La compagna di scuola

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    Dio della penna

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    LA COMPAGNA DI SCUOLA

    In quell’età in cui i miei amici già andavano a donne, mossi da un istinto cieco ed indifferenziato, io avevo indirizzato quello stesso istinto su di un unico oggetto dal quale avevo preso una distanza di sicurezza per poterlo conservare a lungo al mio desiderio di adorazione.
    In altre parole più esplicite: mi ero innamorato di una mia compagna di scuola alla quale parlavo del mio amore solo con gli sguardi. Poi, a casa, davo sfogo ai deliziosi tormenti trasformandoli in versi appassionati.
    Anche lei era diversa delle altre: per questo l’avevo scelta, d’altra parte. Solo lei si prestava a fare da regina al mio cuore di poeta con il suo atteggiamento distaccato, forse un po' sdegnoso. Non aveva legato con le altre ragazze della classe che parevano tanto più piccole e sciocchine di lei. Non facevano che ridere, parlare di maschi e scambiarsi bigliettini. “Farfalline fatue!” pensavo io di loro con disprezzo. E tutti quei loro tentativi di sembrare più donne mi parevano patetici. Lei invece, che pur non si truccava ed aveva capelli lisci, poco curati, era già donna. Una donna triste però, che veniva a scuola solo per seguire le lezioni.
    Io, su quella sua ombra di tristezza accentuata da occhiaie bluastre (che le davano per altro un che di romantico e di signorile), amavo fantasticare. Mi parevano come il segno di una infelicità nascosta, di qualche drammatica vicenda famigliare o di una visione pessimistica della vita.
    A quell’epoca adoravo Leopardi e mi piaceva piangere di nulla o meglio su quel Tutto, indifferente al dolore dell’uomo. La sua tristezza quindi gettava un ponte tra la sua anima e la mia senza che ci fossimo mai detti niente.
    Io la guardavo molto, questo sì. Eravamo a due banchi di distanza ma sulla stessa fila così che mi bastava voltare la testa a sinistra per avere di fronte il suo bel profilo. Facevo incetta di ogni sua espressione, mentre lei seguiva le lezioni, per caricarle di significato, per interpretarle dopo, a casa mia, nelle ore del pomeriggio quando lei era con me solo sotto forma di ricordo.
    Non sapevo chi fossi io per lei. Era difficile dirlo. Sarei potuto essere uno dei tanti compagni, cancellato dall’indifferenza con cui lei guardava il mondo. Oppure sarei potuto essere uno che si stagliava per quegli sguardi ardenti che attraversavano la classe per posarsi su di lei. Oppure, qui il mio cuore accelerava, sarei potuto essere quell’uno che anche lei aveva atteso, quell’anima gemella, affine, boy- scout dell’ignoto, poeta dell’ombra...
    Il fatto che non si fosse mai rivelata, neppure con uno sguardo, non era un segno negativo. Anzi: era coerente con il suo essere regina solitaria. Se lo avesse fatto sarebbe scesa dal trono e, forse, l’avrei amata meno. Uno dei miei compagni, un giorno, aveva provato a farle un complimento e lei lo aveva gelato con il suo sguardo azzurro, senza rispondere. La mia gelosia non aveva neppure fatto a tempo a prendere quota e mi ero sentito orgoglioso di lei e di come lo aveva liquidato con classe. Gli altri non osavano neppure avvicinarsi. D’altra parte non erano tipi da perdere tempo in corteggiamenti inutili. Con tante ragazze che “ci stavano” perché farsi umiliare da una sdegnosa?
    Si stava avvicinando l’estate e già piangevo al pensiero dell’incombente separazione, quando una sera, rientrando tardi a casa, il mio cuore si è fermato mentre i miei occhi riferivano ciò che avevano visto: lei, la mia regina, la bella, l’ineffabile, l’intoccabile, la pura, la sdegnosa, l’irraggiungibile, stava passeggiando, in minigonna attillata da cui spuntavano stupende gambe di carne giovane, esposte al pubblico. Mancava solo il cartellino con il prezzo, appeso al collo.
    Non andai più a scuola fino alla fine dell’anno, dandomi malato per la famiglia. Non reggevo a vederla. Ma l’ultimo giorno mi appostai e quando mi passò vicina, bella come sempre, con le sue occhiaie bluastre di cui ora conoscevo l’origine, con uno di quei gesti che i poeti infuriati amano, le buttai in faccia il quadernetto delle mie poesie, dicendole: “Prendilo, mignotta e accendici un falò per riscaldarti il culo quando batti.”
    E con questo nobile gesto uscii dalla sua vita.
     
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  2. Grace K
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    Che colpo di scena! Mi è piaciuta molto la descrizione iniziale, sembrava di leggere una poesia.
    Poi però la cruda realtà, quella ci sbatte a terra dopo aver vagato a lungo tra le altezze dei sogni.
     
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    Ti ringrazio molto mia cara Grace per la lettura e il commento, beni preziosi tutti da apprezzare in un forum per scrittori.
    Ho fatto il solito finale frettoloso ma ci stava . Serve a sottolineare la differenza tra la poesia del sogno e lo scontro duro e crudele con la realtà spiazzante.
    Felice di ritrovarti, ogni tanto qui.
     
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    Eccomi non potevo lasciar da sola voi madonna Lycia... dopo consulto moglie... ubi maior minor cessat.
    Quando il cuore rende cieco il guardare logico il sopravvento prende l'indefinito pulsare giovanile che nel fremere suo irruente come un fiume in piena oscura il circondario e pure il corollario degli oggetti animati d'intorno.
    Ah benedetta gioventù che del foglio riempisti righi e così notte e giorno non veggo che lei in onne luogo.
    Mio adorato amor terreno e sopraterreno e pure metropolitano
    veni a me vicino senza chi'io te possa sfiorare 'sì che tua beltà tal rimanga in ardente cor mio.
    Tu sie purezza e gaiezza di fonte sacra, in te lo sentimento aura emana di perfezione.
    Vorria esser tuo scudiero per l'eterno e declamar versi soavi.
    "Va mia libellula amorosa,
    per valli e monti.
    Va mia regina prosperosa che mai sul fior riposa.
    Va pel dove volan i desii.
    Va pel fior di pesco di cui tu sie tanto ghiotta,
    va... va...
    Ma va a morì ammazzata brutta mignotta!
     
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    Bentornato e grazie a Tiziana!
    Divertentissima trasposizione del modesto raccontino. Mi ha fatto ridere. Sei impagabile.
     
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  6. Esterella
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    Dalla delicata visione di un sogno poetico si passa alla cruda realtà. Hai descritto molto bene i sentimenti di lui, però a me è mancato quel qualcosa che farebbe comprendere il motivo per cui questa principessa triste diventa altro: necessità, costrizione,puro piacere o altro. Beh, a me piace pensare che la ragazza fosse costretta e che quando lui le ha lanciato le poesie se le è strette al cuore, una mia interpretazione personale che nulla toglie al tuo racconto. :tappeto.gif: :appaluso:
     
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    Mi piace Esterella il tuo seguito. E' vero lui è spiegato bene nelle sue emozioni di ragazzo sognatore ma lei rimane poco spiegata. Forse il suo distacco, la sua freddezza, l'infelicità, l'incapacità di accorgersi dell'amore di lui, possono far pensare ad un mondo di disperazione nel quale qualcuno l'ha cacciata.
    Sarebbe bello continuare la storia con lei che raccoglie le poesie e se ne commuove e magari lo cerca e poi...
    Vorresti provare ad andare avanti?
     
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  8. Esterella
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    grazie Lycia sei tanta cara, ma se aspetti tra una decina di giorni sì, adesso sono a breve scadenza dalla festa patronale e ho pochissimo tempo per scrivere, penso che non riuscirò neanche a mandare il racconto per ink che giace ancora abbozzato a penna . ti abbraccio. :tappeto.gif:
     
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    Rispolvero il racconto per i nuovi utenti nel periodo di attesa che l'inkoerenza fiorisca!
     
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    Penna suprema

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    Io, ovviamente, simpatizzo per la mignotta. Potrebbe celarsi dietro la sua nuova immagine necessità e sofferenza. L'apparizione finale la santifico. Per me è una madonnina in minigonna. Oh!
     
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    Conosco le simpatia dei maschi per queste tristi donne. Le chiamo "tristi" per una forma di pietà e di simpatia.
    Anche questa qui, che ha deluso il suo romantico innamorato, messo di fronte ad una cruda realtà, non credo di averla trattata con disprezzo. Ho sottolineato la sua tristezza. Ho trattato l'argomento anche nel mio " Un incontro imbarazzante".
     
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    Penna suprema

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    Be', io ho vissuto una storia vera, raccontata su SPS con poco successo, ma il successo non mi interessava. Il racconto lo conosci, è: Pretty woman. Titolo rubato al celebre film.
     
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    Cara Lycia questo racconto è un piccolo viaggio nel tempo. Uno spaccato malinconico di una società i cui valorii abbiamo irrimediabilmente perduto. Anche lo schiaffo finale oggi sarebbe vissuto quasi una carezza.L’ho letto con piacere
     
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    Credo di avere già commentato un tempo questo tuo scritto. Molto ben caratterizzati i personaggi con una loro coerenza interna. Io non fraternizzo col protagonista e non perché mi senta particolarmente attratta dalle lucciole, ma per una questione di logica. È lui il cretino che idealizza una ragazza senza conoscerla. Lei non gli promette niente e non lo inganna. È quello che è e basta. È lui il violento che la picchia, la insulta senza motivo e la accusa di non essere quello lui aveva in mente. Un violento appunto.
    Preferisco lei.
     
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    Proprio che l'abbia picchiata no. L'ha insultata avendocela anche con se stesso per la propria romanticheria.
    Io "sto" dalla parte di entrambi come mi succede spesso.
     
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