Giorni cretesi

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    Dio della penna

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    Nota della direzione: chiedo scusa anticipatamente all'aut* di questo pezzo, ma il forum non permette la formattazione come richiesto. Ho ovviato mettendo in blu corsivo le parti interessate. Spero venga accettato.


    Da quando Selene mi ha parlato di questa nuova traduzione non ho fatto altro che pensarci. La storia di questo romanzo mi ha intrigato, poiché esso è allo stesso tempo un bestseller e un gigantesco flop e in questo mondo di algoritmi dove il successo è una qualità intriseca dell’opera, o meglio della sua campagna pubblicitaria, rappresenta una sorta di abominio editoriale.
    “クレタ日”, “Kureta-bi” o “Giorni cretesi” era uscito attraverso una piccola casa editrice specializzata nelle vendite in aeroporto e nelle stazioni ferroviarie e da lì, tramite un mirabolante passaparola, era riuscito a coinvolgere tutto il Giappone richiedendo subito una riedizione per sopperire alle poche copie stampate. La critica e il pubblico avevano la medesima opinione perciò una grande casa editrice americana aveva deciso di tradurre il romanzo in inglese, portandolo in tutti i paesi anglofoni come il nuovo capolavoro dell’Oriente. Nonostante i fondi utilizzati per promuoverlo la vendita ebbe risultati terribili in America e nel Regno Unito, solo l’Australia sembrava averlo apprezzato davvero. Secondo Selene non avevano fatto nessun cambio sostanziale nella versione inglese, se non uno, il titolo, non “Cretan days” ma “Umiko”. Qualche anno più tardi però un piccolo editore di Parigi che puntava alla traduzione di letteratura straniera comprata a basso costo, aveva deciso di investire per quello che era stato giudicato come un romanzo inadatto all’Europa e si era verificato un fenomeno molto simile a quello giapponese. Promosso prima dagli studenti delle Università e poi dai professori, “Umiko” era entrato nelle liste dei libri più venduti in Francia. Subito era ripartita una nuova corsa alla pubblicazione e più o meno nello stesso periodo in Germania e in Spagna il romanzo era stato proposto al pubblico, ancora con due variazioni del titolo. I tedeschi erano stati più tradizionali con il loro “Meine kretischen Tage”, “I miei giorni cretesi”, mentre gli spagnoli avevano brillato di audacia con “La niña del mar”, “La bambina del mare”, che altro non è che la traduzione letterale del nome Umiko. In Germania l’uscita andò clamorosamente bene, mentre in Spagna fu un fallimento così totale da far annullare l’uscita prevista per l’estate successiva nel continente Sud americano.
    E qui veniamo a noi, in Italia, dove gli editori avevano atteso tanto cercando di calcolare i fattori che sbilanciavano la lancetta in favore del successo o del disastro. Non c’erano collegamenti apparenti: non il titolo, non la radice linguistica del paese, non la vicinanza culturale dei popoli e neanche il traduttore, solo un dubbio insondabile. E come nella caccia all’oro furono i più disperati a mettersi in cammino rischiando la vita nelle foreste e sulle montagne del West, Selene aveva investito gran parte dei soldi dell’azienda, forse anche qualcosa in più, per pagare i diritti di quello che, a suo dire, sarebbe stata la svolta. E riempendomi di orgoglio lo aveva messo nelle mie mani.

    Molti dei miei colleghi per tradurre un romanzo iniziano leggendolo nella sua interezza e procedendo solo successivamente alla traduzione vera e propria. È il metodo più classico. Altri, in nome di una rapidità necessaria per rimanere sul mercato, incominciano invece immediatamente e vanno tutto d’un fiato, senza capire neanche il senso di quello che stanno scrivendo. Io ho il mio metodo: inizio traducendo la pagina iniziale, poi scelgo a casaccio un altro paio di estratti del libro, traduco anch’essi, infine prendo l’ultima pagina e così finisco. Solo dopo ricomincio da l’inizio a tradurre fino ad arrivare in fondo. Perché? Perché io devo voler conoscere quello che sto scrivendo, lo devo scoprire non come un lettore ma come un pittore che dipinge un quadro dallo schizzo già tracciato. Non mi basta uno sguardo per sapere, non mi basta per sentirlo mio, ma mi basta per legarmi allo scritto in maniera indissolubile e volerlo mio.
    Finalmente, manoscritto alla mano, ho trovato il tempo di sedermi alla scrivania, mettere in infusione il mio té al cedro e prepararmi a scrivere. “Kureta-bi” è un quadernetto piccolo come un breviario, come un breviario spesso. Fisso i primi due ideogrammi: 海子, Umiko e mi chiedo che faccia abbia, ma adesso sono pronto a scoprirlo.


    - Umiko! Svegliati, stiamo per atterrare. -
    Toru mi porta fuori dal torpore appena in tempo per vedere una sottile striscia di terreno scuro cosparso di radi cespugli prima che le case, come lettere di cemento, arrivino a descrivere un nuovo mondo in una lingua sconosciuta. La pista dell’aereoporto non tarda ad apparire lunga e nera mentre l’aria si fa turbolenta e i freni si preparano a stridere. Pochi attimi ancora e la mia settimana europea inizierà, pochi attimi ancora e sarò a Creta. Quella terra mi si era rivelata come una sottile striscia scura ma nasconde in realtà spiagge bianche e rosa, scogliere di lava e spuma fresca e rigenerante. Io mi ero persa tutto questo mentre dormivo avvolta in una cortina di oblio, ma ora che sono sveglia sono pronta a scoprire. A scoprire le rocce, i granelli e la spuma e tutto ciò che sotto nascondono: i bollori, le passioni, la pace, le risa, le stelle dentro al cielo nero e quel rosso sole enorme che guardiamo tutti quanti da ogni angolo del mondo. Alla fine diciannove anni non si hanno tutti gli anni e io voglio…sono pronta a viverli in sette giorni come se fossero eterni. Mi metto la mano sopra la fronte per schermarmi dalla luce mentre guardo l’atterraggio, di tutti i nascondigli […]
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    Una ragazzina, una vacanza, tante aspettative, tanto entusiasmo. Toni caldi e linee nere, nitide come pennellate d’inchiostro. Non so davvero dove mi porterà perché l’immaturità dello stile, sebbene dolce come una meringa, penso che tenderà a stuccare. Mi bevo un altro sorso di tè e riprendo il mio rituale lavoro di traduzione, lasciando che il caso mi guidi verso un’altra pagina di questo viaggio.


    […] non ho ripercussioni insostenibili.
    Il trauma di uccidere una persona non è l’atto in sé, ma l’attimo dopo. L’atto in sé è una cosa semplice, come schiacciare un’ape o tirare il collo alle anatre. Non è grave: se nessuno ti vede è niente. Quando lo fai con le zanzare spesso ti fanno anche i complimenti: nei dormitori è un’abilità apprezzata l’arte di prendere al volo quei fastidiosi insetti. Ma un essere umano non è una zanzara. Quando te lo ritrovi lì, morto con la faccia morta, ti prende il panico, non la paura, non temi per la galera o per i sensi di colpa o per l’orrore che ti terrorizzerà la notte, ma vai nel panico perché ha la faccia morta così come tu hai la faccia viva, la stessa identica faccia. Mentre lo ammazzi lo puoi guardare negli occhi e allora soffri un po’, oppure farti dare le spalle per non provare niente ma quando muore, alla vista di un corpo morto muori anche te, non puoi fare altrimenti, muori anche te e non c’è cosa più brutta di morire. È un’empatia animale non mentale: non te ne frega ancora niente di quel tizio, non ti importa della sua agonia, t’importa solo della tua agonia, del tuo morire mentre rimani in vita. Poco cambia se fai lunghi respiri e ti ripeti nella testa “Sono io, sono Umiko, sono viva, sono illesa” perché senti i passi di qualcuno che si avvicina alla porta della tua anticamera del cervello e bussando ripete “Umiko è morta, Umiko è morta, Umiko è morta”. L’attimo dopo è decisamente peggio, anche perché nessuno vuole sentirsi morto.
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    Cavolo! Sono stupito, che dire? Da dove esce tutto questo male, tutta questa fissazione per la morte arrivata dopo un inno alla gioventù? Altro che striscie scure, un’ombra più nera del buio si era stagliata dalla piccola figura della ragazzina del mare. Non posso fermarmi adesso, non posso smettere di cercare un punto di incontro fra luce e ombra in mezzo a quel blocco di materiale incoerente chiamato Umiko.


    […] non siamo più noi stessi, fratello mio. Qui abbiamo acqua, cibo, lavoro per il giorno e vino e chiacchiere per la sera. Fa fresco e il mare non è lontano. Le lamentele non cambiano nulla, siamo noi che cambiamo. -
    La sua schiena è piena di goccioline di sudore mentre parliamo. Io le guardo scivolare piano, cadere a picco, allargarsi in laghi sempre più grandi alla base del tronco. Sotto gli alberi fa fresco, sì, ma lavorare con le zappe è sempre faticoso. D’altronde coltivare non è mai stato un lavoro da niente e su quest’isola che è tutta rocce e calore è forse ancora peggio. Fortuna per noi che sotto gli alberi c’è l’ombra, c’è il terreno e nonostate ci siano le radici degli alberi e altre piante inutili, sotto gli alberi si riesce a coltivare dentro canaletti di suolo smosso che attraversano tutto il bosco aggirando i tronchi.
    L’acqua qui alla Gola non manca e neanche la compagnia. Qui tutti parlano, hanno qualcosa da raccontare, e non fanno mai troppe domande. Alcuni mentono spudorotamente fingendosi quello che non sono, altri no, anche se l’esistenza dei primi mi fa pensare che qui nessuno voglia essere quello che è.
    - Tu qui sei felice? - mi chiede Toru all’improvviso.
    Faccio finta di non sentire e nel frattempo rifletto sulla domanda. Io […]
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    È più forte di me, quando vengo avvolto dalle spire del caos non posso che innamorarmi. Cercare il senso a quello che non ha apparentemente senso, cercarlo all’infinito come fosse una creatura vivente così complessa e così profonda da avvicinarsi alla divinità, non trovo ci sia nulla di più bello. È come vedere una ragazza stuoenda bere un caffè ad un bar con un libro sottobraccio poi ridere ubriaca in piazza a Capodanno e ancora bestiammiare incazzata al telefono e piangere in silenzio fuori dal supermercato. Come si può non innamorarsi di tutti quei pezzi di puzzle che sembrano non incastrarsi ma che in realtà si toccano con la fluidità di un corpo liquido? Come si può non cercare il collo che collega le dieci o cento facce della donna o della storia sconosciuta? Io non posso, non c’è adrenalina che mi coinvolga di più della sensazione di bramosia dell’ignoto che piano piano si riempie come un vaso forato e mai si colma.
    Quelle distanze che sembrano abissi non posso che provare a riempirle. Con cosa? Con la sola cosa che ho, me stesso e la mia vita con tutte le sue incoerenze. Ci sono strade che collegano il mio male atroce e la mia voglia di vivere, il mio desiderio di evasione e le radici che mi ancorano, tutto ha perfettamente senso dentro di me come un prisma dai mille colori, anche ciò che non comprendo. È così che il mio corpo, il mio sangue e la mia mente, le mie imprese e i miei fallimenti, vanno a tentare di comporre il volto di Umiko reso scomposto dalla sua stessa storia. È solo finzione, lo so, ma adesso non posso che amarla, quella ragazza inesistente, e amandola non posso che comporla, creatura già creata, all’apice della sua complessità.
    Con la tazza vuota e il cuore battente inizio a scrivere la fine.


    […] sono rimasta sola, e non capisco come può essere successo. Io ero venuta per assaporare una terra non mia, gioire della mia gioia e di quella degli altri eppure sono rimasta sola. Pensavo che l’acqua sarebbe stata cristallina, non così profonda. Pensavo che la spiaggia sarebbe stata soffice, non così calda. Non credevo che il sole potesse bruciare tanto. Alla fine volevo solamente vivere i miei giorni cretesi, volevo con tutta me stessa che i miei giorni cretesi finissero così come erano iniziati, in un volo di aereo che come una libellula d’acciaio mi avrebbe portato via da questa dolce parentesi di vita. Invece sono ancora qui, Creta è ancora qui e io comincio a essere un po’ come lei, un’isola.
    La luna appare traslucida nonostante sia ancora giorno mentre io me ne sto ad osservare il mare da sotto un albero di susino. È meraviglioso con tutti quei verdi e azzurri e il cordone di sabbia chiara che lo separa dalla campagna, ma sembra che anche qui la sottile striscia scura che avevo visto al momento del mio arrivo si sia espansa fino a frangere le onde con file di scogli spinosi dello stesso colore. In fondo tutta l’isola è pervasa di questo colore scuro. Guardo nel cielo lontano un aereo e la sua scia. Rimango sola ad ascoltare il rumore immaginario del motore, il verso delle rondini e delle cicale insieme, il suono di un tempo che è stato e di uno che ancora dovrà esistere.
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    Qualche errore: "nonostate/nonostante, stuoenda/stupenda, bestiammare/bestemmiare / muori anche te /muori anche tu. E' un racconto interessante per come il traduttore organizza la sua traduzione ma che mi ha lasciato perplesso. Tutta quella parte iniziale per dire che altrove il racconto aveva venduto più o meno bene ma in Italia ancora non si sapeva. Era per rientrare nei caratteri?
     
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    Dio della penna

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    Non sono riuscita per ora ad appassionarmi e a seguirlo bene anche per capire dove sta l'incoerenza. Ma lo rileggerò con maggior attenzione.
     
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    Scrivano

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    Sicuramente originale, ma non è il tipo di storia che preferisco leggere. Devo riflettere anche sull’incoerenza. Penso che dovrò rileggerti con più calma, meriti una seconda chance.



    Inviato tramite ForumFree Mobile

     
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    Penna furiosa

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    Il racconto è scritto bene e mi piace tantissimo l'idea e l'impostazione del pezzo. La storia di Umiko però, o per meglio dire gli indizi che ci hai lasciato nelle 4 pagine del traduttore, non mi hanno coinvolto tanto. Ribadisco comunque che l'idea che hai adottato per il racconto, l'escamotage del traduttore, la trova eccellente e dovrò tenerne conto.
     
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    Penna suprema

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    Sono onorato di essere qui tra di voi, scrittori. Vicino a te, scrittore. Non avrei mai immaginato di poter partecipare a un evento con penne come la tua. Con grande emozione ti abbraccio.
     
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    Lisbeth Pfaff

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    Vero, qualche refuso, e in genere tendono a pesarmi. Non qui, sono stata talmente rapita.
    Affascinata, rapita, innamorata. Grazie, davvero, per questi giorni cretesi.
    Mi hai conquistata!
     
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    Dio della penna

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    Intenso e con i tratti poetici inseriti nella scrittura per dipingere una sensazione e un' anima.
    Scrittura notevole e parte finale che il traduttore ci concede come bellissima emozione dello spirito del romanzo. Gran bella idea...
     
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    Penna stilografica

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    MONDO

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    Idea davvero ottima, in alcuni momenti forse un po' diluita... in effetti tutta la lista dei paesi e relative vendite mi ha poco convinto e coinvolto...
    racconto che resta sospeso... Storia nella storia. Fatico un po' a cogliere il tema "inkoerenza" ma poco importa. Ho trovato un po' debole l'ultimo inciso prima del finale. Un po' "telefonato", un po' troppo detto... quasi a voler dare un senso, una giustificazione forse non necessarie...
    Comunque bello e ben scritto.
     
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    Penna d'oca

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    Siena

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    Una bella idea originale, finalmente.
    L'ho trovato solo un po' pesante. Ma è lunedì sera. E tutto il lunedì sera sembra più pesante.
    Magari lo rileggo e ti dico.
     
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    Penna furiosa

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    Selene, Giappone… mumble mumble… chissà…
    Mi dispiace, ma, sinceramente questo tuo racconto l’ho trovato un po’ faticoso.
    Certo, con una vena poetica, ma non nelle mie corde.
    Ci sono diversi refusi, che mi danno l’impressione che tu l’abbia scritto di corsa, per arrivare a consegnarlo. Identico pensiero mi viene dai periodi in cui mancano molte virgole.
    Questo comunque nulla toglie alla tua perizia, proprio perché credo che sia semplicemente mancata una revisione finale.
    Buona l’idea del traduttore.
    La butto lì: sta per nascere un romanzo?
     
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    Penna furiosa

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    Trovo interessante il rapporto autore/traduttore e questo racconto lo pone al centro. Sono convinta che la traduzione è comunque una riscrittura e che riesce particolarmente bene se il traduttore si innamora del libro.
    Tradurre non è un esercizio meccanico. Qualcosa, che all’autore non appartiene, finisce sempre nel testo, ma l’importante è non farlo diventare altro rispetto alle intenzioni dell’autore. Il rischio però c’è, specie quando il traduttore è anche scrittore.
    In questo caso può succedere pure l’inverso; può capitare che qualcosa dello stile, delle tematiche, del lessico dell’autore tradotto finisca nella scrittura dello scrittore traduttore, arricchendola.

    Mi fermo qui perché sto divagando; tante parole per dire che l’argomento di questo racconto è intrigante e mi appassiona. Secondo me, ci stanno pure i corsivi in blu che qualcuno non ha apprezzato. L’incoerenza non la vedo; Il genere è centrato: metaracconto, perché c’è una storia nelle storia.

    Però non ti voterò, autore, per punire la tua sciattezza. Posso perdonarti i refusi, perfino qualche improprietà lessicale, le “striscie scure” no.
     
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    Penna furiosa

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    Metaracconto e fin qui va bene. L'inkoerenza la devo ancora scovare pertanto mi prometto di rieleggerlo con attenzione in seguito, prima lo lascio "sbollire", come quando scrivo qualcosa che non mi ha convinto fino in fondo. Refusi già segnalati. Leggendo la prima parte, mi aspetto qualcosa che spacca, anche se in Francia il romanzo ha venduto, in Spagna no e in Italia non si sa. Vado avanti, ma, onestamente, alla fine non ho capito granché. Non me ne voglia l'autore/autrice. Anche per me il binomio autore/traduttore è vincente, credo tuttavia che forse questo racconto andava meglio gestito, tutto qui.
     
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  14. Cristina Lombardo
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    L'idea è bella e originale, l'inkoerenza potrebbe stare nel metodo del traduttore o nel romanzo stesso che, letto così a tratti, non sembra aver senso. Ma questa non sarebbe incoerenza, solo confusione.

    Avrei proprio voglia di leggerlo questo romanzo, non sembra male! ;)

    Anch'io, come altri, non cspisco perché dilungarsi tanto sulle vendite nei vari Paesi, probabilmente per creare quella suspance, quella curiosità morbosa che mi ha portata a "bere" il racconto per arrivare al romanzo.

    Praticamente, autore, sei l'editore di te stesso, perché pubblicizzi la tua opera come un best seller pazzesco (poiché non fonda il successo sulla pubblicità, ma sul passaparola), facendoti così una pubblicità indiretta sfacciatissima. Ecco, in questo io ci vedo la contraddizione dell'incoerenza, ma non è di questo che parla il racconto:la mia è pura fantasia.
     
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    Dio della penna

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    La parte iniziale non mi sembra in linea con il resto.Resta un'idea originalissima applicata in un modo che inizialmente si fa fatica a seguire. Il passo è quello di un romanziere che ha studiato l'escamotage dei"pezzi" scoordinati tra loro per ridurlo a racconto.
    Sicuramente come genere rientra nel meta racconto. Non è facile individuare l'incoerenza. Mi è piaciuto quell'innamorarsi del personaggio. Il colore blu serve a rendere più chiara la distinzione tra il traduttore e il romanzo.
     
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