Urbe aeterna

therealnecromancer

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    Dio della penna

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    Il vagabondo
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    Roma 2005

    Nella città eterna non è difficile incappare nella chiusura straordinaria di una strada per via di qualche ritrovamento archeologico. Quel pomeriggio, fotografi e giornalisti si trovavano davanti al complesso dei Santi Bonifacio e Alessio all' Aventino. Ascoltavano il capo della sovrintendenza archeologica del Comune di Roma che illustrava il ritrovamento di un affresco del tardo medioevo, raffigurante Sant’Alessio e un Cristo Pellegrino nell’atto della benedizione. Parte del dipinto era nascosto dal muro del campanile della Chiesa, di costruzione relativamente più recente.
    Roberto Seiminigro e Juliette Romea stavano esaminando con attenzione la parete. Perito d’arte lei e archeologo lui, lavoravano da qualche anno come stimata coppia di esperti preso l’ufficio di sovrintendenza. Di origini italiane, Roberto era un quarantenne in forma, capelli rasati e barba incolta. Condivideva con la moglie, la passione per l’antico e i tatuaggi. Juliette considerava molto l’aspetto fisico, sempre ben curata e con quel taglio alla Portman in Leon che la collocava come età molto al di sotto dei suoi quarantadue anni.
    - Scatta qualche foto anche da lontano tesoro, mentre io cerco di capire se tutto il muro risale allo stesso periodo. Guarda la base, è più scura, quasi come se in quel punto l’affresco fosse più recente.
    Juliette lo vide sdraiarsi a terra per esaminare meglio; con rapidi gesti grattava alcune parti di intonaco, per poi imbustarlo ed etichettarlo.
    - Per vedere bene, dovremmo buttar giù il campanile. Mi chiedo come diavolo abbiano potuto costruirlo davanti a un’opera simile. – disse Juliette.
    La donna non faceva nulla per nascondere il suo disappunto, nel faticoso tentativo di scorgere la parte nascosta.
    - Putain de merde… - disse all’improvviso - C’è qualcosa qui. Sembra una specie di placca!
    Roberto le si fece vicino. Non c’è bisogno di parlare, i due si muovono sincronizzati in una routine consolidata ormai da anni. Juliette dall’alto fa luce dentro il vano di circa dieci centimetri, spostandosi per agevolare il compagno, che con il braccio si allunga fino a sentire la placca fra le dita.
    - Ce l’ho. – tira fuori il braccio con delicatezza, per paura che tutto si sgretoli.
    - Non è una placca – osservò Juliette - è… sembra il pezzo di un altro affresco. Guarda i colori, sono pastello più sbiaditi. È di sicuro più antico, si vede a occhio che lo stucco è relativamente recente rispetto a quello dell’affresco.
    Roberto annuiva in silenzio, esaminando con cura un lato del manufatto. Poi lo girò e i due rimasero a bocca aperta, guardandosi, mentre il formicolio dell’adrenalina saliva loro lungo la schiena.
    - Ma questo è latino, che dia…
    Udirono delle voci avvicinarsi, di certo i giornalisti. Uno sguardo d’intesa e il reperto sparì dentro un borsone, volevano capire cosa fosse quell’opera posticcia e che importanza potesse avere prima che la sovrintendente andasse a farsi bella in TV con la loro scoperta. Si defilarono in fretta dietro il complesso, lungo via Sant’Alessio, svoltando all’altezza della costruzione che ospitava l'Ordine Nazionale dei Biologi, ed entrarono nel loro appartamento. Poco distante, all’incrocio con Via Icilio, Herbert era comodamente seduto sulla sua Q3. Uno sbuffo di noia, mentre prendeva il telefono dal cruscotto scorrendo la rubrica fino al nome X.

    Sono entrati in casa, sembravano aver fretta. Qualcosa mi dice che lo hanno trovato. Rimango in attesa.

    Walili 2005


    Il cartello che aveva appena oltrepassato imponeva il divieto di transito, ma per Alek Weiss non era un problema. Quel sito era entrato a fare parte dell’Unesco come patrimonio storico tra i più noti del Marocco. Le rovine erano conosciute come Volubilis, capitale della provincia di Mauritania ai tempi dell'Impero Romano. Tutto ciò che c’era da riportare alla luce era stato trovato: dalla basilica all’acquedotto, dai mosaici alle terme, dall’arco di trionfo ai bagni pubblici. Alek era però convinto che quelle terre nascondessero ancora qualcosa di superiore a ogni scoperta fatta fino ad allora. Di origini tedesche, era un miliardario che aveva ereditato la fortuna dal padre. Alto, biondo e senza scrupoli era un convinto sostenitore nazista e aveva impegnato tempo e risorse per riportare in vita la FDA, l’associazione per la ricerca e la diffusione dell'eredità ancestrale tedesca fondata durante la seconda guerra mondiale da Himmler, di cui era pronipote. Alek all’inizio aveva puntato sul classico; Santo Graal e Arca della Alleanza, ma fu solo un grosso dispendio di denaro. La sua ricerca si era spostata dunque a Walili, dove, secondo una leggenda locale, si trovava un epico tesoro fatto risalire addirittura al periodo Romano. Dopo dieci anni di scavi inutili, una serie di strani episodi iniziò a cambiare la percezione degli addetti ai lavori. Strani fenomeni notturni, versi infernali dal nulla, tende squarciate, teste di animali impiccate qua e là e addirittura qualche lavoratore risvegliatosi con tagli su tutto il corpo senza aver avvertito niente nel sonno. Nonostante vennero allontanati, la voce si sparse in fretta e un’atmosfera pesante da giorni ormai serpeggiava per il campo, protetto da due guardie armate di AK-47 che sorvegliavano l’unica via d’accesso.
    - Hai una sigaretta? – chiese una guardia al compagno.
    - Ma non avevi smesso?
    - Sì ma questo posto mi rende troppo nervoso. C’è una presenza malvagia che gira per il villaggio.
    - Ok ok, tieni la sigaretta ma smettila, che io ci credo e poi non dormo.
    - Meglio, così puoi fare il dopp…
    Un fruscio nella vegetazione bassa davanti a loro li interruppe, imbracciano i fucili scrutando fra l’erba, alla debole luce di alcune fiaccole lì intorno.
    Il sibilo di lame fu l’ultima cosa che udirono. Un forte dolore alla gola, i mitra caddero a terra seguiti dai loro corpi, il sangue zampillava dai colli fra i rantoli, nel tentativo inutile di respirare. Le pupille si dilatarono nell’ultima immagine della loro vita.
    Nella tenda principale, Alek non dormiva. Seduto a una scrivania di fortuna in quell’ufficio abbozzato, fissava il cellulare. Nella mano destra girava un bicchiere di Oban. Il bip di un sms mise fine all’attesa:
    Lui è arrivato, non so come ma è arrivato. Cerco un modo per entrare.
    Quelle parole fecero infuriare il tedesco, mentre con una smorfia iniziava a digitare un messaggio di risposta, dalla tenda semiaperta il corpo di una guardia volò sul pavimento, la gola squarciata e l’ultimo litro di sangue che spruzzava ovunque. In un lampo Alek apre il cassetto della scrivania e recupera la sua Glock. Tolse la sicura e si diresse con cautela verso l’esterno,dove ebbe un brivido: erano tutti morti, con la gola squarciata. Guardie, scavatori e membri dell’équipe giacevano uno sull’altro come pupazzi lanciati in giro da un bambino. Con la mano tremante il tedesco minacciò il buio con la pistola e percepì dei movimenti invisibili tutto intorno, veloci, leggeri. L’acciaio che sferzava l’aria lo sentì arrivare da destra, ma non fece in tempo a muoversi che il metallo sulla gola lo indusse ad alzare le mani lasciando cadere la pistola. Un respiro pesante, all’orecchio sinistro.
    - Non hai più nulla da fare qui, vattene o farai la stessa fine degli altri. Quello che cerchi è proibito, deve rimanere lontano da gente come te. Troppe volte nel tempo è stato fonte di sventura. Non ignorare queste parole, non ne seguiranno altre.
    I Floribus Mali sanno chi sei.
    La voce era metallica, come contraffatta da qualcosa. La lama segnava la pelle e il sangue iniziava a colare quando il tedesco decise di reagire: socchiuse gli occhi e colpì con tutte le sue forze l’assalitore con una gomitata, costringendolo a mollare la presa. Il collo bruciava ma Alek corse via facendo slalom fra i cadaveri. Sembrava che nessuno lo inseguisse ma al primo passo fuori dal campo, picchiò contro un muro invisibile. L’impatto gli tolse il respiro, cadde a terra. Si girò su se stesso e con gli occhi socchiusi dal dolore vide due uomini. Uno aveva un bastone in mano, l’altro un coltello, indossavano delle vecchie maschere.
    Una tremenda botta sulla fronte.
    Buio.

    Roma 2005

    Durante il tragitto verso casa Roberto e Juliette non si erano parlati. E nemmeno al sicuro fra le loro quatto mura sembravano avere voglia di farlo. Lui si era buttato sul divano, lasciando il reperto sul tavolino di fronte, lei invece era rimasta in piedi davanti una finestra.
    - Se dovessero scoprirlo finiremmo nei guai.
    Roberto si alzò e la raggiunse. Il rumore del traffico sulla strada arrivava ovattato al terzo piano del palazzo. La cinse da dietro.
    - Ce ne faremo una ragione. – disse infine.
    - Speriamo di averci visto giusto.
    - Dunque, vediamo di capirci qualcosa. A quanto sembra, e non ho idea del come e del perché, quella tavoletta aspettava solo me, stando a ciò che c’è scritto.
    Juliette sapeva che il marito con le lingue si trovava a suo agio come un topo in caseificio, e sapeva anche che nel latino forse era una delle maggiori autorità al mondo, come garantiva la sua laurea in storia antica con un imbarazzante numero di master a contorno. Per questo lo aveva seguito a occhi chiusi, le probabilità che si sbagliasse erano insignificanti.
    Nella vecchia città non cercar sorte se non vuoi trovar la morte. Tornerà ancora come sempre ha fatto, come il sole all’alba e le ombre oscure nelle notti senza luna.
    Roberto traduceva il latino direttamente in italiano, per facilitarne la comprensione alla moglie. Prima di continuare le indirizza un sorriso che non riesce a dissimulare la tensione.
    Se la profezia non vuoi si ripeta dell'occhio spagnolo devi far la tua meta…
    sex milia unum nigrum, sei la soluzione, cerca l’Aconito e chiudi la tenzone.

    Roberto sospira e ricambia lo sguardo interrogativo della moglie.
    - È il mio cognome. Sex è sei, milia è mille, in numero romano la “emme” nel mio nome – spiegò piano lo studioso indicando le parole con l’indice – unum, il numero uno, la I..e infine nigrum, che significa nero o negro in lingua più moderna.
    SEI M I NIGRO
    - Mondieu, ma sei tu davvero! – esclama la donna, guardando il marito come se lo avesse sorpreso a rubare caramelle.
    Ormai dimentichi del furto appena perpetrato i due iniziano un analisi fisica più approfondita della pietra.
    - Ci vorrebbero gli strumenti del laboratorio, ma non saprei come fare a portarcelo. Potremmo provare a telefonare al tuo contatto all’università a Padova, magari può darci una mano.
    - Proviamo a vedere cosa riusciamo a trovare, casomai la chiamo domani.
    Si fecero portare delle pizze e passarono il resto della serata a cercare su internet e nella loro biblioteca privata indizi sulle frasi scritte sul pezzo di affresco e anche sulle singole parole, ma senza particolare fortuna. Fra un morso alla margherita e uno al tonno si ritrovarono d’accordo sul più curioso dei particolari, l’aconito. Un fiore alpino velenoso, mortale, ma scritto con la prima lettera maiuscola come fosse un nome. Un errore, forse.
    - Per oggi basta, è mezzanotte passata – chiosò Roberto. – Continuiamo domani.
    Il suono del campanello echeggiò come uno sparo nella casa, i due si guardarono.
    - Hai ordinato ancora pizza?- chiese Roberto.
    Il campanello suonò ancora, accompagnato da colpi alla porta. Juliette si avvicinò al mobile dov’era conservata la Beretta, mentre Roberto andò aprire. Un uomo con un abito scuro e dagli impagabili occhi verde chiaro sorrideva, capelli bianchi e barba alla Karl Marx pure bianca.
    - Buonasera Roberto, finalmente ci incontriamo.
    Dopo un lunghissimo istante, Roberto si spostò per far entrare l’ospite, sotto lo sguardo sorpreso della moglie, infine gli si parò davanti.
    - Ora devi spiegarmi, Aconito. Parlavamo giusto di te, poco fa – la buttò lì Roberto, indicando la spilla a forma del fiore, di un color viola acceso, sul petto dell’uomo.
    - Non c’è tempo. Raccogliete le vostre cose, vi prego, la Siria ci aspetta. Avremo modo per parlare, durante il viaggio.
    Roberto seppe d’istinto che doveva seguire quell’uomo senza fare domande, e cercò l’approvazione della moglie, che leggeva negli occhi del suo uomo come nel ricettario dei dolci.
    - Be’, ho sempre desiderato andare in Siria – disse lei.
    Alek si era svegliato nei bagni della stazione di Meknes con un mal di testa martellante, senza avere la più pallida idea di come fosse finito lì. Dopo una breve verifica si accertò di non esser stato derubato e insieme ai documenti e al cellulare trovò in tasca un biglietto ferroviario per Rabat e uno aereo per Berlino, casa sua.L’altoparlante annuncia la partenza del treno al binario due del suo treno. Una volta salito, prende il telefono dalla tasca e compone un numero.
    - Salve capo, dov’eri fin…
    - Cerca dei gruppi militari che usano maschere per coprirsi il volto – tagliò corto il tedesco - maschere greche. Sì, hai capito bene, e chiama tutti a rapporto per domani sera.
    - Ok capo, ma che succede?
    - Lo ha trovato.
    - Merda.
    - Dovremo spostarci appena Ylermi capirà dove sono diretti. Tenetevi pronti.
    Roberto, Juliette e Aconito erano attesi a Damasco da un anonimo SUV nero, salirono e si diressero verso il nulla, incolonnati ad altre vetture identiche.
    Più volte i due avevano provato a fare qualche domanda.
    - Vi risponderà lui – era la laconica risposta di Aconito
    Dopo qualche chilometro il convoglio si disperse e la loro auto si fermò davanti a un vecchio palazzo che sembrava star su per uno scherzo della gravità. Davanti all’entrata un uomo li attendeva e Roberto quando lo mise a fuoco credette di avere le allucinazioni.
    - Ma quello è… - stava per dire Juliette.
    - Sì.
    Incoraggiato da Aconito, proseguì verso l’uomo che sorrise e chinò il capo, le mani dietro la schiena. Era Rafiq Hariri, ex primo ministro Libanese, ed era vivo e in buona salute. Il clamore per il suo assassinio durante l’attentato avvenuto a Febbraio si era appena placato e lui era lì, davanti alla coppia di studiosi che increduli lo osservavano come fosse un fantasma. Vennero fatti accomodare in una sala malamente arredata.
    - Avrai mille domande suppongo, ma lasciami anticipare alcune risposte. Sì, sono io e sono vivo. Tu sei l’ultimo tassello di qualcosa che farai fatica a capire, oltre a essere l’unico che può fermare il disastro che si avvicina. Io non posso dirti molto di più, tutto si farà chiaro quando avrai trovato l’occhio spagnolo.
    Roberto vorrebbe interromperlo, ma un cenno della mano di Rafiq lo fece desistere.
    - Ho fatto mettere io quel pezzo di affresco là dove lo avete trovato, io ho mandato Aconito per farlo portare alla luce, per attirarvi. Sapevo che avrebbero chiamato voi, e chi altri? – sorrise - Le scritte invece sono antiche, più di quanto tu possa immaginare.
    Rafiq fece una pausa, volutamente d’effetto.
    - Sei al cospetto dei Floribus Mali, una delle società segrete più antiche al mondo. Un tempo eravamo gli Arcani, poi il nome è mutato col maturare dei nostri ideali.
    Roberto scattò in piedi, indeciso se ridere, scappare o continuare ad ascoltare. Conosceva la leggenda di quel corpo militare, ma mai aveva avuto prove della loro esistenza. Tornò a sedersi, lo sguardo fisso su uno scarafaggio che passeggiava sul pavimento.
    - Ti starai chiedendo cosa c’entri, con tutto questo. Per centinaia di anni il comando della nostra culto è passato da padre in figlio, prima che l’ultimo Generale, tuo antenato, decise di cambiare le cose. Nei secoli ci allargammo in tutto il Mondo con l’unico scopo di servire il giusto e fermare qualsiasi cosa rappresentasse un pericolo. Prima di noi alcuni fallirono e le conseguenze sono state drammatiche.
    Juliette e Roberto ascoltavano a bocca aperta e in alcuni punti sembravano perdersi, ma la strana aria di mistero che si respirava in quella stanza li inchiodava alle sedie.
    - Adesso tocca a te. Prendi questo emblema – disse porgendo all’uomo un disco di metallo - e segui Aconito. Ti accompagnerà alla ricerca dell’occhio spagnolo.
    In tanti anni non sono mai riuscito a trovarlo e presumo che tu soltanto…
    Degli spari improvvisi interruppero Rafiq.
    - Presto, scappate! – esclamò Rafiq, guardando Aconito.
    Senza una parola la guardia afferrò i due per le braccia, spingendoli verso un corridoio.
    Alla testa del commando che assaltava l’edificio, Alek urlava come fosse posseduto.
    - Ammazzateli tutti! Nessuno deve sopravvivere, tranne Rafiq! Lui lo voglio vivo.
    La guardia del generale, armata solo di lame e pistole, venne presto sopraffatta e il loro capo gettato ai piedi del tedesco.
    - Guarda boss – disse un soldato, mostrando la maschera da teatro greca che teneva in mano. – cercavi questa?
    Alek divenne ancora più furioso e si rivolse al nemico in ginocchio.
    - Tu, maledetto bastardo, c’eri tu dietro l’infame attacco al campo. Be’, hai sbagliato a non uccidermi.
    - Ormai è tardi – rispose Rafiq, sputando a terra - l’erede ha l’emblema. E troverà il pugnale. Tutto tornerà come dev’essere.
    Con un cenno della mano il tedesco ordinò ai suoi soldati di inseguire i fuggitivi, poi tornò a rivolgersi a Rafiq.
    - Io lo ucciderò. Quel pugnale mi spetta di diritto e insieme a esso il dominio totale del mondo!
    - Mors tua, vita mea! – urlò Rafiq. Verbo antico, del culto, un mantra che lo aveva accompagnato tutta la vita.
    All’eco delle sue ultime parole si sovrappose quello della Glock di Alek, che con un colpo al centro della fronte lo uccise. Il corpo rimase a lungo in ginocchio, prima di adagiarsi sul fianco.
    Il commando raggiunse i fuggiaschi quando erano ormai vicini ai SUV, aprendo un fuoco furioso. Juliette cadde colpita a un braccio, e mentre Robert la soccorreva Aconito si pose fra loro e gli inseguitori, disperdendoli per un attimo col fuoco della sua Beretta.
    - Prendete una macchina e scappate. Cercate l’occhio spagnolo a Selinus. Presto, andate!
    I due non se lo fecero ripetere e corsero verso il SUV. Roberto fece distendere la moglie sul sedile posteriore e si mise alla guida. Accelerando udì ancora abbaiare la Beretta di Aconito, poi raffiche di mitra e qualche istante di silenzio prima che un proiettile mandasse in frantumi il lunotto posteriore, che piovve addosso a Juliette. Roberto fece urlare il potente motore del SUV e rallentò solo quando ebbe la certezza che nessuno li seguiva.

    Turchia, dieci giorni dopo
    La ferita di Juliette era meno grave di quanto sembrasse e dopo averla medicata, i due continuarono il viaggio guidando a turno, passando per un traghetto a Cipro e proseguendo per Anamur.
    - Selinus è il luogo dov’è morto Traiano. Oggi si chiama Gazispasa. – disse l’uomo.
    - Deve significare per forza qualcosa – rispose lei – anche se tutto è ancora così vago.
    - Gli arcani erano, secondo le leggende, il corpo scelto dell’imperatore e adesso che abbiamo la conferma della loro esistenza, sono certo che qui troveremo risposte
    - Cosa dobbiamo cercare?
    - Credo lo capiremo quando lo vedremo.
    Passeggiarono lungo la banchina, mangiando un gelato osservando tutta la zona e un edificio poco stabile che doveva essere stato un riferimento per i naviganti, anni prima. Nessuno dei due fece caso al drone che sorvolava sopra di loro.
    - Qui non c’è nulla! Magari erano dei fanatici del cazzo con tanta fantasia…
    Roberto fermò la moglie con un gesto, aveva visto un riflesso con gli ultimi raggi del sole su una delle grosse pietre quadrate che componevano il pavimento. Si inginocchiò e iniziò a soffiare via polvere, aiutato dalla moglie. Una lastra di metallo era incastonata al suolo, con un occhio inciso sopra e la parola ojo sotto. Al centro, un foro rotondo alto come il disco che Rafiq aveva dato a Roberto, che lo incastrò con facilità al suo posto. Quasi subito un meccanismo invisibile iniziò a muoversi, in maniera sorda. Il drone di prima si fece più vicino e stavolta Juliette lo vide.
    - Mondieu, ci spiano. Dobbiamo sbrigarci.
    A poca distanza, Alek buttò via il telecomando, con un sorriso feroce. Ci aveva quasi perso le speranze e quando ormai pensava fosse tutto inutile quei due avevano compiuto il miracolo.
    - Via via! Prendeteli!
    Una trentina di individui in tuta nera e armati saltano giù dalle vetture
    - Cherie, sbrigati. Arrivano! – disse Juliette, scorgendoli da lontano.
    A parte il rumore del meccanismo sembrava non muoversi nulla, Roberto sapeva che qualcosa deve pur accadere, nei film succedeva sempre qualcosa. Preso dalla disperazione iniziò a colpire la pietra intorno alla lastra, che infine cedette rivelando un’apertura. Dentro c’era una cassettina di legno larga una ventina di centimetri, con un’incisione sopra: Howard Carter, 1930.
    Roberto prese il primo foglio che vide.
    Questo bambino non doveva essere concepito. Ora non c’è modo di fermare ciò che avete iniziato. Nessuno al mondo dovrà sapere della sua esistenza. Egli dovrà crescere lontano dalla città Eterna. E finché lui sarà in vita, lontano e all’oscuro della sua reale origine, Roma non cadrà. Tu adotterai il tuo successore, poco prima di morire. Egli farà grande Roma dopo il tuo breve regno.
    Fa sì che tutto ciò si compia...
    ..profezia a Nerva 71 d.C.…medaglione e pugnale lontani dovranno stare…

    - Una profezia.. una data.. una annotazione su un medaglione e un pugnale, non in latino ma in inglese. - chiosò Roberto, mentre i proiettili iniziarono a fischiare vicini. Vide la loro barca ormeggiata nella banchina a fianco. Guardò negli occhi la moglie, che gli lesse il pensiero.
    - No eh, in acqua no, no no!
    Proteste inutili, l’uomo afferrò la moglie e si lasciò cadere fra le onde.
    Quando il commando giunse sul molo i due erano già a distanza di sicurezza.
    - Mi hai quasi fatta annegare – protestò la donna, strizzandosi i capelli.
    L’uomo la baciò sulla fronte, e le diede la cassettina.
    - Ma cosa diavolo c’entra una profezia vecchia di millenni con Carter? – chiese Juliette, dopo aver guardato dentro.
    Robert la guardò e sorrise, mentre accelerava, allontanando del tutto il pericolo.
     
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    Teropode assennato

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    Gli irriducibili
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    Parto con una premessa importante: rispetto al primo capitolo si vede un miglioramento netto nello stile di scrittura. C'è molta meno ridondanza, meno termini inusuali, è tutto più fluido e scorrevole, tanto che il pezzo si legge con piacere e non si sente la fretta di arrivare alla fine.
    Bravo, Real, hai fatto passi avanti notevoli tra uno step e l'altro, non è cosa da poco.

    Pollice su anche per il taglio del racconto: tanta azione, frenesia, una trama interessante, tutto contribuisce a rendere gradevole la lettura, in un genere che non è frequente su questi lidi.
    Direi che il brano si inserisce pienamente nel filone dei vari Codice Da Vinci o similari, che da appassionato (e laureato) in Storia mi piacciono e guardo sempre volentieri, parlando dei relativi film, perlomeno.

    Ci sono però alcune criticità.
    Comincio con la più evidente: per qualche ragione, da un certo punto in poi, ti partono delle frasi tutte al presente mentre il racconto è al passato remoto. Ho pensato che fosse un espediente (secondo me però non ben riuscito) di dare un senso ancor più cinematografico all'azione, poi però mi sono reso conto che in realtà il presente ti è scappato senza legame logico con l'azione, tanto che alcune frasi addirittura iniziano al remoto e terminano al presente, o viceversa.
    Forse l'avevi scritto inizialmente al presente e poi hai cambiato i tempi al remoto, sfuggendotene qualcuno?
    Ci dirai.

    Poi ho alcune perplessità sulla trama.
    Comincio dalla più ampia: c'è un salto notevolissimo tra primo e secondo capitolo, al di là dello stile. Da una narrazione antico-romana posata, descrittiva, attentissima (a volte anche troppo) a ricreare fedelmente la realtà dell'epoca, passiamo qui a un taglio completamente diverso, cinematografico, che sacrifica una discreta parte del realismo in favore dell'azione in stile Hollywood.
    Non è una cosa sbagliata, affatto, solo sembra un lavoro del tutto slegato dallo step Past.

    Purtroppo la scelta hollywoodiana comporta dei rischi, in termini di solidità della trama, rischi che in effetti intravvedo nel racconto.
    Come in molti film tante scelte sembrano fatte più per stupire chi guarda (legge) che non al servizio del realismo.
    Prendo a esempio l'attacco notturno al campo da parte dei Floribus.
    La scena inizia con Alek che entra nel sito degli scavi e, dopo una breve descrizione che riassume cosa sta succedendo passi immediatamente alle due guardie che, di notte, stanno per essere brutalizzate. E' un cambio di scena straniante.
    Al di là di questo, l'esecuzione dell'assalto è moooolto cinematografica: i Floribus, dopo aver fatto cose bruttine (tipo impalare teste di animali o tagliuzzare operai) massacrano tutti i poracci dello scavo e lasciano al supercriminale la possibilità di andarsene vivo?
    Questa generosità appare un pochino fuori luogo per dei custodi senza remore di un pericoloso segreto millenario.

    Anche i vari riferimenti a frasi sibilline in latino, meccanismi che scattano, ecc. tendono a rendere tutto molto "Nicholas Cage" a scapito dell'atmosfera che avevi creato all'inizio. Perché il racconto secondo me era partito benissimo, con la giusta aria di archeologia e italianità, poi man mano si è perso nel turbine dell'azione, spesso un po' forzata, che gli ha fatto perdere mordente, secondo me.
    Alcuni riferimenti sembrano anche un po' caricaturali, come il fatto che Alek sia nazista e abbia cominciato cercando Graal e Arca dell'Alleanza; non so se sono voluti o meno.

    Infine c'è qualche dettaglio tecnico da segnalare:
    - un proiettile nel braccio, per quanto non sia una ferita grave, è comunque debilitante. Juliette avrebbe avuto serie difficoltà a usare il braccio a distanza di soli 10 giorni, addirittura per nuotare. Forse sarebbe stato più indicato che il proiettile l'avesse solo graffiata.
    - l'Audi Q3 non esisteva nel 2005, è uscita sul mercato nel 2011.
    Da appassionato di auto non potevo passartela, anche se siamo in un ucronico. :P


    Scusa il pippone, ma il racconto aveva potenziale, leggerlo mi ha comunque coinvolto, e ci tenevo a sviscerarlo bene.
     
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    Penna d'oca

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    Ciao Fante, grazie intanto per ciò che di buono alla fine pare sia riuscito a modificare dallo step pass.
    Mi ero ripromesso di rispondere poi a tutti, ma dopo una analisi così completa, preferisco risponderti subito.

    Ciò che hai riscontrato sul tempo nelle varie fasi, in effetti è stato un problema dell'ultima e penultima lettura. Era tutto al passato, avevo deciso di cambiarla al presente almeno in alcune parti, salvo poi ritradurla. Il risultato non è stato il massimo.

    Il salto temporale è vastissimo lo so, ma come per il passato, preciso che tutto questo fa parte di un lavoro più ampio.
    Forse, comincio a pensare che avrei dovuto pensare a utilizzare nel passato un qualcosa di più vicino, che nel lavoro più ampio del romanzo è trattato.

    E per ultimo, la scena di Alek, è più ampia, ma l'ho tagliata per dare spazio a un finale non netto come nel pass. Forse ho tagliato troppo.

    Infine grazie delle segnalazioni e chiedo venia per la macchina, l'unica cosa per cui non ho fatto ricerche
     
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    Penna stilografica

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    MONDO

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    Trama ben congeniata che cattura l'attenzione e crea molte aspettative… e fa venir voglia di sapere come andrà a finire. Lo stile narrativo è buono, peccato davvero per i pasticci nei tempi verbali, c'è proprio tanta confusione. Piaciuti molto i cambi di luogo e di situazione. Molto cinematografico ma anche molto ben usati. Ci porti a spasso per il mondo e nella storia con semplicità ed eleganza. Ottimo il ritmo, incalzante, con cambi continui di atmosfera, di luoghi e personaggi. Anche i personaggi mi sono piaciuti, ben delineati e il cattivo fa bene la sua parte. Direi che anche qui siamo nel cinematografico! Finale sospesissimo, della serie, ci sentiamo alla prossima puntata, ma va bene così. In complesso, quindi, direi un ottimo lavoro, anche se da rivedere da cima a fondo per quanto riguarda la gestione dei tempi verbali.
     
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    Scrivano

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    Wow. Lo step precedente è stato quello dei soldatini. Questo è la volta degli Indiana Jones & co. Sinceramente lo preferisco!
    Scusa la stupida digressione, ora vengo al commento del tuo interessante racconto.
    Ho trovato l’incipit davvero centrato e accattivante, hai saputo subito farmi visualizzare la situazione ed entrare in empatia coi personaggi. Poi, con il procedere della Storia, tutto è diventato eccessivamente frenetico e infarcito di informazioni che mi sono scorse sotto gli occhi senza avermi dato il tempo di assaporarle. Non so so se mi sono spiegata. Forse il tuo entusiasmo e la tua fantasia ti hanno preso la penna e tu stesso hai fatto fatica a contenere le idee dentro le batttute consentite dal regolamento.
    Insomma ci hai infilato di tutto e questo secondo me penalizza un lavoro che invece ritengo abbia degli indiscutibili pregi. Probabilmente tu sei “un romanziere” e il genere racconto ti va stretto.
    Lo stesso contenuto, dilatato in uno spazio maggiore e più accurato nella punteggiatura, avrebbe concesso le giuste pause al lettore e non lo avrebbe condotto affannato verso un finale che ancora non c’è.
    Ho dovuto fare una frenata come Beep Beep prima del precipizio...
    Una più attenta rilettura ti avrebbe evitato alcuni errori di concordanza dei verbi.
    In ogni caso il tuo racconto è avvincente ed è una degna prosecuzione del tuo “past”. Spero che ti siano sufficienti le battute del prossimo step per concludere la storia! Buon lavoro🌸
     
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    Penna stilografica

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    Certo che la fantasia non ti manca però quello che manca è senz'altro una coordinazione tra i tempi dei verbi. Passato e presente si mescolano nelle frasi a tal punto che credendo a un tuo gioco (step del passato e step del presente) sono andato a rivedere il tuo step precedente ma... no era così anche prima quindi... Ci sono varie incongruenze nella storia o forse ti son venuti a mancare i caratteri per ampliare delle situazioni. Mi considero un po' un avventuriero io stesso e quindi le avventure della coppia mi sono piaciute parecchio.Vediamo come le porti a termine. PS: Mi avevi incuriosito con quel nome all'inizio: Seiminigro.I neri americani si chiamano così tra di loro e mi avevi fatto sviluppare un altro tipo di film. Meglio il tuo.
     
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    Penna suprema

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    Molte informazioni all'inizio del racconto sull'aspetto dei protagonisti, visto il genere non stonano, e non me la sento di nominare l'infodump.
    Ma visto che sembra un film, li voglio scegliere io gli attori, e poi la Portman se la tira troppo.
    Roberto lo farò interpretare dal mio preferito: Elio Germano.
    Juliette la farò interpretare dalla mia preferita: Laura Foglietta.
    Con due facce così i benefici nella storia si vedranno, e tu autore non dovrai spendere molto per ingaggiarli.
    Avrai qualche problema a far strizzare i capelli di Laura, lei li porta molto corti.
    Ma con le risatacce di Elio stupirai ogni spettatore.
    Sono pronto a investire parte del mio gruzzolo in banca in questa storia, se il film andrà in porto.
    Anche se non ci sono parti per me.

    Va bene, guiderò la Q3, che non esiste, che non esisteva.
    Uffa, come è facile sbagliare un verbo.
    Bravo!

    Edited by tommasino2 - 5/5/2020, 20:46
     
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    Sono andato a leggere il racconto dello step past e poi ho riletto questo e mi sono quasi convinto che siete due autori differenti e infatti stavo per bannarti per aver clonato il profilo di the real, ma invece no.
    La differenza fra i due testi si percepisce netta come l'alito prima e dopo una scorpacciata di bagna cauda.
    Il miglioramento è netto, segno che hai fatto tesoro dei commenti nel primo step, a conferma di quanto sia utile stressarvi per farvi commentare in maniera costruttiva.
    Il taglio cinematografico lo apprezzo molto, tanta azione e ritmi elevati penalizzati dagli scarti verbali che già ti hanno sottolineato prima di me. Avrai poi tempo di ripostare una versione rivisitata che darà ulteriore pregio a questo racconto.
    I personaggi sono ben descritti, i loro caratteri, la loro complicità, riferendomi a Romeo e Giulietta ma anche l'enigmatico Aconito (bella trovata) e il malvagio Alek. Belle le similitudini sparse in giro, darei una sistemata alle virgole, ce ne sono un po' messe dove non dovrebbero.
    Anche i dialoghi sono credibili, e nelle scene movimentate farli collimare con l'azione del momento non è semplicissimo, ci sei riuscito bene e hai ancora un buon margine di miglioramento.
    Bravo il necromante.
     
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    Su chef

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    Ciao collega 🤟. Si vedono chiare due cose nella lettura di questo racconto, o almeno le vedo io, e sono la grande passione che ti anima nello scrivere e quanto questa passione delle volte ti faccia strafare, come qualche espediente non proprio azzeccato, tipo la scena del porto, dove trovano l'occhio quasi per caso, o nell'attacco al campo, come ti ha già segnalato Fante. Si vede anche chiara l'intenzione di rendere cinematografica l'azione e soprattutto i personaggi. Se mi trovi d'accordo sull'azione (piaciuta molto) per i personaggi non ritengo che i canoni classici dei film d'azione siano opzionabili anche per la letteratura. Troppo ingessati, tagliati con l'accetta, stereotipati. La scrittura permette sfumature che il cinema difficilmente può vantare, soprattutto sfumature psicologiche. Ti consiglio di lavorarci, ne gioverebbe anche l'empatia che si prova per loro. Altro consiglio, controlla meglio i pdv, tipo qua: Roberto seppe d’istinto che doveva seguire quell’uomo senza fare domande, e cercò l’approvazione della moglie, che leggeva negli occhi del suo uomo come nel ricettario dei dolci.
    - Be’, ho sempre desiderato andare in Siria – disse lei.
    Alek si era svegliato nei bagni della stazione di Meknes
    Come vedi salti da un pdv all'altro in maniera repentina. In un racconto breve non è consigliabile a priori, se è necessario per l'economia della trama, come in questo caso, separa i paragrafi con degli spazi bianchi, così il lettore non si ritrova spiazzato.
    Te lo hanno detto tutti, ma repetita iuvant, i tempi verbali sono tutti da rivedere, occhio perché questi errori pesano tantissimo, se vorrai mandare un tuo testo in visione a una CE te lo cassarebbero senza quasi leggerlo per manifesta mancanza di revisione.
    Ottimi invece i dialoghi, mi sono sembrati pertinenti alle situazioni e ai personaggi. Bella anche la trama, che si nota essere compressa, si vede che hai pronto un lavoro più lungo e complesso, sono curioso di leggere il seguito e dare un giudizio complessivo più esaustivo.
     
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    Penna furiosa

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    Orbene, un altro racconto "di mezzo", che soddisfa per la continuazione dal precedente, che "delude" per le risposte che non da e che attizza per ciò che verrà.
    Senza stare a ripetere le incongruenze sui tempi verbali, la punteggiatura ballerina e, credo di segnalare per primo, alcune maiuscole non necessarie tipo su "Febbraio" (in inglese si usa scrivere i mesi e i giorni con la lettera maiuscola) o "Mondo", il tuo testo è formalmente corretto.
    Quanto al taglio cinematografico che hai voluto dare, beh, da non amante del cinema, direi che hai azzeccato, una perfetta sceneggiatura. Per il romanzo, sicuramente, ci vuole qualcosa in più, che probabilmente risiede in quei passi di un lavoro più ampio che hai dovuto tagliare per star dentro nel numero di caratteri consentiti.
    Insomma una storia che cresce, e d'intensità, e d'avvenimenti, che peraltro hai saputo ben gestire con cambi di "scena" repentini.
    Nell'attesa, preparo i pop corn e mi accomodo in poltrona.
     
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    Penna d'oca

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    Questo è un racconto che deve riposare, lasciare sedimentare le impurità, e poi esser ripreso, a mio parere.
    I tempi verbali vagano dal presente al passato anche nella stessa proposizione, i pdv sono cangianti, come hanno già rilevato gli altri concorrenti, e poi questo:
    "- Be’, ho sempre desiderato andare in Siria – disse lei.
    Alek si era svegliato nei bagni della stazione di Meknes con un mal di testa martellante, senza avere la più pallida idea di come fosse finito lì. Dopo una breve verifica si accertò di non esser stato derubato e insieme ai documenti e al cellulare trovò in tasca un biglietto ferroviario per Rabat e uno aereo per Berlino, casa sua.L’altoparlante annuncia la partenza del treno al binario due del suo treno. Una volta salito, prende il telefono dalla tasca e compone un numero.
    - Salve capo, dov’eri fin…
    - Cerca dei gruppi militari che usano maschere per coprirsi il volto – tagliò corto il tedesco - maschere greche. Sì, hai capito bene, e chiama tutti a rapporto per domani sera.
    - Ok capo, ma che succede?
    - Lo ha trovato.
    - Merda.
    - Dovremo spostarci appena Ylermi capirà dove sono diretti. Tenetevi pronti.
    Roberto, Juliette e Aconito erano attesi a Damasco da un anonimo SUV nero, salirono e si diressero verso il nulla, incolonnati ad altre vetture identiche.
    Più volte i due avevano provato a fare qualche domanda."

    Siamo in casa di Roberto e Juliette, dopo l'ingresso del misterioso ospite che tanto inatteso non sembra.
    E senza una interruzione, anche solo grafica come uno spazio, introduci l'antagonista a migliaia di chilometri di distanza. E sempre senza interruzioni ritorni ai tre protagonisti, in un altro luogo ancora, a Damasco questa volta.
    Il consiglio è di separare e di rendere omogeneo il tempo e lo spazio, di non sovrapporre luoghi e personaggi. Un romanzo non funziona come un film, e un lettore non è uno spettatore. E anche nei film alle volte, con queste tecniche di dissolvenza, si producono scempiaggini immonde. Altra cosa ancora sono le analessi e le prolessi.

    E poi ancora, per esempio: "agio come un topo in caseificio, e sapeva anche che nel latino forse era una delle maggiori autorità al mondo, come garantiva la sua laurea in storia antica con un imbarazzante numero di master a contorno." Avrei scritto in un caseificio. In lingua latina, non nel latino. E sulle garanzie di una laurea in storia antica hai più certezze di quante non ne abbia io.

    Quanto ai personaggi, i due coniugi non mi sono piaciuti molto, troppo saputelli e fighetti per i miei gusti, e troppo piatti, simili l'uno all'altro. E ancora Roberto, non ha mosso un ciglio dopo aver scoperto di esser l'erede diretto di Traiano e al centro di un grande intrigo internazionale. Non un attimo di titubanza, non un dubbio. Tutto troppo chiaro nella sua mente. Hai rinunciato al suo stupore, insomma, e forse hai perso un'occasione.
    Quanto all'antagonista, Alek, ricco nazista berlinese, anche qui una summa di stereotipi, un cattivo che neanche lui sa perché debba essere così cattivo. Non basta il nazismo per essere cattivi, bisogna avere dei motivi veri.
    L'aggancio con il primo racconto è evidente, ma preferisco di gran lunga Nerva e Traiano agli attuali Roberto e Alek.
    A rileggerti
     
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    Penna stilografica

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    Non so proprio da dove cominciare. Rischio di ripetere quello che è già stato detto da chi mi ha preceduto. Cercherò di soffermarmi sulle cose che ritengo più importanti.
    Ho ammirato la fantasia e la capacità di costruire suspense, attesa e emozioni e anche il ritmo del racconto, sempre incalzante. Mi sono piaciuti molti dialoghi e molte descrizioni, soprattutto quelle che illustrano le scene più cruente, come ad esempio: “Il sibilo di lame fu l’ultima cosa che udirono. Un forte dolore alla gola, i mitra caddero a terra seguiti dai loro corpi, il sangue zampillava dai colli fra i rantoli, nel tentativo inutile di respirare. Le pupille si dilatarono nell’ultima immagine della loro vita.”
    A fronte di questi enormi pregi che rendono godibile la lettura del racconto, ci sono alcuni elementi negativi che riguardano la forma e l’aspetto non meno importante dell’autodisciplina nella scrittura.
    Ribadisco l’uso del tempo dei verbi: un vero disastro. Ho cercato di trovarne una logica “letteraria” ma non ci sono riuscito. Quei passaggi repentini da passato a presente per poi tornare quasi subito al passato li ho trovati fuorvianti. Ma penso che questo sia facilmente rimediabile, così come le altre imprecisioni formali sulle citazioni che vedrei bene virgolettate , come sui dialoghi che dovrebbero essere più definiti visivamente perché mi sono trovato più volte a dover rileggere per capire chi stesse parlando fra i due interlocutori.
    L’altro aspetto riguarda lo sforzo che dovresti fare per evitare di mettere troppa “carne al fuoco” in un racconto che ha comunque un’estensione limitata. Ne è risultato un materiale che avrebbe potuto essere sufficiente per un romanzo (oppure come già osservato, come sceneggiatura di un film) di azione e di avventura, che mi ha ricordato molto (forse un po’ troppo) romanzi alla Dan Brown o film già visti di Indiana Jones.
    Scusa se mi sono dilungato un po’ troppo, di solito non lo faccio perché non mi sento l’autorità per poter dare consigli di scrittura a nessuno, ma penso che ne valga la pena perché sono certo che hai molte cartucce da sparare e hai soltanto da aggiustare la mira.
     
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    Ciao Thereal,
    io sono tra i pochi che avevano preferito il primo capitolo a questo. Sicuramente il ritmo del racconto precedente era più compassato, le descrizioni più dilatate, però a mio avviso eri riuscito a immergere il lettore in un'affascinante dimensione storica, davvero ben resa.
    Qui è tutto più frenetico, più veloce, più ritmato, ma molto più confuso. La cosa più ostica come detto riguarda la discordanza verbale, con tutti quei salti dal passato al presente che disturbano la lettura. Poi c'è davvero tanta carne al fuoco, forse troppa: si passa da una location all'altra in maniera repentina, senza pause. L'effetto è molto spettacolare, cinematografico, ma non si adatta moltissimo al genere letterario, o quantomeno avrebbe bisogno di una stesura più organica.
    La cosa sicura è che per te non ci sono problemi nel creare trame originali e avvincenti che tengono il lettore avvinto alle pagine.
     
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    Penna furiosa

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    Anche io come gli altri non posso che notare i miglioramenti dallo step precedente. La scrittura ha sicuramente più precisione e più controllo. Oltretutto una delle cose migliori del precedente era l'unica scena d'azione, quella dell'assassinio, e qui di azione ne abbiamo parecchia, gestita molto bene. Lo sforzo di tenere via l'attenzione del lettore c'è e non si vede, nel senso che lo stile è molto disinvolto e funzionale e in tanti passaggi non si nota quanto lavoro c'è dietro. AL di là della confusione verbale di certi punti, che ti hanno già fatto notare, per me il difetto, come già la volta precedente, resta solo uno: la quantità di materia condensata in uno spazio breve. Il fatto c'è che ci sia un romanzo dietro e che tu ci stia offrendo dei piccoli squarci di un disegno molto più grande in questo secondo step è ancora più evidente. Anche per via del finale sospeso. Tu conosci tutta quanta la storia e noi no. Un racconto di solito è appena la punta di un iceberg. Chi scrive sa quanto c'è sotto e lo fa intuire al lettore, ma se decide di non raccontarlo lo fa con consapevolezza e quello che mostra è sufficiente e chiuso in se stesso. Anche se singole parti di qualcosa di più grande ogni racconto può dire qualcosa di suo e non semplicemente portare avanti un arco orizzontale. Quello che nelle serie TV (quella di una volta, eh, mica quelle di adesso) viene chiamata trama verticale. Magari c'è un arco stagionale, una storia portata avanti puntata dopo puntata, ma ogni puntata è godibile e chiusa in se stessa e per assurdo può essere vista anche da uno spettatore occasionale. Ovviamente qui è diverso e TAS è comunque un concorso a step, ma tutto sto sproloquio (scusa) era per dirti che, proprio conoscendo tutta quanta la storia, forse potevi lavorare di più sulle trame verticali. Comunque un buon lavoro e un altro seguito da aspettare con interesse.
     
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    Ciao Real.

    In questo racconto hai fatto pasticci con i tempi verbali, ti sono scappate delle frasi al presente ma il racconto dovrebbe essere tutto al passato remoto. Poi la placca (che non è placca) con l'iscrizione in latino la quale, tradotta in italiano, fa le rime? No. Anche perché gli scrittori latini non amavano le rime. Inoltre nella Roma imperiale non esistevano ancora iscrizioni con lettere maiuscole e minuscole mescolate, per le scritte ufficiali si usava solo quello che noi chiamiamo oggi maiuscolo. Occhio ai puntini di sospensione: solo tre, mi raccomando.

    Struttura del racconto: Roma, 2005; Walili, 2005; Roma, 2005... e poi basta. Eppure ci sono altri cambi di scena, ma non sono più evidenziati (a parte Turchia, dieci giorni dopo). Quello tra "Alek si era svegliato..." fino a "Tenetevi pronti." andava evidenziato in qualche modo, per esempio separando con una riga vuota.

    A parte queste difficoltà di lettura, mi sono trovato a leggere una specie di avventura di Indiana Jones. A differenza del primo episodio, questa volta trovo molto più "show" e molto meno "tell"; mi è piaciuto poco lo spiegone fatto da Rafiq, ma il resto direi che ci sta. La trama secondo me è molto debole: i Floribus di punto in bianco da presenze notturne invisibili diventano dei killer micidiali che uccidono tutto un campo di lavoro ad eccezione del loro nemico numero uno che viene solo tramortito? Roberto, completamente scoperto in mezzo a una sparatoria, trova il tempo di prendere la cassettina, aprirla, leggere il primo foglio e fare pure dei commenti ad alta voce? Diciamo che la capacità di mostrare le scene c'è, è mancata quella di costruire una storia verosimile.

    Grazie e alla prossima.
     
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17 replies since 1/5/2020, 16:23   304 views
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