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Tutte le famiglie felici si somigliano tra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo. Anna chiuse il libro che aveva appena finito di leggere, dopo essere tornata a rileggerne la prima pagina, come faceva sempre quando le dispiaceva abbandonare una storia e avrebbe voluto tornare a rileggere daccapo. Sarà stata l’impressione di trovare un’eroina con il suo nome, o la scena del treno e della protagonista che scivolava tristemente tra le rotaie, o il fatto che anche la sua famiglia da tempo le sembrava infelice, comunque fosse da quel libro non riusciva a staccarsi L’aveva trovato pochi giorni prima nella libreria del nonno, l’aveva sfogliato attentamente e poi l’aveva portato a casa di nascosto, perché il nonno non permetteva a nessuno di toccare i suoi libri, ma, se li prendeva Anna, sembrava non accorgersene. Lei lo sapeva che il nonno la lasciava apposta da sola davanti all’ enorme libreria che occupava tutte e quattro le pareti del suo studio e arrivava fino al soffitto, e le metteva alcuni libri in bella vista che occhieggiavano invitanti, perché lei se li portasse via di soppiatto. Era un gioco iniziato fin da quando Anna era piccola e sapeva a malapena leggere: quando andava a trovare il nonno c’erano sempre dei libretti invitanti in bella vista sullo scaffale basso della libreria e così, mentre lui era distratto da una telefonata o da un impegno qualunque, Anna ne prendeva uno e poi qualche giorno dopo glielo riportava, riponendolo di nascosto nella libreria. Il gioco stava continuando anche a distanza di un decennio: nessuno poteva toccare i libri del nonno, divieto assoluto per chiunque, anche per Anna, ma succedeva sempre che lei restasse da sola davanti a quella meravigliosa libreria: il tempo di scegliere un libro e metterlo in borsa. E qualche giorno prima era toccato a “Anna Karenina”, la sua sfortunata omonima, romanzo letto in un giorno e una notte.
“Anna alzati da quel letto, sono già le otto, lo so che sei stata tutta notte a leggere invece di dormire, peggio per te. Alzati e non farmi ripetere quello che devi fare oggi: riordinare e pulire la tua camera, ritirare i vestiti in lavanderia, darmi una mano in cucina…” “E poi le chiamano vacanze”, bofonchiò Anna tra sé alzandosi dal letto e trascinandosi in cucina, dove sua mamma stava già spadellando per l’esercito di parenti che sarebbe arrivato il giorno dopo per il pranzo di Natale. Si versò una tazza di caffè, aggiunse poco latte, prese il pacchetto di Oro Saiwa sfidando le ire di suo fratello – ma perché quel cretino pensava che quei biscotti fossero suoi? Aveva forse un reddito personale che gli consentiva di comprarsi dei biscotti? Difficile a tredici anni – e inzuppò due biscotti nel caffelatte. “E lascia stare i biscotti di tuo fratello, potresti evitare di litigare con lui almeno la vigilia di Natale?” Eggià, le responsabilità da sorella maggiore, ma che gran rottura… Rimise a posto i biscotti dopo averne mangiati almeno altri quattro - questione di principio - e disse a bruciapelo a sua madre: “Mamma, ma noi siamo una famiglia felice?” Elena guardò sua figlia e si chiese cosa volesse dire la sua bambina sedicenne. Bambina si fa per dire, gli occhi scuri che la fissavano con intenzione le avevano già detto tutto: Anna lo sapeva. Prese tempo: “Perché me lo chiedi?” “Ho letto un libro del nonno: dice che tutte le famiglie felici sono uguali e le infelici invece no.” “Ah, hai letto Anna Karenina. Bel romanzo… è una storia inventata, e pure di un paio di secoli fa, lo sai…E’ una frase come un’altra: Tolstoj avrà voluto iniziare il suo romanzo con una frase a effetto”, ribatté Elena senza guardare sua figlia e continuando a lavorare l’impasto con energia. “Torna per Natale papà?” “No, non riesce, il lavoro in Wisconsin si è complicato e non ce la fa a tornare per le feste.” “Mamma…” voleva dirglielo che lo sapeva, che l’aveva sentita al telefono raccontare alla zia che ormai avevano deciso: papà sarebbe rimasto in America con “quella”… e a quel punto la mamma aveva abbassato la voce. Ad Anna era sembrato di averlo sempre saputo che suo papà non sarebbe più tornato da quel viaggio iniziato mesi fa: le sue telefonate si erano diradate nel tempo e Anna ora capiva perché. “Credo sia morto”, aveva detto l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze a Valentina, la sua migliore amica. “Ma che dici Anna, tuo padre sta benissimo, è solo in America per lavoro.” “No, no, è proprio morto, Vale, per me è morto davvero.” E se ne rese conto in quel momento, mentre sua mamma non la guardava con le mani nell’impasto del ripieno dei ravioli, che come ogni anno dovevano essere fatti in casa per Natale, ma quale Natale… Suo papà era peggio che morto: si era dimenticato di lei e se ne stava felice e beato in Wisconsin con “quella”. “Mamma…vado dal nonno, devo riportargli il libro prima che si accorga che manca e si arrabbi con me.” E scivolò veloce dalla sedia della cucina in camera sua, si vestì in un attimo e uscì quasi correndo, senza rispondere a sua mamma che le stava dicendo di tornare presto. O qualcosa di simile: Anna non stava più ascoltando.
Il nonno abitava in un palazzo a pochi isolati di distanza e Anna, con il libro in borsa, camminava sul marciapiede ghiacciato con passo spedito, senza fare particolare attenzione a quello che le accadeva intorno: le vetrine illuminate, la gente per strada che correva frenetica a fare gli ultimi acquisti, qualche fiocco di neve o di ghiaccio che volteggiava nell’aria. La perfetta viglia di Natale. Ma quale Natale… con suo padre in America con “quella”, sua mamma che impastava ripieni e faceva finta di niente, un fratello insopportabile e un esercito di parenti in arrivo, con cui avrebbe dovuto fingere per tutto il giorno insostenibile allegria, be’ sì, il nonno ci sarebbe stato… ma non bastava: quel Natale non era Natale. Non si sarebbe prestata a quella farsa, che se lo facessero loro il bel Natale in allegria, lei sarebbe sparita: sarebbe andata in Alaska, o finita sotto un treno. Come Anna Karenina. Nonostante fosse triste le venne da ridere: ma quanto era scema, lei non era l’eroina del romanzo che aveva in borsa; non era in Russia, non aveva abbandonato marito e figlio per un giovane ufficiale che forse la tradiva, e soprattutto buttarsi sotto un treno le sembrava un finale troppo melodrammatico, non adatto a una anonima sedicenne, per quanto in crisi, perché i suoi genitori si stavano separando. Però forse non sarebbe stata del tutto una cattiva idea: la Stazione Centrale di Milano bloccata la vigilia di Natale, perché una giovane Anna si era buttata sotto un treno con il romanzo di Anna Karenina in borsa… Valentina però non l’avrebbe mai perdonata, rovinarle così le vacanze di Natale con il funerale della sua migliore amica… no, meglio non fare arrabbiare Valentina, quella era capace di raggiungerla anche nell’Aldilà con le sue battutacce e prediche. Anna era talmente presa dai suoi pensieri, che nemmeno si accorse di avere oltrepassato il palazzo dove abitava il nonno e di essere finita in una strada laterale che non aveva mai percorso, una vicolo tra le case in cui improvvisamente erano scomparsi i negozi illuminati e la folla frettolosa. Quando se ne rese conto, fece un repentino dietro-front per tornare sui suoi passi, e, senza poterlo evitare, andò a sbattere contro un tizio che evidentemente non si aspettava la sua inversione di marcia, perse l’equilibrio e per poco non cadde a terra. “Mi scusi” disse senza nemmeno guardare il tizio in faccia, diventando rossa dalla vergogna e scansandosi velocemente. “Anna?” Il tizio aveva una voce e si stava rivolgendo proprio lei. Anna sollevò lo sguardo e non ci voleva credere: quella voce era di Nicola quello di terza B, la classe di fianco alla sua. Ed era proprio il tizio che da mesi Anna osservava attentamente, stando bene attenta che nessuno se ne accorgesse, quando a ricreazione erano tutti in corridoio a chiacchierare e a fare gli scemi. Nessuno se ne accorgeva tranne Valentina, ovvio, ma quella sapeva sempre tutto di Anna, come poteva nasconderle che le piaceva da morire quel tizio alto, magro, con i capelli rossi e la faccia allegra, sempre appoggiato al calorifero che leggeva, anche tra la baraonda della ricreazione, libri dai titoli misteriosi? “Tu sei Anna, vero? Seconda B. O sei sua sorella gemella, e io sto facendo la figura del cretino…” Anna rise: “No, no, niente sorella gemella, sono io, e tu sei…” “Nicola, terza B, la classe di fianco alla tua, non so se mi hai mai visto, ma se a ricreazione ti fermi per qualche istante in corridoio e cerchi il calorifero… ecco sono io. Cioè, non il calorifero, ma il tizio appoggiato al calorifero... ma ti è caduta la borsa”, e mentre lo diceva le raccolse la borsa e il libro scivolato fuori. “Anna Karenina…”, mormorò sorridendo e rivolgendo ad Anna due occhi azzurri limpidi come laghetti di montagna. “Sì, be’, lo devo restituire al nonno…” cominciò a farfugliare Anna… ma che figura da deficiente, chissà cosa stava pensando Nicola di lei: la ridicola ragazzina di seconda che lo guardava nel corridoio a ricreazione…e perché sapeva il suo nome? Di certo perché aveva riso di lei con i suoi amici. Gli strappò il libro di mano: “Devo andare”, disse mentre già si stava allontanando velocemente. “Dove scappi – la rincorse Nicola- se vuoi ti accompagno da tuo nonno, io adoro quel romanzo, è stato il primo di un autore russo che ho letto…” Inutile sfuggire a quei laghetti azzurri che la guardavano con aria allegra, e anche Anna non vedeva l’ora di raccontare a qualcuno la storia di Anna che si butta sotto il treno, e di piangerne e riderne con lui. E di raccontargli anche la sua storia, la storia di Anna che il giorno della viglia di Natale vuole scappare da tutti, e che non arriverebbe a buttarsi sotto un treno, non è il tipo, ma è così difficile a volte essere Anna, e avere sedici anni… e di piangerne e riderne con lui. Forse non era così che dovevano andare le cose. Ma così stavano. “Nel complesso”, rifletté, “sarebbero potute andare decisamente peggio.”
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