L'ultimo ballo

aut. Molli Redigano

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. mangal
        Mi piace   Non mi piace
     
    .
    Avatar

    Dio della penna

    Group
    Il vagabondo
    Posts
    14,769
    Me gusta
    +887
    Location
    mamma

    Status
    Offline
    È una verità universalmente riconosciuta, che uno scapolo in possesso di un’ampia fortuna debba avere bisogno di una moglie, pensò Lady Georgiana tra sé e sé. Poi, con sguardo ammiccante, si rivolse ad Arthur, che sedeva accanto a lei: “Il principe d’Orange è un uomo davvero affascinante”, disse Georgiana indicando il re dei Paesi Bassi con lo sguardo. E aggiunse: “È alquanto balzano che il suo primo fidanzamento sia naufragato come una nave in balia della tempesta.”
    Arthur allontanò il piatto d’argento che aveva davanti, disgustato da quel filetto che grondava sangue: “Guglielmo è uno tra i sovrani più rispettati d’Europa, un eccellente soldato e un grande condottiero. Sono sicuro che appena questa campagna finirà, saprà ben scegliere una degna consorte tra la schiera di pretendenti che affollano la sua corte.”
    Lady De Ros accennò un sorriso e sospirò: “Beata la fortunata che sarà scelta tra loro.”
    Arthur si asciugò la bocca dopo aver bevuto un sorso di vino, rimase per qualche secondo in silenzio e poi disse: “Non sarete invidiosa, Lady De Ros! Quanto a ricchezze e virtù, mi sembra che vostro marito non abbia nulla da invidiare al principe.”
    Lady Georgiana rise imbarazzata portando la mano guantata davanti alla bocca. Arthur attendeva la risposta della dama alla sua velata provocazione, fissandola negli occhi. Lady De Ros era una donna molto affascinante, il vestito color perla che indossava risaltava la lucentezza della sua pelle leggermente brunita, che Arthur ammirava dalla scollatura sino alla fronte, sopra la quale erano raccolti a mo’ di turbante lunghi capelli dal color dell’ebano. Sir Wellesley, in un crescendo di pura debolezza, sentiva stringere dentro di sé la morsa del desiderio, che riuscì a controllare abbandonandosi per qualche istante al profumo di mughetto che Georgiana diffondeva nell’aria a ogni suo movimento.
    Gli occhi magnetici di Lady De Ros ricambiavano lo sguardo con la stessa intensità, ma l’estasi nascosta di Arthur fu bruscamente interrotta dall’arrivo del suo aiutante di campo. L’ufficiale gli si avvicinò sussurrandogli qualcosa all’orecchio, prima di porgergli una pergamena arrotolata.
    Georgiana non smise di guardare di Arthur mentre leggeva il dispaccio. Lo vide cambiare completamente espressione; la fronte era corrucciata, mentre nei suoi occhi andava spegnendosi la luminosità della spensieratezza di poco prima. Il suo viso diventò una maschera cupa e scura.
    “Sir Wellesley, cosa vi turba adesso?” chiese Georgiana con un filo di voce. E riprese, alzando il tono: “Suvvia, qualsiasi cosa sia, non rovinatevi questa splendida festa. Tra poco verranno serviti i dessert, dopodiché potremo finalmente danzare. E sarei molto onorata di concedervi un ballo.”
    Tra gli invitati serpeggiava il buonumore, la cena fu assai gradita e il vino dette il suo contributo accendendo l’allegria anche tra quei commensali in cui pareva sopita. Oltre la grande tavola, verso il maestoso camino in fondo alla sala, la servitù stava predisponendo gli arredi per il ballo successivo alla cena. La luce delle candele rifletteva nei marmi lucidi e nei cordoni dorati che fissavano i tendaggi agli angoli degli ampi finestroni. Fuori, grosse nuvole nere incombevano minacciose nel cielo tempestato di stelle e l’ultimo raggio di luna scomparve tra le folate di vento.
    “Lady Georgiana, per nessun motivo rinuncerei a ballare con voi questa sera. Nemmeno la più funesta notizia mi toglierà questo privilegio” disse Arthur cercando di cambiare l’espressione del volto, senza riuscirci.
    Lady De Ros sorrise: “Ne ero sicura!” Nonostante questo, però, la dama percepiva bene tutto il malessere che aveva invaso l’animo di Sir Wellesley e che, da quel momento, sembrava stesse contagiando tutti i presenti come un morbo infernale.
    “Notizie dalle avanguardie?” sussurrò dunque ad Arthur.
    Il duca di Wellington fece un lungo sospiro: “Le truppe francesi muovono verso il confine. Presto dovrò tornare al posto di comando. E lo stesso sarà per tutti i valorosi ufficiali presenti in questa casa.”
    “Godiamoci dunque questi ultimi istanti di letizia, prima che i venti di guerra li soffino via come granelli di polvere” rispose Georgiana con squillante amarezza.
    Il lumicino del divertimento parve essersi spento di colpo. Alcuni invitati iniziarono ad abbandonare la tenuta di Richmond per raggiungere le proprie truppe. Il malumore per una battaglia che d’improvviso era diventata imminente rimbombava tra le mura della lussuosa dimora. La festa era rovinata. E per molti tra i presenti, sarebbe stata l’ultima.

    “Questo piccolo inglese ha bisogno di una lezione!”
    La pioggia cadde incessante fin oltre le otto del mattino. I generali arrivarono alla spicciolata a Le Caillou, dove l’imperatore li attendeva per impartire gli ultimi ordini circa la battaglia imminente. I sottopancia dei cavalli grondavano fango liquido, il teatro degli scontri si era trasformato in un grosso pantano.
    Sarebbe stato difficile muovere l’artiglieria in una simile palude. L’imperatore, ufficiale d’artiglieria agli inizi della carriera militare, contava molto sull’utilizzo dei suoi cannoni. Tant’è che da sempre manteneva personalmente il comando di quei reparti. Le condizioni del terreno purtroppo, ne rallentavano la manovra e la superiorità numerica diventava del tutto relativa. Le avverse condizioni metereologiche fiaccarono financo l’animo guerrafondaio della cavalleria e della fanteria, inzuppato dalla pioggia fredda del cielo mista al fango tiepido della terra.
    L’imperatore ebbe uno scatto d’ira e tirò un pugno sul tavolo di legno. Gli spilli dalla capocchia colorata puntati sulla mappa saltarono. Nessuno tra i presenti osò proferir parola. Per un attimo, il sovrano sembrò in preda a una collera irreversibile. Poi il suo volto si distese e con calma iniziò a rimettere a posto ciascuno spillo: quelli con la capocchia blu su Ligny e Quatre-Bras, quello giallo su Mont-Saint-Jean e il nero su Wavre. Rimase per qualche istante ancora con lo sguardo basso a guardare la mappa: prese un altro spillo, di colore rosso e lo puntò più a nord. Quel punto corrispondeva al luogo dove le truppe alleate avevano stabilito il loro quartier generale: Waterloo.
    Per cercare di smorzare la tensione che si era creata nello strano silenzio di quella riunione di alti ufficiali, il maresciallo Soult cercò di riportare nell’imperatore quell’ottimismo che aveva esternato fino a poco prima.
    “Dovete sapere, Sire, che nell’attesa della sconfitta, gli inglesi hanno pensato anche al divertimento.”
    “Davvero?” disse sorpreso l’imperatore.
    “Le nostre spie hanno svolto un lavoro eccellente” spiegò Soult. E continuò: “Due notti fa, il duca di Wellington e la maggior parte dei suoi ufficiali hanno partecipato a una festa presso la tenuta di Richmond, su espresso invito della duchessa Charlotte e suo marito.”
    L’imperatore sembrò sorpreso. Non s’impressionava facilmente, ma in quell’occasione si domandò con quanta sfacciataggine gli inglesi pensassero al divertimento invece di preoccuparsi delle prossime operazioni belliche. Disse soltanto: “C’è altro, maresciallo?”
    “Durante la festa iniziò a girare la voce che le nostre truppe muovevano verso il confine. Le spie ci riferiscono di quanto questa notizia abbia agitato gli animi di tutti i presenti.”
    Soult fece una pausa, poi esclamò: “Davvero bizzarro il comportamento di questi inglesi. Se gli abbiamo rovinato la festa in quell’occasione, ci faremo perdonare poiché il vero ballo sarà oggi!”
    La battuta fece scoppiare i presenti in una risata generale. Anche l’imperatore sorrise, alzando per un momento lo sguardo dalla mappa.

    Le onde s’infrangevano rumorose sulla prua della nave. Era impossibile scrivere in mezzo a quella burrasca. Eppure, certi pensieri avrebbero avuto bisogno, per vivere, di essere immortalati sulla carta. L’inchiostro del calamaio bolliva come il suo animo sconfitto. Era come se quello strano racconto dovesse compiersi prima della fine del viaggio. Un viaggio che, sapeva benissimo, sarebbe stato senza ritorno.
    Non aveva accettato la sconfitta, né mai lo avrebbe fatto. Ricordava bene tutto l’ottimismo che aveva coltivato, la sicurezza che era riuscito ad infondere ai suoi ufficiali, ai suoi soldati. Uomini che impavidi andavano incontro alla morte in una battaglia già vinta. Un’umiliazione grande, pesante come un macigno. Il concentramento di queste sensazioni negative non riusciva a scalfire la tempra di quell’uomo d’acciaio, ridotto a un barile che rotola nella stiva di una nave in balia delle onde.
    Qualcosa che lo scuoteva più del resto c’era, e non riusciva a toglierselo dalla testa. Più che un pensiero, un’immagine, tante immagini. Volti deturpati, insanguinati, col respiro mozzato; gli occhi cavati, le orecchie tagliate, le gole trafitte. Una schiera infinita di cadaveri che gridava vendetta, che chiedeva il perché di una morte a cui lui, l’imperatore, era sfuggito. Un coro di voci in sottofondo, che andavano e venivano insieme alle onde.
    Il mare aperto era sbarrato da un banco di nubi nere, e il quieto corso d’acqua che portava ai confini estremi della terra scorreva cupo sotto un cielo offuscato. Pareva condurre nel cuore di una tenebra immensa.
    Forse non era così che dovevano andare le cose. Ma così stavano. “Nel complesso”, rifletté, “sarebbero potute andare decisamente peggio.”
     
    .
35 replies since 26/11/2020, 21:53   575 views
  Share  
.