nella vetrina della credenza.
    Io sono l'ultimo dei mediocri, ma sono uno straordinario e vorace lettore, e da lettore ti do un piccolo consiglio: "Chiedi alla polvere" della vita di sporcare la tua tecnica.
     
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    Penna suprema

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    Genere: direi descrittivo, se descrittivo fosse un genere.
    Arrabbiatura: non saprei. Perchè in bagno c’era un gatto? Perchè l’appartamento era sporco? Mah...
    Contenuto:secondo me, si tratta di un esercizio di stile fine a se stesso, senza una vera logica. La ridondanza delle descrizioni (a volte soltanto eccessive, a volte ridicole e leziose) dopo un po’ stanca e si tende a leggere « perchè si deve ».
    Ti segnalo: intensione / intenzione;
    ...che forse avvertirmi che.../ forse avresti dovuto avvertirmi che...
    ...che ci fosse / che c’era.

    Edited by bucaneve88 - 3/12/2018, 19:06
     
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