Crepe nei muri

aut. Arianna2016

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    Dio della penna

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    - Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.
    ‒ Che roba è?
    ‒ L’incipit… ‒ Si ferma. Chiunque egli sia, deve aver colto la mia perplessità, perché chiarisce: ‒ L’inizio di un romanzo famoso.
    ‒ E cosa sarebbe un romanzo?
    ‒ Una storia lunga. Scritta in un libro.
    ‒ Famoso dove? Mai sentito niente del genere.
    A onor del vero, devo dire che di solito non mi esprimo in modo così poco educato, ma qui, in questa bruma della terra del sogno, mi sento un po’ diversa, e queste conversazioni con un uomo che vedo e non vedo, reso indistinto dalla perenne foschia, le sento strane ma, allo stesso tempo, normali e familiari, anche se non capisco perché. Non che mi importi capirlo. Ci ho rinunciato da un pezzo. Sono diventata saggia, dopo la prima cura.
    Sono sempre stata obbediente e ossequiosa alle regole. Così un giorno, alla quotidiana domanda del mio Supervisore, “Tutto bene? Qualcosa da riferire?”, non mi è passato per la mente di non parlare dei sogni che avevo iniziato a fare. Nemmeno sapevo che si chiamassero così, sogni, me l’ha detto il Supervisore. Mi ha ascoltata con attenzione.
    Niente che non si possa risolvere, ha concluso infine. Troppo tempo libero. La mente deve essere occupata in ogni istante. La cura migliore è il lavoro.
    Non che prima non ne avessi delle tonnellate, ma da quel momento sono stata sepolta di lavoro.
    Accompagnato dalla pressante richiesta di un minuzioso controllo. Tutto deve essere perfetto, ripete sempre il Supervisore. Nulla può essere concluso se non è rifinito in ogni particolare, sottolinea.
    E io sono obbediente. Controllo e perfeziono fino alla sfinimento. In un lavorare eterno, senza limiti, senza fine.
    Sono brava e obbediente. Ma quando i sogni sono ricominciati, ho pensato bene di tenermeli per me.
    E queste assurde conversazioni senza scopo e senza tempo, devo ammettere che sì, un po’ mi inquietano, ma insieme un po’ mi divertono, credo si dica così. Non conoscevo questa parola, divertire, non l’avevo mai sentita e, anche adesso che l’uomo me l’ha insegnata, non la capisco molto bene, ma credo sia adatta per la sensazione che provo quando parlo con lui, di qualcosa che mi solletica il petto e mi fa alzare gli angoli della bocca, che mi fa sentire di potere essere diversa da come sono quando lavoro. Che mi fa sentire di potere osare, nel chiedere e nel rispondere. Senza paura. Senza la necessità che tutto debba avere per forza uno scopo.
    Quello che poi oggi ha tirato fuori, mi sembra davvero senza senso.
    ‒ Non ti dice niente? ‒ C’è un’ombra di attesa, nella voce dell’uomo.
    ‒ Mi dovrebbe dire qualcosa?
    ‒ Speravo fosse una crepa…
    Come dicevo, assurdo. Specialmente qui, in un luogo che un luogo non è, dove nulla ha consistenza.
    ‒ Le crepe sono nei muri.
    ‒ Non solo. Ci sono muri diversi. Dove si fa una crepa e il muro si sgretola, può attecchire un seme, possono crescere radici potenti e profonde. Fare crollare il muro, con un po’ di tempo e fatica.
    Mi sveglio di botto.
    Aspetto ad aprire gli occhi. Ho paura di perdere la frase che l’uomo del sogno ha chiamato incipit. Me la ripeto e me la ripeto in testa, per ricordarla, ma ho la sensazione di fare qualcosa di riprovevole.
    Tra l’altro, una frase mai sentita prima, che mi sembra non significhi assolutamente niente. Senza alcuna importanza per me.
    Che continuo a rotolarmi in testa per tutto il giorno.
    Felicità, infelicità. Nulla che c’entri con me. Felicità, infelicità: due categorie senza senso e inappropriate alla mia vita.
    Io esisto, e altro non c’è.
    Perfezione, imperfezione. Le parole mi appaiono all’improvviso in testa, e non capisco perché, cosa c’entrano con gli altri pensieri.
    Quattro palline che mi rotolano nella mente, senza che io ne capisca il motivo.
    Imperfezione. Crepa. Crepe. Crepe nei muri. Ma questa volta sono muri reali. Sono quelli del corridoio che percorro per andare su e giù tra gli uffici. O io non le avevo mai viste prima, o si sono aperte oggi, e devono essere anche preoccupanti, considerata la velocità con cui è comparsa una squadra di muratori che si affannano per chiuderle.
    Lavorano in fretta e in silenzio, lo sguardo basso che non incrocia mai il mio.
    Mi piacerebbe rimanere un po’ a osservarli, ma vengo richiamata di corsa dal Supervisore.
    A sera i muratori sono ancora lì: sembrano quasi rincorrerle, le crepe, perché si vedono chiaramente i segni della stuccatura fresca su alcune, quelle che forse si erano create prima, ma nel frattempo se ne devono essere formate altre, una sottile ed estesa ragnatela.
    Grazie a quella, vedo la porta, al centro.
    La porta deve esserci sempre stata, per forza: non possono averla aperta oggi nel muro.
    Una porta dall’aria anonima, davanti a cui devo essere passata innumerevoli volte. Senza mai notarla.
    Ora invece mi appare come un’evidenza, e non posso più fare a meno di cercarla con lo sguardo.
    Mi sorprendo a desiderare di aprirla. Un desiderio vago, poco convinto, tanto che non ci vuole molto a fermarlo, basta il carrello delle pulizie lasciato lì davanti.
    La porta non deve essere importante, inizio a pensare, se è sempre sfuggita alla mia attenzione. Pian piano mi scivola via dalla mente, perennemente sommersa dal lavoro.
    Non incontro più l’uomo dei sogni.
    Non sogno nemmeno più, per un pezzo.
    Poi una notte sprofondo. Letteralmente: un attimo prima sono lì, stesa sul letto, quasi addormentata, l’attimo dopo sono immersa negli abissi dell’oceano.
    Flutto, leggera, senza peso. Respiro. Respiro sott’acqua. Respiro bene come non ho mai respirato prima.
    Muovo lenta le mani, l’acqua scivola tra le dita.
    E attorno a me nuotano mostri. Creatura marine immense, maestose, pacifiche. Perché sento, so che non mi faranno del male. Non so come, ma io conosco loro e loro conoscono me.
    Mi sveglio annaspando. Ora, qui, mi manca l’aria.
    Nel corridoio degli uffici, trovo uno stuolo di muratori affannati a riparare nuove crepe nel muro. Strisce di nastro bianco e rosso si intrecciano e quasi coprono la porta, su cui è comparso un enorme cartello di divieto di accesso.
    La notte, mi ritrovo immersa nella foschia del sogno.
    Dell’uomo sento solo la voce. Per un attimo. Ma quello che dice è forte e chiaro: trovami.
    Non dice dove cercarlo, ma io, non potrei dire come né perché, lo so.
    Non mi faccio domande per le quali non ho risposte. Tutto questo è strano; più che strano, assurdo, ma allo stesso tempo sento che ha un senso. Non lo capisco, non lo conosco, ma so che c’è.
    Il desiderio di aprire la porta ora è diventato decisione.
    Se c’è bisogno di farla apparire come un ostacolo invalicabile, forse non è vero che non è importante.
    Questa volta non mi fermano le proteste dei muratori, i richiami del Supervisore.
    Strappo il nastro, mi attacco alla maniglia. La porta fa resistenza.
    Come so che non è chiusa a chiave? Che è solo la mia decisione a fare la differenza? Un’altra cosa che non ho modo di spiegare, ma sento che è così.
    Esulto, quando si apre.
    Uno sgabuzzino. È solo un bugigattolo buio. Vecchie scope, ripiani impolverati, scatole rovinate. L’unica lampadina è fulminata.
    Eppure sono arrivata qui. Eppure tutto mi ha portata qui. Qualcosa ci deve essere, anche se non lo vedo.
    Oltre i muri.
    Muri che devono cadere. Imperfezione. Crepa. Crepe. Crepe nei muri.
    Felicità, infelicità. Perfezione, imperfezione. Le quattro palline ricominciano a rotolare.
    ‒ Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo ‒ dico ad alta voce nel ripostiglio buio.
    Perché ho mentito all’uomo del sogno. Non è vero che queste parole non significano nulla, per me. Ho negato più che ho potuto. A lui. A me stessa.
    Non è vero che non dicono nulla. Dicono molto. Dicono troppo. Raccontano cose di cui non ho voglia di parlare.
    Il ripostiglio si dissolve. Sono all’imbocco di un lungo corridoio in penombra, su cui si affacciano altri corridoi, porte e porte. Sulla parete, la crepa. Quella che viene da fuori. Continua qui dentro, si protende fin dove non riesco più a vederla. La seguo. Corridoio. Corridoio. Scale in discesa. Corridoio. Nuove scale. Sempre in discesa, sempre più ripide.
    Non ci sono più muri. Sembrano pareti di roccia. Non ci sono più porte, ma inferriate, a chiudere celle. Umido, freddo, oscurità. Sempre più in basso.
    Finché la crepa termina. Dentro una cella.
    Un uomo è accasciato sul pavimento, quasi raggomitolato. Non ho bisogno di chiedere chi è.
    L’inferriata resiste solo qualche istante. La apro.
    Entro e mi inginocchio rapida di fianco all’uomo.
    Ha gli occhi chiusi. È ferito e dolorante. Geme, quando gli sfioro la fronte, ma apre gli occhi e si sforza di sorridermi.
    ‒ Ha funzionato ‒ mormora.
    ‒ Non capisco molto di quello che succede, ma sì, se stai parlando di quei tuoi strani discorsi e della crepa, sì. Come facevi a saperlo, se nemmeno io lo sapevo?
    ‒ Le ferite… sono crepe. Aprono strade, ponti. Abissi.
    Scuoto piano la testa: ‒ No. Voglio dire come fai a sapere che quella è una ferita.
    ‒ Perché io ti conosco, e tu conoscevi me.
    ‒ Chi sei tu?
    ‒ Qualcuno di cui ti fidi.
    So che è vero. Lo so ma non lo ricordo. E quello che non ricordo mi manca. La nostalgia mi travolge.
    ‒ Perché ti hanno fatto del male?
    Solleva un angolo della bocca in un sorriso lieve e ironico: ‒ I miei tentativi di intrusione non sono stati apprezzati.
    ‒ Per questo ti hanno imprigionato?
    Chiude gli occhi qualche istante, poi li riapre: ‒ Non sono prigioniero.
    ‒ Questa è una prigione…
    ‒ Ma non la mia. Io sono venuto a cercare te. Per aiutarti a trovare la via d’uscita.
    ‒ Da cosa?
    ‒ Da questo mondo in cui credi di vivere. Creato per te. Una prigione senza sbarre. L’unico modo per controllarti.
    ‒ Non è possibile… Sembra tutto così reale.
    ‒ Lo è. Cosa è reale e cosa non lo è? Non sono reali i pensieri, i sentimenti e le emozioni? Non ci fanno compiere azioni? Ci sono differenti tipi di realtà. Se qualcosa non si vede e non si tocca, non significa che non esista.
    ‒ Controllarmi… Perché?
    ‒ In te c’è un grande potere, ma è un potere che può spaventare. Viaggiare tra i mondi, esplorare gli abissi, sia del bene che del male, parlare con i mostri, costruire ponti tra le sponde del buio e della luce. Mostrare l’orrore. Creare bellezza. Ora, fammi la domanda più importante.
    ‒ Chi mi ha chiuso qui?
    Ricordo la risposta ancora prima che lui parli, ma ho bisogno di sentirlo.
    ‒ Sei stata tu. Ti sei rifugiata qui. Quello che tu puoi creare non nasce su ciò che è lucido e perfetto, ma ha bisogno di terra su cui crescere, la terra che si ferma nelle crepe, crepe che scendono nell’oscurità e nascono dalle ferite. Non è sempre facile accettarlo. A volte fa paura. A volte sembra tutto troppo difficile.
    Ora ricordo. Sì, ho avuto paura. Di essere chi sono. Che ora però mi manca.
    Sfioro il volto pesto dell’uomo: ‒ Mi dispiace…
    ‒ Guarirò. Andrà tutto a posto, appena usciremo di qui. Sei pronta?
    Annuisco: ‒ Come?
    ‒ Nello stesso modo con cui hai creato la crepa. Ma ora siamo alla fine della storia: cerca una conclusione.
    La trovo. La penso. Le pareti iniziano a svanire, comincio a vedere qualcosa al di là, ma ancora resistono.
    ‒ Ad alta voce ‒ mi incoraggia.
    Le parole risuonano nella cella, poi vanno lontano: ‒ “Alzai la testa. Il mare aperto era sbarrato da un banco di nubi nere, e il quieto corso d’acqua che portava ai confini estremi della terra scorreva cupo sotto un cielo offuscato – pareva condurre nel cuore di una tenebra immensa.”

    Edited by mangal - 29/11/2020, 12:37
     
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    Ciao Arianna.
    Ti confesso che ho letto più di una volta il racconto e non è detto che non lo faccia di nuovo.
    Il titolo è una vera chicca, molto evocativo e accattivante. Ho cominciato a leggere e sono stata trascinata in un turbine mentale, poi ho capito. Mi mancavadi capire chi fossero i soggetti dialoganti.
    Ho pensato, Arianna ha scritto un racconto di fantascienza. Forse un qualche tipo di nuovo ritrovato della cibernetica, un umanoide evoluto al quale vengono somministrate “perle” della cultura. La figura del Supervisore mi ha confermata in questa prima ipotesi.
    Successivamente ho immaginato che il tutto fosse il dialogo con una persona depressa che viene curata con una terapia di cui le buone letture fossero il perno.
    Infine ho immaginato che fosse un dialogo interno dello scrittore che non riesce a far uscire dalle crepe le proprie storie, prigioniero di sé stesso.
    Ti confesso che attendo i tuoi lumi, di sicuro non ne ho azzeccata una.
    In ogni caso, sia l’incipit che l’excipit sono ben armonizzati e il racconto si legge grazie alle tue doti di scrittrice esperta e a dialoghi comunque verosimili pur nel genere onirico-surreale. Trovo che la storia che avrebbe beneficiato di una maggiore contestualizzazione.
     
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    Come si crea un racconto? Un modo può essere pensando un Incipit ed un Excipit. Questo è quello che fa la protagonista di questa storia. Non ha superpoteri, non è fantascienza, se mai... è fantasia. Si, perchè lei, credo, è una scrittirce. Meglio ancora, è una sognatrice di quelle che lo sanno fare ad occhi aperti. Le parole e ledescrizioni hanno un potere e nel suo mondo quel potere è legge. Una legge spontanea, incontrollabile, ingestibile in cui forse, spesso, sono i personaggi fantastici a capire pià dell'autore stesso cosa dovrebbe essere fatto.

    Bella idea. Non so se ho capito davvero, ma bella idea. Trovo il tuo stile leggermente contorto in alcuni passi ed a metà racconto mi avevi quasi perso... ma la parte finale mi ha riconquistato!
     
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    Affascinante la storia che sei riuscita ad inventare. il linguaggio deciso a volte quasi a scatti. Crepa. Crepe. ecc. ne esalta il ritmo e fa gustare con maggior intensità ogni parola detta. Il disagio della donna che si rifugia nei sogni dove si è rifugiata incapace di accettata una scomoda realtà è palpabile, quello che incuriosisce il lettore è cosa è successo a quella donna perchè lei si rinchiudesse in se stessa? E l'uomo che la guida nei sogni chi è , il suo alter ego, o una figura che lei realmente conosce. Innegabili le tue capacità di autrice che tiene incollato il lettore, la parte conclusiva un po' adeguata, ma non sminuisce la bellezza del testo. Ottimo. :emoticons-saluti-6.gif?w=593:
     
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    CITAZIONE (Petunia @ 30/11/2020, 09:48) 
    Ciao Arianna.
    Ti confesso che ho letto più di una volta il racconto e non è detto che non lo faccia di nuovo.
    Il titolo è una vera chicca, molto evocativo e accattivante. Ho cominciato a leggere e sono stata trascinata in un turbine mentale, poi ho capito. Mi mancavadi capire chi fossero i soggetti dialoganti.
    Ho pensato, Arianna ha scritto un racconto di fantascienza. Forse un qualche tipo di nuovo ritrovato della cibernetica, un umanoide evoluto al quale vengono somministrate “perle” della cultura. La figura del Supervisore mi ha confermata in questa prima ipotesi.
    Successivamente ho immaginato che il tutto fosse il dialogo con una persona depressa che viene curata con una terapia di cui le buone letture fossero il perno.
    Infine ho immaginato che fosse un dialogo interno dello scrittore che non riesce a far uscire dalle crepe le proprie storie, prigioniero di sé stesso.
    Ti confesso che attendo i tuoi lumi, di sicuro non ne ho azzeccata una.
    In ogni caso, sia l’incipit che l’excipit sono ben armonizzati e il racconto si legge grazie alle tue doti di scrittrice esperta e a dialoghi comunque verosimili pur nel genere onirico-surreale. Trovo che la storia che avrebbe beneficiato di una maggiore contestualizzazione.

    Ero ben consapevole, quando l'ho mandato, che l'oscurità sarebbe stato il problema di questo racconto.
    Vedo che però qualcosa è arrivato: "ho immaginato che fosse un dialogo interno dello scrittore che non riesce a far uscire dalle crepe le proprie storie, prigioniero di sé stesso." e infatti, fuor di metafora, alla fine è proprio così.
    "genere onirico-surreale.": non avrei trovato definizione migliore per il genere di questo racconto e di tanti altri che scrivo.

    CITAZIONE (NovelleVesperiane @ 30/11/2020, 10:04) 
    Come si crea un racconto? Un modo può essere pensando un Incipit ed un Excipit. Questo è quello che fa la protagonista di questa storia. Non ha superpoteri, non è fantascienza, se mai... è fantasia. Si, perchè lei, credo, è una scrittirce. Meglio ancora, è una sognatrice di quelle che lo sanno fare ad occhi aperti. Le parole e ledescrizioni hanno un potere e nel suo mondo quel potere è legge. Una legge spontanea, incontrollabile, ingestibile in cui forse, spesso, sono i personaggi fantastici a capire pià dell'autore stesso cosa dovrebbe essere fatto.

    Bella idea. Non so se ho capito davvero, ma bella idea. Trovo il tuo stile leggermente contorto in alcuni passi ed a metà racconto mi avevi quasi perso... ma la parte finale mi ha riconquistato!

    Complimenti, centrato in pieno! Tutto, compreso lo stile un po' contorto in alcuni pezzi.

    CITAZIONE (Esterella @ 30/11/2020, 10:27) 
    quello che incuriosisce il lettore è cosa è successo a quella donna perchè lei si rinchiudesse in se stessa?

    Quello che è realmente successo credo non verrà mai raccontato, ma certamente emerge, trasformato, da quelle crepe.
     
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    Che lettura scorrevole e travolgente.
    Senza accorgermene, mi sono trovata a vorticare nella mente della protagonista in un mondo surreale che, per certi versi, mi ha ricordato i dipinti di Escher, fino alla conclusione, fino a liberare ciò che si trova stretto tra i muri e che filtra attraverso le crepe.
    Bellissimo lo stile ritmato, talvolta frammentato e contorto, che ben rende il flusso di pensiero che si dipana attraverso la storia, da questo "Supervisore" metaforico che mette le briglie a ciò che briglie non ha: il pensiero, la creatività, il sogno.
    Un ottimo racconto, complimenti.
     
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    Complimenti per il racconto, mi ha presa tantissimo. Devo dire che anch'io ero convinta di trovarmi in una sorta di "Never let me go" virtuale o simile; poi ho pensato a "joker" (non chiedermi perché), poi a qualcos'altro ancora...
    Non avevo pensato alla scrittrice, sono sincera, ma mi piaceva anche pensare (se me lo consenti, visto che il racconto è tuo :) ) solamente ad una persona semplicemente insicura, e a qualcuno di non meglio definito che viene a salvarla.
    Ci sono alcune frasi che trovo molto lunghe, ma questo è coerente con il tentativo riuscito di far scivolare il lettore nella storia.
    Aggiungo solo che prima di leggere che si trattava di una scrittrice non avevo capito bene il collegamento con l'incipit e l'excipit, soprattutto l'excipit. Ma, come ho detto sopra, mi piaceva anche così :)

    Complimenti!
     
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    Mamma mia che storia.

    Bellissima ed originale. Complimenti. Il ritmo si adatta perfettamente e trascina con sè il lettore.
    Anch'io avevo pensato dapprima alla fantascienza distopica, ma poi, con le crepe nei muri che si aprono a macchia d'olio, ho virato su un "Matrix".. e più o meno c'inzertai.
    Hai usato uno stile narrativo che non pensavo ti appartenesse, e invece ecco che hai piegato le frasi ai tuoi voleri per ottenere l'effetto desiderato.
    Ricordo che hai detto che "Questo racconto non vuole usicre è peggio di un parto"... Eh sì: non è facile partorire una creatura del genere.
    Incipit perfetto e anche l'excipit, a me, non ha disturbato.
    Prova strepitosa.
     
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    Scusa Arianna, ma, sicuramente limite mio, non ho capito niente. E dopo la decima riga non capire chi è il Supervisore, se sto leggendo un racconto distopico oltre lo spazio, qual è il sogno e quale la "realtà" se sono nei labirinti del Tribunale di Josef k. o il protgonista è un pazzo in un manicomio... non è una bella sensazione, e da lettore abbandonerei la lettura. Invece sono arrivata fino in fondo e sì, la storia delle crepe è una bella intuizione, ma la costruzione così cervellotica e, a mio parere confusa, non giova al racconto. Bye :)
     
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    Ciao Arianna,

    affascinante e interessante questo tuo racconto. Tra l'altro mi ha ricordato un pò un altro tuo lavoro, non ricordo bene il titolo, forse Il tessitore di sogni, dove anche lì i sogni, l'immaginazione o comunque l'universo onirico aveva il suo peso.
    Io mi sono immaginato il tutto come il processo della creazione, la descrizione dell'equilibrio instabile tra il mondo di sopra e quello di sotto, quello del razionale e quello dell'immaginazione.
    Il supervisore è il funzionario della razionalità, il conservatore che tenta di tenere il controllo della macchina uomo, farlo stare coi piedi per terra. Il fatto è che non può nulla e non ha neppure i mezzi e il potere di farlo quando si innesca il processo creativo. Il processo inevitabilmente sgretola le sovrastrutture, fa apparire crepe nei muri del reale, permettendo così di fare uscire quell'alito creativo che è intrappolato dentro ognuno di noi, qualcosa che non ha forma, è sola a livello embrionale, ma che ogni volta, stimolato e con un pò di fatica, riesce a trovare la propria strada.
    Non so, magari dico una stronzata, ma la tua mi ha dato il senso di una sorta di scrittura automatica, un fluire libero di pensieri che hai poi riadattato.
     
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    Mi hai trascinato nei tuoi sogni anche se a tratti pareva tornassi alla realtà osservando le crepe che via via si evidenziavano nonostante qualcuno cercasse di ripararle,
    cosi anche lo scrittore cerca di sanare le crepe dalle sue scritture e in questo caso molto ben riuscito il concetto.
    Grande abilità nella descrizione del sogno e del ritorno alla realtà, in fondo siamo anche nella vita reale circondati da numerose crepe che ci stanno condizionando l'esistenza.
    bellissima prova!
     
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    CITAZIONE (_kiriku_ @ 30/11/2020, 13:13) 
    Che lettura scorrevole e travolgente.
    Senza accorgermene, mi sono trovata a vorticare nella mente della protagonista in un mondo surreale che, per certi versi, mi ha ricordato i dipinti di Escher, fino alla conclusione, fino a liberare ciò che si trova stretto tra i muri e che filtra attraverso le crepe.
    Bellissimo lo stile ritmato, talvolta frammentato e contorto, che ben rende il flusso di pensiero che si dipana attraverso la storia, da questo "Supervisore" metaforico che mette le briglie a ciò che briglie non ha: il pensiero, la creatività, il sogno.
    Un ottimo racconto, complimenti.

    Il mio terribile Supervisore... che passa il tempo a dirmi che quello che ho in mente io non va bene. Grazie! :)

    CITAZIONE (TomaSgaia @ 1/12/2020, 22:13) 
    Ciao!

    Complimenti per il racconto, mi ha presa tantissimo. Devo dire che anch'io ero convinta di trovarmi in una sorta di "Never let me go" virtuale o simile; poi ho pensato a "joker" (non chiedermi perché), poi a qualcos'altro ancora...
    Non avevo pensato alla scrittrice, sono sincera, ma mi piaceva anche pensare (se me lo consenti, visto che il racconto è tuo :) ) solamente ad una persona semplicemente insicura, e a qualcuno di non meglio definito che viene a salvarla.
    Ci sono alcune frasi che trovo molto lunghe, ma questo è coerente con il tentativo riuscito di far scivolare il lettore nella storia.
    Aggiungo solo che prima di leggere che si trattava di una scrittrice non avevo capito bene il collegamento con l'incipit e l'excipit, soprattutto l'excipit. Ma, come ho detto sopra, mi piaceva anche così :)

    Complimenti!

    Belle, tutte queste associazioni che state facendo nei commenti: Escher, Joker, il mondo dell'inconscio - anche oscuro - che si manifesta; e di sicuro io sono - scusa la ripetizione - anche una persona insicura, che ogni volta, prima di fare il balzo verso l'accettazione del proprio mondo interiore, deve lottare parecchio. Aggiungo che in praticamente tutto quello che scrivo c'è un personaggio che rappresenta una funzione psichica che va a soccorrere e a salvare un'altra funzione (personaggio) in pericolo. E sento forte e chiaro la voce di mio marito/Supervisore: "Ma no! Non ci sarà anche qui qualcuno che cura qualcun altro?!".

    CITAZIONE (Stefia @ 2/12/2020, 10:30) 
    Mamma mia che storia.

    Bellissima ed originale. Complimenti. Il ritmo si adatta perfettamente e trascina con sè il lettore.
    Anch'io avevo pensato dapprima alla fantascienza distopica, ma poi, con le crepe nei muri che si aprono a macchia d'olio, ho virato su un "Matrix".. e più o meno c'inzertai.
    Hai usato uno stile narrativo che non pensavo ti appartenesse, e invece ecco che hai piegato le frasi ai tuoi voleri per ottenere l'effetto desiderato.
    Ricordo che hai detto che "Questo racconto non vuole usicre è peggio di un parto"... Eh sì: non è facile partorire una creatura del genere.
    Incipit perfetto e anche l'excipit, a me, non ha disturbato.
    Prova strepitosa.

    Mi sembra che tu e io abbiamo un comune background di film e telefilm :) A un certo punto, mentre stavo scrivendo, il mio Supervisore mi ha detto "Ma no, lascia stare! Ma non ti accorgi che stai usando lo stesso schema di Matrix?!". Così, mi sono resa conto finalmente cosa Matrix probabilmente voleva raccontare, in origine, qual è il vissuto interiore da cui nasce.
    La dura lotta che ho combattuto per arrivare ad accettare di scrivere questo racconto non è per fortuna stata senza frutto: avevo dovuto combattere così tanto con tutte le resistenze del Supervisore, che quando domenica ho dovuto scrivere il racconto per la venticinquesima ora, mi è uscito benino, dato che avevo passato i giorni precedenti a contrastare i vari "Ma no, un'altra storia in cui qualcuno salva la vita a qualcun altro/lo cura", "Ma no, non vedi che tutto quello che scrivi è banale e ripetitivo?", "Ma no, la tua idea è scontata e già letta/scritta innumerevoli volte".
    Sono contenta che ti piaccia il mio strano viaggio.

    CITAZIONE (Dafne @ 2/12/2020, 10:43) 
    Scusa Arianna, ma, sicuramente limite mio, non ho capito niente. E dopo la decima riga non capire chi è il Supervisore, se sto leggendo un racconto distopico oltre lo spazio, qual è il sogno e quale la "realtà" se sono nei labirinti del Tribunale di Josef k. o il protgonista è un pazzo in un manicomio... non è una bella sensazione, e da lettore abbandonerei la lettura. Invece sono arrivata fino in fondo e sì, la storia delle crepe è una bella intuizione, ma la costruzione così cervellotica e, a mio parere confusa, non giova al racconto. Bye :)

    Dafne, come ho già scritto sopra, a sorprendermi questa volta sono i commenti positivi e la constatazione che in tanti mi hanno seguito in questo strano viaggio. Quando scrivo un racconto, lo faccio leggere a mia mamma e a mio fratello. Questa volta erano imbarazzatissimi: "Sì, certo, scritto bene ma... insomma, vedrai che in pochi capiranno qualcosa...". Mia mamma, poi, non sapeva bene da che parte prenderlo, questo racconto.
    Per dire che comprendo benissimo la tua sensazione.

    CITAZIONE (Byron.RN @ 2/12/2020, 10:52) 
    Ciao Arianna,

    affascinante e interessante questo tuo racconto. Tra l'altro mi ha ricordato un pò un altro tuo lavoro, non ricordo bene il titolo, forse Il tessitore di sogni, dove anche lì i sogni, l'immaginazione o comunque l'universo onirico aveva il suo peso.
    Io mi sono immaginato il tutto come il processo della creazione, la descrizione dell'equilibrio instabile tra il mondo di sopra e quello di sotto, quello del razionale e quello dell'immaginazione.
    Il supervisore è il funzionario della razionalità, il conservatore che tenta di tenere il controllo della macchina uomo, farlo stare coi piedi per terra. Il fatto è che non può nulla e non ha neppure i mezzi e il potere di farlo quando si innesca il processo creativo. Il processo inevitabilmente sgretola le sovrastrutture, fa apparire crepe nei muri del reale, permettendo così di fare uscire quell'alito creativo che è intrappolato dentro ognuno di noi, qualcosa che non ha forma, è sola a livello embrionale, ma che ogni volta, stimolato e con un pò di fatica, riesce a trovare la propria strada.
    Non so, magari dico una stronzata, ma la tua mi ha dato il senso di una sorta di scrittura automatica, un fluire libero di pensieri che hai poi riadattato.

    Hai beccato tutto, Byron.
    I racconti che hai in mente in realtà sono due. Uno è quello - L'inizio della storia - di cui tu hai usato l'excipit per il tuo racconto sul pugile. L'altro - La tessitrice - è quello mio nato grazie all'excipiti di resdei. Hanno praticamente sempre queste tematiche. Un'altra dura lotta che ho dovuto combattere con il mio fiscale Supervisore è quella di accettare che evidentemente la mia mente gira attorno a delle tematiche ricorrenti, che per lei sono importanti.

    CITAZIONE (genoveffa frau 1 @ 2/12/2020, 11:14) 
    Mi hai trascinato nei tuoi sogni anche se a tratti pareva tornassi alla realtà osservando le crepe che via via si evidenziavano nonostante qualcuno cercasse di ripararle,
    cosi anche lo scrittore cerca di sanare le crepe dalle sue scritture e in questo caso molto ben riuscito il concetto.
    Grande abilità nella descrizione del sogno e del ritorno alla realtà, in fondo siamo anche nella vita reale circondati da numerose crepe che ci stanno condizionando l'esistenza.
    bellissima prova!

    Grazie, Genoveffa. Quando sono immersa nel sogno, tornare alla realtà a volte è una vera sofferenza.
     
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    Sei stata coraggiosa a far leggere il tuo racconto a casa.
    Sogno o non sogno c'è disperazione, c'è sgomento.

    Felicità, infelicità. Perfezione, imperfezione.

    Non devi scegliere, non devi decidere.
    E questo è il vero dramma, tuo e di tutti.
    Perché il tuo flusso ci appartiene, è pure nostro.
    Se ti eri illusa che quelle crepe fossero solo tue.
    'Non esiste', si dice a Roma.
    Molla la presa.
    Dammi tutte le mie crepe.
    O almeno dividiamocele.
    Un po' a te, un po' a me.
    Così non ci scoraggiamo.

    Grande!
     
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    Mi dico " titolo molto interessante." sembra un dei racconti di Carver, tipo "il frigorifero" . Cosa mai avrà scritto l'autore in merito a delle crepe? Inizio la lettura, arrivo in fondo. Lo rileggo e poi ancora. Probabilmente non ho quella finezza intellettuale per potelo commentare. Però ci provo con un filo di ironia. Secondo me l'autore deve aver probabilmente mangiato un dinosauro con i cetrioli e la panna, prima di scrivere questo racconto, e che l'uomo che è accasciato sul pavimento, quasi raggomitolato, non è nient'altro che il suo stomaco che chiede aiuto. Ecco è lui, il lui casomai fosse un lui, della storia il suo stomaco che si lamenta che vorrebbe creare una crepa per far uscire la cena che si è scofanato la sera prima con amici e parenti in vista del look down del giorno successivo. Scusa la battuta. Lo rileggerò, per poter entrare nel racconto, nell'abisso che hai descritto così minuziosamente, mi piacerebbe trovarne l'essenza, l'anima, la chiave. La teoria del caos, a volte sono solo crepe lungo la parete dei nostri "lego" mentali.
     
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    'Conservazione', è il titolo del racconto di Ray Carver citato da Solenebbia.
    'Cattedrale', il titolo della raccolta.
     
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