Mettere le ali

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    Scrivano supremo

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    Higgs

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    - Dilah misericordioso proteggimi tu!
    Le risposte all’invocazione furono cattive: il numero degli dei adorati in quel mosaico di regni che costituiva la zona abitabile di Kames era alto.
    - Lasciatela stare: tra non molto tutte noi potremmo ritrovarci a pregare esseri di molto inferiori agli dei.
    La persona che era intervenuta le aveva osservate con grande attenzione, cercando di cogliere ogni minimo particolare di ciascuna; a giudicare dall’aspetto, tutte dovevano essere abituate a un trattamento speciale, fatto di agi e rispetto: lo dicevano i loro abiti, per quanto ora fossero gualciti o strappati, le loro mani morbide e curate, i loro visi dalle sopracciglia perfettamente disegnate.
    L’età media era elevata: questo le rendeva vulnerabili e inadatte ad una reazione decisa.
    Quasi tutte apparivano rassegnate e prive d’iniziativa: dopo lo sgomento iniziale per essersi ritrovate prigioniere in quello stanzone semibuio, vuoto ad eccezione di uno strato di paglia sparso sul pavimento di pietra grezza, la più parte aveva cominciato a piangere senza sosta.
    - E tu chi saresti?
    La domanda era stata posta da una sorta di gigantessa dalla pelle d’ebano, con innumerevoli treccine che le scendevano oltre la vita e labbra tatuate di un intenso colore violaceo.
    L’altra donna, che si chiamava Galha, era l’esatto contrario: piccola, capelli chiarissimi, colorito pallido. Soltanto gli occhi rispecchiavano la sua vera natura e il suo stato d’animo del momento, ma aveva imparato a controllarsi e utilizzare le parole per distogliere l’attenzione altrui.
    Diede la risposta con calma, non rivolgendosi soltanto alla sua interlocutrice, ma comprendendo tutte quante: sapeva per istinto che quella era la strada da seguire e aveva già cominciato a percorrerla.
    - A questo punto quel che sono stata sin qui è del tutto relativo: l’unica cosa veramente importante è chi dovrò diventare da ora in poi. E questo è un discorso che vale per tutte, nessuna esclusa.
    Gemiti soffocati accolsero quelle parole, foriere di nuove sventure: i singhiozzi appena sopiti ripresero con maggior forza.
    Si rivolse con gentilezza alla donna più anziana, cercando di spostare la sua attenzione dal presente che la terrorizzava a un passato che, era facile intuirlo, avrebbe rimpianto amaramente.
    - Mi pare di averti già vista ma non ricordo dove.
    - Ho un ruolo di rilievo alla Corte di Vitlo: sono l’eteregis, colei che presiede le sedute del Consiglio in assenza della regina. Mi hanno catturata mentre svolgevo una commissione per conto di Colbas, il principe consorte.
    La gigantessa dalla pelle scura si intromise con malagrazia.
    - Di cosa state parlando?
    L’altra usò per la prima volta una certa durezza.
    - Ti sei mai soffermata sul tono della tua voce? Sei inutilmente aggressiva, il che mi fa pensare che travalichi assai facilmente il confine.
    - La mia è una rabbia sacrosanta!
    - Che condivido pienamente ma non sfogo su nessuno.
    - Da te solo perle di saggezza, nevvero?
    - Non raccoglierò le tue provocazioni: se il tuo orecchio fosse abbastanza sottile, ti saresti resa conto che, dietro la porta, ci sono delle guardie. Qualora, al posto di lamentele e preghiere, udissero il rumore di una rissa, capirebbero che qui non ci sono soltanto femmine frignanti.
    Il resto delle prigioniere si era raccolto attorno a loro: quando sorgono delle difficoltà, il bisogno di trovare un leader diventa insopprimibile.
    Una giovane si rivolse a quella che sembrava cercare il litigio a tutti i costi: evidentemente si conoscevano, giacché la chiamò per nome.
    - Lamithia, ha ragione: è necessario mantenere la calma.
    La gigantessa le rivolse un’occhiata infastidita.
    Quella che, tra tutte, sembrava avere la migliore visione d’insieme, intervenne ancora una volta a mettere pace: data l’apparente pacatezza, era impossibile cogliere il fastidio che stava provando.
    Galha sorrise alla ragazza e, rivolgendosi a tutte, disse:
    - Quello che eravamo non ha più importanza: ora siamo sole.
    - Dilah misericordioso, proteggici tu!
    La bella giovane ripeté l’invocazione, estendendola questa volta anche al resto della compagnia: non era certo un’altruista ma, se per salvarsi dovevano restare unite, tanto valeva pregare per tutte.

    Il sole di Gelimont, terzo pianeta del sistema Zeliv, stava tramontando in un tripudio di verde cangiante.
    Altre quattro donne entrarono nella stanza dove le prigioniere attendevano ormai da dodici het.
    Indossavano una semplice divisa di pessima stoffa giallastra, parecchio sporca, al pari dei loro visi e delle mani.
    Malgrado la corporatura possente, avevano l’aria stanca ed emaciata tipica di chi è sottoposto ad un duro lavoro e non viene nutrito a sufficienza.
    Si gettarono sul pavimento desiderose solo di poter riposare.
    Lamithia si avvicinò a quella che le sembrò un po’ meno provata, tolse un grosso anello di metallo che portava al lobo dell’orecchio destro, lo aprì e lo scosse leggermente sul palmo della mano, facendone uscire una polvere sottile che avvicinò al naso dell’altra.
    L’effetto fu immediato: malgrado lo sfinimento, la capacità di percezione della donna aumentò e subito si sentì addosso lo sguardo interrogativo delle nuove arrivate che la pungeva come un ago sulla pelle diventata innaturalmente sensibile.
    - Mi spiace sorella, ma abbiamo bisogno di informazioni. Dove ci troviamo?
    - Nel Magek.
    - L’inferno?
    - Anche peggio.
    - Immagino che nostro numero sia molto più alto.
    - Questa è una delle tante celle della zona riservata alle baliches, ma non ci siamo solo noi. Qui vivono creature provenienti da numerosi territori: lavoro fianco a fianco con due gabales dalle sei braccia e molte ropis dalle gambe di giraffa vengono utilizzate per trasportare il materiale estratto dalla montagna nera e dai pozzi, dove si calano invece le fargas dalla statura di bimbo.
    Le lanciò un’occhiata con cui valutò le ampie spalle, i guizzanti muscoli delle braccia, le cosce possenti.
    - Con ogni probabilità, presto ci ritroveremo incatenate insieme a spaccarci la schiena sotto la calura insopportabile, disidratate e speranzose soltanto di morire.
    Lamithia sbuffò in modo plateale e si allontanò: non aveva nessuna intenzione di finire così.
    Visto che l’altra era ormai del tutto sveglia, Ghala le si avvicinò per interrogarla a sua volta.
    - Che mi dici di quelle che non fanno il tuo lavoro perché non sono in grado di reggerlo fisicamente?
    - Le più anziane vengono utilizzate in compiti di fatica che richiedono minore forza e resistenza: occuparsi degli animali, cucinare, pulire e così via. Le giovani e graziose servono a deliziare le notti del comandante prima, dei sottoposti poi. Tu finirai tra queste ultime e, considerata la brutalità degli esseri con cui avrai a che fare, a tuo confronto mi ritengo fortunata.Tranquilla però: se fossi stata tu la prescelta, ti avrebbero già portata via e preparata per la tua prima notte a Dalira, quindi riposati ed evita di pensare.
    Ghala ebbe un guizzo di gioia; le rimaneva un po’ di tempo: si trattava di spenderlo bene prima che fame e vessazioni le togliessero le forze.
    Lamithia si era messa in un angolo: a giudicare dalla sua espressione, l’ira doveva ribollirle dentro ancor più del solito.
    Si avvicinò e le si mise di fronte, si chinò e le sorrise; poi, sussurrando, le disse:
    - Immagino non sia tuo desiderio abbandonarti ad un futuro tanto ignobile.
    - Non ci penso proprio: mille volte meglio una fine rapida.
    - Ti propongo qualcosa di ancora migliore: fuggire e costruirci una nuova vita.
    - E come suggerisci di superare quella porta? Pensi forse di passarci attraverso?
    - Posso convincere chi è dall’altra parte ad aprirla: tu hai i tuoi trucchetti, io i miei.
    Anche Lamithia sorrise: i suoi denti erano incredibilmente lunghi ed affilati.
    - Perché vuoi portarmi con te? Non formiamo certo una coppia ideale.
    - E’ qui che ti sbagli: noi due insieme possiamo fare molto.
    - Noi due? E loro?
    - Meno siamo e più probabilità avremo di passare inosservate, occorre determinazione e coraggio. A te non mancano, l’ho capito subito che sei una guerriera. Loro, invece, sono davvero solo femmine frignanti.
    Quindi abbassò ulteriormente la voce:
    - Non se ne sono accorti, nevvero?
    - Non so di che parli.
    - Così non funzionerà, dobbiamo cominciare a fidarci l’una dell’altra. Non sei una eteregis, non ne hai i modi e neppure l’aspetto.
    - Guardia personale del re, in disgrazia da quando quest’ultimo è stato decapitato. L’unica della mia razza che sia riuscita ad arrivare così in alto: per quelle con la pelle del mio colore tutto è ancora più difficile.
    - Peccato che il travestimento non sia perfetto: nessuno si è accorto che appartieni ai Meawi?
    - Quel popolo non è mai esistito.
    - Lo credevo anch’io sino a quando non ti ho visto e non ho visto questa.
    Con mossa rapida le spostò i capelli, scoprendole il collo all’altezza dell’orecchio: c’era una macchia viola dello stesso colore delle labbra.
    - L’ho notata quando ti sei tolta l’anello: a prima vista sembra una semplice voglia ma è una scaglia, giusto? In realtà tu discendi dall’antica stirpe di Bakilios, il drago delle tenebre di Solfera. Questo non ti rende invulnerabile ma parecchio pericolosa sì.
    - Sai molte cose a quanto pare: perché non mi dici di te?
    - Se la sorte ci sarà propizia avremo tempo per parlarne: ora cerchiamo di uscire di qui.

    Un suono dolce cominciò a fluire nella stanza, trapassando il pesante legno della porta: i due soldati di guardia presero a barcollare.
    Si fece gradatamente più intenso e penetrò nelle loro menti, rendendo fiacche le gambe ed appesantendo gli occhi.
    - Jalice, vieni compagno mio, ho bisogno di te.
    - Kira?
    - Sì caro, sono qui, è tanto che ti aspetto.
    La voce femminile nella mente di Jalice era altrettanto potente della nenia che costringeva il compagno in un sonno profondo.
    Girò le chiavi nella serratura; una lunga lingua biforcuta lo avvolse per il collo non appena fece un passo verso l’interno.
    La stretta mortale non gli concesse neppure il tempo di stupirsi.
    - Uno è andato, pensiamo all’altro.
    Lamithia uscì nel corridoio: le sue unghie erano diventate armi affilate.
    Le passò sulla gola del secondo soldato e la aprì da parte a parte.
    - Troppo sangue, maledizione, si accorgeranno subito che qualcosa non va.
    - Non preoccuparti, ci penso io.
    L’immensa lingua nera tornò al lavoro, lappando e succhiando, ripulendo in breve l’impiantito.
    - Soddisfatta?
    - Dobbiamo nascondere il corpo di Jalice: se una delle prigioniere si sveglia e dà l’allarme è finita.
    - Ho un’idea migliore.
    Lamithia trascinò il corpo all’interno e vi rimase per alcuni minuti: quando uscì le sue labbra erano diventate rosso fuoco e il cuore le palpitava furiosamente.
    - Ti ci voleva proprio un bel bagno di sangue: da quanto non ti abbandonavi al tuo istinto primario?
    - Per quanto ricordo, non era mai successo: ho ricevuto un’educazione raffinata.
    - Muoviamoci: mettere due persone in stato di incoscienza è un conto, farlo con un’intera squadra impossibile.
    Malgrado l’oscurità, Galha sembrava sapere dove dirigersi: percorreva l’abitazione come se la conoscesse da tempo.
    Giunsero all’uscita, la varcarono e si trovarono all’aperto. Percorsero il sentiero che portava alle stalle: non appena si avvicinarono, gli animali diedero segni di nervosismo.
    - Sentono quello che sei.
    - Fino a ora non ho avuto problemi.
    - Fino a ora ti eri trattenuta. Non possiamo rischiare, dovremo andare a piedi.
    - Che direzione?
    Galha scrutò il cielo: le nuvole coprivano le stelle, impedendole di prendere la decisione giusta.
    - Proviamo questa.
    Si mossero velocemente, sino a raggiungere il limite estremo della proprietà, laddove la strada andava a biforcarsi: da un lato continuava verso campi coltivati, dall’altro si inerpicava verso le montagne.
    - E adesso?
    - Adesso cerchiamo di ragionare. La via più facile è la prima: si percorre con minori difficoltà ed è certamente possibile trovare qualcuno disposto ad offrici un passaggio. O, nel nostro caso, visto il tuo aspetto, a obbligarlo a farlo, ma la sostanza non cambia.
    - Nemmeno tu sembri essere al meglio, giovane fanciulla!
    - E’ perché l’illusione sta lasciando posto alla realtà: tra poco sarò del tutto inguardabile.
    Lamithia rise, inconsapevole di quanto l’altra fosse stata sincera.
    Galha proseguì:
    - D’altro canto, questa salita è tale da fiaccare le gambe di chiunque: se sei a piedi e ti inseguono a cavallo, la morte è sicura. Soprattutto dopo aver fatto una strage.
    - Inutile che mi guardi in quel modo: andavano eliminate, no? Tu, piuttosto: prima il buio, ora il bivio; hai fatto intendere di sapere dove siamo e dove dobbiamo andare.
    - Certo che lo so, l’ho capito non appena ho sentito parlare delle miniere, facendo un paio di calcoli in base alla distanza percorsa da dove mi hanno catturata. E ho avuto la conferma da una delle donne, quando mi ha parlato di Dalira. Adesso ci troviamo a circa otto gitag da Svaguda, che è il nome della città più vicina alla nostra prigione e a cui si arriva attraverso la strada. Tuttavia…
    - Tuttavia?
    - A parte il rischio di essere intercettate lungo il cammino sia nell’una che nell’altra direzione, credi che sia opportuno recarci in una zona trafficata?
    - Perché no?
    - Dopo che avranno trovato i corpi delle eteregis metteranno una taglia sulle nostre teste.
    - Perché dovrebbero? Ormai erano solo schiave.
    - Alcune erano vecchie e dunque lasciarle in vita per impiegarle in lavori umilianti che senso avrebbe avuto?
    - Non saprei.
    - Qualcuno desiderava vederle in quelle condizioni e constatare di persona come il nuovo status le avrebbe ridotte. Tu, uccidendole, hai privato quel qualcuno del suo piacere e questo aggrava ulteriormente le nostre colpe.
    - Davvero un ragionamento contorto.
    - Come le menti degli invidiosi e dei funzionari di corte in particolare.
    - Ben detto. Ma torniamo a noi: cosa facciamo?
    - Se seguiamo la via della montagna, arriveremo a una grotta che ospita un vecchio: lui ci indirizzerà verso una zona sicura.
    - Hai parlato di un vecchio: come fai a sapere che non è morto?
    - Perché siamo della stessa famiglia e le nostre essenze sono ancora unite.
    - In fondo un percorso vale l’altro: se proprio dobbiamo morire, lo faremo combattendo. Quantomeno io: ancora non ho capito chi sei e questo rende un po’ complicato concederti la fiducia che hai chiesto.
    - Ho facoltà mentali particolari: come hai visto, con la concentrazione, sono in grado di ipnotizzare le persone e, entro certi limiti, indurle a fare ciò che chiedo. Posseggo un senso dell’orientamento molto sviluppato e percepisco gli stati d’animo con insolita intensità. Non sono in grado di leggere la mente, ma spesso posso anticipare le intenzioni.
    Il mio aspetto reale non è quello che vedi: sono molto più anziana. So preparare medicamenti e guarire alcune malattie; ho salvato la vita della regina Cales e del suo erede, mettendomi contro i medici ufficiali che avevano dato entrambi per morti.
    - Sei una strega.
    - Così chiamano quelle come me e sempre con una connotazione negativa, ma sarebbe come dire che quelle come te sono inferiori solo per il colore della pelle.
    Lamithia non rispose e cominciò ad arrampicarsi.

    Deve essere vero che audacia e fortuna vanno a braccetto; le due donne furono ampiamente baciate dalla seconda: nessun drappello apparve alle loro spalle, nessun ostacolo interruppe il loro cammino.
    A mano a mano che procedevano, il freddo si faceva più pungente, al pari della fame.
    Ogni tanto Galha osservava con preoccupazione la compagna che la precedeva chiedendosi se la brama di sangue non avrebbe avuto la meglio sull’istinto di sopravvivenza.
    La guerriera era forte ma non brillava certo per intelligenza: spinta dal bisogno, alla lunga si sarebbe convinta di potersela cavare da sola, causando la rovina entrambe.
    La mancanza di energia le impediva di tessere la consueta ragnatela di parole con cui riusciva a tenerla sotto controllo e il suo fisico che diventava sempre più debole.
    Si era fatto buio: distratta da quelle considerazioni, inciampò, scivolò a terra e si ferì una mano sulla pietra aguzza che l’aveva fatta cadere.
    Il sangue cominciò a sgorgare e Galha si avvicinò con un’espressione famelica sul volto.
    - Non fare sciocchezze: è impuro, se lo bevi morirai.
    - Sono così affamata che faccio fatica a non verificare se dici la verità.
    - Finora non mi sembra di averti mentito.
    - Giusto, altro che “più anziana”: sei diventata un rottame che stenta a mettere un piede davanti all’altro.
    - Io non possiedo la tua forza: devo risparmiare la mia per riuscire a raggiungere la meta.
    - Potrei farlo io e poi tornare a prenderti.
    - Dubito che il mio avo ti darebbe ascolto: è piuttosto prevenuto verso gli estranei.
    - Per come stai messa, sarai tu a non arrivare viva ad incontrarlo.
    - Eppure riuscirci è l’unico modo per risolvere la situazione.
    - Forse la tua presenza non è poi così necessaria: posso trovare un valico e, in questo caso, lasciarti indietro diventerebbe ragionevole.
    - Resteresti comunque prigioniera su un territorio dove continuerebbero a darti la caccia: io ti offro la possibilità di ricominciare altrove grazie a un cambiamento definitivo.
    - Non per menare gramo, ma mi sembri allo stremo.
    - Possiamo fare un esperimento. Dimmi, malgrado fatica e privazioni, ti senti ancora molto forte, non è così?
    - Sì.
    - Allora potresti essere tu ad offrirmi un pasto: non ho idea di cosa succederà, ma credo valga la pena di fare un tentativo.
    Lamithia annuì: sapeva che il momento per prendersi la rivincita su quella complice temporanea ed irritante che sembrava sapere sempre tutto sarebbe arrivato: l’importante era pazientare e sopravvivere fino ad allora.
    Si aprì la tenera carne dell’avambraccio in corrispondenza della vena: il sangue zampillò rosso e copioso.
    Galha bevve con avidità, poi si sdraiò, addormentandosi all’istante; l’altra si sistemò a sua volta per passare la notte e cadde in un sonno ancor più profondo.
    Galha si sentì trasportare attraverso lo spazio, superando precipizi invalicabili e cime innevate, giungendo infine ad una spaccatura posta proprio sotto il picco più alto.
    Sapeva di essere in un sogno ma, al tempo stesso, era conscia di vivere in qualcosa di più consistente, ben oltre le tante premonizioni che aveva avuto nel corso della sua lunga esistenza.
    Entrò nella grotta: composto nel ghiaccio, il corpo del suo antenato stava riposando da tempo immemorabile.
    Improvvisamente si sentì debole e incerta: tutta la sua sicurezza era sparita, le tante esperienze fatte completamente dimenticate.
    Si ritrovò persino a dubitare delle parole di quell’uomo un tempo così amato e venerato al pari di un dio, sia da lei che dalle genti di cui era stato capo e guida.
    Si erano scolpite nella sua memoria e si trovò a ripeterle mentalmente, rivivendo il momento in cui erano state pronunciate, quasi a ristabilire un contatto da troppo tempo interrotto.
    - Possiedi potenzialità immense figlia mia e questo potrà portarti grandi vittorie o terribili sconfitte; susciterai amore ma, in misura ancora maggiore, odio e invidia. Evita, per quanto puoi, di mostrare la tua vera natura e per nessuna ragione, neppure la più nobile, metti a rischio la tua vita: non ne vale la pena. Gli uomini tenteranno di imprigionarti perché avranno paura di te: ti useranno e poi vorranno disporre a piacimento delle tue capacità. E ricorda, se un giorno dovessi trovarti nella situazione di dover scomparire, dovrai decidere di abbandonare tutto per sempre, compresa la tua stessa essenza. Spero non sia mai necessario, ma, nel caso, sappi che conserverò parte della mia energia per spiegarti come fare; vienimi a cercare nel luogo che avrò scelto per il mio riposo definitivo e non lasciarti spaventare da ciò che vedrai: guarda oltre l’apparenza che, come ben sai, è soltanto inganno passeggero.
    Quei ricordi la fecero sentire meglio; si avvicinò e gli depose una mano sul petto: gli occhi dell’uomo si spalancarono ed erano del suo stesso punto di azzurro.
    - Ti prego Agise, il più grande tra i maghi, per tutto ciò che ci rende simili, per il rapporto d’affetto che ci legò in passato, per il potere che mi hai trasfuso, sii ancora una volta il mio maestro: dimmi come posso salvarmi dal destino infausto che incombe su di me.
    Il ghiaccio si ruppe ed il vecchio si alzò a sedere, spalancando le braccia. Lei vi si buttò e si accorse di essere ridiventata bambina.
    Lui le parlò lentamente, come si fa appunto con i bambini, in modo che capiscano bene cosa devono fare e come.
    - Ora va: segui le mie istruzioni e tornerai ad essere libera.
    Si sciolse dall’abbraccio e ripiombò nella gelida bara, riassumendo l’aspetto di un cadavere; una lacrima d’addio rigava il suo volto perdendosi nella lunga barba bianca, nata dalla consapevolezza non si sarebbero più rincontrati.
    Galha si svegliò di botto: il sudore stillava da ogni singolo poro della sua pelle malgrado il freddo pungente. Le forze erano ritornate: non avrebbe saputo dire se per effetto del sonno, del sogno o del sangue che aveva ingerito.

    Si avvicinò lentamente a Lamithia, ancora immersa nel torpore in cui l’aveva costretta quando aveva mescolato la saliva al sangue abbeverandosi al suo braccio, alzò su di lei la pietra che aveva raccolto per difendersi da un attacco improvviso e le spaccò il cuore con un colpo secco: l’altra morì senza neppure accorgersene.
    Aveva percepito più di una volta le sue vere intenzioni, sapeva che ormai era solo questione di tempo: il pericolo che rappresentava era mortale e vicino.
    Le si mise sopra e cominciò a divorare l’organo ancora caldo: le sembrava di sentirlo pulsare, trasmettendo a lei la vita di cui era stato portatore.
    Il nutrimento moltiplicò le sue facoltà; la forza di Bakilios si unì alla componente magica ed ella si trasformò in un essere diverso: il suo corpo mutò forma e le spuntarono le ali, vere ali.
    Le spiegò e si allontanò velocemente guadagnando senza alcuna fatica la volta celeste, ben oltre la vetta della montagna più alta, totalmente libera e finalmente invincibile.
     
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    Teropode assennato

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    Oddio, sono un po' spiazzato.
    Il racconto era partito in un modo poi è finito in tutt'altro. Non riesco a dire che mi sia piaciuto, ci sono un po' di cose che non mi quadrano.
    La prima parte è confusa, non sempre si capisce chi sta parlando e ho trovato un po' caotico abbinare nomi a caratteristiche. Peccato perché è quella più interessante, secondo me.
    Dalla fuga in poi diventa tutto più lineare ma anche meno avvincente e un po' vittima del contesto (abilità, talenti, poteri, cose che dall'esterno appaiono un po' "buttate lì").

    Peccato perché ci sono degli ottimi spunti (lo sterminio delle compagne di cella, il rapporto di "fiducia" tra le evase) ma è tutto inserito in un contesto troppo fumoso e con poca cura per la storia in sé.
    Avrei cercato di concentrarmi più su uno dei due aspetti della vicenda (la prigionia oppure la fuga), non entrambi. Il risultato appare troppo poco amalgamato. :)
     
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  3. Foglia nel vento
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    A mio avviso si tratta di un eccellente racconto fantasy con spunti alquanto originali.
    Ben suddivise le tre parti: la prigionia, la fuga, il colpo di scena finale.
    Giusta l'ambientazione per un racconto che non è un Urban.
    Personaggi azzeccati: una fata/strega e una donna-drago.
    La magia è sparsa a piene mani.
    Anche la metamorfosi finale in drago da parte di una delle protagoniste inserisce nel racconto un personaggio tipico del Fantasy (quello che, personalmente, amo di più).
     
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    Penna suprema

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    Piaciuto. Racconto ben scritto e corretto(manca solo un articolo all'inizio, ma è poca cosa).
    Lo rileggerò prima di un giudizio definitivo.
    Che poi...chi sono io per giudicare chi scrive così bene?
    Ti abbraccio.
    Forte.
     
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    Dio della penna

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    Molti di questi fantasy sono molto vicini al genere horror Questo non mi è piaciuto molto ma sono sicura che avrà diversi estimatori.
     
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    Penna furiosa

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    La prima parte risulta un po’ di difficile orientamento e lettura: ho dovuto tornare più volte sui miei passi per districarmi nel dialogo tra le prigioniere e, sinceramente, a un certo punto ho anche lasciato perdere, ho preferito andare avanti a leggere, perché ho pensato che forse avrei capito meglio dopo. Per i miei gusti, ho trovato la scrittura un po’ troppo retorica, mi trasmette una sensazione di pesantezza.
    Proseguendo, nel brano immediatamente seguente la narrazione diventa più chiara e il linguaggio più scorrevole.
    Ho la sensazione invece che anche nel dialogo tra le due donne, dopo che sono scappate, a tratti ci siano dei punti non chiari, forse nell’alternanza delle battute.
    Il seguito si appesantisce di nuovo, per la struttura del dialogo, per le diverse spiegazioni e per il linguaggio.
    Credo che ci vorrebbero una sfoltitura e una revisione dell’insieme.
     
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    Sono d'accordo col commento di Fante. La prima parte risulta ingarbugliata, ma mostra del potenziale, parecchio. Il finale invece arriva troppo velocemente, nonostante la maggiore linearità degli eventi non sono riuscito a seguire bene l'evoluzione psicologica del personaggio. Buoni, dal punto di vista del genere, l'ambientazione. In definitiva un buon racconto che avrebbe potuto essere decisamente ottimo.
     
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    Penna furiosa

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    Piaciuto. Un fantasy con i requisiti del genere. Se comincia in un modo e finisce in un altro è perché la storia ha il suo sviluppo; moltissimi racconti sono scritti così. Un’altra caratteristica è la trasformazione del personaggio, una tecnica narrativa molto presente, ad esempio, nei romanzi di formazione. Nel fantasy diviene metafora. In questo racconto la metamorfosi di Ghala e il suo volo simboleggiano la conquista della libertà.
    L’esposizione mi pare coerente, nel complesso abbastanza lineare, molto meno ingarbugliata di altri racconti che pure hanno suscitato entusiasmi. La trama si articola nei tre momenti: prigionia/fuga/ libertà. Non ho incontrato difficoltà nella lettura.
    Riguardo alla crudezza di alcune parti, trovo che la commistione di generi, specie con l’horror, nel fantasy sia abbastanza frequente.
     
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    Scrivano supremo

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    Gli irriducibili
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    Ciao Aut-

    Formalmente ho trovato un "che" sovrabbondante da qualche parte e un "che" mancante da un'altra; non è niente di grave, più una curiosità che altro. Qualche "d euforica", come le chiamo io, ossia non indispensabile perché non si trova tra vocali uguali (ad offrire).

    La tua protagonista ha almeno un paio di twist (cambiamenti repentini); in realtà già al primo twist (quando scappa con Lamithia abbandonando le altre) ho intuito che fosse diversa da come l'hai fatta apparire, però non mi aspettavo l'ultimo twist in cui diventa ancora più perfida di quanto avevo immaginato. Purtroppo sono ancora legato allo stereotipo del "cowboy con il cappello nero" e non ho avvertito la presenza del "cappello nero" nella scena in cui Galha si incontra con Agise. Tante scene mi sono piaciute, altre meno; più che altro avverto poca amalgama tra le varie parti. Non è detto che sia un difetto, in fondo è quello che penso dei film di Lynch.
     
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    Penna furiosa

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    Anche a mio avviso l'inizio è un pò confusionario e ho fatto parecchia fatica a starci dietro. Quando le due prigioniere scappano invece si riescono a seguire con più immediatezza gli eventi e la lettura indubbiamente ne trae beneficio. Le intromissioni nel dark e nell'horror a me non sono dispiaciute, anzi, danno quel qualcosa in più al racconto. Peccato davvero per l'inizio che secondo me è penalizzante, proverò comunque a rileggerlo.
     
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    Penna furiosa

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    Ho riletto questo racconto più volte eppure, la prima parte mi è apparsa sempre poco chiara: la narrazione è lenta e le descrizioni dei luoghi e dei personaggi è scarna di particolari, aspetto che non aiuta la comprensione. Il punto chiave, come notato da Byron, è la fuga delle protagoniste. Da quel momento il testo è più scorrevole e il racconto decolla. Un plauso alla fantasia dell'autore/autrice. Non sono un amante del genere ma a mio parere questo è un lavoro positivo.
     
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    Penna stilografica

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    trecase

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    La prima parte è di sicuro confusionaria e l'ho saltata ma anche nella seconda parte la paternità dei dialoghi non è precisa. Mi è piaciuta la parte finale ma non è sufficiente per esprimere un giudizio favorevole.
     
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    Penna furiosa

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    Torno su questo racconto perché mi sembra ingiustamente sottovalutato. Dissento dai commenti che insistono sulla “confusione” della parte iniziale, perciò mi soffermo sull’incipit.

    L’esordio comincia con un’invocazione che potrebbe essere pronunciata da una qualunque (o da più di una) delle prigioniere del tempio, “le risposte all’invocazione furono cattive…”
    La scena vuol essere corale (“tutte dovevano essere abituate… i loro abiti… le loro mani… i loro visi), da questo coro di donne disperate, spossate e frignanti si leva una voce: “Lasciatela stare…”
    (chi parla è Ghala, la protagonista del racconto, lo si dice una riga più giù)
    “ E tu chi saresti?” (la domanda è posta da una gigantessa (Lamithia, coprotagonista del racconto)
    “L’altra donna, che si chiamava Ghala, risponde: - A questo punto quel che sono stata sin qui è del tutto relativo: l’unica cosa veramente importante è chi dovrò diventare da ora in poi…”
    Poco dopo l’intervento di un’anziana, parla una giovane; così si scopre chi ha pronunciato l’invocazione dell’incipit: “Galha sorrise alla ragazza e, disse: - ora siamo sole.”
    - Dilah misericordioso, proteggici tu!
    “La bella giovane ripeté l’invocazione…”
    Francamente non vedo gran confusione, apprezzo anzi l’immediatezza con cui l’incipit ci fa entrare nel racconto.
    Inoltre la scena delle prigioniere non è raccontata, ma mostrata attraverso lo sguardo di Ghala:” La persona che era intervenuta le aveva osservate con grande attenzione, cercando di cogliere ogni minimo particolare di ciascuna; a giudicare dall’aspetto, tutte dovevano essere abituate a un trattamento speciale, fatto di agi e rispetto: lo dicevano i loro abiti, per quanto ora fossero gualciti o strappati, le loro mani morbide e curate, i loro visi dalle sopracciglia perfettamente disegnate…”
    Non si può dire che manchino i particolari.
     
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    Penna furiosa

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    Ciao autore,
    purtoppo anche io ho fatto fatica a determinare la paternità dei dialoghi, mi dispiace.
    Dedichi ampio spazio alla prima parte del racconto, quella della prigionia, ma il racconto a mio parere "decolla" con la fuga delle protagoniste.
    Non mi sono fidata di Ghala già da lì (e a essere sinceri, nemmeno di Lamithia) e i miei sospetti sono stati confermati dall'epilogo della storia.
    Nonostante sia stata costretta a rileggere alcune parti, mi è piaciuto l'alone di mistero che hai saputo creare intorno alle due donne e di sicuro il tuo è uno dei racconti più fantasy di questo INK. Lavoro senz'altro positivo.

     
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    Penna furiosa

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    In effetti non è affatto da sottovalutare. C'è tanto, forse troppo per un racconto breve. O meglio più che la quantità di materia, sono le dimensioni a sacrificarlo un po'. Un conto è dare uno sguardo rapido a un mondo che conosciamo già, ma attraverso gli occhi di un altro, come avviene nella maggior parte dei racconti brevi che funzionano al meglio. Un conto è dare uno sguardo a un mondo che non conosciamo affatto. Da qui la quantità di informazioni e impressioni di cui si viene investiti leggendo. Però è una difficoltà comune, intrinseca del genere, credo, e che hanno incontrato in tanti. Detto questo il risultato è molto buono. Molto professionale, mi viene da dire. Però a discapito dell'emotività, va anche detto.
     
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