Buon pomeriggio

aut. Achillu

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    Dio della penna

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    Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo. Pensò Lucia. Allora, triste per triste, avrebbe scambiato volentieri la propria situazione con quella di Massimo, se non fosse che poi lui avrebbe dovuto stare lì… no, non glielo poteva augurare. E non c’era proprio nessuno al mondo che potesse prendere il suo posto! Così l’astuccio finì sbattuto a terra lasciando nell’aria odore di legno e grafite.
    No, cazzo, mi sono distratta di nuovo! Si forzò a guardare il libro di storia. Maledetta frenesia da coca, aveva voglia di tutto tranne che studiare!
    «Ho bisogno di farlo adesso!» scrisse a Massimo.
    Risposta: «Hai visto che ore sono?» Sì, le tre del pomeriggio, Cazzo! Anche il libro volò per la stanza in un turbinare di polvere.
    Messaggio vocale: «Ti odio!» Panico. “Cancella per tutti”. Altro messaggio: «Non è vero, ti amo!» Ma per il momento doveva arrangiarsi da sola.
    Lucia si vestì con la felpa da battaglia color viola vomito, che odorava di sudore vecchio e foglie nuove proprio come i suoi lunghi capelli castani. Passò davanti a tutti gli specchi di quella casa sfigata senza poster alle pareti. Il suo culone pretendeva di essere guardato e commiserato; si fermò un attimo ma non aveva tempo di farsi altro male. Uscì.

    Ormai tutti i lampioni vicini li aveva marchiati. Doveva entrare nel parchetto col rischio di farsi sgamare; Lucia assaporò la sensazione, si sentì onnipotente, sorrise. Raccolse un sasso e se lo portò alle labbra per annusarlo.
    Ecco il bersaglio. Non passava nessuno; mirò, lanciò con la sinistra. Un rumore metallico e il sasso cadde a terra senza far danni. «Merda!» La frenesia si mutò in agitazione.
    Occhiata veloce in giro, secondo tentativo, mancato. «Ma che ci ho oggi?»
    Terza occhiata, più ampia stavolta; ancora nessuno. Lanciò, mugolando come una tennista. Rumore di vetri in frantumi e Lucia saltò di gioia. Solo un attimo e si tuffò soddisfatta tra i cespugli. Il cuore le batteva in gola e la testa girava, in bocca un sapore amaro e familiare, nel naso l’odore selvatico degli arbusti.
    Uscì a testa bassa, spaventando un cane e la vecchia che lo accompagnava a pisciare. A Lucia sfuggì una risata isterica e senza senso, impossibile da trattenere; e più la vecchia la guardava male, più le veniva da ridere. Se ci fosse stato anche Massimo chissà che cosa le avrebbero fatto?

    Un’anziana signora imboccò la strada giusta. Massimo le si avvicinò e la baciò con la faccia tosta di Giuda: «Ciao zia, come stai? Aspetta che ti aiuto.»
    La vecchia sconosciuta guardò perplessa il ragazzo, che prese la busta della spesa e si incamminò con lei continuando a parlare del nulla.
    Lucia li raggiunse senza farsi notare e l’aria di un profumo antico le riempì le narici. Avvicinò la mano alla borsetta e accarezzò il metallo freddo delle rifiniture; fu attraversata da un brivido di piacere quando afferrò il portafoglio e lo sfilò. Si morse il labbro sorridendo, poi prese la busta della spesa dalle mani del suo ragazzo e si allontanò indisturbata quasi saltellando.
    Lucia stava controllando il bottino: pensò che quasi quasi i surgelati e la carta igienica di marca li avrebbe potuti portare a casa. Arrivò Massimo che si rollò una canna. «Solo cazzate!» Sentenziò, buttando la busta nel cassonetto. A Lucia faceva schifo fumare ma l’odore no, anzi le piaceva un sacco; quasi come quello delle banconote.

    «Tiziana, portaci due cioccolate calde, subito!» Urlò Massimo a sua mamma.
    Le due tazze profumate attraversarono la stanza, insieme alla casalinga bionda in tenuta da shopping, pronta per tornare in cucina a mandare baci, gattini e citazioni nella chat delle mamme di WhatsApp.
    Massimo si avventò. Lucia invece mescolava senza convinzione: era quasi ora di cena e sapeva cosa sarebbe successo a casa se non avesse mangiato; ma Cazzo! se ne aveva voglia, altro che zuppa precotta. Un concentrato di sapore destinato a depositarsi nel suo culone o chissenefrega, l’avrebbe vomitato nel cesso.
    Amava il bagno a casa di Massimo: odorava di muschio ed era caldo, poi era grande come una camera e c’erano sia la vasca che la doccia. Ogni cosa era al suo posto e le ceramiche non avevano macchie. Due dita infilate in gola ed ecco che tutto quell’ordine aveva cambiato colore e odore. Peccato dover pulire tutto, prima di tornare a casa.

    Che scusa aveva inventato Giorgio prima di cena: Troppo stupida? Troppo grassa? Troppo bella? Lucia si era fatta una bomba di ero e coca, ricordava solo Troia! e la sberla perché tanto finiva sempre così. Troia! e la sberla: per il lucidalabbra in offerta, il cinque nella verifica, le scarpe di Pittarello. Domani ci ho l’interrogazione di storia. Meglio se mi addormento adesso. Ma forse quella sera Giorgio l’aveva lasciata in pace. Non c'era passato né presente né futuro nella sua testa, tutta la sua vita era mescolata in un unico, enorme attimo senza inizio né fine. Forse non era così che dovevano andare le cose. Ma così stavano.
    "Nel complesso," riflettè, "sarebbero potute andare decisamente peggio."
     
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    Una coppia terribile con tutti i mali del mondo. Una madre immatura e distratta.
    Coppia comunque autentica nel vivere la sua vigliaccheria senza particolari strategie. La luce scompare al secondo colpo per favorire un furto mediocre, una vita mediocre condita di bulimia e indifferenza.
    Sembra un racconto di Irvine Welsh.
    Complimenti all'autore per avercelo mostrato, e al suo coraggio per averlo pensato. Ottima prova.
     
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    Un racconto pregno di amarezza, oltre che dispiacere per una coppia che si sta rovinando la vita, una dose di droga alla volta.
    Il furto alla signora anziana con la spesa lascia una profonda tristezza al lettore, che si trova a chiedersi fino a che punto la droga e il conseguente bisogno di soldi abbiano risucchiato l'umanità e la moralità dei due protagonisti.
    La struttura frammentata del racconto, con momenti di vuoto, ben si addice ai ricordi confusi di Lucia, dopo "una bomba di ero e coca".
    Anche lo stile colloquiale e talvolta sgrammaticato rende bene il flusso di coscienza alterato dagli stupefacenti, il tutto condito da bassa autostima e da un evidente problema di bulimia, che accentua la sensazione di degrado e collasso psicologico generale.
    Un ottimo racconto, in cui incipit ed excipit si mescolano alla perfezione, diventando parti integranti del testo.
     
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    Penna furiosa

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    Non so dove tu sia stato, in questi mesi lontano da SPS, o che cosa tu abbia fatto, ma creativamente ti è stato utile, mi sembra. Il tuo racconto mi ha preso. Secondo me hai reso molto bene il disagio adolescenziale, che si manifesta in entrambi i ragazzi, pur nella differenza degli ambienti familiari, e hai reso bene in che modo si traduca in comportamenti. In particolare, certo, è drammatica la situazione di Lucia.
    Non ti sei lasciato andare a inutili fronzoli lessicali. Le emozioni le trasmetti al lettore con la semplice esposizione dei fatti.
    Nel caso tu dovessi fare una revisione futura, per presentare il racconto in altri contesti, l’unica cosa che cambierei sono gli agganci con l’incipit e l’excipit, che percepisco come non perfettamente integrati. Ad esempio, per quanto riguarda l’incipit, l’interrogazione avrebbe potuto essere in Letteratura, motivo per il quale Lucia avrebbe potuto avere in mente l’incipit di Anna Karenina. Invece, cambierei proprio l’excipit, perché il senso di drammaticità che hai costruito nel racconto si perde. Comunque, appunto capisco che l’esigenza, in questo contesto, era usare uno degli excipit.
    Il racconto è ben scritto.
    Ti segnalo solo:
    Si forzò a guardare= di guardare

    «Solo cazzate!» Sentenziò
    subito!» Urlò
    Qui tu hai preferito la maiuscola dopo il discorso diretto, anche se hai due verbi con cui puoi usare la minuscola. Ho scritto la stessa cosa a Kiriku, e lei mi ha precisato che un editore le ha espressamente chiesto questo, cioè di usare la maiuscola se la frase del discorso diretto termina con un punto; un altro, invece, le ha mandato un prontuario di formattazione editoriale, con le regole seguite dai principali editori, in cui invece si usa la minuscola, se il termine appartiene al vasto campo del dire e affini. Io, sinceramente, preferisco e continuerò a usare questa modalità, che mi sembra in generale più coerente, però appunto forse tu hai seguito l’altra strada.

    Bravo, Achille, un buon lavoro!
     
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    Penna furiosa

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    D'accordo che gli uomini con i colori non vanno molto d'accordo, ma è la prima volta che leggo "color viola vomito".
    Ho sentito di un verde vomito, ma viola? ;)

    Mi ha colpito molto il riferimento all'odore: l'olfatto è una costante di questo racconto e non ho capito perchè sia così presente, come se fosse importante.
    E se è importante, allora mi sa che non ho capito il racconto.

    Gli avvenimenti sono molto confusi e la spiegazione, alla fine, la dai proprio tu quando scrivi :
    "Non c'era passato né presente né futuro nella sua testa, tutta la sua vita era mescolata in un unico, enorme attimo senza inizio né fine."
    E' una frase angosciante che spiega perfettamente la confusione di una mente che vive costantemente sotto allucinogeni. Complimenti perchè mi ha davvero impressionato.

    Incipit ed Excipit secondo me sono integrati nel racconto anche se la chiusa finale mi sa un po' di ironia fuori posto: di peggio, in questo caso, c'è solo girare i piedi all'uscio, ma è solo una mia considerazione personale.
    Con il tuo stile e con le immagini slegate che però fanno parte di questo infinito momento senza inizio nè fine, sei riuscito a farmi immedesimare in una situazione veramente estrema.
    Non so ancora se mi piace o no, ma la prova è stata senz'altro superata.
     
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    Chi si contenta gode… si potrebbe dire al finale della storia, anche se effettivamente non c’è mai limite al peggio.
    Il racconto è scritto molto bene e lo stile è perfettamente coerente con i contenuti della storia che non è altro che una corsa frenetica e confusa verso il fondo, da cui risalire sarà sempre molto complicato.
    Il titolo è azzeccato: un saluto borghese molto convenzionale che accentua il contrasto con la crudezza della vicenda. L’incipit si giustifica come riflessione dell’autore, ma troppo profondo per la protagonista, devastata dalle droghe e dal disagio. Il finale mi piace fino a: “Ma così stavano le cose”. L’ultima frase un po’ meno, ma capisco; d’altra parte, prendere o lasciare. Il gioco era così.
    Ultima notazione sul color viola vomito: a me non disturba, visto che sono daltonico!
     
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    Penna furiosa

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    Ciao Achi,

    questo è un pezzo che non lascia indifferenti. Disturba, ti costringe a pensare su cose che sappiamo esistere ma preferiamo dimenticare.
    Ti confesso che queste poche righe mi hanno fatto arrivare un senso di desolazione e squallore abbastanza marcato.
    Una ragazza, Lucia, che non sta bene con se stessa e il suo corpo, che sembra sentirsi viva e felice solamente con atti vandalici o ingannando e derubando persone indifese.
    Tiziana e Giorgio, la mamma di Massimo e il padre di Lucia, l'una troppo assente e distratta, l'altro violento e autoritario, che vengono chiamati per nome, non per mostrarci una vicinanza coi figli, tutt'altro, per rimarcare uno scollamento generazionale drammatico.
    Non hai scritto niente di nuovo, ma lo hai scritto molto bene.
     
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    Una storia pruriginosa,fastidiosa, da labbra storte e grigno infastidito.
    Non si fanno odiare, i tuoi protagonisti... più che altro si fanno evitare.
    Si, come quelle persone contro cui non hai nulla, eppure sai che stanno trafficando qualcosa che non vuoi proprio sapere.
    Due vite rovinate in buona parte dall'indolenza e per cui, forse, nemmeno speri esista una redenzione. Due dimenticati.

    Credo non sia stato facile utilizzare personaggi che vivono in queste vita da "mezzi toni", sbiaditi, sporchi, insofferenti...
    Per cui, devo farti i complimenti: la storia ha avuto effetto!
     
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    Una storia potente, una scossa che arriva dritta dove deve. Si può dire bella di una storia che parla di tanto squallore e degrado? Sì, io credo proprio di sì.
    Ottima la caratterizzazione dei personaggi, la descrizione degli ambienti e soprattutto degli odori che filtrano dalle parole e rendono un gran servizio alla lettore. Ci si immedesima leggendo. La scrittura è pulita ed essenziale non affonda mai la lama, tanto la situazione è già di per sé eloquente.
    Mi è piaciuto moolto
     
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    Regina di cuori

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    Un racconto che fa riflettere su mali esistenti che non vogliamo vedere eppure potremmo averli accanto a farci sconvolgere la vita, un disagio ben evidenziato dai comportamenti dei due che ridono soddisfatti alle loro malefatte.
    Anche le famiglie tra indifferenza e autoritarismo violento hanno delle responsabilità a riguardo.
    Buon testo!
     
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    Soldato semplice

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    Una storia difficile da raccontare, ma tu hai saputo farlo in maniera eccellente.
    Hai evidenziato in modo molto coerente e decisa i personaggi di questa storia.
    Queste vite allo sbando fatte di violenza contro gli altri e contro se ste stessi, i piccoli furti, la ricerca dello sballo a tutti i costi sono elementi
    che raggiungono il lettore in maniera diretta, ma senza eccessi e danno modo di riflettere.
    Ottimo l'inserimento incipit- excipit.
    Complimenti.gif:
     
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    Anche questa una bella prova. Achillu si pone un obiettivo e lo raggiunge.
    Scrive la storia dalla visuale di chi, a causa del consumo di diversi tipi di droga perde la cognizione del tempo e dello spazio, pronto a rinunciare a ogni briciolo di dignità per potersi mantenere il vizio.
    Il ritmo è cardiopatico, schizzato, e lo è per tutto la durata del racconto, e il lettore si costerna, si indigna, s'impegna e poi getta la spugna davanti a una realtà assai più comune di quanto ci rendiamo conto.
    Il viola vomito suona male, un tifoso della fiorentina o uno che fa viola di cognome potrebbero insultarti, ma suppongo che sia un accostamento infelice dovuto al fatto che la tipa è bulimica è vomita tutto quello che mangia.
    Bravo Achi.
     
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    Penna d'oca

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    Il titolo mi ha dato una certa sicurezza. Preciso, ordinato e se posso persino maniacale. Ai nostri giorni si dice buon giorno o buona sera. Buon pomeriggio lo usano ancora le persone di una certa. Quindi entro con serenità nel racconto, subito ho dei forti dubbi di non comprendere. Mi allarmo, ma continuo. Alla fine ho dedotto che è uno stato confusionale di adolescenti strafatti di una periferia del centro Italia.
    Scontro generazionale, classico del periodo. Il racconto mira proprio al caos cerebrale che staziona nei due poveretti, bombardati da stupefacenti e non solo. Lo stile e la struttura, sembrano inesistenti, ma hanno una logica cruda e vera. La parlata maccheronica evidenzia ancora di più il disagio, e le azioni dei due stimolano il lettore a riflettere. In ed Ex pertinenti.
     
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    Storia cruda e di disagio giovanile, indubbiamente ben scritta, colpa mia che sono poco ben disposta all'argomento droga e disagi vari in questo momento, per cui la storia mi entusiasma poco. Indubbiamente, in ogni caso, un buon lavoro. Bye. :)
     
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    Penna d'oca

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    Il racconto mi è risultato di difficile lettura, ma così dev’essere, per rendere il pensiero della narrante, Lucia. Una storia veramente triste, ma purtroppo verosimile, che fa stare male. Si percepisce pienamente il disagio in cui versa Lucia, ormai schiva della droga e della bulimia. Ben narrato l’episodio dello scippo ai danni dell’anziana, con tutta la tecnica preparatoria. Ben tracciata anche la figura di Tiziana, la mamma di Massimo, con la sua vacuità. Nel complesso un buon lavoro. Qualcuno ha trovato insolito il color viola vomito: evidentemente non gli è mai capitato di vedere, per strada, il vomito di qualche ubriaco di barbera o simile.
     
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