Incomprensioni nel mezzo di una pandemia

aut. andrepoz

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    Dio della penna

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    La vita è fatta di piccole felicità insignificanti, simili a minuscoli fiori. Non è fatta solo di grandi cose, come lo studio, l'amore, i matrimoni, i funerali. Ogni giorno succedono piccole cose, tante da non riuscire a tenerle a mente né a contarle, e tra di esse si nascondono granelli di una felicità appena percepibile, che l'anima respira e grazie alla quale vive.
    Erano quelle, le cose di cui sentiva la mancanza in quel momento, le piccole insignificanti azioni di tutti i giorni che facevano parte della sua normalità e che aveva dovuto dimenticare. Erano diversi mesi, ormai, che di normale non c’era più nulla. L’estate aveva portato una pausa troppo breve ed era finita in fretta. Era stato un po’ come svegliarsi da un brutto incubo. La paura ti resta addosso ancora per un po’, non appena riapri gli occhi nel cuore della notte. Poi, mentre riprendi coscienza a poco a poco della stanza intorno a te, delle coperte che ti tengono al caldo e al sicuro, ecco che subentra una sensazione di sollievo. A quel punto cerchi di dimenticare le visioni che hai appena avuto, ti giri dall’altra parte e provi a riprendere sonno.
    Era successa una cosa del genere, quell’estate. Tutti avevano cercato di dimenticare quello che era accaduto. Non era stato facile, non con il peso di tutti quei morti. Ma loro erano sottoterra, ormai. “Chi muore tace e chi vive si da pace”, diceva il proverbio. Più che pace, si erano dati tutti una bella scossa, come un’ondata di vita troppo a lungo repressa. Si erano divertiti. Erano tornati a respirare. E al rientro dalle vacanze avevano fatto finta che il problema fosse risolto.
    Poi l’incubo era tornato. Silenzioso e inesorabile, proprio come si era manifestato qualche mese prima. E con l’incubo, la paura.
    Di colpo, anche poter uscire per andare a prendere il giornale era tornato ad essere un lusso. Una rara occasione per prendere un po’ d’aria, per non rimanere barricati tra quattro mura che diventavano di giorno in giorno più opprimenti. Un lusso a cui lui non era disposto a rinunciare. Così come non era disposto a rinunciare a scambiare almeno due parole con i suoi amici, ora che non era più possibile trovarsi al bar per giocare a carte e commentare insieme i risultati delle partite di calcio.
    L’atmosfera in casa era di giorno in giorno più pesante. A volte pensava che forse, se fosse stato da solo, sarebbe riuscito a sopportare meglio quel periodo. Se non altro non avrebbe dovuto fare i conti con le sue continue lamentele:
    - Ti sei lavato le mani?
    - Hai usato il sapone?
    - Guarda che devi farlo per almeno un minuto, ti sei ricordato di incrociare bene le dita tra loro?
    - È lo spazio tra un dito e l’altro, quello dove il virus si annida di più, l’ha detto ieri un medico alla televisione!
    - Se ti viene da starnutire, devi farlo nell’incavo del braccio!
    - Tira su la mascherina sul naso quando esci!
    - Ti sei ricordato di passare la salvietta disinfettante sul carrello quando sei andato a fare la spesa?
    - Ti sei messo i guanti di plastica?
    - Guarda che la moglie di Battistini pare sia positiva, puoi evitare di parlargli insieme se lo incontri?
    - Ho attivato l’abbonamento al sito online del giornale, che bisogno hai di andare a comprarlo tutti i giorni?
    - Se vai in farmacia a ritirare i medicinali, guarda di non entrare. Ho già pagato io e sono d’accordo che non appena sei lì suoni e loro ti portano tutto fuori!
    - ...
    Era come un disco rotto. Iniziava la mattina appena alzata, quando come prima cosa gli rompeva l’anima con questa storia delle mani. Mancava poco che lo cronometrasse mentre era in bagno. Poi, per tutta la giornata, era un continuo perseguitarlo per ogni minima cosa: e le mascherine e le distanze e le ore in cui c’era meno gente al parco e si poteva uscire per portar fuori il cane e la spesa e i guanti e il disinfettante e chi aveva incontrato e con chi aveva parlato e a quanta distanza era rimasto e se aveva la mascherina alzata o abbassata ... e basta per la miseria!
    Non era più un bambino, quante volte glielo doveva dire? Sapeva badare benissimo a se stesso, senza bisogno di un carabiniere che gli stesse di continuo sul collo.
    Il fatto era che lei non lo ascoltava nemmeno. Da quando questa cosa era scoppiata si era chiusa ancora di più in se stessa e nelle sue paure. Viveva nel suo bozzolo fatto di nevrosi e ansie, da cui ormai non usciva nemmeno per un istante. A volte lui si chiedeva come fosse possibile andare avanti in quel modo. Svegliarsi con una sola martellante idea in testa, passare tutta la giornata a rimuginare quel chiodo fisso, senza mai lasciare il posto a una possibile distrazione, a un pensiero diverso ... possibile che non le mancasse l’aria? Che diamine, lui dopo un quarto d’ora a pensare sempre le stesse cose già si sentiva morire.
    Aveva bisogno di aria, di spazi aperti, di fare cose, incontrare gente, andare a pesca sul fiume, dare una mano al suo amico Gianni con la raccolta delle olive, curare l’orto o il giardino di qualche coppia di medici in pensione che in vita loro non avevano mai visto la terra nemmeno per sbaglio, andare in montagna a cercare un po’ di funghi. Il contatto con la terra, con l’aria, con l’acqua. Quelle erano le piccole cose che gli mancavano tanto, quei granelli di felicità che ad altri potevano parere insignificanti, ma che per lui erano indispensabili come l’ossigeno.
    Lei non capiva. Lei era diversa. Lo era sempre stata. Nonostante le piacesse tanto parlare delle sue origini contadine, la verità è che lei era una specie di intellettuale. Non era sensibile come lui al richiamo della natura. Lei poteva passare il pomeriggio intero a leggere un giornale dietro l’altro, ad ascoltare le interviste dei virologi, come se fosse alla disperata ricerca di una soluzione al problema. Quando la sera si mettevano in poltrona a guardare la televisione, lei non si perdeva nemmeno un secondo delle raccomandazioni e dei pareri degli esperti. Lui resisteva solo qualche minuto prima di addormentarsi.
    Eppure in fondo, nonostante tutte le differenze, si volevano bene. Si erano incontrati quando lei era rimasta vedova e lui era stato cacciato di casa dalla moglie. Due solitudini che si erano riconosciute e avevano deciso di percorrere un tratto di strada insieme. Un tratto che ormai ammontava a diversi anni. Avevano imparato in qualche a modo a convivere, anche se lui era un cuor contento e lei una donna sempre sull’orlo della depressione. Lui aveva accettato le paure e le ossessioni di lei, lei aveva trovato nella semplicità di lui un’evasione dalla gabbia grigia in cui troppo spesso finiva per autoconfinarsi.
    A fatica avevano trovato un loro equilibrio.
    E poi era arrivata la pandemia. E tutto era cambiato di colpo. Come l’onda di un fiume in piena, si era abbattuta sulle fragili abitudini quotidiane che con il tempo erano riusciti a costruire e le aveva spazzate via, portando in superficie i problemi e le incomprensioni che si erano nascosti sul fondo di quel loro rapporto così complicato.
    Eppure, qualcosa si era salvato. Al di là dei litigi e delle discussioni c’era un legame forte, che si era formato con il tempo e che il tempo aveva reso più saldo. E proprio in quel momento, quando tutti e due avevano all’improvviso preso coscienza di quanto le loro stesse vite fossero fragili, di come fosse facile spezzarle per sempre, quel legame era rimasto a galleggiare al di sopra del mare di incomprensioni che si stendeva tra di loro.
    Non erano stati mesi facili. Quanti amici aveva perso, lui, in quel periodo, senza nemmeno avere il conforto di poter andare al loro funerale? Quante volte aveva avuto l’impressione che la morte stessa stesse danzando intorno a loro, colpendo conoscenti e parenti, e che le sarebbe bastato allungare un attimo la mano per raggiungerli?
    Fino a lì avevano resistito, in qualche modo. Litigando, mandandosi più di una volta a quel paese, ma anche aiutandosi e supportandosi. Soprattutto, non restando soli. Dandosi una mano a superare tutto quanto. Non potevano cedere proprio adesso, non quando mancava così poco alla fine. Presto ci sarebbe stato il vaccino e tutto si sarebbe messo a posto.
    Dovevano tener duro ancora pochi mesi, si disse.
    Forse non era così che dovevano andare le cose. Ma così stavano.
    "Nel complesso", rifletté, "sarebbero potute andare decisamente peggio".
     
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    Il testo è ben scritto e comprensibile e non ho rilevato refusi o errori. La storia è uno spaccato delle vite che abbiamo vissuto in quest'ultimo anno e hai reso in maniera egregia i personaggi e i loro caratteri divergenti, rendendoli davvero credibili.
    L'unica pecca, ovviamente a parer mio, è che mi manca la storia. Sì, una storia c'è, è ovvio, ma non mi ha preso, diciamo: hai raccontato quella che avrebbe potuto essere la vita in casa mia in questi mesi, e quella la conosco; avrei voluto leggere una storia nuova.
    Alla prossima.
     
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    Non ti ho raccontato nulla e tu, autore, hai scritto il mio diario.
    Sono arrossito quando hai parlato delle mie paure, sono arrossito quando hai parlato della coppia.
    Tutto collima, hai copiato le mie idee, hai intuito le mie idee, e forse quelle di tutti.
    Sei stato coraggioso, in molti abbiamo evitato di parlare della pandemia, del deja vu.
    Però...
    Tu non appartieni allo spettacolo, alla TV. Tu non fai parte del comitato scientifico.
    Tu sei uno di noi e hai scritto con mano sicura la tragedia che stiamo vivendo. Inconsapevoli di viverla.
    Un abbraccio e grazie. Bravo!
     
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    Ciao Andrepoz,
    ho deciso di usare uno schema per i miei commenti. Eccolo:

    Stile: fluido, scorrevole. Anche affrontando un tema da me conosciuto
    Contenuto: la prima parte sapeva di già visto, però la seconda è una lucida vivisezione di una coppia "reclusa" dal virus. E mi piace
    la chiusa ottimistica, aperta alla speranza: "Non potevano cedere proprio adesso, non quando mancava così poco alla fine.
    Presto ci sarebbe stato il vaccino e tutto si sarebbe messo a posto".
    Bicipit: Incipit ed excipit sono indossati dal racconto come un abito su misura. Complimenti.
     
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    Stile pulito, esposizione gradevole, proprietà di lessico, sintassi, tempi verbali, punteggiatura. Il tono però è un po' cronachistico: ti dico come stanno le cose, vedi tu che conclusioni trarne. Non c'è una scena vera e propria, solo considerazioni. Rifacendomi all'abusato conflitto fra dire e mostrare, direi che qui sei rimasto nel dire.
    Come fare a mostrare, in questo caso specifico?
    Anzitutto scrivere una scena in cui la lista delle lamentele ("Ti sei lavaro le mani" eccetera) diventano elementi di un dialogo, anzi di un non dialogo, condito con gesti opportuni.
    Per esempio: descrivere il disagio nell'andare a prendere il pane, zig zag sui marciapiedi per evitare incroci ravvicinati con i rari pedoni, e anche per evitare le deiezioni canine che, dove abito io, abbondano (e non sono gli immigrati quelli che hanno i cani!). Coda davanti al panettiere (si entra uno alla volta) e chiacchere insulse nell'attesa. Un'ambulanza urlante che quasi ti travolge mentre passi un incrocio col verde. Un cretino che si toglie la mascherina per starnutire al vento. Insomma torni a casa per goderti la pace domestica e invece l'altra metà del cielo ti incalza con la lista delle lamentele.
    Lamntele che continuano quando vi mettete sul divano a guardare la TV, "mi si formeranno le piaghe da decubito", "mi si sta bloccando l'anca" a furia di restare seduta! eccetera.
    Poi occorre il colpo di grazia per immaginare la scena che mostri il "Soprattutto, non restando soli. Dandosi una mano a superare tutto quanto. Non potevano cedere proprio adesso, non quando mancava così poco alla fine".
    E' faticoso, sì, ma è questo che i lettori chiedono agli autori.
    Rimboccati le maniche e dacci dentro. La materia prima (la correttezza stilistica) ce l'hai.

    Stile pulito, esposizione gradevole, proprietà di lessico, sintassi, tempi verbali, punteggiatura. Il tono però è un po' cronachistico: ti dico come stanno le cose, vedi tu che conclusioni trarne. Non c'è una scena vera e propria, solo considerazioni. Rifacendomi all'abusato conflitto fra dire e mostrare, direi che qui sei rimasto nel dire.
    Come fare a mostrare, in questo caso specifico?
    Anzitutto scrivere una scena in cui la lista delle lamentele ("Ti sei lavaro le mani" eccetera) diventano elementi di un dialogo, anzi di un non dialogo, condito con gesti opportuni.
    Per esempio: descrivere il disagio nell'andare a prendere il pane, zig zag sui marciapiedi per evitare incroci ravvicinati con i rari pedoni, e anche per evitare le deiezioni canine che, dove abito io, abbondano (e non sono gli immigrati quelli che hanno i cani!). Coda davanti al panettiere (si entra uno alla volta) e chiacchere insulse nell'attesa. Un'ambulanza urlante che quasi ti travolge mentre passi un incrocio col verde. Un cretino che si toglie la mascherina per starnutire al vento. Insomma torni a casa per goderti la pace domestica e invece l'altra metà del cielo ti incalza con la lista delle lamentele.
    Lamntele che continuano quando vi mettete sul divano a guardare la TV, "mi si formeranno le piaghe da decubito", "mi si sta bloccando l'anca" a furia di restare seduta! eccetera.
    Poi occorre il colpo di ingegno per immaginare la scena che mostri il "Soprattutto, non restando soli. Dandosi una mano a superare tutto quanto. Non potevano cedere proprio adesso, non quando mancava così poco alla fine".
    E' faticoso, sì, ma è questo che i lettori chiedono agli autori.
    Rimboccati le maniche e dacci dentro. La materia prima (la correttezza stilistica) ce l'hai.
     
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    Il Conte

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    Un racconto che è uno sfogo. Un grido che nasce dalla frustrazione che sitamo vivendo e tutti sentiamo vicina. Una storia semplice, ma vera come sono vere tutte le divisioni che questo pazzo momento ci sta costringendo ad osservare. Apprezzo il tuo stile genuino e senza fronzoli, ideale per narrare questo tipo di storie. Un soggetto, tristemente troppo comune, ma non banale. Anzi, riese a lasciare qualcosa.
    Quanto all'uso di incipit ed excpit, fanno più che altro da cornice: il racconto, anche togliendoli, sta in piedi.

    Nel complesso una lettura scorrevole e quantomai attuale.
     
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    Scrivano

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    Ci sta. La pandemia si è presa le nostre vite, sminuzzate, ridotte a qualcosa in cui facciamo fatica a riconoscerci. Ma come tutti i grandi sconvolgimenti, offre anche delle opportunità di rivalutare da un altro punto di osservazione, valori, amori e abitudini. Siamo certi che rivorremmo la vita che abbiamo, gioco forza, abbandonato?
    Lascio la domanda sospesa perché, in fondo, il tuo racconto mi ha stimolato questa riflessione. Spero che, rileggendolo fra qualche anno, potremo valutare questi momenti con maggiore lucidità. Oggi siamo ancora troppo coinvolti, però grazie a storie come la tua, potremo ricordare e ripensare.
    La tua scrittura è lineare e ordinata, l’incipit e l’excipit si integrano perfettamente, per cui la “missione bicipit” è ben riuscita.
     
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    Regina di cuori

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    Come vedere un film già visto, con diversi personaggi e con un timore comune, tutti abbiamo vissuto ciò che hai raccontato,
    solo che vorremmo dimenticarlo e riprendere a vivere, certo non si potranno dimenticare le persone care perdute.
    Racconto reale con la speranza finale, ma sinceramente, mi aspettavo qualcosa di più incisivo!
    Incipt e exicipt rispettati!

    Edited by genoveffa frau 1 - 22/12/2020, 12:36
     
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    Penna d'oca

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    Ciao!

    Un racconto davvero attuale, forse per me in questo momento fin troppo.

    Ho apprezzato l'elenco, anche se non avrei messo l'ultimo elemento coi puntini (mi sembra un po' superfluo), perché mi ha dato proprio l'idea di quanto calzante e scassaanima sia la donna (e mi ci sono rivista con mio papà quando aveva il Covid, poco da fare).

    ti segnalo un solo refuso, ma per il resto la scrittura è corretta e scorrevole. Ho approvato anche la punteggiatura.
    CITAZIONE
    “Chi muore tace e chi vive si da pace"

    Complimenti! :)
     
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    Un racconto che parla delle nostre vite in questi tempi bui, fatti di paure e di speranze.
    Il racconto si legge molto velocemente, grazia scrittura scorrevole e accattivante.
    I personaggi ben caratterizzati, ognuno vive questo momento critico in maniera diverse se pure entrambi in uno stato ansioso, lei legge e s'informa, a lui manca la natura, le stesse differenze le troviamo nelle nostre famiglie , nelle nostre case e questo ci rende il tuo racconto molto familiare.
    Ben costruito tra incipit ed excipit e con un finale che apre alla speranza.
    "speriamo finisca tutto presto stiamo diventando gli spettri di noi stessi"
    Un abbraccio. :noviolence.gif:
     
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    Dio della penna

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    mamma

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    beh, è scritto davvero bene, ho notato solo un paio di refusi ma credo siano errori di battitura.
    nulla da eccepire sulla stesura del testo.
    il contenuto è dannatamente attuale, purtroppo, e quindi colpisce.
    però, come ha detto qualcuno, anche se non ricordo chi, manca la storia.
    in pratica è lo spaccato di una giornata di questo pessimo periodo, o di più giornate, se vogliamo.
    manca quella scintilla che accende il fuoco e fa vedere le fiamme.
    in ogni caso, complimenti per la scrittura, fluente e comprensibile
     
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    Concordo: ottima la scrittura, aspetto che viene evidenziato dal taglio cronachistico che hai voluto dare al tuo pezzo. Hai voluto farci questo resoconto e hai pienamente centrato il tuo obiettivo. Hai catturato l'attenzione del lettore come deve fare un testo di questo tipo. Non sorprende il fatto che tu abbia voluto (tu come altri, chi più chi meno) parlarci della situazione attuale attraverso la tua "coppia di personaggi".
    Ripeto: molto resoconto e poco racconto. Ecco perché non lo voterò nonostante sia ben scritto, estremamente attuale e con incipit ed excipit ben integrati.
    Condivisibile il messaggio finale di speranza.

    Arvedse😎
     
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    Racconto piacevole, tenero e ironico allo stesso tempo, di vita quotidiana tra due anziani conviventi. Tutto molto realistico, descritto con vivezza di immagini e con molta padronanza dell’italiano. Complimenti. Segnalo un refuso: ‘Avevano imparato in qualche a modo a convivere...’
     
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    Penna d'oca

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    Il titolo è dei giorni nostri, quindi è chiaro l'argomento. Leggo con un pò di apprensione il brano, ho paura di ritrovarmici. Lo trovo dinamico e solido, i due conviventi sono ben raccontati. La struttura è fluida. Si nota la pazienza infinita di lui, della voglia di andare avanti comunque nonostante il momento difficile. E anche se lei è petulante e logorroica, lui sa che ripete tutto perché gli vuole bene, e restare nuovamente sola vorrebbe dire cadere ancora nella depressione. Quindi: è amore oppure egoismo? Vado oltre. Mi spiace che i poveretti sono due della massa non hanno un nome. Se lo avessero avuto ci sarebbe stata più intimità con il lettore. Così rimane un brano anonimo.Certo comunque vero, crudo e reale, con quel pizzico di ironia che a questo punto delle nostre vite ci vuole.
    In ed Ex coerenti.
     
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    Questa storia potrebbe essere l'esatta rappresentazione di due persone che conosco, spaccate dalla necessità di uscire di lui e dall'ansia (al limite della paranoia) di lei, ma unite dall'amore e dall'affetto che li lega da tanti anni.
    Forse perché siamo di nuovo in lockdown, dalle mie parti, e io sto lavorando da casa da 2 mesi, ormai, a cui si sommano tutti i mesi compresi tra marzo e settembre, ma ho sentito questa storia molto vicina.
    Incipit ed excipit si integrano alla perfezione nel testo scorrevole e ben scritto.
    Complimenti.
     
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