Kocham tebe

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    Dio della penna

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    Siamo prigioniere; che palle questa festa con la musica da vecchi. A un volume altissimo, poi. Finisce una canzone e quello alla console urla quattro cagate distorte nel microfono che non riesco nemmeno a farmi sentire dalla mia amica. Però quando parte il nuovo brano lei cambia espressione; si alza in piedi, mi prende le mani, grida: «Dai, vieni; questa la so!»
    Scuoto la testa e tento di resistere ma è inutile.
    «T’insegno, è facile.»
    Mi trascina ai margini della pista; io vorrei sprofondare ma a lei piace troppo prendere l’iniziativa.

    È l’unica ragazza della spiaggia oltre a me, si fa presto a notare in questo bagno del reparto geriatrico alla Foce di Sanremo. Subito ho pensato che fosse un maschio con l’orecchino e i capelli lunghi, poi ho visto gli slip e ci son rimasta secca: cioè, questa sta senza reggiseno anche se avrà già quattordici anni!
    Però potrebbe essere l’unica salvezza per non impazzire, un’amica della mia età. Solo che… chissà che ci può trovare d’interessante una alta, magra e bionda in una tappa, ciccia e mora come me? In più c’è questa cosa del topless che mi mette in imbarazzo. Poi… boh, forse sto già impazzendo.
    «Ciao!»
    Alzo lo sguardo dalla montagnola di sabbia e conchiglie che sto modellando senza particolari ambizioni artistiche. È proprio lei, si è accovacciata di fronte a me con le mani sulle ginocchia; ha gli occhi dello stesso colore del mare alle sue spalle, che impressione! Mi pare di guardare attraverso la sua testa. «Ciao.»
    «Mi chiamo Nadija; con l’accento sulla i.»
    «Io Aura; senza la elle.»
    «Ah, sei straniera anche tu? Io sono ucraina.» Però parla bene, senza inflessione.
    Io invece ho un marcato accento lombardo. «No, sono italiana; ai miei genitori piacciono i nomi strani.»
    «Sei qui con loro?» Continua a fissarmi, forse davvero vuol fare amicizia.
    «No, con mia nonna. E tu?»
    «Mia mamma fa la badante, siamo venute col signore che assiste.»
    «Ah.» Resto in silenzio, imbarazzata.
    «Posso aiutarti?» Indica la massa informe di fronte a me.
    «Cioè, non sto facendo nulla di che.» Temporeggio, fingo di sistemare una parete e la faccio crollare. «Ecco!» Scuoto la testa sospirando. «Adesso non c’è più niente.»
    «Vieni, andiamo sulla riva.» Nadija mi prende per le dita e si alza di scatto; devo per forza seguirla.

    «Uno, due, tre, punta; uno, due, tre, punta. Dai, prendi il ritmo.»
    Aiuto! Mi sembra di sentire addosso centinaia di occhi, pronti a fotografare le mie figuracce, come faccio a mollarmi? Nadija barcolla all’improvviso. Le stringo forte le mani dallo spavento e lei mi fa la linguaccia. La mando a cagare col labiale. Boh, questa bachata mi sembra di averla già sentita per radio; nel frattempo nessuno ci ha fulminate per il finto inciampo e mi sono rilassata, così riesco a seguire i passi.
    Nadija solleva le mie mani e se le mette dietro al collo, poi mi prende i fianchi e prova a forzare i movimenti: «E muovi il culo!»
    Mi scappa da ridere; è vero che sono un tronco d’albero quando ballo. Solo che adesso, con questi ancheggiamenti esagerati, mi sento un clown e mi dà fastidio; così torno in posizione staccata. Ma lei mi guida, riesce a farmi fare una giravolta; figa, ci sono riuscita e gongolo. Un altro giro, così così, e poi ancora, perfetto, cioè non ci credo di ballare per davvero! Un’altra piroetta e mi ritrovo con il corpo addosso al suo; forse ho sbagliato qualcosa e le chiedo: «Scusa.» Però mi stringe con il braccio dietro la schiena; allora l’ha fatto apposta? Boh…

    Scava a mani nude; se ne frega della sabbia sotto le unghie e dei puntini neri che si spargono sulla sua pelle appena abbronzata. Mi chiede: «Che c’è? Aiutami.»
    «Cavolo, sei già piena di fango.»
    «Quindi? C’è il mare. Non puoi fare il bagno, oggi?»
    «Sì che posso, ma…»
    «E allora vieni!» Mi afferra con la mano sporca e mi tira giù. Osservo le ditate sul mio braccio e mi viene spontaneo pulirmi.
    «Beh? Ti fa schifo?»
    «No; è che sono cose che facevo con papà quando avevo dieci anni.»
    «Qual è il problema? Che io non sono papà o che non hai più dieci anni?»
    «Un po’ tutte e due.»
    «Allora dimmi: cosa vorresti fare con me?»
    «Non so: chiacchierare, giocare a palla, fare cose da grandi.»
    Mi fissa con quegli occhi trasparenti e inquietanti, chissà cosa pensa. «Ok; ce l’hai la palla?»
    «No.»
    «Allora facciamo le cose da grandi.»
    Mi trascina in mare; aiuto, l’acqua è gelata e le lascio la mano. Mi scappa un gridolino.
    «Dai, una volta dentro ti abitui subito.»
    Si tuffa, riemerge e mi schizza; lancio un altro gridolino. Se voglio smetterla di far la gallina mi devo buttare. Giù! Brr. Impossibile stare fermi; propongo: «Nuotiamo un po’?» Facciamo una gara, fino alla boa e ritorno. Arriviamo più o meno insieme. «Scusa, non ce la faccio a restare in acqua, torniamo su?»
    «Ok.» Esce anche lei e mi mette il braccio intorno alla vita.

    Grido: «Cos’è, un’altra usanza ucraina?» Perdo la concentrazione, le pesto i piedi; la bachata diventa un rumore di sottofondo.
    «Ma no; il cavaliere porta la dama, si fa così.» Prova a recuperare il ritmo; niente da fare, dobbiamo tornare in posizione staccata. «Pronta? Via! Uno, due, tre, punta.» Mi fissa come fa di solito; al buio gli occhi di Nadija sono azzurri e basta ma anche di sera sono inquietanti.
    Senza giravolte però non è divertente ballare. Provo a farla girare io; cavolo, è tanto più alta di me! Ci s’intrecciano le braccia, perdiamo il tempo; che figura di merda, però ci scappa da ridere. Aiuto, stiamo dando spettacolo, le faccio segno che ne ho abbastanza.
    Mi tira per le dita e mi porta fuori sulla terrazza. Che sollievo stare qui; ma non potevamo pensarci prima? «Oh, finalmente!» La brezza scende leggera dai monti, ho un accenno di pelle d’oca e mi strofino le braccia.
    Anche Nadija trema; mi fissa nel suo solito modo e, con un filo di voce, mi dice: «Kocham tebe.»

    «Cosa?»
    «Moja ljuba. Vuol dire “mia cara”; è una cosa che si dice tra amiche.» È la prima volta che la sento parlare la sua lingua.
    «Moia…?»
    «Ljuba.»
    «Gliuba.»
    «Sì, quasi.» Ride.
    Non mi arrendo: «Moiagliuba.»
    «Brava. Sei pronta per venire a trovarmi.»
    «Ok, faccio le valigie e arrivo.»
    «Laskavo prosymo do Ukrajiny, benvenuta in Ucraina.»
    Ci baciamo due volte sulle guance; non mi aspetto il terzo bacio che mi arriva a stampo sulle labbra. Ci resto secca.
    Devo avere un’espressione terribile e Nadija si mette a ridere. «Scusa. Da noi si usa tre.»
    «Ma sulla bocca?»
    «No, no. Sulle guance. Ma ti sei fermata, non mi aspettavo.»
    Sento che sono rossa in faccia; giro intorno gli occhi e spero che nessuno ci abbia viste. Già che mi vergogno a stare con una ragazza in topless, ci mancherebbe anche che abbiano visto il nostro bacio.

    «Cos’è? Qualcosa tipo moiagliuba?»
    «Una specie.»
    «Stai tremando; torniamo dentro.»
    «No… non ho freddo. Dimmelo anche tu.»
    «Cosa?»
    «Kocham tebe.»
    «Cohamtebé. Ma cosa vuol dire?»
    «Tu dimmelo e basta.»
    «Te l’ho detto.»
    Insiste: «Kocham tebe.»
    Ripeto: «Cohamtebé.»
    «Adesso baciami.»
    Boh… guancia sinistra, guancia destra… bacio a stampo. A tradimento. «Beh?»
    Nadija non dice niente, mi tiene le mani e trema. Le chiedo: «Cos’hai?»
    «Kocham tebe.»
    «Cohamtebé, ok, ma che vuol dire?»
    «Non hai ancora capito?»
    «No!» La guardo; ha un’espressione strana, diversa dal solito.
    «Scusami. Pensavo che anche tu…» Ha la voce rotta dal respiro in affanno e non completa la frase.
    «Anche io cosa? Dimmelo. Ti ho fatto del male? Giuro che non l’ho fatto apposta.»
    «No; tu sei una bella persona. Bellissima. Sono io che… sono sbagliata!»
    «Ma cosa dici? Io sono brutta, ciccia e antipatica. Tu invece sei bella, magra e pure simpatica.»
    Scuote la testa. «No, io faccio schifo.»
    «Hai bisogno di occhiali, moiagliuba.»
    «Faccio schifo qui dentro!» Mi porta la mano al suo petto. «E tu? Cosa senti?» Mi appoggia la sua mano sul cuore. Cioè sulle tette. Cuore. Tette. Confusione.

    «Ehi, guarda dove ti è caduto il gelato.» Passa un dito sulla mia tetta sporca di panna e poi se lo lecca.
    «Ma che schifo!»
    «Che ti ho toccato la tetta?»
    «No, che ti sei leccata il dito!»
    «Allora aspetta, che ti pulisco anche qui… e qui.»
    «Hai finito? Cioè, mi metti in imbarazzo.»
    «Starei delle ore a toccarti le tette.»
    «Ma sei scema?»
    «Guardami: sono senza! Il Signore si è dimenticato di montarmi i pezzi quando sono nata. Almeno lasciami la soddisfazione di toccare le tue, visto che non posso farlo da sola.»
    «Sì, ma non davanti a tutti!»
    Mi fissa con il suo sguardo inquietante. «E se ci nascondiamo nella cabina? Dai!»
    Boh… è una cosa strana ma m’incuriosisce; basta che non ci veda nessuno. «Va bene.»
    «Davvero?» Sgrana gli occhi.
    «Sì.»
    Nadija butta quel che resta del suo gelato e non mi lascia finire il mio; si alza e mi prende per le dita come fa sempre, portandomi via.
    La cabina è spaziosa ma poco illuminata, ci vuole un po’ prima che gli occhi si abituino alla penombra. Lei si è già tolta la canottiera ed è rimasta in topless, al solito. Mi guarda il petto: «Dai, togli!»
    Inspiro; espiro. Non è la prima volta che mi spoglio davanti a una ragazza, ma è la prima volta che lo faccio per… «Oh!» D’istinto mi piego in avanti e mi riparo col braccio. Nadija ridacchia. Faccio: «Ssh!» ma non riesco a non ridacchiare anch’io. «Piano!»
    «Dai, fammi sentire quanta roba! Ma cosa porti?»
    «La terza. Ssh!» Rialzo il busto e lei mi strizza di nuovo le tette. «Ehi!» Ridacchio. «Così mi fai il solletico.»
    «E così?» Massaggia con più decisione i miei capezzoli.
    «No, che mi diventano duri!»
    «E ti dispiace?» Ridacchia.
    «Ssh!» Non riesco a dire altro; confusione.
    «Vuoi sentire?» Si ferma; mi prende le mani e se le appoggia al petto. I suoi capezzoli sono più piccoli ma sono diventati duri come i miei. Ricomincia. Mi viene spontaneo imitare i suoi movimenti. Ridacchiamo insieme.
    Confusione. «Adesso basta, però.» Mi fermo e mi allontano.
    «Perché?» mi chiede, mentre sto già rimettendo il reggiseno.
    «Stiamo facendo troppo casino, sembriamo due galline. Mi aiuti?» Le mostro la schiena. Anziché allacciare la fibbia, Nadija mi dà un’altra palpata e lancio un gridolino.
    «Eh, sì; sei proprio una gallina!»
    «Scema!»
    «Dev’essere proprio bello avere le tette,» dice, e non me le molla.
    «Ssh! Ti racconterò.»
    Confusione.

    Aiuto; ecco cosa sento: «Tu… ti sei innamorata!»
    Nadija annuisce.
    «Per questo ti fai schifo?»
    Annuisce di nuovo.
    «Moiagliuba, no! Non devi sentirti sbagliata. Va tutto bene.» Per una volta sono io a prenderle le mani.
    «Mi odi?»
    «No!»
    «Allora mi ami?»
    Ho un tuffo al cuore, però devo essere sincera: «No… ma ti voglio bene.»
    «Davvero?»
    «Senti, ti ho anche lasciata palpare le tette; cioè, non è che lo faccio con tutti quelli che incontro! Certo che ti voglio bene, scema.»
    Si mette a ridere e inizia a piangere nello stesso momento. Mi fa tenerezza, è la prima volta che mi mostra il suo lato debole. Tiro fuori un fazzoletto dalla pochette e glielo passo.
    «Adesso ti calmi, ok?»
    Annuisce.
    «Perché se parte un’altra bachata la voglio ballare con te.»
    Ride. «Ok.»
    «Ma non farmi fare figure di merda, va bene?»
    «Sarò brava!»
    «Mi togli solo una curiosità?»
    «Dimmi.»
    «Cosa vuol dire “cohamtebé”?»
    Sospira. «Ti amo.»
     
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    Penna furiosa

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    Una storia d’amore adolescenziale, raccontata in modo piano e corretto, con una certa dolcezza. Non mi entusiasma, ma non per colpa tua autore, semplicemente non è il mio genere e non ho trovato particolari guizzi che mi abbiano acchiappato.
     
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    Teropode assennato

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    Non mi scrivete di bionde in topless che io patisco.
    A parte questo, la storia prende più che altro perché queste cose un po' lesbo colpiscono l'immaginazione maschile, ehm, e niente, colpiscono l'immaginazione maschile.
    Per il resto c'è l'inconsapevolezza, c'è l'ingenuità delle protagoniste, insomma è un racconto realistico che ha il suo perché. Gli manca solo un guizzo di potenza, che fosse stilistico o un colpo di scena in alternativa.
     
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    Di nuovo una storia di amore rosa rosa tra adolescenti (?) in cerca della propria identità. Scritta molto bene si fa leggere con facilità anche se non mi ha particolarmente colpita.
    Si parla sempre di una ottima prova ma senza fuochi d’artificio
     
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    Penna suprema

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    Un racconto presentato direttamente dalla bocca delle protagoniste. Forse sarà la deformazione pruriginosa di questi tempi, ma ho capito fin dalle prime battute che avrei letto un racconto a sfondo sentimental-amoroso.
    Lo collocherei in un “piuchessufficiente-buono”.
     
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    A me questo racconto è piaciuto molto, sarà che ho un vero e proprio culto per l'adolescenza, o meglio per la voglia di uscire dalla nostra ingenuità e ritrovarsi in un mondo ancora incomprensibile, a volte bello a volte orribile, ma sicuramente emozionante. Dolce e leggero quanto basta, in un mondo di rapporti prestampati fa venire voglia di trovarsi in quella cabina a non capire dove si andrà a finire.
    Un particolare plauso al titolo, che insieme a un altro paio vince il premio "Hai la mia attenzione" di questo step.
     
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    Dio della penna

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    Fila come il vento il racconto che non mostra sorprese ma racconta esperienze adolescenziali. Questa è la vita e la vita va raccontata con le sue mille facce ed emozioni e ogni aspetto assume la sua grande importanza. Ottimo lavoro senza elevate vette, ma ottimo.
     
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    Scorre che è una bellezza. Per quanto riguarda la storia è una storia semplice di schermaglie d'amore adolescenziale, in cui entrambe le protagoniste, con connotazioni diverse, vivono questa età fatta di incertezze e di confusione, un'età in cui ancora tutto è possibile. L'ho letta molto volentieri, ma mi chiedo, facendo ricorso a tutta l'onesta intellettuale possibile: l'avrei letta altrettanto volentieri se ci fossero stati due protagonisti maschili? (Vedi nota di Fante, poco sopra)
     
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    Penna suprema

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    Il racconto scorre che è una bellezza, ma io ci avrei messo dentro un pochino di carta vetrata proprio per non farlo somigliare a cose già lette.
    Ne sarebbe venuta fuori un'altra storia, e scrivere non deve essere mai un'attrazione turistica, scrivere deve essere quello che hai dentro, semplice o complesso che sia.
    E va bene così.
     
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    Un racconto leggero, dolce, tenero direi, che mi ha fatto piacere leggere. Altri mi hanno impressionato di più, ma ripeto, la lettura mi è piaciuta davvero, per quel senso di tenerezza mista a paura che ci hai saputo trasmettere con le tue protagoniste.
     
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    Adolescenziale. Non così il narratore, visto che sa dosare così bene le parti in corsivo, rivelando una certa esperienza di scrittura e la capacità di tenere desta l’attenzione del lettore.
    Linguaggio colloquiale utilizzato con misura; sarebbe bastato esagerare un po’ e diventava una storia banale. Invece è un racconto leggero, ma carino.
     
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    Lettura gradevole, il tocco lesbo non molto originale, ma agli uomini piace sempre... ;)
    Carino comunque.
     
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    Racconto onesto sotto tutti i punti di vista. Leggendo le prime righe sai già dove andrai a finire, ma l'aut ha saputo ben costruire un testo che ti tiene incollato allo schermo sino alla fine. E' vero, per un uomo, leggere "queste cose un po' lesbo" per citare Fante, fanno un certo effetto, ma credo che se i protagonisti fossero stati due uomini oppure un uomo e una donna, il racconto non avrebbe perso la sua efficacia e semplicità. Un buon lavoro.
     
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    Penna furiosa

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    Racconto piacevole, storia dolce e ben raccontata.
    Ogni tanto mi sono persa: è vero che gli spazi delimitano i momenti, ma qualche volta questi momenti sono lunghi e a volte brevi (esattamente come la vita) e quindi mi confondevo pensando che due eventi fossero collegati strettamente.
    Centrata l'inconsapevolezza, lineare e pulita la forma, adatta al tema del testo.
    Ogni tanto la sequenza di eventi messi in fila mi ha annoiato un po': sicuramente è un "crescendo" ma non l'ho avvertito come tale e quindi, avendo già capito dove volevi andare a parare, ogni 'stacco' mi sembrava aggiungere poco al pezzo precedente.
    Comunque è un'ottima prova e dimostri di saperti destreggiare con la penna. Brav@.
     
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    Penna d'oca

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    La narrazione scorre bene ed è piacevole da leggere.
    Nessun guizzo, nessuna caduta, forse per questo lascia un retrogusto di incompiuto. Non mi ha fatto impazzire, per usare un prudente eufemismo.
     
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