Scrittori per sempre

Votes given by allerim 4

  1. .
    Messaggio filosofico? Forse sì, con quel titolo a caratteri cubitali, ma leggendo i versi si nota un senso di abbandono, la polvere accumulata e la mancanca di qualcuno che è andato via, per cui le immagini che l' autore riceve appaiono distorte, slabbrate.
    Queste le mie sensazioni personali. Ciao Vlad.
  2. .
    Esatto! Forse diciamo la stessa cosa poiché io stesso sono migliorato e nella scrittura e nei commenti, grazie a voi. Ho acquisito coscienza critica sia verso i miei scritti che verso quelli degli altri. Tutte qualità che prima non avevo. E a volte mi pare di "vivere" solo su SPS, perché negli altri concorsi letterari d'Italia, non sempre importanti, spesso mi schianto.
    Insomma, non ci sono sempre ma ci sono. E non posso accettare che di SPS mi rimanga solo una maglietta rossa. Ribadisco: che piaccia o no, nel mio piccolo, io ci sono.
    Vlad , grazie per il confronto, leggerò e commenterò con attenzione qualcosa di tuo. Anche "soli lettori", o no?
    Buonanotte e, veramente, è stato un piacere.
  3. .
    Nel complesso mondo degli haiku, questo tuo bel componimento si potrebbe definire un haiku moderno (gendai) grazie al verso che contiene la metafora della morte, anche se rispetta lo schema 5-7-5 e l'osservazione della natura. Dell' haiku classico è presente il kigo, riferimento stagionale, anzi ne vedo due: foglie gialle (autunno) e vento freddo (autunno o inverno),ma manca il kireji (trattino) che indica uno stacco o cambiamento di scena. Quello che emerge è l'emozione che può scaturire da tre soli aprendo tutto un mondo al lettore e che implica una passione o addirittura un innammoramento della poesia orientale da parte del poeta. 3_3 Piaciuto.
  4. .
    rende una buona immagine, ma pur rispettando le regole non è un vero haiku
    manca il riferimento al tempo o alla stagione
  5. .
    CITAZIONE
    Faccio solo un breve intervento, giusto per dovere di chiarezza.
    Tas è un concorso per trilogia, renderlo anonimo sarebbe stato piuttosto ridicolo visto che dopo il primo step gli autori si sarebbero palesati.
    Gli altri concorsi resteranno tendenzialmente anonimi proprio perché nel sondaggio non c'è stata una vittoria schiacciante della fazione no anonimato.

    Beh, bastava non pubblicare la classifica parziale dopo il primo step e farlo all'ultimo. Non conoscere la propria posizione avrebbe permesso peraltro a ciascun concorrente di crederci di più fino all'ultimo e quindi di impegnarsi maggiormente e in questo modo magari di cambiare le carte in tavola. Mia opinione, sia chiaro.
    CITAZIONE
    Se riconosciamo il valore della critica a livello di crescita, cosa ci frega se il nostro racconto è anonimo o meno?
    Se crediamo che il commento di Petunia al racconto di Tommasino sarebbe diverso in caso di anonimato allora siamo in malafede. Noi, non Petunia.

    Scusa, ma questa volta dissento. Come avevo postato in precedenza, a mio parere più che l'anonimato dell'autore, il problema sono i commenti.
    Se io leggo venti commenti negativi a un'opera è logico che questi influenzino le mie decisioni. Quello delle recensioni positive o negative è un meccanismo ben collaudato, e funziona a livello di selezione, soprattutto in rete, inutile nascondersi dietro un dito.
    L'altra sera, dopo aver letto peste e corna di un ristorante palestinese su T... mia moglie mi aveva diffidato dall'andarci. Una volta tanto mi sono impuntato (dato che conosco il proprietario, arabo e comunista, e la sua serietà) e abbiamo mangiato benissimo. E pertanto forse le cattive recensioni non erano dovute alla bontà o meno della cucina, ma al suo essere arabo e comunista.
    Ciò che la gente dice e pensa ci influenza in modo positivo o negativo. Forse si dovrebbe oscurarli i commenti e magari aprire dopo un forum per discutere degli stessi. La risposta alle altrui osservazioni richiede poi uno sforzo che forse potrebbe essere indirizzato in attività più proficue per il forum, come questa discussione, ad esempio.
    Mia opinione, sia chiaro. Buona serata a tutti.
  6. .
    Onestamente , ci ho capito nulla . Scoordinato . Chiedo scusa ma davvero , io ci ho capito che è confuso .
  7. .
    Nella scrittura lasciamo sempre traccia di noi, del nostro umore, dei nostri sentimenti. Penso sia inevitabile. Ti commuovi rileggendo quello che hai scritto tempo fa. Trovo che tu sia fortunato e sensibile.
    Non mi è mai successo di commuovermi rileggendo i miei scritti, però devo confidarti che trovo molto consolante rileggere alcune mie poesie. Ogni tanto lo faccio e riesco a ritrovare sensazioni ed emozioni che credevo perdute.🤗🌸
  8. .
    CONOSCO LA STRADA

    Hai grandinato sul mio cuore
    E ora non rimane che acqua fredda
    Nel mattino livido
    batte piano rintocchi di tristezza

    Ricordi di luce, di spazi
    infiniti polmoni d’aria riserva di vita
    Hai piovuto sulla mia sete
    sorsi di bellezza

    Respiro silenzio, sangue rappreso
    chiusa nella mia scatola verde
    di profumo stantio

    Conosco la strada
    tante volte l’ho calpestata
    anche tu mi hai calpestata
    e ora finalmente sola
    riprendo il cammino

    Inviato tramite ForumFree Mobile

  9. .
    Pantuzzo

    Pantaleone aveva sempre detestato il suo nome. In bilico tra il nome di una maschera della commedia dell’arte e quello di un animale simbolo del coraggio e della forza al quale non assomigliava ne’ per per l’una né per l’altra caratteristica.
    In realtà aveva sempre pensato di essere stato adottato: nessuno dei suoi parenti, avoli o trisavoli si chiamava così.
    Ai tempi della scuola i suoi compagni lo avevano ribattezzato con rito solenne bagnandolo a turno con urina fresca, “pantapuzzone” abbreviato successivamente (e fortunatamente) in “Pantuzzo”.
    Col tempo si era affezionato a quel nomignolo e ormai solo l’anziano parroco del paese conosceva il suo vero nome. Gli aveva spiegato che si trattava del nome di un gran santo e che doveva ringraziare i suoi genitori di averlo chiamato così; ma ormai per il mondo intero era Pantuzzo e a nulla erano servite le sue prediche.
    Pantuzzo non aveva avuto fortuna nella vita, era rimasto presto orfano e non aveva potuto finire le scuole. A malapena aveva imparato a fare la sua firma in uno stampatello stentato e viveva da indigente ospite delle strade del suo piccolo paese di provincia, sostenuto dalla carità di qualche passante e da qualche lavoretto che saltuariamente gli veniva offerto.
    Negli ultimi tempi in paese era arrivata la “raccolta differenziata” e a lui veniva spesso richiesto un aiuto per dividere correttamente la nettezza. Con quel lavoro riusciva a raggranellare qualche spicciolo e anche a mangiare frugando tra i rifiuti alimentari.Il destino di Pantuzzo sembrava praticamente già segnato. Prima o poi qualche brutto malanno se lo sarebbe portato via. Ma la vita aveva in serbo altri piani per lui.
    Era una sera di novembre, di quelle serate che sono un anticipo d’inverno, fredda, piovigginosa. Le giornate si erano parecchio accorciate. Pantuzzo se ne stava rannicchiato in un angolo di una stradina interna del paese. Una delle signore che di tanto in tanto richiedeva i suoi servizi per dividere l’immondizia, gli aveva fatto notare che la sua presenza sulla strada principale era imbarazzante e che, per il decoro del paese, sarebbe stato meglio se si fosse spostato in un’altra zona più “discreta” .Lui, da uomo mite e non volendo dispiacere alla sua “datrice di lavoro”, aveva accettato di rendersi invisibile e di cambiare strada.
    La pioggia era leggera, di quelle che lentamente ti inzuppano i vestiti e ti penetrano nelle ossa e già brividi di freddo gli correvano lungo la schiena. Era seduto, le gambe distese mostravano i piedi calzati con scarpe fuori misura, almeno due taglie più grandi del necessario. La testa reclinata cercava il ristoro di un sonno che lo avrebbe distolto dai crampi della fame. Poi la vide. Nel buio, la sagoma di una donna che camminava rasente al muro. Ebbe la sensazione chiarissima che temesse di essere vista. Di sicuro non aveva notato la sua presenza quando, con la rapidità di un ratto, poso’ a terra il sacco che teneva tra le mani prima di lanciarsi in una corsa colpevole verso un’automobile che evidentemente l’aspettava dietro l’angolo e che parti’ a gran velocità.
    Pantuzzo si strinse nel cappotto logoro, non era curioso, sapeva bene che per campare a lungo avrebbe dovuto farsi gli affari suoi, ma ad tratto ebbe la sensazione di vedere il sacco che si muoveva.
    “Almeno li dovrebbero lasciare liberi gli animali, penso’ tra se e se’. Ci pensa la strada a fare la selezione.. certe persone sono davvero delle bestie” e così, pensando di liberare un animale di cui la donna si era disfatta, decise per una volta di derogare ai suoi principi.
    Quando sollevò il sacco, si rese conto di avere le mani imbrattate di sangue ed ebbe paura. Poi vide di nuovo quel movimento..
    Quando apri’ l’involucro si trovo’ davanti ad una massa informe e sporca. Un conato di vomito gia’ gli riempiva la gola, quando si rese conto che quello che teneva in mano era un bambino. Una manina
    di bambola si aggrappava alla vita coi pugni chiusi in una lotta che stava perdendo. Pantuzzo aveva il cuore in gola, disperatamente cercò
    di riscaldare quella piccola vita. Uso’ tutto ciò che indossava per coprirla e pulirla. Le alitava il suo calore mentre cercava inutilmente aiuto.
    Lo trovarono la mattina dopo, nudo, freddo di morte, ma quando spostarono il suo corpo rigido, videro che proteggeva un fagotto di stracci, i suoi vecchi abiti logori dai quali proveniva un flebile vagito.

    Nessuno si imbarazzo’ quando il Sindaco decise di cambiare il nome alla la strada principale del paese che da quel giorno non si chiamo’ più via Garibaldi eroe dei due mondi, ma, orgogliosamente Via Pantuzzo (eroe di strada).

    Inviato tramite ForumFree Mobile

  10. .
    «Ciao, sei nuova? Non ti ho mai vista prima d’ora.»
    La voce mi arriva come una botta in testa. Mi scuoto, voltandomi nella direzione da cui è venuta.
    Non vedo nessuno. Anzi, non vedo niente. È come se fossi nel vuoto.
    «Ho capito, sei appena arrivata.»
    Di nuovo la voce. È frustrante sentire e non vedere. Comprendo l’infelicità di certe persone.
    «Rilassati, a breve capirai cos’è successo.»
    Già. Cosa? Dolore. Grida. Risate. E tante mani su di me. Le loro risate, le mie grida, il mio dolore.
    «Mi hanno uccisa…»
    Le parole escono da sole e si materializzano davanti a me, in un luccichio di rosso e oro, poi si dissolvono e noto una forma umana indistinta.
    «Eri una donna, dunque. Vuoi parlare? Ho incrociato altre anime come te, hai capito dove siamo?»
    Scuoto il capo. No, proprio non ho capito.
    «Questo è un luogo di sosta, in attesa del ritorno.»
    Il terrore di quel momento mi assale. «Non voglio tornare» sibilo.
    Stai ferma, cagna infedele, non hai scampo.
    «Non voglio tornare. Ero sola nella capanna, mi hanno presa con la violenza in sei, fino a farmi morire. Uomini della mia tribù.»
    «Sai perché l’hanno fatto?»
    «Domani è Natale e avrei dovuto recitare con altri bambini alla missione di suor Mirya, ma sono femmina e per loro è un’offesa mettermi al pari dei maschi. E poi avrei parlato della nascita di Gesù. Lo considerano un tradimento, così mi hanno punita come vuole il loro credo.»
    «Quanti anni avevi?»
    Mi sto lasciando andare. «Tredici.»
    «Hai buone possibilità di tornare presto. Di certo prima di me, magari proprio domani.»
    «Non voglio!»
    «Non ricorderai nulla. Ho detto domani, ma qui il tempo non esiste; mi accorgo che passa solo quando parlo con qualche altra anima, come ora. E ogni volta che è Natale, uno di noi rinasce.»
    «Uno all’anno?»
    «Siamo senza tempo, è Natale in ogni momento. Ora ti lascio sola, vedrai che sarà un attimo…»

    Piango. Sento che intorno a me sta cambiando tutto. Dolore. Grida. Risate. Gioia.
    «Eccola, è una bimba! Proprio il giorno di Natale. Che regalo ti sei fatta…»
  11. .
    Simpatici i vecchietti e interessante la lezione sui tatuaggi: confesso che, al di là dell’immaginare che mettersi dell’inchiostro sotto pelle non possa fare molto bene, non sapevo niente di tutti i pericoli nascosti di cui hai parlato. Credo che mi informerò un po’, dato anche il lavoro che faccio.
    Detto questo, però, la commistione “amici al bar” e “lezione” non riesce benissimo, suona un po’ innaturale e forzata.
    Occorre una revisione della punteggiatura. Ti segnalo inoltre che “due coppie di fratelli che hanno sposato una coppia di sorelle” fa in totale quattro maschi e due femmine…
    Comunque, racconto simpatico e vivace.
  12. .
    Andrò controcorrente ma a me non è piaciuto. La padronanza di linguaggio è indiscussa, ma la sensazione è quella di non aver letto un racconto. L'autore sa scrivere bene, e se l'ho individuato è stata la mia prima scelta nello step precedente. Prendendo invece a prestito le parole del mio giudizio sulla sua prima prova qui su Ink a me sembra di trovarmi di fronte a un esercizio di stile fine a se stesso. Forse è un limite mio, sono troppo tradizionalista, ma uno stile del genere lo trovo respingente, poco accogliente. Detto questo, ripeto che il saper scrivere dell'autore non è in dubbio.
  13. .
    Si svegliò fradicia di sudore. Leggeri brividi di freddo scolpivano la sua pelle che anche sotto le coperte non non riusciva a trovare calore.
    D’istinto chiese a Siri che ora fosse e la sua voce in versione maschile le rispose con tono quasi paterno: “sono le quattro del mattino, e’ ancora presto!” Quella dannata applicazione riusciva ancora a stupirla, come diavolo poteva avere idea di cosa fosse presto o tardi? Comunque ringrazio’ il cielo che fosse così presto e rannicchiandosi più che poteva, si girò dall’altra parte per ritrovare un sonno ristoratore.
    Le immagini continuavano a danzare davanti ai suoi occhi, storie di altre vite, compleanni, baci appassionati, panorami mozzafiato. Terre sconosciute, volti sconosciuti la prendevano per mano e ognuno voleva attenzione, ognuno desiderava portarla con se nel proprio mondo.
    Fu un attimo. Sentiva l’aria pungente pizzicarle il viso. Il corpo non aveva peso e si librava leggero nell’aria. Aspre vette innevate si ergevano possenti sotto il suo sguardo meravigliato. Non aveva paura, sentiva il cuore pompare con un ritmo che non le era familiare. Ancora pochi istanti e sarebbe stata sulla statua della Libertà . Lei era li’ che l’aspettava da tempo. Ma si, era stato più facile di quanto avesse mai immaginato. Si domandò per quale motivo avesse atteso così tanto a viaggiare verso l’America. Era così fantasticamente grande e piena di colori che doveva bersela d’un fiato con la sete che si ha dopo una corsa nel deserto.
    Già ...il deserto l’attendeva al buio, il tempio di Hatshepsut si stagliava nella notte gravida di stelle. Una musica tribale reclamava la sua attenzione. Quella che la colpiva maggiormente erano le mani delle donne che impastavano abilmente focacce in misere ciotole sbreccate mentre occhi avidi controllavano ogni mossa pregustando la sazietà che avrebbe donato loro quel semplice cibo. Un croupier inamidato la scosse dai suoi pensieri invitandola a fare il suo gioco. Rosso o nero? D’istinto preferì il rosso che le ricordava il colore del tramonto che tanto amava, ma il nero dilagò fino a risucchiarla nel vortice della pallina che impazzita, la scaravento’ a bordo di una canoa. Le rapide si avvicinavano e la gente gridava accesa dall’adrenalina poi un grande salto e spruzzi che le intrisero gli abiti e I corpo fino al midollo. Non si era maI divertita tanto..
    Alzo’ gli occhi al cielo con un movimento che le era familiare. Nuvole di ogni forma e dimensione l’avvolgevano in un soffice e leggero abbraccio.
    Caspita, non era la sua vita quella. Non era neppure un sogno, ne era certa. “Ehi Siri, dove sono?” - Una voce calda uscì dal suo IPad : “Benvenuta nel cloud”. Allora tutto le fu chiaro. Come sempre ringrazio’ il suo amico virtuale, ma quella mattina non fu il solito “grazie Siri”. Le parole uscirono dalla sua bocca leggere e decise come non mai: “Addio Siri”. Aveva deciso di vivere la sua storia e Siri non le avrebbe certo detto che era ancora presto.

    Inviato tramite ForumFree Mobile

  14. .

    Canto di cigno nel lago del tempo.
    vert


    Rideresti di cuore
    se conoscessi i miei sogni.

    Per venire a te,
    che hai acceso di luce
    i miei ultimi sogni,
    indosserei un abito stinto
    dall'alito caldo del tempo,
    portando con me
    racconti racchiusi
    in ampolle di vetro.
    Verrei a lasciarti
    il mio lento respiro,
    preghiere in voci
    di antiche brezze,
    profumi di mare,
    campagne silenti,
    visioni di stelle
    e frammenti di sogni
    per fartene dono.

  15. .
    «Certo che le cose non sono nette. Come fanno a esserlo? Non potranno esserlo mai. Per questo uno non dovrebbe giudicare dalla prima impressione. Anche se tante volte la prima impressione non è così sbagliata. Ecco, capisci cosa intendo? Insomma, è sempre un po' tutto e il contrario di tutto, nella vita. Per questo quando ti dico che sei noioso, io comunque ti amo, lo capisci questo, vero?»
    Flavia ha grandi labbra e piccole mani.
    Mani sempre calde.
    All'inizio pensavo che fosse una gran botta di fortuna, specialmente dopo Elena che aveva mani gelate come la morte in qualunque stagione, lunghe come tentacoli. Sempre infilate dappertutto.
    Ma Elena è il passato.
    Flavia lo sta diventando.
    «Quindi scusami, Arturo, ma sabato al matrimonio ci vado con Lucia, almeno lei si diverte e io anche. Sei noioso, amore, ma come fai a non accorgertene, dico io…»
    Mani fredde, cuore caldo.
    Santa saggezza popolare.
    Quindi, con le mani calde non si fa un grande affare.
    E poi di essere noioso lo so dalle elementari, insieme a spocchioso e saccente. Se la lascio andare avanti, mi rinfaccerà anche questi ovvi difetti, ne sono certo.
    Come se non ci convivessi da una vita.
    «Certe volte mi sembri autistico, lo sai?»
    Eccola qui, che si gioca la carta delle mie paranoie, confessate in un momento di debolezza post coito. Cretino.
    «Cosa c'è che non va, nella tua testa, Arturo? Ma possibile che non te ne frega mai niente di niente?»
    Forse è il momento di dire qualcosa. E sono certo che se me ne importasse anche solo un po' più di niente, avrei tutto pronto e cristallino nella mia mente, parole ordinate pronte a rimettere al suo posto anche Flavia.
    Flavia. Ma poi che nome di merda è, Flavia?
    Un nome che, francamente, mi sono anche stufato di pronunciare.
    «Ma vedi che ho ragione io, allora? Di me non te ne frega niente.»
    Flavia singhiozza, e io la guardo. Quando piange diventa davvero bruttina, le si formano subito delle chiazze rosse sul viso distribuite a caso, abbastanza impressionanti.
    No.
    Flavia è stata una pessima scelta. Meglio farla finita in fretta.
    «Ma tesoro, cosa dici? Vieni qui tra le mie braccia, su.»
    Si getta sul mio petto appena finisco di parlare.
    Mi illude che tutto sommato potrebbe funzionare.
    Ma è un attimo.
    «Sei cattivo, con me.»
    E niente, questa ennesima ovvietà mi fa prudere le mani che le stringono la testa.
    Il collo cede con un crack quasi musicale.
    Peccato. Il nome non era un granché, ma Flavia era una figa pazzesca.
    Peccato sul serio.
    Va be', sarà per la prossima.

    Edited by B&S - 11/5/2019, 21:56
83 replies since 5/7/2013
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