Il vendicatore

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    Dio della penna

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    Come ogni mattina, alle sette precise, Pietro uscì di casa e si diresse alla vecchia sedia di plastica in giardino. Mentre arrancava sul selciato, aiutandosi col suo inseparabile bastone in legno di quercia, si lasciò scappare un colpo di tosse. Allora si fermò un istante, in attesa dei successivi scossoni che difatti si presentarono puntuali. Quando l'attacco di tosse si esaurì il vecchio sputò sul selciato imprecando contro il mondo intero, poi riprese a camminare. Giunto davanti al malandato capanno degli attrezzi inscenò il solito rituale, accarezzando con la mano grinzosa la porta verde tutta scrostata. A intervalli irregolari il colore naturale del legno compariva sotto la pittura come un grido d'aiuto inascoltato. «Magari chiamerò qualcuno per ridipingere il capanno» si disse, sapendo bene che non lo avrebbe fatto.
    Poi, con fare brusco, prese la sedia e la posizionò davanti al cancello che
    dava sulla strada statale 9. A quell'ora del mattino il traffico era intenso ma non congestionato. Macchine e furgoni riempivano la carreggiata che portava su, verso Bologna. Aveva passato già da un po' i settanta, eppure ci vedeva ancora molto bene. La cosa era strana, ma di eventi particolari e inquietanti ne erano successi tanti nella sua vita. Forse anche quello era un regalo del suo amico, in modo che potesse distinguerlo chiaramente quando passava a trovarlo e garantirgli così il solito folle attimo di terrore. Quel pensiero regalò al vecchio un brivido maligno che gli percorse la schiena malandata.
    Con le mani tremanti frugò nel taschino della camicia, tirò fuori una sigaretta e l'accese. La tosse si ripresentò alla prima tirata ma lui non ci fece caso. Era solo in quella casa, adesso, e nessuno avrebbe più potuto rimproveragli nulla. Probabilmente era questione di giorni, di ore forse, e Lui si sarebbe ripresentato: per informarlo di qualcosa, magari per tormentarlo, o soltanto per scambiare due chiacchiere come si fa tra vecchi amici. Solo che quell'essere ributtante non era suo amico, non lo era mai stato. Un nuovo attacco di tosse lo squassò e per poco non si ribaltò con la
    sedia. Quasi senza fiato gettò la sigaretta a terra maledicendo il giorno in cui aveva fatto la conoscenza di Loris, sempre che quello fosse il suo vero nome. Con lo sguardo triste si girò verso la finestra della sua camera da letto, si portò una mano alle labbra e buttò un bacio in quella direzione.

    Era l'estate del 1960 e all'epoca Pietro aveva appena quattordici anni. La scuola era finita e lui, come al termine di ogni anno scolastico, aveva messo da parte i libri per aiutare i genitori nella tenuta di famiglia. Gli piaceva studiare ed era intenzionato a prendere il diploma di geometra, ma non disprezzava neppure la vita dei campi. Suo padre possedeva un po' di terreno e qualche animale, perlopiù maiali e galline.
    A quei tempi la statale era una cicatrice nera che separava distese sconfinate di terra. Le costruzioni erano poche, qualche casolare adiacente ai campi e nulla più. Il tanfo dei gas di scarico era ancora lontano a venire e tutt'attorno c'erano sentori di campagna, con l'odore del fieno, i profumi del gelsomino e gli aromi dolciastri della frutta matura. Da fine maggio a metà luglio andava per l'appunto il periodo delle ciliegie e Pietro stava aiutando il padre e i due fratelli maggiori nella raccolta. Non era certo la prima volta che lo faceva, ma quel pomeriggio qualcosa andò storto e mentre era sull'ultimo piolo della scala perse l'equilibrio e cadde rovinosamente sul terreno. Si procurò la frattura composta della tibia e la distorsione della caviglia della gamba destra. In pratica tra gesso e recupero si era giocato l'estate.
    «Su tesoro, poteva anche andare peggio» disse sua madre per rincuorarlo, «il marito della zia Loretta ha rischiato di morire per un incidente simile.»
    Suo babbo invece non disse niente, ma lo guardava con occhi che tradivano un certo risentimento. A quei tempi un aiuto in meno voleva dire tanto.
    I giorni successivi all'incidente furono un susseguirsi di visite da parte di parenti e compagni.
    Amedeo, Giovannino e Achille, gli amici più stretti, lo passavano a trovare ogni pomeriggio prima di andare a pescare. Scherzavano, lo prendevano in giro, e lui provava sempre una grande invidia quando li vedeva allontanarsi con le canne sulle spalle. L'estate era appena cominciata e già si sentiva un
    prigioniero costretto a scontare una lunga pena per un reato mai commesso.
    L'ultima che andò a salutarlo, qualche giorno dopo gli altri, fu Lara, l'unica ragazza del gruppo. Era voluta passare da sola. Quel pomeriggio indossava un abito bianco con fiorellini rossi. Aveva due anni meno di Pietro ma sembrava molto più grande. In tutta onestà lui l'aveva sempre considerata poco, ma negli ultimi mesi aveva subito una sorta di metamorfosi e allora aveva cominciato a guardarla con occhi differenti. Lara non sembrava più una bimba piagnucolosa, bensì qualcosa di molto vicino a una donna.
    «Ciao Pietro, cos'hai combinato?» fece lei sorridendo.
    «Niente di che, qualche settimana di gesso e sarò come nuovo. Tu piuttosto, come stai?» Cercava di fare il duro per darsi sicurezza.
    «Bene, non si vede?» rispose la ragazza con fare malizioso. «Ti piace il mio vestito? È nuovo.»
    Pietro si soffermò sulle gambe della ragazza, abbronzate, un po' sbucciate. La trovava bellissima.
    «Carino» rispose, senza darle troppa soddisfazione.
    «Solo carino? Paride lo trova bellissimo.»
    «Chi, il figlio del meccanico?»
    «Già già. Mi ha detto che questo fine settimana mi porta a fare un giro con la sua moto.»
    «E tu che gli hai detto? Ci vai?»
    «Forse sì o forse no. Devo ancora decidere.»
    «Fossi in te ci starei attenta. Dicono che gli manca qualche rotella.»
    «Ah sì? Strano, io non ho sentito nulla del genere. Comunque mi ha promesso di andare piano.»
    «Va bé, fa un po' come credi» rispose bruscamente lui incrociando le braccia sul petto e mettendo su il muso.
    «Dai, ora ti lascio riposare. Raggiungo gli altri al fiume. Sono proprio curiosa di vedere se oggi riescono a pescare qualcosa. Ciao ciao.»
    Pietro la guardò varcare il cancello e prendere la direzione del fiume.
    Era nervoso, deluso, arrabbiato, e cominciava a fare i conti con un sentimento nuovo e sconosciuto: la gelosia.
    I giorni seguenti furono opprimenti, concitati, quasi febbrili.
    Da quando Lara gli aveva parlato di Paride, Pietro aveva cominciato a sentirsi smanioso, irrequieto, impotente nei movimenti quanto agile nei pensieri. Il suo cervello elaborava piani in serie per impedire al figlio del meccanico di portargli via la ragazza su cui aveva posato gli occhi. Quei pensieri erano così pressanti e insistenti, ulteriormente acuiti dal suo handicap passeggero, che per tre notti fece fatica a dormire. Se ne stava sdraiato sul letto, gli occhi al soffitto, ascoltando gli ingranaggi della sua mente lavorare in modo frenetico, senza posa. La quarta notte, mentalmente sfinito, si abbandonò finalmente al sonno. Fu un riposo agitato, popolato da incubi. Immagini confuse e sfocate si sovrapposero ad altre più nitide, mostri e figure orrifiche si alternarono a visi più familiari. Il mattino dopo quando si svegliò, si ritrovò capovolto, con la testa in fondo al letto e i piedi sul cuscino. Con una netta sensazione di stordimento abbandonò la camera e si accomodò sulla sedia sotto al portico. Cercò di ricordare i sogni fatti, ma non ci riuscì. Sentiva crescere dentro di sé un intenso stato d'agitazione, un sentore irrazionale per una sciagura imminente. All'orizzonte era tutto un cumulo di nuvole nere in avvicinamento. L'aria era bassa, quasi opprimente. Pietro afferrò un libro e cominciò a leggere svogliatamente. Dopo circa mezz'ora udì il rumore di un motore in avvicinamento e alzò gli occhi.
    Un motocarro grigio della Guzzi si fermò davanti al cancello, poi uno strano tipo scese e lo salutò.
    «Ciao Pietro, come va, ti stai riprendendo?»
    Pietro chiuse il libro e si concentrò su quella figura. L'uomo era basso, magro, apparentemente insignificante. Era praticamente calvo sino a metà della nuca, dove un'improbabile massa di capelli neri partiva per scendergli sino alle spalle. L'incarnato del viso era pallido, lattiginoso, eclatante come una bestemmia in chiesa. Cercò di attribuirgli un nome, ma non ci riuscì.
    «Salve, ci conosciamo?»
    «Sono Loris, un amico del babbo. Probabilmente non ti ricordi di me.»
    «Il babbo è al lavoro. Entri pure e vada avanti sino in fondo al frutteto. Di sicuro lo troverà là» sentenziò Pietro con un certo nervosismo.
    L'uomo spalancò il cancello, poi si avvicinò al ragazzo.
    «Veramente avevo bisogno di parlare con te, non con Gino.»
    Da vicino quell'uomo risultava essere ancora più bianco e malaticcio. Oltre al colorito cadaverico anche l'odore che emanava era ributtante. Sembrava un misto di sudore e alcol, qualcosa d'infetto, di guasto.
    «Con me? E di cosa?»
    «Di Paride. È morto. Un brutto incidente. Volevo essere io a dirtelo. Sei contento vero?»
    Pietro spalancò la bocca ma non riuscì a spiccicare parola. Era frastornato.
    L'uomo sorrise, scoprendo una voragine di denti gialli e marci.
    «Sapevo che ti avrebbe fatto piacere. Lo desideravi tanto no?» L'uomo rise, poi assestò una pacca sulla spalla del ragazzo. «Ora vado, ho del lavoro da fare. Ciao Pietro, ci vediamo» disse, poi ritornò sui suoi passi e scomparve nel temporale appena iniziato.
    Erano a tavola per il pranzo quando poco dopo mezzogiorno arrivarono Amedeo, Achille e Giovannino per dare la notizia. C'era anche Lara.
    «Un incidente con la moto!» urlò Amedeo, «Paride, il figlio del meccanico è finito contro un albero. Pare che andasse a più di cento all'ora e si è fracassato la testa.»
    Pietro venne scosso da un tremito, poi guardò Lara. «È morto?» riuscì a dire con un filo di voce.
    «Certo che è crepato» aggiunse Achille, «gli si è aperta la testa in due.»
    «Poveretto, che disgrazia» esclamò la mamma di Pietro facendosi il segno della croce. «Quei motori sono pericolosi, altroché.»
    «Scusa babbo, mi sono dimenticato di dirti che questa mattina è passato a trovarti un amico. Guidava un motocarro grigio della Guzzi. Ha detto di chiamarsi Loris» riprese Pietro.
    Gino portò il bicchiere di rosso alla bocca e lo scolò in un attimo. «Sei sicuro? Io non conosco nessuno con quel nome.»
    A quelle parole Pietro si sentì ribaltare lo stomaco e dovette combattere per reprimere un conato di vomito. Sconvolto si alzò da tavola e con l'aiuto delle stampelle raggiunse la sua camera.

    La seconda volta che Pietro incontrò Loris fu più di quattro anni dopo.
    Aveva diciott'anni e fino a quel giorno l'uomo era stato soltanto un'ombra nella sua mente, una sorta di fantasma, tanto che lui si era quasi convinto di essersi immaginato ogni cosa. Dopo l'incidente di Paride tutto era filato liscio nella sua vita: si era fidanzato con Lara, aveva proseguito con successo gli studi sino al conseguimento del diploma di geometra e in quei giorni era in procinto di firmare il suo primo contratto di lavoro.
    Aveva incontrato il signor Morandi, il proprietario di un'importante società di costruzioni bolognese, già due volte, e quando ricevette la comunicazione per un terzo incontro fu sicuro di essere giunto al traguardo.
    Quel posto significava davvero tanto per lui e Lara, poiché un'entrata sicura poteva permettere loro di sposarsi e andare a vivere insieme.
    Il colloquio tuttavia non andò come Pietro aveva sperato. Il costruttore gli confidò di avere ricevuto pressioni da un rappresentante della giunta del comune di Bologna per assumere un parente, quindi, seppure a malincuore, doveva rimangiarsi la parola data.
    Come la volta precedente seguirono giorni frenetici. Una rabbia feroce e soprattutto un bisogno pressante di giustizia iniziarono a dilaniargli l'anima.
    Immagini spaventose e inquietanti tornarono a tormentarlo. Sognò una stanza dalle pareti rosse, coi muri che sembravano liquidi, palpitanti, vivi. Nella camera c'era un uomo dai capelli neri, coi baffi, seduto su una poltrona. Dietro di lui una donna dai capelli raccolti in una treccia che alternava risate isteriche a crisi di pianto. I due guardavano dei pezzi di carne sparsi sul letto, brandelli rosati che inspiegabilmente dopo un po' diventavano neri, imputridivano. L'incubò lo assillò per diverse sere, alimentando ulteriormente le sue frustrazioni. Che significato potevano avere quelle macabre immagini?
    La risposta gli giunse qualche mattina dopo. Era in giardino quando vide un veicolo fermarsi davanti al cancello di casa. Si trattava di un motociclo della Guzzi di colore grigio. All'inizio non ricordò, poi vide scendere l'uomo e
    tutto gli tornò in mente.
    «Ciao Pietro, è qualche anno che non ci vediamo. Tutto bene con Lara?»
    L'uomo era sempre bianchissimo, repellente come la prima volta. Quei capelli neri che gli partivano da metà nuca stridevano in maniera assurda col pallore del viso e del cranio.
    «Loris» riuscì a dire in tono piatto.
    «Vedo che ti ricordi ancora di me. La cosa mi fa piacere. Ti spiace se entro? Ho una cosa per te.» L'uomo entrò senza aspettare l'invito di Pietro e gli si avvicinò. Sembrava eccitato, emozionato; tutta quella vivacità strideva col suo aspetto da moribondo. Teneva la mano destra dietro la schiena, come a voler celare qualcosa, poi con la sinistra gli accarezzò il viso. Lo guardava con occhi bramanti, come quelli di un lupo, occhi voraci e dominatori.
    Il contatto con quella mano molliccia gli fece quasi perdere un battito.
    «Ti ho portato il giornale, c'è una notizia interessante in prima pagina. Non potevi perdertela.»
    Dopo il disgusto per la mano spugnosa, il giovane dovette fare i conti anche con l'alito pestilenziale di Loris che gli parlava a un centimetro di distanza:
    arricciò il naso, poi con titubanza prese il quotidiano che gli veniva offerto. Loris rimase qualche secondo a godersi l'espressione spaurita del ragazzo, poi se ne andò, portandosi dietro il pallore e il fetore che generava.
    Pietro teneva la copia del Resto del Carlino davanti agli occhi e tremava.
    La foto in prima pagina era quella dell'uomo coi baffi che aveva sognato le sere precedenti, impossibile non riconoscerla. Il titolo recitava così:

    ASSESSORE ALL'URBANISTICA DEL COMUNE DI BOLOGNA MASSACRA IL COGNATO E IL SUO AMANTE.


    Nell'articolo si spiegava che l'assessore Micheletti aveva scoperto il marito della sorella in un albergo assieme a un altro uomo e in preda a una furia omicida aveva massacrato i due amanti con un'ascia.
    Pietro lasciò cadere il giornale a terra, poi si afflosciò come un pallone
    bucato. Esattamente tre giorni dopo ricevette un telegramma dal signor Morandi: il posto da geometra era nuovamente disponibile.

    Il vecchio riportò lo sguardo sulla strada. Aveva paura. Lui era vicino, lo
    sentiva. Il demone vendicatore, l'entità che lo aveva sempre aiutato a cancellare i torti subiti, presto sarebbe ricomparso. In fondo Lui c'era sempre stato: quando Paride voleva rubargli l'amore, nella vicenda con l'assessore Micheletti e in tanti altri episodi. Come quella volta in cui lo strozzino che tormentava la madre per un debito contratto dal padre ormai defunto venne ripescato in fondo al fiume. Era sempre stato così nel corso di quei sessant'anni. Quando aveva avuto bisogno Lui era comparso, per liberargli mente e cuore dal fardello di pensieri pressanti e opprimenti, senza chiedere nulla in cambio. Ma se la vita gli aveva insegnato qualcosa è che nessuno fa niente per niente. Mai.
    Si girò nuovamente verso la finestra della sua stanza come in cerca di conferme, di un aiuto. Quando riportò gli occhi sulla statale sobbalzò per il terrore e la sorpresa. Loris era lì, davanti a lui. L'anacronistico motocarro grigio era di fronte al cancello, ma questa volta non l'aveva sentito arrivare.
    «Sei venuto per me, vero?» disse Pietro con un filo di voce.
    «È così» rispose Loris, captando più i pensieri che le parole del vecchio. Anche lui era sempre uguale, come il suo mezzo, nonostante fosse trascorso ben più di mezzo secolo. Quegli improbabili capelli neri continuavano a incorniciargli le spalle come una sentenza di morte.
    «Perché hai scelto me?» protestò Pietro.
    «Sei tu ad avermi scelto. Il tuo inconscio mi ha imprigionato, il tuo istinto primordiale di vendetta.» Mentre parlava gli occhi del demone da neri erano diventati rossi e i denti si erano trasformati in rasoi affilati pronti a incidere.
    «Il povero Paride, cosa ti aveva fatto? Era solo un rivale, ma hai desiderato la sua fine con tutta l'anima» continuò la malevola creatura.
    Il vecchio aprì la bocca per replicare, ma dall'apertura non uscì una sola parola. Non aveva argomenti per ribattere.
    Pietro si girò un'ultima volta indietro. Le lacrime cominciarono a sgorgargli dagli occhi senza trovare ostacoli.
    «Lara. È morta stanotte, vero?»
    Il vecchio fece cenno di sì. «Ora sono davvero solo.»
    «È per questo che sono qui. Ogni cosa è iniziata con lei, e con lei tutto deve
    finire. C'è sempre un prezzo da pagare, no?»
    Loris si avvicinò ancora, poi dilatò la bocca. I denti si ritrassero, affondando nella profondità delle gengive, la mandibola scese all'altezza del petto, le labbra esplosero, quindi quelle fauci si tramutarono in un immenso buco nero. Pietro provò a gridare, ma non ne fu capace. Rimase a bocca aperta mentre quel pozzo di oscurità gli risucchiava l'anima.
    Quando ebbe terminato, Loris si avvicinò al furgoncino, aprì il telone e vi soffiò dentro l'anima del vecchio, aggiungendola alle altre della sua sterminata collezione. Si fermò un attimo a contemplare con distacco il corpo senza vita abbandonato sulla sedia, poi risalì sul suo mezzo infernale e sparì nel traffico mattutino, senza essere notato da anima viva.
     
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    Una storia molto ricca di dettagli e di storie nella storia. Ottimamente incalzante la prima parte, un po’ meno nel flashback. Però la mano che scrive è mano esperta e sa portarti fino al finale un po’ atteso, ma estremamente elegante. Ho adorato l’ultima frase che è di una efficacia pazzesca. Complimenti aut

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    Non so perché non mi abbia preso. Riconosco il tentativo di creare tensione, ma non riesco a lasciarmi sprofondare nell’atmosfera che si vuole creare. Forse per i miei personalissimi gusti c’è un eccesso di descrizioni, con un susseguirsi di particolari a volte non essenziali a quanto si va costruendo.
    L’idea per la trama è buona; la scrittura, pur complessivamente corretta, non fa decollare il pezzo.
     
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    Penna stilografica

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    Un'idea abbastanza buona scritta però impeccabilmente che ti fa attendere il finale senza grandi patemi d'animo. Non è veramente incalzante ma su questo hanno giudicato altri.
     
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    Penna stilografica

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    Si intuisce forse un po' troppo presto l'identità di questo Loris e questo toglie un po' di pepe al finale, ma il racconto è ben scritto e si legge molto volentieri.
     
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    Dio della penna

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    Mi sembra ottima l'idea di base: l'odio che Pietro cova, nei riguardi di un rivale, si personalizza in un demone che agisce distruggendo. Ma anche il Demone fa pagare il prezzo del Male risucchiando l'anima in un inferno. Il cerchio si chiude, quando l'origine di tutto, Lara, finisce la sua esistenza.
    Molto raffinato quell'accenno iniziale al bacio che il protagonista manda alla moglie attraverso la finestra della camera da letto dove( come si apprende dopo) giace la moglie morta. Come anche quell'accenno alla sigaretta che avrebbe potuto fumare senza il rimprovero della moglie
    Altri trovano la parte iniziale troppo descrittiva ma, secondo me, il vecchio solo e infelice, vittima dei suoi errori, viene ben descritto nella sua solitudine e decadenza.
    Ottimo racconto da leggere attentamente cogliendo le sfumature.

    Edited by Lycia - 28/5/2019, 11:49
     
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    A me è piaciuto molto.
    Penna esperta e bravura estasiante.Tanti choc e tante invenzioni ti incollano al racconto.
     
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    Penna furiosa

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    Questa volta il patto diabolico avviene “tacitamente” anzi uno dei contraenti non ne è cosciente. È il punto forte del racconto perché è un elemento nuovo e allo stesso tempo il punto debole, perché non è un vero patto. L’horror c’è; al finale. Tanto per rientrare nel genere. Scrittura corretta, non proprio incalzante.

    “«Perché hai scelto me?» protestò Pietro.
    «Sei tu ad avermi scelto. Il tuo inconscio mi ha imprigionato, il tuo istinto primordiale di vendetta.»

    Su questo punto, a mio avviso, si doveva insistere, magari con un dialogo serrato- anche botta e risposta- in cui ognuno espone le sue ragioni. Pietro adiratissimo si difende e l’altro ribatte, stringendolo, fino a fargli ammettere che sì, lo aveva voluto il patto. Ne era consapevole.

    Sarebbe stata l’occasione per vivacizzare il finale e imprimergli un ritmo davvero incalzante; invece nel testo Pietro non fa una piega: “Il vecchio aprì la bocca per replicare, ma dall'apertura( e leviamola l’apertura!) non uscì una sola parola. Non aveva argomenti per ribattere.”
     
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    Teropode assennato

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    Grande idea, buona lettura, stile forse troppo didascalico.
    Nei commenti che ho letto prima ci vedo grossomodo le mie stesse impressioni, ma globalmente mi sento di promuoverlo.
    Mi ha ricordato, va a sapere perché, sia un racconto di un Ink precedente, quello col pastore /demone che arriva a prendere il meccanico, ma anche una novella di Buzzati, credo "La Giacca" o una cosa del genere, che al liceo mi aveva molto traumatizzato.
    Ecco, come stile narrativo mi appare molto simile a Buzzati.
     
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    Penna suprema

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    Riletto.
    Che bello. Quanto sei bravo, amico.
    La parte iniziale è da antologia.
    Mi piace come mantieni la calma, come descrivi, come spiazzi.
    Come fai innamorare ogni lettore.
     
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    Penna furiosa

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    Racconto dalle striature horror che si sviluppa su due piani temporali. Sia nel passato che nel presente aleggia qualcosa d'indefinito, come un senso d'inevitabile. Lo stile poteva essere più vigoroso, più incalzante, comunque nel complesso le atmosfere del pezzo mi sono piaciute.
     
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    Penna d'oca

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    CITAZIONE (Fante Scelto @ 30/5/2019, 16:31) 
    Mi ha ricordato, va a sapere perché, sia un racconto di un Ink precedente, quello col pastore /demone che arriva a prendere il meccanico, ma anche una novella di Buzzati, credo "La Giacca" o una cosa del genere, che al liceo mi aveva molto traumatizzato.
    Ecco, come stile narrativo mi appare molto simile a Buzzati.

    Penso che la novella di cui parli sia "La giacca stregata". Questo racconto effettivamente ha qualcosa di Buzzati, del suo modo elegante di descrivere il contatto con l'assurdo. Se però l'eleganza è presente manca un po' il contatto fra il protagonista e gli avvenimenti, il suo modo di percepire e di reagire all'assurdo, il suo modo di cambiare a causa di esso. Per questo ho trovato il racconto un po' statico nonostante lo stile non sia male.
     
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    Penna furiosa

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    Il racconto è scritto bene e si legge piacevolmente. Belle le descrizioni. L'ambientazione e i nomi italiani l'hanno reso assai reale. Per questo motivo il racconto mi ha ricordato quelle vecchie storie, a volte un po' misteriose, raccontate dai nostri nonni. Il mio parere è positivo, ma qualcosa mi stona nella scelta dei verbi...
     
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    Dio della penna

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    Manca un po' di ritmo questo racconto ma è scritto bene e la figura di Loris è interessante. Un demone forse che molti fanno vivere e rivivere dentro e che nell'inconscio fa quello che noi vorremmo fare. Un demone che fa collezione d'anime infelici e Pietro non era un'anima felice.
     
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    Penna furiosa

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    Un bel racconto, senz'altro, ma a mio avviso un pò piatto.
    La cura per i dettagli, la calma della narrazione, lo stesso Pietro che accetta gli strani eventi passivamente, senza ribellarsi mai sul serio, senza cercare di cambiare le cose, complice insieme a Loris di qualsiasi cosa, danno un taglio particolare all'intera vicenda rendendola quasi statica: un'attenta e curata descrizione di eventi particolari che sembrano non scalfire più di tanto il protagonista.

    Forse, ma questo è il mio gusto personale, manca un pò il crescendo d'angoscia nel protagonista, manca la sua voglia di fermare le cose ( ai primi sospetti lo avrei visto bene grattarsi di dosso la sensazione di essere l'artefice di quei drammi, spellarsi, aprirsi la testa in due per togliere di lì l'idea di essere l'artefice di tanto dolore…).
    Invece accetta tutto.
    Gode dei privilegi e delle opportunità che la vita gli offre.
    Rimane per tutto il racconto schierato dalla parte di Loris, approfittando dei suoi servizi: quindi è simile a lui, sono la stessa cosa.
    Se questo doveva essere il nocciolo della storia, rimane un pò troppo in sordina e contiene solo echi della forza eclatante e disturbante che dovrebbe avere un Horror.

    Come tipologia di racconto può anche essere interessante, con il male che seduce il protagonista e lo porta dalla sua parte.
    A questo punto, però, il finale doveva essere diverso, spiazzante.
    Cosa gliene frega a un tipo "cattivo e crudele" come Pietro se il demone si prende la sua anima?
    Sa di avergliela data anni prima.
    E per il demone, non ha più valore carpire un'anima "pura" che prenderne una regalata di propria volontà?

    Ecco, forse sento questo racconto leggermente sbilanciato verso un finale che, invece di lasciare a bocca aperta il lettore, non aggiunge niente di nuovo alla storia: fin dall'inizio si ha il vago sentore che il vecchio morirà.
    E poi alla fine muore.
     
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23 replies since 21/5/2019, 17:21   431 views
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