LA LANDA DEGLI INVINCIBILI

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    Scrivano supremo

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    Lo scheletro in cemento della vecchia colonia estiva sembrava ancora più minaccioso e ostile alle prime luci dell'alba
    I tre ragazzi si ritrovarono davanti alla rampa d'ingresso di quel gigante sventrato, impauriti, ma nonostante tutto decisi ad andare sino in fondo.
    Tante volte erano passati davanti a quella struttura abbandonata, quasi senza accorgersene, dandola per scontata.
    Quel mattino di inizio settembre però le cose erano diverse.
    Costruita al confine esatto di due città, in quel momento ai loro occhi appariva come un mostro pronto ad inghiottire per sempre le loro vite.
    «Allora, siamo pronti ad andare sino in fondo?», disse Dado, con una leggera increspatura nella voce.
    La sua attenzione si focalizzò sul pattino bianco e rosso che giaceva abbandonato sotto un pino, all'interno della proprietà in disuso.
    I remi mancavano e la vernice era tutta scrostata, un po' come le sue sicurezze. Poi tornò a fissare i compagni.
    I due amici a turno fecero di si con la testa, senza proferire parola.
    «Bene, muoviamoci allora. Mancano pochi minuti alle sette. Vediamo se il vecchio Otello ci ha preso per il culo o ha detto la verità.»
    Così i tre si addentrarono nella vecchia colonia, in cerca del passaggio che avrebbe cambiato per sempre le loro esistenze.
    La mancanza quasi sistematica di vetri alle finestre faceva entrare all'interno della struttura l'aria fresca del mattino, attenuando l'olezzo che aleggiava al primo piano.
    Materassi sudici e vecchie coperte erano sparsi qua e là, rifugio di fortuna per disperati di ogni età e religione.
    Cocci di bottiglia e mozziconi di sigaretta completavano l'arredamento.
    Non si soffermarono oltre a contemplare quella desolazione e si diressero verso la scalinata centrale che portava ai piani superiori.
    I gradini sembravano solidi, nonostante i decenni passati. I ragazzi cominciarono a salire, prima titubanti, poi sempre più sicuri.
    Arrivati al quarto ed ultimo piano oltrepassarono un'apertura nel muro e si ritrovarono all'esterno, sull'ampio terrazzo che occupava in lunghezza tutta la superficie dell'immobile.
    Una sorta di torretta alta circa tre metri era situata nel centro del terrazzo. I tre amici la raggiunsero, come gli aveva detto il vecchio pazzo del bar che frequentavano.
    Sulla muratura, nella parte posteriore, era disegnata con del gesso una sorta di porta.
    Per adesso tutto combaciava. Le parole del vecchio risuonarono nitide nella mente di Dado.
    Una volta raggiunta la torretta bussate una volta ai quattro angoli della finta porta e tre al centro, ma prima dello scoccare delle sette.
    Dado scambiò un cenno d'intesa con Mac e Baffo, poi guardò l'orologio. Erano le 6,57.
    Alle fine trasse un lungo respiro, poi bussò per sette volte come gli era stato detto a quella porta posticcia. La striscia di gesso parve ondeggiare qualche istante per poi scomparire, mentre al suo posto appariva una porta di metallo grigio. Dado girò la maniglia ed entrò, subito seguito dai due compagni. Quando la porta si richiuse dietro di loro erano appena scoccate le sette, e la lastra di metallo aveva nuovamente lasciato il posto a degli anonimi segni col gesso.
    Alla fine si ritrovarono su una torre metallica a spirale, grigia e minacciosa. Cominciarono a scendere con circospezione i gradini della scala esterna, priva di ringhiera e qualsivoglia protezione. Mentre procedevano verso il basso si tenevano con prudenza alla struttura, evitando di guardare di sotto.
    L'aria era fresca, ma allo stesso tempo infuocata, col crepuscolo che sembrava incendiare rabbiosamente il mondo circostante.
    Ombre nere si andavano a mescolare e sovrapporre a quell'esplosione arancione, dando vita ad un'atmosfera minacciosa e inquietante.
    Durante l'interminabile discesa ognuno di loro ebbe la netta percezione di essere osservato, e quando toccarono terra quella sensazione sgradevole, se possibile, aumentò d'intensità.
    Si tennero sulla strada principale, evitando vicoli e zone appartate, cercando di convivere con le centinaia di occhi che erano puntati su di loro.
    Quando un taxi sopraggiunse dalla direzione opposta non ci pensarono un secondo e lo fermarono.
    Salirono sull'auto, ma si pentirono quasi subito.
    Il guidatore aveva un aspetto tutt'altro che raccomandabile. La pelle del viso era abbrustolita, praticamente carbonizzata, ed emanava uno sgradevole puzzo di bruciato. Gli occhi erano di uno strano colore giallo, tendenti all'arancio, come quelli di un gufo. Un'altra particolarità era che non indossava vestiti usuali, bensì un saio bicolore, bianco nella metà sinistra e nero in quella destra. La voce invece era normale.
    «Dove vi porto ragazzi?»
    Come al solito fu Dado a rispondere, visto che gli altri lo avevano più o meno inconsciamente designato leader del gruppo.
    «Portaci al confine nord della città, nella landa degli invincibili.»
    Mentre rispondeva alla domanda del guidatore, Dado istintivamente diede un'occhiata all'orologio. Le lancette sembravano impazzite e roteavano vorticosamente in senso antiorario.
    Il tassista se ne accorse e si lasciò scappare una piccola risata.
    «Quell'aggeggio qui non ti servirà a nulla. Nel mondo dell'Eterno Crepuscolo non esistono né ore né minuti.»
    Dado guardò fuori e si accorse che l'atmosfera ancora non era mutata. Quel momento che divide la luce dal buio sembrava dilatarsi all'infinito.
    «Il mondo dell'Eterno Crepuscolo», ripeté Dado in modo automatico.
    «Anche voi siete qui per cimentarvi con la prova?», riprese la creatura dagli occhi gialli.
    «Già», rispose Dado con fare pensieroso. «Per caso tu sai in cosa consiste?»
    Il tassista rise nuovamente, poi rispose. Gli occhi gli brillavano come non mai.
    «Nessuno lo sa, ogni volta è diverso. Possono essere competizioni lunghe e estenuanti, oppure prove veloci e rapide. Ci possono essere regole precise,
    oppure no. L'importante è che chi si cimenta sia anima e corpo totalmente
    dentro la competizione. Basta un istante di smarrimento, come è successo a me, è sei finito. Anzi, per essere precisi, la vita di prima finisce.»
    «Vuol dire che anche tu hai partecipato in passato ad una gara?», disse Mac con la voce piena di stupore.
    «Certo, anche se non mi ricordo più quando. Come vi ho detto qui il tempo è relativo.» La creatura parve riflettere un attimo, poi riprese a parlare. «Voi venite dalla Terra vero?»
    «Si, come fai a saperlo?», chiese Baffo con curiosità.
    «Anche io una volta portavo quel coso al polso», disse indicando l'orologio di Dado. «Anche io ero un terrestre.»
    «Cosa vuol dire che anche tu eri un terrestre? Che stai cercando di dire?», rintuzzò Mac.
    «Solo uno sarà il vincitore, e chi vince, oltre a diventare una celebrità in questo luogo, diventerà un vincente nel proprio mondo.»
    «Questo lo sappiamo», disse Baffo con prontezza. «È proprio per questo che ci troviamo qua. Siamo stanchi di essere delle nullità.»
    «Allora saprete anche che i perdenti verranno reclamati da questo mondo e diventeranno creature di questa dimensione», riprese il tassista.
    I tre amici si guardarono in silenzio, sopraffatti dalla notizia che, come un brivido, aveva percorso la loro schiena, per poi andare ad esplodere violentemente nella loro testa.
    «Qualcosa mi dice che di questo non eravate a conoscenza», continuò la creatura del taxi. «Poco male, tanto oramai non si può tornare indietro. E comunque se si vuole ottenere tanto bisogna essere disposti a pagare un prezzo elevato.»
    Detto questo, fermò l'auto e rivolse un'ultima raccomandazione ai ragazzi.
    «Siamo arrivati, oltre quel ponte di legno si trova la landa degli invincibili. Buona fortuna, e se posso darvi un consiglio non vi fidate di nessuno. Dubitate di tutti, di quelli che hanno una veste di due colori come la mia, ma soprattutto di coloro che hanno una tunica totalmente nera. Quelli sono gli abitanti originari del posto e il loro cuore ha lo stesso colore dell'abito che indossano.»
    Quando i tre scesero dall'auto, Dado si sfilò il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans per pagare la corsa, ma proprio mentre estraeva un paio di banconote, quello strano personaggio fece retromarcia sgommando e in un baleno scomparve nella direzione da cui erano venuti.
    Senza perdere altro tempo si diressero nervosamente al ponte di legno.
    «Se riusciamo a tornare indietro quel vecchio ubriacone di Otello me la pagherà», sentenziò Mac con la voce tremante. «Secondo me l'ha fatto apposta a non raccontarci tutta la storia.»
    «Non credo che l'abbia fatto a posta», gli fece eco Dado. «Otello è sempre bevuto e spesso dimentica anche come si chiama. Già siamo stati fortunati che ci abbia raccontato con precisione il modo di passare in questa dimensione. E poi anche se dovessimo perdere? Meglio restare qua che tornare alla solita vecchia esistenza da sfigati.»
    I ragazzi si guardarono negli occhi e si scambiarono tra loro un cinque d'intesa. Dado aveva ragione. Oramai erano riusciti a passare di qua e tutto sarebbe stato meglio della vita senza futuro e senza speranze a cui erano destinati nella vecchia dimensione.
    Si fecero coraggio l'un l'altro, urlando e incitandosi a vicenda, e nell'istante in cui superarono il ponticello si sentirono improvvisamente diversi.
    Non avevano più paura, si sentivano coraggiosi e pieni di speranza. Sapevano esattamente come comportarsi e che cosa fare.
    Piano piano però nella mente di ognuno di loro andò formandosi un particolare pensiero. Mac cominciò ad avere fame, Baffo sentì nascere dentro di lui un montante istinto lussurioso, Dado prese ad atteggiarsi, facendo crescere sul viso un sorriso sprezzante ed altezzoso.
    Era come se insieme alle virtù, quel posto fosse in grado di amplificare i loro difetti più marcati e le loro debolezze.
    Comunque non ci fecero caso più di tanto, poiché tutto d'un tratto l'aria sembrò vibrare e contorcersi davanti ai loro occhi.
    Una specie di ronzio si sparse attorno a loro e una struttura gigantesca si materializzò davanti ai loro occhi.
    Assomigliava ad una palla di cristallo gigantesca, vastissima, alta sino al
    cielo. Senza perdere altro tempo avanzarono ed entrarono.
    Una volta dentro scoprirono che quello era una sorta di stadio o di palazzetto sportivo. Le tribune, assiepate di spettatori, coprivano pressoché tutta l'area della sfera. Strani personaggi, persino più bizzarri del tassista che li aveva condotti sin lì, passeggiavano nervosamente in prossimità di un'area di accettazione. C'erano creature con due teste, nani dalla muscolatura possente, esseri verdi dalla pelle viscida e con una grossa testa dalla forma romboidale. Era come se tutti gli esseri dei mondi possibili ed impossibili si fossero dati appuntamento per quella gara.
    Finalmente toccò a Dado, Mac e Baffo. Un essere femminile dai capelli viola e gli occhi rossi comunicò loro che solo un concorrente per ogni mondo poteva partecipare alla competizione. Dado trasse tutti d'impaccio, affermando con sicurezza che i due amici erano solo degli accompagnatori. Lui avrebbe partecipato alla gara.
    «In cosa consiste la competizione?», domandò Dado alla donna dai capelli viola.
    Quella lo guardò e tirò fuori una lingua nera, biforcuta come quella di un serpente, che andò a pararglisi a pochi centimetri dalla bocca.
    «Non essere così impaziente», gli rispose con un sibilo. «Tra non molto lo saprai. Ti piace volare?»
    La risposta era no, odiava volare, ma non disse nulla. Si allontanò dalla donna serpente e si mise a camminare nervosamente insieme agli altri concorrenti.
    All'improvviso, quando tutti i partecipanti si furono accreditati, la sfera piombò incredibilmente nel buio e partì l'urlo di giubilo degli spettatori.
    Finalmente i giochi stavano per cominciare.
    Quando la luce ritornò, un essere dalle stesse sembianze della donna serpente cominciò a parlare. Anche lui aveva gli occhi rossi e la lingua biforcuta balzava fuori dalle labbra ad intervalli regolari.
    «Nella landa degli invincibili siete venuti, per vincere e primeggiare senza aiuti. Siete voi da soli, contro tutti, non ci sono regole e non ci saranno lutti.
    Uno solo vincerà, e con onore prenderà tutto, i perdenti invece resteranno
    qua, ad assaporar della sconfitta l'amaro frutto.
    Orsù, quel che è detto è detto, e non vi voglio più annoiare, tirate fuori i denti e preparatevi a volare.
    Una lancia a testa avrete e procedete con cautela, ma ricordate bene, all'avversario vostro dovrete lacerar la vela.»
    Quando l'uomo serpente finì di parlare, una cinquantina di deltaplani, quanti erano i concorrenti, apparvero dal nulla. Le vele erano bellissime, di tutti i colori. Quella di Dado era blu, bianca, verde e gialla. Rappresentava il pianeta Terra. Quella dei suoi avversari onoravano pianeti e mondi di cui lui ignorava l'esistenza.
    Mac e Baffo aiutarono Dado ad entrare nell'imbracatura e assicurarono le caviglie alla struttura posteriore del mezzo. Al manubrio anteriore invece erano saldati due semicerchi in metallo, a cui era agganciata la lancia con cui i competitori dovevano strappare le vele degli avversari.
    Gli amici di Dado copiarono ciò che facevano gli altri e trasportarono l'amico al centro di quell'arena particolare.
    Stranamente non facevano fatica, era come se Dado e il deltaplano non avessero peso. Una volta arrivati a destinazione lasciarono semplicemente andare Dado, che con leggerezza iniziò a librarsi in aria.
    Inizialmente si sentì a disagio, mano a mano che si alzava di quota, ma poi si sentì stranamente libero. Felice.
    Una serie di correnti d'aria artificiali rendevano possibile il volo e, altra cosa strana, Dado cominciò a sentirsi in confidenza col mezzo. Era come se avesse volato da sempre. Per salire di quota spostava in avanti la barra a cui erano ben salde le mani. Per scendere in picchiata la spostava verso di se. Spostando il peso del corpo da una parte o l'altra riusciva ad eseguire virate a destra o a sinistra.
    Ma come detto la cosa più bella era quella sensazione di libertà. Quella sfera di cristallo sembrava non avere confini, era come se si trovasse all'aperto, in mezzo al cielo, e potesse spostarsi per chilometri e chilometri, senza trovare ostacoli sul suo cammino.
    Poi un tuono ruppe il silenzio, e Dado capì che la gara aveva inizio.
    I contendenti cominciarono a buttarsi gli uni sugli altri, dando vita ad un incredibile affresco multicolore.
    Dado salì ancora di quota, cercando di allontanarsi dalla bagarre e prendere ancora maggiore confidenza coi comandi.
    Un concorrente gigantesco, con la faccia da rettile se ne accorse e salì al suo inseguimento.
    Dado ebbe l'impulso di cambiare direzione e gettarsi incontro al lucertolone, di nuovo pieno della sicurezza e dell'arroganza che lo aveva investito non appena aveva oltrepassato coi suoi compagni il piccolo ponte di legno. Poi però gli vennero in mente le parole del tassista dagli occhi di gufo.
    L'importante è che chi si cimenta sia anima e corpo totalmente dentro la competizione. Basta un istante di smarrimento, come è successo a me, è sei finito.
    Dado cercò di concentrarsi e studiò il da farsi. Doveva dosare al meglio astuzia, saggezza e aggressività a seconda degli avversari.
    La lucertola sembrava troppo ansiosa di sbaragliare il campo, così Dado agì sulla sbarra diminuendo la velocità e facendosi raggiungere.
    Temporeggiò sino a quando con la coda dell'occhio non vide il nemico armeggiare con la lancia, allora eseguì un giro della morte e si ritrovò alle spalle del contendente. La lucertola parve spiazzata, incredula della manovra a cui aveva assistito. Dado non esitò, aumentò la velocità e si portò dietro al deltaplano che lo precedeva. Fece una finta a sinistra, poi si alzò leggermente e scartò a destra. Con la sinistra estrasse la lancia e trafisse la tela gialla e marrone del lucertolone.
    La creatura cominciò a cadere a capofitto verso terra, ma poco prima di toccare il suolo si materializzò una sorta di rete elettromagnetica che ne scongiurò la fine prematura.
    Dado si lasciò sfuggire un grido di gioia, mentre lo sconfitto veniva scortato fuori dalla sfera da uno stuolo di esseri con la tunica nera.
    Nel cielo la battaglia continuò senza sosta. Esseri diversi per struttura e mentalità si scontravano con ardore.
    Oramai erano rimasti in una dozzina a giocarsi la vittoria.
    Dado effettuò una picchiata, per decidere su quale degli sfidanti rimasti conveniva buttarsi. Mentre scendeva quasi a livello del terreno focalizzò la sua attenzione su Mac e Baffo. Cosa stavano facendo? Li vide andare via in compagnia della serpentessa dai capelli viola. Anche lei era vestita con una tunica nera. Come mai non se ne era accorto in precedenza? Evidentemente era troppo teso e concentrato per la gara imminente.
    Conscio del pericolo a cui andavano incontro gli amici cercò di avvertirli, ma dovette riprendere subito quota per evitare un attacco.
    Si girò un attimo, giusto per vederli uscire dalla struttura, poi si rituffò nella competizione.
    Riuscì a battere abbastanza agevolmente l'impavido che aveva osato attaccarlo, poi, sorvolando nervosamente il cielo, rimase in attesa del suo avversario finale.
    Alla fine si ritrovò a primeggiare con un essere scimmiesco, agile e leggero.
    I due combattenti diedero vita ad un duello memorabile. Il cielo era tutto per loro, virate al limite si alternavano a picchiate furibonde. Le lance sferzavano l'aria, senza tuttavia riuscire a strappare nessuna delle due vele.
    Lo scimmione sembrava ancora fresco, mentre Dado era al limite delle forze. Era stanco, non aveva più energie, gli facevano male le braccia e anche la vista sembrava esserglisi annebbiata.
    Per evitare un attacco dell'avversario scartò improvvisamente sulla destra e perse il controllo del deltaplano.
    Il mezzo cominciò ad avvitarsi vorticosamente e iniziò la sua pericolosa e incontrollata discesa.
    Oramai allo stremo Dado prese a strattonare la sbarra, spingendola con brevi scatti lontano dal suo petto. Fortunatamente il deltaplano dopo poco riuscì a riprendere il suo assetto di volo e a ritornare in quota.
    Oramai non ce la faceva più, era conscio che doveva chiudere subito quella sfida o sarebbe uscito sconfitto.
    Senza perdere altro tempo aumentò la velocità, dirigendosi verso il suo nemico. Lo scimmione in picchiata fece lo stesso. Stavano per scontrarsi, ma all'ultimo momento entrambi deviarono dalla traiettoria. Dado fece un giro su se stesso per riportarsi verso il basso, lo scimmione fece lo stesso
    per risalire. Poi entrambi presero la lancia e la scagliarono contro il proprio avversario. Quella della scimmia andò a strisciare contro il braccio di Dado e poi si perse in lontananza, mentre il ragazzo riuscì a sfondare la tela del contendente e si aggiudicò l'agognata vittoria.
    Così, mentre il suo ultimo e ostico avversario veniva scortata dalla nera processione per diventare a tutti gli effetti una creatura di quel luogo, Dado veniva osannato e veniva insignito della chiave d'oro, un amuleto che l'avrebbe reso un eroe in quella dimensione e che l'avrebbe ricoperto di fortuna e di onori sulla Terra.
    Prima di uscire dal padiglione, Dado si diresse verso la creatura dai capelli viola e gli occhi rossi.
    Sapeva quale sarebbe stata la risposta alla domanda che stava per formulare, ma la fece ugualmente per togliersi ogni dubbio.
    «Che fine hanno fatto i miei amici? Cosa gli hai fatto?», ringhiò rabbioso in direzione di quel demone dagli occhi rossastri.
    «Io non ho fatto niente, sono loro che hanno scelto. Volevano l'immortalità. Hanno scelto di rimanere qui. Ora sono in camera di trasformazione. Se vuoi puoi vederli un'ultima volta.»
    Dado fece di no con la testa e si diresse all'aperto, scortato dagli applausi della moltitudine che ancora gremiva gli spalti.
    Quel giorno rimase impresso per sempre nella sua mente. Ora era ricco, proprietario di decine di aziende. Aveva tutte le donne che voleva, onori e rispetto. Anche i politici si piegavano ai suoi voleri. Ma i suoi amici gli mancavano. Una volta tornato nella sua dimensione dopo il trionfo, Dado aveva trovato i corpi martoriati dei suoi amici stesi sulla strada. I giornali avevano parlato di un incidente stradale, ma lui sapeva quale era la verità. I loro corpi erano effettivamente tornati sulla Terra, ma le loro anime erano rimaste imprigionate per l'eternità dall'altra parte. Forse anche un pezzo della sua era rimasta di là assieme a loro.
     
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    Penna suprema

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    Ciao, Autor. Il tuo è un bel racconto, fantasy dalla testa alla coda e molto piacevole da leggere. Ci sono lievi imprecisioni di forma (qualche ripetizione, la punteggiatura a volte mancante...)ma nel complesso, secondo me, un pezzo che si può promuovere a pieni voti.
     
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    Teropode assennato

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    Originale e interessante, forse un pochino "immaturo", nel senso che trasmette poco in termini di emozioni e sembra più concentrarsi sul lato esteriore della vicenda.
    Anche lo stile, asciutto, non ha dato verve al racconto: bisognava osare un po' di più a parer mio. :)
     
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    Scrivano supremo

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    Ciao Aut-.

    Hai fatto delle scelte stilistiche particolari: tante anticipazioni nelle prime righe che si distaccano dall'uso (che ormai è preponderante in INK) ma che in realtà non danno fastidio. Ho trovato alcuni problemi di forma e di formattazione, qualcuno di concordanza; per fortuna non inceppano la lettura. Piaciuta molto la storia, un po' meno come l'hai gestita (ma non è una critica: credo che un buon editor può darti ottimi consigli su come gestirla meglio).
     
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    Penna furiosa

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    Racconto godibile e fantasioso, scritto in maniera chiara e semplice. Forse manca l'impatto emotivo, è vero, ma rimane a mio avviso una bella prova.
     
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    Penna furiosa

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    L’inizio mi ha fatto immediatamente pensare alla riviera romagnola, dove appunto si trovano vecchi edifici di colonie del periodo fascista.
    Racconto fantasy, lineare. Io lo sfoltirei un po’, in modo particolare nella descrizione del duello aereo.
    Manca qualche virgola.
    “Sì” affermazione va accentato.
    “a posta”= apposta.
    è sempre bevuto= immagino che sia una qualche espressione regionale; comunque, in un dialogo che vuole avere il colore del parlato, ci può stare.
     
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    Penna suprema

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    Piaciuto molto l'ambiente iniziale e le descrizioni dettagliate. La storia, poi, appartiene a una fantasia furibonda.
    Bravissimo.
     
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    Bel racconto, fluido, ben scritto, fantasioso e piacevole. Il finale mi ha lasciato un po' così, nel senso che non ho ben capito come Mac e Baffo si siano fatti fregare: l'amico stava vincendo, e non hanno neanche aspettato la fine del combattimento.
    Qualche ingenuità, secondo me (es. "Quel giorno rimase impresso per sempre nella sua mente." E ci credo, a chi non rimarrebbe impresso?), comunque, ripeto, racconto molto piacevole.
     
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  9. Foglia nel vento
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    Parte come un Urban e continua non saprei definire come. Certamente è nel genere.
    I problemi di formattazione e di editing sono già stati segnalati; a mio giudizio sarebbe stato meglio concentrarsi un pochino di più sulla battaglia sfrondando l'inizio.
    :)
     
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    Dio della penna

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    Ci sono tanti racconti apprezzabili e apprezzati. Anche questo ha tutti i crismi a cominciare dalla forma scorrevole.
    Purtroppo mi rendo conto di non riuscire ad amare il genere fantasy il che mi toglie l'entusiasmo nei commenti. I rilievi tecnici sono stati già fatti.
     
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    Penna furiosa

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    Il racconto si legge piacevolmente, anche se ho trovato qualche ripetizione di troppo. Per quanto riguarda la trama la trovo abbastanza divertente e originale. Forse alla fine risulta essere un pò troppo lungo, comunque non ci si annoia.
     
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    Penna furiosa

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    L’esordio presenta un vecchio rudere con una torre metallica a spirale, vi giungono tre ragazzi Dado, Mac e Baffo. Poi prendono un taxi. Questo elemento mi suona stonato. L’autore sta già delineando un’atmosfera fantastica che sa di mistero, il taxi la interrompe: «Dove vi porto ragazzi?» «Portaci al confine nord della città, nella landa degli invincibili.”
    In effetti i tre sono già in un’altra dimensione («Otello è sempre bevuto e spesso dimentica anche come si chiama. Già siamo stati fortunati che ci abbia raccontato con precisione il modo di passare in questa dimensione.”) e l’incontro col tassista serve a spiegare i termini della prova che intendono affrontare, quindi è un infodump. Ma poi, perché un tassista e non un passeggero?
    Comunque a questo punto quel che è stato raccontano finora (la parte migliore) diventa quasi superfluo, quanto meno si percepisce come un lungo prologo. Anche perché i termini della competizione vengono spiegati dalla donna serpente all’interno della sfera di cristallo che si materializza a un tratto davanti ai tre ragazzi ( e che si poteva materializzare anche prima, dopo il passaggio della porta disegnata.) Mi sembra che il tono del racconto cambi nel corso della descrizione della battaglia – che perde drammaticità perché raccontata come un evento agonistico, “dentro scoprirono che quello era una sorta di stadio o di palazzetto sportivo. Le tribune, assiepate di spettatori, coprivano pressoché tutta l'area della sfera.”- si nota lo sforzo di inserire elementi fantastici nella descrizione dei concorrenti, senza però raggiungere l’atmosfera misteriosa dell’inizio.
    In definitiva, in questo racconto trovo un mix di ambientazioni ed elementi diversi, perciò Lo stile mi sembra disomogeneo. Complimenti, invece, per la fantasia.
     
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    Penna suprema

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    Campione nascosto, autore. La tua potenzialità è infinita. Dopo aver riletto per la quarta volta il tuo racconto cominciano a vacillare le mie certezze sul podio da votare. Come a xfactor farò alzare qualcuno dalla sedia. Tu siediti e abbracciami.
     
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    Dio della penna

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    Il vagabondo
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    mamma

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    mi spiace ma non ci siamo
    fantasia a iosa, nulla da eccepire
    idea stupenda
    ma caspita, c'è una marea di refusi e la punteggiatura è tutta da rivedere

    lo so, sono considerato uno stronzo, per questo
    però sono anche quello che, se il racconto è eccelso, sorvola un po' su refusi e altro
    qui il racconto è buono e i refusi sono troppi, mi spiace

    :tappeto.gif:
     
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    Penna furiosa

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    Ciao autore,
    hai scritto e descritto davvero molto in questo racconto, sorvolando un po' troppo (a mio modesto parere) sulla parte emozionale della vicenda.
    Accadono molte cose, alcune anche rocambolesche, ma non si percepisce angoscia, disperazione nemmeno il travaglio interiore che questi ragazzini devono aver provato: gli si apre una porta nel muro e loro l'attraversano come se fosse la cosa più logica del mondo, senza un attimo di titubanza, senza chiedersi perché.
    Questa scelta di togliere il phatos alla vicenda non mi convince del tutto.
     
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23 replies since 23/9/2017, 22:15   422 views
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