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Giancarlo Gravili
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Dio della penna
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In morte...
E giaci ora inerme nel tuo spazio per un futuro che non sa Giaci tra legni rozzi e travi senza cuore e chiodi arrugginiti serrano il piombo…
Va il becchino a consolar il fosso e terra salta un badile va e l’altro viene e tu non sei
Piange un tizio con un martini on ice in mano brinda e non sa perché Suona la banda jazz dimenticati e un ritornello s’infila pe i platani dormienti e scuote i larici e gli abeti e lascia muti e tristi pur i cipressi
E giaci ora ascoltando suoni lontani immagini rubate voci interpretate Ma non senti Come puoi sentire oramai Tu morto tra i morti che nei vivi eri pur morto?
E giaci nudo di pelle cotta dai mali dai veleni e giallognolo appare il viso e scarti la confezione del tuo corpo e litighi con il becchino e urli dicendo il tuo nome
Ma chi t’ascolta? Il vento forse? Il tizio che beve martini? Una pagina d’un libro rubato?
Urla pure che niun ascolta e declama nel viaggio tutti i compagni e chiedi a ogni voce d’urlare e ti scuoti Tu morto nei morti…
Un corteo funebre s’avvicina e una dopo l’altro s’ammucchiano i legni sepolcrali uno sull’altro nella strage dell’uno e del molto e un nome non si scrive e cento se ne sussurrano e una è la lapide Bianca spoglia
Piantata la felce Acceso un lume Una scritta inesistente adorna il mausoleo e gli uomini in silenzio sfilano fra cipressi e la banda suona jazz serale e la pioggia ti saluta ticchettando sulla nuda terra e vive la felce piangendo nomi che non sa
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