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«Comandante, la plancia informa che, come da missione, siamo posizionati sulle coordinate esatte di quell’artefatto sommerso» l’avvisò Nicky, il Nostromo. «Perfetto, torno in plancia e riprendo il comando. Inviate tutta l’equipe tecnica in sala controllo» rispose il Comandante Tony dall’interfono della sua cabina mentre, con un colpo d’occhio, notava che l’orologio sulla parete segnalava le 06:00 a.m. e Senza saperlo, lui e Nicky, avevano ripetuto quasi le stesse parole di un altro Comandante di circa settemila anni prima. La nave oceanica di 48 metri, “N-Robot”, di proprietà della società di ricerche subacquee “Search pro Science”, dopo aver recuperato il cospicuo tesoro in barre d’oro e d’argento della “Nuestra Señora de la Petuña”, un galeone spagnolo affondato nel 1656, a causa di una tempesta, nelle acque di Santo Domingo e avere così, dopo una estenuante lotta legale con la Spagna e la Repubblica Domenicana, notevolmente rimpinguato le, ormai quasi esaurite casse della “SpS”, si era trasferita dalle acque calde dei Caraibi, dove solitamente operava, in quelle gelide del Mar Baltico, con il preciso obiettivo di esplorare a fondo quel grande oggetto misterioso, scoperto nel 2012. Era stata un’altra nave, la “Ocean X Team”, a riuscire per prima a localizzare e inviare un paio di subacquei, per ispezionare e riportare dei campioni, da quello che sembrava un curioso manufatto. Il problema della profondità di 90 metri aveva però permesso ai due di condurre l’esplorazione per solo una dozzina di minuti. Durante quel tempo, avevano riscontrato un paio di anomalie: la temperatura dell’acqua che, a quella profondità, avrebbe dovuto essere di +6 gradi centigradi, era in effetti di -1 grado e, quando avevano tentato di prelevare campioni dall’oggetto, non vi erano riusciti. In effetti, dopo aver rimosso le dure concrezioni marine formatesi nei secoli, era apparso un materiale scuro, resistente a tutti i loro intenti di prelievo però, non molto lontano dall’oggetto stesso, avevano rinvenuto dei piccoli pezzi che sembravano appartenere alla parte sinistra posteriore, all’apparenza spezzata dall’impatto nell’ammaraggio di quella specie di grande disco. Portati a terra e analizzati, erano risultati composti da elementi sconosciuti sulla Terra. Le ricerche erano state bloccate da tre principali fattori: delle improvvise e misteriose interferenze che avevano disturbato la strumentazione elettronica della nave, la perdita di un ecoscandaglio durante il suo traino ma, soprattutto, una violenta burrasca. Quando erano stati pubblicati i risultati, la gente, quella che è sempre esperta in tutto, si era lanciata in varie conclusioni tra cui, la più popolare, era che si trattasse di un’astronave aliena. Altre suggerivano un meteorite o una configurazione naturale. La più stravagante, quella di una navicella spaziale nazista precipitata al momento del collaudo. I pochi video girati erano di pessima qualità e non vi fu, dopo quella data, nessuno che fosse interessato, soprattutto a causa degli altissimi costi, a scoprire il mistero di quella che fu battezzata come “L’anomalia del Baltico”. Adesso toccava però alla “N-Robot” e ai suoi cacciatori di tesori. La parte più difficile era stata di ottenere, dal Governo svedese, nella cui giurisdizione era localizzato il sito dell’oggetto, il permesso all’esplorazione. Era stato conseguito solo dopo svariate estenuanti riunioni, qualche cospicuo passaggio di denaro e l’obbligo d’avere a bordo una copia umana del gigantesco biondissimo dio Thor, nella persona dell’Inspektðr Peter Angelsen, incaricato di verificare, nel caso di risultati positivi, che nulla sparisse, sia come documentazione che invenzione di parti del relitto. Mr. Faustelli, il ricco domino della “SpS”, chiamato affettuosamente “The Man” da chi lo frequentava, in omaggio alla sua grande capacità organizzativa e decisionale, aveva aggiornato la possente nave con la migliore attrezzatura di ricerca subacquea disponibile. A bordo, oltre a un mini sottomarino autonomo Triton 1000/2 biposto, due R.O.V. (Remote Operating Vehicle) comandati via cavo da un operatore comodamente installato davanti a un largo schermo a colori nella sala controllo della nave, c’erano pure un paio di A.D.S. (Atmosferic Diving Suit). Praticamente un sommergibile, in lega di titanio, costruito intorno al corpo umano. Con quello, un individuo poteva scendere fino a 300 metri, e restare lì a lavorare per tutto il tempo necessario, alla pressione di 1 atmosfera, come quella di superficie, con l’aria che gli veniva pompata da una manichetta di bordo. In caso di mancata erogazione, l’autonomia sarebbe stata di circa 10 ore. Sia i R.O.V. che il Triton, potevano scendere alla profondità degli A.D.S.; gli uni col tempo limitato solo da chi li operava dalla superficie, l’altro con sessanta ore di tempo massimo. Una camera iperbarica e un elicottero, entrambi per quattro persone, si aggiungevano ai macchinari subacquei. Il costo dei due A.D.S. era pari a quello del sottomarino. La camera iperbarica e l’elicottero valevano praticamente lo stesso di quei tre e tutti insieme facevano il prezzo della “N-Robot” ma “The Man” non si era fermato lì con le spese. Gli interni della nave potevano essere paragonati a quelli di un super yacht in stile però assai più sobrio o, per dirlo alla moda, minimalistico. Aria condizionata, TV e Wi-Fi dappertutto, differenziati e regolabili per ogni ambiente. Un paio di dissalatori fornivano acqua dolce a volontà. Due motori diesel Caterpillar, della potenza di oltre 3.000 cavalli l’uno, potevano spingere la nave a una velocità massima di 25 nodi. Due pinne stabilizzatrici bloccavano sia il rollio che il beccheggio, per il massimo conforto dei passeggeri. In effetti non c’era distinzione tra equipaggio e passeggeri. A parte la cabina di “The Man” e quella del Comandante, composte di camera da letto, ufficio e stanza da bagno, situate sul ponte superiore, tutte le altre dodici cabine, nel sottoponte, erano ammobiliate alle stessa maniera: un letto matrimoniale, separabile in due, grandi armadi e ripostigli e accanto, la stanzetta della doccia con una zona lavabo e wc, quest’ultimo separato e provvisto internamente di un rubinetto a spruzzo che lo trasformava in bidet (una chicca su di una barca da lavoro). Su quest’ultimo particolare aveva parecchio insistito Monique, la bella compagna francese del Comandante, esperta subacquea con anche il brevetto per l’A.D.S. Sarebbe stata lei a scendere su “L’anomalia del Baltico”, accompagnata da Danilo, il solo italiano col brevetto di pilotaggio del minisommergibile Triton. In quella sua funzione, era coadiuvato da Patritsiy, una russa con la passione dell’alta profondità. Pilota dell’elicottero di bordo era Ely, che sostituiva “The Man” quando era occupato nelle sue varie conferenze intorno al mondo per raccogliere fondi mentre, alla camera iperbarica, la responsabilità era del professor Juan Carlos Grabillas, grande esperto in recupero da embolie gassose e subacqueo profondista brevettato Trimix. Alla manovra dei R.O.V. era dedicata Stephie, ingegnere informatico appassionata oceanografica, responsabile della gestione della banca dati contenente tutte le ricerche effettuate dalla “SpS”, sia con questa che con precedenti navi. «Stephie, la nave è posizionata esattamente sul relitto che si trova a 90 metri di profondità. Dovresti mettere in acqua uno dei tuoi R.O.V. per fargli ottenere le specifiche necessarie all’invio degli A.D.S. Approfittiamo di questo tempo favorevole per eseguire tutte le esplorazioni possibili. Il meteo ha annunciato un calo di pressione in zona, a partire da dopodomani. Ci aspettiamo perciò il cattivo tempo e quindi, come al nostro solito: rapidi ma sicuri» disse Tony. «Ok. Boss. Chiamo subito Paul per la messa in acqua del R.O.V.1. Come sai sul 2 non abbiamo ancora risolto il problema del controllo di profondità. Sappiamo di dover cambiare una scheda che però non abbiamo ancora ricevuta. È un hardware francese e sai che a loro non comandi» un sorriso, ad accompagnare la battuta, apparve sulle labbra di Stephie. «Bene. Nicky è già informato?» il Comandante finse di non accorgersi della frecciatina. Il Nostromo, dopo avergli ufficialmente passato il comando, s’era trasferito a poppa per soprassedere alla messa in acqua del veicolo a controllo remoto. «Certamente e sai com’è lui? Non molla mai! Ho fiducia che presto la riceveremo quella maledetta scheda.» “Se la situazione è in mano a Nicky penso proprio che Stephie abbia ragione” fu il pensiero del Comandante che, dopo aver passato il comando a Tommy, l’ufficiale in seconda, si trasferì con lei in sala controllo, dove tutti i convocati erano già lì ad attenderli. Stephie accese il controllo remoto del R.O.V.1 e immediatamente sul grande schermo a colori apparvero: le specifiche temporali, la profondità, la direzione in cui stava procedendo e la temperatura dell’acqua verdastra e non molto limpida. Non che fosse molto importante per la discesa ma una migliore visibilità sarebbe stata comunque più utile in prossimità del presunto relitto extraterrestre. Sì, proprio così! Tutti loro erano sotto questa convinzione, altrimenti non sarebbero stati lì. Primo fra tutti “The Man” che in quel momento era in piedi, proprio dietro la poltrona di Stephie, con gli occhi fissi sullo schermo, così come d’altronde tutti gli altri non occupati nelle manovre della nave che potevano seguire in diretta dagli schermi ripetitivi, posti ovunque fosse utile. Alle 7:27 a.m. il R.O.V.1, finemente guidato con un semplice joystick, stava illuminando dall’alto quella che sembrava l’astronave “Millennium Falcon” di Star Wars. La visibilità in profondità era nettamente migliorata, probabilmente a causa di una corrente d’acqua più fredda. In effetti il termometro segnava -1. Era stato deciso di effettuare un primo sopralluogo generale e fu ciò che fece Stephie col risultato di confermare quello che in parte già si conosceva dall’esplorazione dell’Ocean X Team: profondità -90 metri, circonferenza di circa 180 metri, l’oggetto sembrava appoggiato su di una specie di pilastro e sulla sua superficie scorrevano delle scannellature rettilinee. Stephie manovrò in modo da compiere una circumnavigazione completa. Non sembrava vi fossero entrate ma, sulla superficie della parte posteriore sinistra, si poteva chiaramente notare una specie di cupola, di circa 4 metri di diametro, che sarebbe però stata oggetto di più ampia ricerca da parte dei due A.D.S. che, nel mentre, una gruetta stava posizionando sulla piattaforma di poppa, pronti per essere indossati dai loro manovratori: Monique e Danilo. Dopo aver assistito all’apparizione delle prime immagini, per farsi un’idea di quello che avrebbero dovuto esplorare, i due erano ritornati alle loro rispettive cabine per cambiarsi e indossare le sole tute termiche, poi si erano trasferiti a poppa. Il R.O.V.1, terminata la propria raccolta dati, era già stato riportato alla base. A quel punto, dopo essere stati aiutati da un paio di marinai che, sotto il controllo del sempre attento Niky, li avevano aiutati a infilare i loro scafandri, pesanti oltre 140 chili ma privi di peso una volta in immersione, erano stati calati in acqua, iniziando così la loro discesa a 90 metri. Erano le 08:12 a.m. «Monique, tutto ok?» chiese via interfono Patritsiy che, quando non era nel sottomarino, seguiva le conversazioni via radio. Ricevendo il laconico “ok” confermativo, era passata a Danilo con lo stesso risultato. Dopo una decina di minuti di discesa, toccato il fondo, propulsati da due motori elettrici, orientabili, da 1,5 cv e sistemati sulla parte posteriore dell’A.D.S., i due si diressero alla presunta cupola, illuminata dai loro quattro potenti fari. Le operazioni, riprese da ciascuna delle due loro telecamere, furono inviate al grande schermo della sala controllo che si era suddiviso in due immagini parimenti simili. Danilo aveva innestato, su una delle pinze che gli facevano da mano, uno speciale scalpello pneumatico, col quale iniziò a togliere la spessa concrezione corallina che aveva ricoperto completamente la cupola così come il resto dell’oggetto. Ben presto le immagini furono offuscate da una nuvola di materiale in sospensione che non permetteva di vedere assolutamente nulla. Monique ovviò all’inconveniente mettendo in moto, al minimo, l’elica di uno dei propri propulsori, creando così una corrente che in brevissimo tempo ripulì l’acqua. Il sistema fu mantenuto attivo dando continua visibilità al lavoro di Danilo. Ben presto la cupola rivelò essere quello che era: un’apertura verso l’interno. Il problema era che sembrava sigillata al manufatto senza che vi fosse alcun comando per farla sollevare. Danilo e Monique, iniziarono una lenta circumnavigazione della nave spaziale. La cupola trasparente aveva dato ormai certezza che quel grande oggetto fosse qualcosa di extraterrestre. Con quelle immagini ricevute in sala controllo ognuno, eccitato dalla scoperta, fissava con attenzione il grande schermo, cercando di trovare un mezzo per poter entrare. Il primo a notare qualcosa fu proprio “The Man”. Tramite Patritsiy, ordinò a Danilo di controllare cosa fosse quella specie di sporgenza cilindrica che la telecamera aveva brevemente mostrato durante il suo passaggio nella zona posteriore sinistra. In qualche secondo Danilo, ritornato sul posto, stabilizzò l’immagine. Effettivamente sembrava essere un pezzo di una grossa leva, incrostata nella parte sporgente che appariva spezzata. Mentre anche Monique veniva richiamata ad assistere, Danilo provava a smuoverla ma era talmente incastrata nelle concrezioni marine che avrebbe dovuto usare nuovamente lo scalpello pneumatico per cercare di liberarla. Ripetendo l’operazione precedente, che aveva avuto successo con la cupola, i due sub si misero al lavoro. Nel frattempo in sala controllo le discussioni si animavano. L’Inspektðr Angelsen non era molto d’accordo su quel metodo, a lui apparentemente brutale, che avrebbe potuto danneggiare l’astronave ma presto, ritrovandosi tutti contro andò a sedersi un po’ in disparte, in attesa dei risultati. Non tardarono a venire. Il monitor indicava le 08:37 a.m. quando la voce di Monique, alquanto eccitata, segnalò che erano riusciti a liberare completamente quella che era apparsa, a prima vista, come una leva e che in effetti lo era: entrava in una scannellatura orizzontale e al momento si trovava nella parte più a destra della stessa. “Chissà se si può muovere e apre qualcosa?” fu il pensiero in varie lingue ma unanime dagli spettatori. L’Inspektðr Angelsen e “The Man” stavano discutendo con forza. Il primo sosteneva che avrebbero dovuto continuare con la pulizia di tutto l’artefatto per verificare la teoria dell’astronave aliena mentre il secondo sosteneva di provare a muovere quella leva che, molto probabilmente, avrebbe aperto la cupola. «Okej Mr. Faustelli ma, se per caso si apre e sotto c’è quella cavità, come riscontrato dal sonar ieri, la riempiremmo d’acqua che se arrivasse alla cabina di pilotaggio, rovinerebbe tutti gli strumenti presenti». «Inspektðr Angelsen quello che lei vorrebbe è di liberare l’astronave per completo dalle concrezioni millenarie che la ritengono sul fondo, sollevarla, metterla su di una chiatta, adeguata al peso e alla lunghezza, per trainarla in un vostro porto dove possiate analizzarla con comodo». «Beh, no, non proprio ma…» «Non credo ci siano dei ma… Inspektðr Angelsen. L’accordo col vostro Governo è scritto nero su bianco e voi ci avete dato il permesso per esplorare. Ed esplorare non significa recuperare un relitto. Ho pensato anch’io al problema dell’acqua che penetrerebbe nella cavità sotto la cupola ma, e lo ha visto anche lei, sembrerebbe che quell’area non sia proprio una sala comando ma piuttosto una grande stanza senza nulla dentro; all’apparenza» e rivolgendosi a Patritsiy continuò «dai pure il mio consenso a tentare l’apertura». Problema risolto! A quel punto Monique andò verso la cupola mentre Danilo, bloccando la leva con le pinze di entrambe le braccia, la spinse verso sinistra. Ci fu solo una breve resistenza all’inizio, poi la leva scivolò fino alla fine della scannellatura, mentre allo stesso tempo la cupola si sollevò. Un’enorme bolla d’aria uscì dall’apertura mentre l’acqua si precipitava all’interno. L’orologio della sala controllo segnalava le 09:05 a.m. Gli astanti applaudirono alle due immagini appaiate sullo schermo. Danilo si avvicinò a Monique poi richiese alla superficie il permesso di penetrare nella nave spaziale. A quel punto anche l’Inspektðr Angelsen fu d’accordo e “The Man” autorizzò l’entrata per Monique che stava dirigendo il fascio dei suoi fari verso l’ampia apertura lasciata libera dalla cupola quasi completamente ribaltata. Si notava una scala. La discesa fu breve. Solo sette metri. L’acqua che era entrata turbinando si era calmata e invadeva per completo la grande sala illuminata quasi a giorno dalle due potenti luci dell’A.D.S. L’area centrale era completamente sgombra ma sulla parete di destra si stagliavano chiaramente cinque enormi scafandri. Erano impressionanti sia per la loro altezza, che Monique valutò intorno ai cinque metri che per l’enorme casco che li sovrastava. “Ils devaient être des géants” pensò Monique. Addossati alla parete alla sua sinistra, c’erano un paio d’armadi, le cui porte non sembravano essere state deformate dalla pressione dell’acqua. Propose alla superficie la possibilità di aprirne uno e la risposta, con tutte le cautele del caso, fu positiva. Danilo, all’ascolto dal suo interfono, a quel punto aveva richiesto di scendere anche lui ad aiutare Monique ma gli fu detto di rimanere lì, all’esterno, a meno che non intervenisse qualche problema da risolvere. Le grandi maniglie a leva non opposero resistenza e l’armadio si aprì con facilità. Era pieno d’acqua e questo dava la spiegazione della facile apertura. Posti su degli scaffali, vi erano ammucchiate parecchie casse e vari arnesi, a prima vista, d’uso incomprensibile. Monique ne prese uno con le pinze. Un modo di dire che ben si adattava al caso. Era abbastanza leggero e sembrava una specie di grossa pistola, la cui enorme impugnatura non era certo fatta per una mano umana. Lo posò e prese una delle casse ma, a causa del peso, non riuscì a trattenerla e lasciò che si andasse a depositare sul fondo. Non c’erano serrature evidenti e pensò non fosse quello il momento di investigare. Stephie le comunicò di lasciar perdere l’altro armadio e di controllare se ci fossero delle uscite da quella zona. In effetti, sulla parete di fronte, si apriva un varco che lei oltrepassò per ritrovarsi in una nuova stanza, con quattro grandi armadi alle pareti, uguali a quello del primo ambiente. Da lì alla sua destra un altro varco la portava in un locale simile agli altri, con nuovamente altri armadi. La sua telecamera inviò tutte le informazioni alla superficie da dove “The Man” le chiese di tornare alla stanza d’origine. Quella struttura rotonda dunque, malgrado la forma ingannevole, non sembrava essere un’astronave ma piuttosto un magazzino di pezzi di ricambio, sganciatosi da una, quella sì, astronave extraterrestre, per una qualche, al momento sconosciuta, ragione. Una parziale delusione! Stephie comunicò ai due che avrebbero mandato giù un grande cestello per riempirlo con gli oggetti trovati nell’armadio dell’inizio. Attaccato al cestello avrebbero trovato un cavo d’acciaio con un gancio da fissare a uno di quegli enormi scafandri. Da bordo avrebbero recuperato cestello e scafandro con i possenti argani di poppa. Nel caso il contenuto dell’armadio non fosse entrato nel cestello in una sola volta, l’operazione sarebbe stata ripetuta fino a completare lo svuotamento. Alle 11:39, i due A.D.S. erano di nuovo a bordo, con Monique e Danilo che, una volta estratti dagli scafandri e cambiatisi nelle proprie cabine, avevano raggiunto gli altri nel salone principale della “N-Robot”. Per quella mattinata il lavoro subacqueo era terminato. Nel pomeriggio sarebbero stati ripuliti tutti gli oggetti con acqua dolce e inventariato i pezzi recuperati, senza aprire le pesanti casse, come imposto dall’Inspektðr Angelsen. Avrebbero però potuto analizzare, per quanto possibile, il grande scafandro. L’indomani avrebbero operato anche col sottomarino, con agganciato un grande traino per riempirlo con ciò che fosse stato trovato all’interno di tutti gli armadi, mentre i restanti quattro scafandri, sarebbero stati recuperati con lo stesso metodo del primo. Così effettivamente avvenne. Il lavoro occupò per completo il giorno successivo e tutto il cospicuo carico fu portato a bordo, ripulito, classificato e sistemato al sicuro nella capace stiva della nave. Prima dell’arrivo della burrasca erano già alla fonda nella base navale militare di Muskö, 35 miglia circa a sud di Stoccolma. Il Governo Svedese prese in consegna il carico, remunerò la “SpS” con vari milioni di euro e obbligò tutti a non divulgare la notizia. Fu l’Inspektðr Angelsen a sottolineare come ciò fosse stipulato nel contratto. Tutti coloro che erano a bordo della “N-Robot” mantennero la consegna e la gente, quella che sempre sapeva tutto e su tutto aveva una teoria, in questa occasione non ne seppe nulla e continuò con le sue congetture su “L’anomalia del Baltico”. Due grandi cassette di un metallo sconosciuto, assieme a una di quelle, apparentemente, armi, giacevano però nella capace cassaforte segreta della cabina di Mr. Faustelli. “The Man” non attendeva altro che di essere fuori dalle acque territoriali svedesi per poter studiare quella che all’apparenza sembrava un’arma e aprire le casse insieme ai suoi amici d’avventura.
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