La Soffitta

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    Scrivano supremo

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    Il giorno in cui Willow Rosenberg le portò via tutti i suoi incantesimi e la spedì in Soffitta, June Wolowitz pensò che la sua vita sarebbe finita e che di lì a poco sarebbe semplicemente andata in pezzi.
    Non c’era mai stato nulla se non la magia, a tenerla insieme, e ora che la magia era scomparsa il suo corpo sarebbe esploso come il nucleo di una stella morente.
    Ma quando la fine che si aspettava non arrivò, non fu poi così sorprendente. Non lo fu nemmeno aprire gli occhi e trovarsi di fronte una figura minuta dentro un costume da astronauta. Persino osservare il piccolo astronauta togliersi il casco e scoprire che dentro al costume era nascosta una bambina di non più di sei anni non fu poi così scioccante.
    La vera sorpresa per June fu rendersi conto che quella bambina era tale e quale a come era stata lei a sei anni.
    Non appena la vide, la piccola si mise a saltare in preda all’eccitazione gridando “Ne è arrivata un’altra, ne è arrivata un’altra, che ti dicevo JJ?”, per poi zittirsi all’improvviso e con il casco sotto braccio osservarla con la stessa meraviglia con cui un vero astronauta avrebbe osservato lo spazio infinito dallo stretto oblò della sua nave spaziale.
    Fu a quel punto che June iniziò a sospettare che la sua vita non sarebbe affatto finita, ma che in conclusione non ci sarebbe più stata alcuna vita di cui preoccuparsi, così come non ci sarebbe più stata alcuna magia che potesse cambiare la realtà in cui era precipitata.
    “So chi sei”, balbettò rivolgendosi alla bambina.
    “Anche io so chi sei”, rispose la piccola astronauta senza battere ciglio. “Benvenuta in Soffitta. Aspetta che ti veda JJ. Puoi scommetterci che le verrà un colpo.”
    “JJ?”
    “Lei è la numero due. È arrivata dopo, mica per altro. Io sono J.”
    “E JJ è…”
    “Lei è te. Io sono te. Noi siamo noi. Insomma, hai capito no?”
    Detto questo ricominciò a dimenarsi e a saltare tutto intorno, lanciando il casco per aria e riprendendolo al volo, per poi fermarsi di nuovo a guardarla con rinnovata meraviglia.
    “Che cos’è questo posto?”, chiese June a quel punto.
    “La Soffitta.”
    “La Soffitta?”
    “Ti piace? Sono io ad averlo scelto. Qualcuno doveva pur pensarci, non credi?”, le rispose senza nascondere un certo orgoglio.
    “A JJ non piace”, aggiunse poi sotto voce. “Sai che novità. A lei non piace niente di quel che faccio. Ma è questo che mi ricorda. Un posto dove vanno a finire tutte le cose a cui June tiene ancora, ma che non le va di avere in mezzo ai piedi. Roba vecchia, mi segui? Di cui sentirà un po’ la mancanza, ma non troppo. Segreti, persino. Pezzi della sua vita che non le va di dimenticare, ma nemmeno di ricordare. Quello che era e che non sarà più.”
    Detto questo, ricominciò a danzarle attorno.
    “JJ ha sempre detto che non sarebbe mai arrivato nessun altro. Che la nostra June, l’Originale, non sarebbe più cambiata. E invece eccoti qui. Cos’è successo?”
    “Cosa?”
    “A June. Cos’è successo a June? Cos’è cambiato?”
    “Nulla. Io sono June”, rispose allora, rendendosi conto di quanto potesse suonare assoluta e relativa allo stesso tempo un’affermazione come quella in Soffitta.
    “Certo, anche io sono June”, rispose la bambina.
    “No, non hai capito. Io. Sono. June.”
    La piccola la osservò con aria seria, per la prima volta da quando si era tolta il casco. “L’Originale?”, le chiese a bassa voce.
    Fece di sì con la testa e la bambina si fece scura in volto, tanto che June pensò che di lì a poco si sarebbe messa a piangere. Ma, se lo fece, non riuscì a vederla, perché la piccola si rimise il casco e le voltò le spalle.
    Per qualche istante non si mosse, poi risoluta le afferrò una mano e le disse “Andiamo. Cerchiamo JJ. Dev’essere da qualche parte a scrivere una delle sue storie”.

    Seguì la bambina lungo un corridoio deserto, su cui si affacciavano stanze vuote illuminate soltanto da piccoli lucernari. Il soffitto era basso, al punto tale che June doveva tenere la testa china e camminare leggermente piegata per non rischiare di sbattere. Quel luogo aveva un’aria familiare. June si stupì di quanto assomigliasse all’orfanotrofio in cui era cresciuta. Gli stessi corridoi spogli, le stesse camere strette e poco illuminate. Era come se si trovasse all’ultimo piano di quello squallido palazzo a forma di ferro da stiro dove aveva vissuto gran parte della sua vita. Il sottotetto, forse. Dopo tutto la parola “soffitta” sembrava anche a lei quella più adatta.
    J si fermò di fronte all’unica porta chiusa del corridoio e bussò piano.
    “JJ, abbiamo un problema.”
    June alzò gli occhi al cielo. Non era lei quella ad avere un problema? Com’era possibile che fosse diventata tutt’a un tratto “il problema”?
    Da dietro la porta non arrivò alcuna risposta.
    La bambina tornò a bussare con maggior insistenza.
    “JJ, ti prego, è importante.”
    Finalmente la porta si aprì e June si trovò di fronte un’altra se stessa, questa volta di pochi anni più giovane di lei. Due, tre al massimo.
    Restò senza parole. Guardare J era come guardare una vecchia foto prendere vita. Una specie di magia, dopo tutto. Stare di fronte a JJ, invece, era come stare davanti allo specchio. O almeno in principio. Poi diventava una sorta di gioco, un confronto minuzioso nel cercare di cogliere qualche differenza. Ma per quanto si sforzasse, non riusciva a trovare che questo: JJ portava gli occhiali invece delle lenti, aveva i capelli lunghi invece che corti e indossava vestiti di una taglia o due più grande in cui aveva nascosto con successo il suo corpo di diciottenne, così come la piccola J aveva nascosto il suo nella tuta spaziale.
    Dal canto suo JJ le diede appena un’occhiatina rabbiosa, soffiando via una ciocca di capelli dagli occhi per poi tornare a concentrare la sua aggressività sulla piccola.
    “Cosa c’è J? Conosci le regole. Devi stare alla larga dalla mia stanza quando la porta è chiusa.”
    La bambina si tolse di nuovo il casco e alzò gli occhi al cielo. A June venne da sorridere. Conosceva bene quel gesto.
    “JJ, la tua porta è quasi sempre chiusa”, le disse e poi si mise a gesticolare in modo buffo indicandole June.
    “L’ho vista, che ti credi. Ok, avevi ragione tu. Ne è arrivata un’altra. Chi se ne frega. Ora dalle una stanza e falla finita.”
    “No, JJ. Non avevo ragione io.”
    “Che vuoi dire?”
    JJ le diede un’altra occhiata, soffermandosi un attimo di più. Non fu vero interesse quello che vide June negli occhi di se stessa, ma qualcosa di simile a un’intuizione.
    “Avevi ragione tu. Lei non è un'altra. Lei. È. June.”
    A quel punto la guardarono entrambe e June non poté esimersi dal concordare che a tutti gli effetti avevano un problema.
    Lei era il problema. Una macchia su un disegno. Un errore in un’equazione. In Soffitta ci finisce il passato, non il presente.
    “Stai dicendo che…”
    “Sì.”
    JJ indietreggiò. “Non può essere”, disse. “Non puoi essere qui. In Soffitta ci finisce il passato, non il presente. Altrimenti…”
    “Altrimenti?”, domandò J.
    “Altrimenti non c’è futuro”, concluse June per tutte e due.
    Per un po’ nessuna delle tre disse nulla. Poi JJ si rianimò e, puntando un dito contro J, le disse: “Stammi a sentire, piccoletta. Non mi interessa com’è arrivata. Riportala da dove è venuta.”
    Dopo di che chiuse la porta con violenza.
    A quel punto J si mise a piangere sul serio. Buttò il casco a terra e attaccò a disperarsi e, quando June fece per abbracciarla, la piccola si divincolò come se avesse preso la scossa.
    La guardò stupita, trattenendo il fiato tanto a lungo che June pensò che sarebbe svenuta lì, andando giù lunga distesa. Ma poi scoppiò di nuovo a piangere e corse a chiudersi in quella che doveva essere la sua stanza, lasciando June sola nel corridoio a fissare le due porte chiuse.
    “Sarai contenta, vero?”, gridò rivolta a quella di JJ. “Chi ti credi di essere? Se potessi andarmene, lo farei anche subito. Pensi che sia qui di mia volontà? Mi ci hanno spedito quassù.”
    Ma non arrivò alcuna risposta.

    Era stata una strega. Fin da bambina, fin da quando riusciva a ricordare. Dai giorni dell’orfanotrofio. Era stata la magia a sostenerla. Là, in quel luogo fuori dalla realtà, in mezzo a bambini senza alcun legame al mondo se non con le proprie fantasie. Che non dovevano rendere conto a nessuno, se non ai propri sogni. Che aspettavano una famiglia ma sotto sotto speravano di trascorrere ancora un giorno senza essere scelti, liberi di poter immaginare il proprio futuro senza l’esigenza di doverlo realizzare e restarne poi delusi.
    Ma la magia non era mai stata una fantasia. Non aveva mai sognato a occhi aperti, lei. Con la magia aveva aiutato quel branco di ragazzini magrolini e un po’ sudici a realizzare le loro, di fantasie. Aveva cancellato quell’aria trascurata e confusa, il loro odore selvatico, i lividi e le sbucciature. Aveva raccolto le loro sciocchezze, le loro chiacchiere senza speranza, quell’inutile affannarsi a raccontarsi storie. Aveva preso tutto quel potenziale e gli aveva dato una forma. Nuova e sorprendente.
    Li aveva aiutati a essere qualcosa di più che semplici orfani. E loro erano diventati cacciatori di draghi, cowboy spaziali, principesse pirata, elfi saltanuvole o qualunque altra cosa desiderassero essere.
    Un attimo prima correvano schiamazzando nei corridoi e un attimo dopo se ne andavano. Spariti, in volo verso altri mondi.
    Era andata avanti per anni. Li aveva visti crescere e trasformarsi. Li aveva visti andarsene e aveva visto altri arrivare al loro posto. E nel frattempo nessuna famiglia l’aveva accolta. Anche in quello c’entrava la magia. La magia aveva a che fare con qualunque cosa. Con ciò che era, con ciò che non era. La magia era il prezzo da pagare e la ricompensa.
    Raggiunta la maggiore età era stata costretta a lasciare l’orfanotrofio. E, una volta fuori, la prima cosa che aveva capito era che il mondo era solo un orfanotrofio più grande e che la sua magia da sola non sarebbe bastata a guarirlo. Così si era messa in cerca di altre streghe come lei, ma ciò che aveva trovato era stata solo una comunità di fattucchiere senza altro scopo nella vita che quello di usare la magia come divertimento, che facevano gara tra di loro, usando i propri incantesimi per prevalere una sull’altra.
    Se avesse potuto sarebbe tornata all’orfanotrofio, ma non l’avrebbero mai ripresa indietro, così aveva provato a inserirsi, a cambiare il sistema dall’interno, senza riuscirci. Con Willow le cose non erano andate bene fin dal principio. Con lei come con chiunque altro. E lo scontro che l’aveva portata in Soffitta era arrivato alla fine di una lunga discesa da cui June non sarebbe comunque mai risalita con le sue forze. Aveva perso il suo potere molto prima che Willow glielo portasse via. Nella vastità del mondo, in quella distesa infinita di desideri che nessuna magia avrebbe mai potuto realizzare.

    Si stava facendo buio. June pensò che avrebbe dovuto cercarsi una stanza. Era la sola cosa giusta da fare a quel punto.
    Ma poi si decise a fare un ultimo tentativo con la piccola e bussò alla sua porta, sperando che, nonostante tutto, fosse più ragionevole di JJ.
    “Entra.”
    La trovò in cima a una scaletta sotto il lucernario, con lo sguardo rivolto verso l’alto.
    “Cosa stai facendo?”
    “Aspetto le stelle. È a quest’ora che iniziano a saltar fuori.”
    June all’improvviso ricordò. Si rivide a sei anni, prima che l’acchiappassero e la portassero all’orfanotrofio. A quei tempi viveva per strada, un monella che sopravviveva con piccoli furti, che correva come un fulmine e si difendeva a sassate. Si rivide davanti alla vetrina di una libreria con un sasso in mano. Vide il vetro infranto e quell’attimo di indecisione tra afferrare un libro di incantesimi e scomparire o afferrare un atlante del cielo e volare via.
    Aveva scelto la magia invece delle stelle e J era finita in Soffitta, insieme al ricordo di quel momento e alla sottile vergogna di aver provato attrazione per qualcosa di diverso dalla magia, anche se solo per un istante.
    “Non prendertela con JJ. Sembra sempre arrabbiata, ma è solo triste. Non ha nessuno a cui raccontare le sue storie. Ci sono soltanto io qui.”
    “Che cosa scrive?”
    “Storie incredibili. Cacciatori di draghi, cowboy spaziali, principesse pirata, elfi saltanuvole e qualunque altra cosa possa venirti in mente.”
    June cercò di ricordare se aveva mai provato il desiderio di scrivere, se c’era stato un momento della sua vita recente in cui aveva pensato di abbandonare la magia per dedicarsi a quelle storie fantastiche, ma non le tornò in mente nulla.
    Eppure anche JJ era lì per causa sua. Le sue scelte popolavano la Soffitta.
    “Mi dispiace”, disse allora.
    “Per cosa?”, le chiese la piccola.
    “Che tu sia qui. Di non aver preso l’atlante del cielo quel giorno.”
    “Non importa”, le rispose. E June fu sicura che fosse sincera. “E poi noi siamo in due…”
    Mentre lei era da sola.
    “Ci siamo. Ci siamo”, esclamò J. “Guarda anche tu.”
    Il lucernario era davvero piccolo, come la pagina di un grosso libro, e offriva appena un riquadro di cielo, ma era comunque bello.
    Restarono lì per un po’, a guardare fuori, una accanto all’altra sulla scaletta. Fino a quando al centro del lucernario non arrivò una grossa luna e non si riuscì più a vedere alcuna stella.
    J sbadigliò e si stropicciò gli occhi. “Andrò a dormire ora”, disse. “Ti cercherai una stanza?”
    “Penso di sì.”
    “Resti qui fino a che non mi addormento? Di solito JJ mi legge una delle sue storie, ma dubito che stasera uscirà dalla sua stanza.”
    La soffitta era buia e non c’erano luci. Solo quella della luna.
    “Non hai paura del buio?”, le chiese June.
    “Lo sai che non ne ho.”
    Restò accanto a J fino a quando non fu addormentata e poi uscì in punta di piedi dalla stanza per andarsi a cercare un letto.

    Passò accanto alla stanza di JJ e vide che la porta era aperta, ma fece finta di nulla e proseguì lungo il corridoio. Fu a quel punto che si sentì chiamare.
    “Si è addormentata?”, le chiese JJ.
    “Sì.”
    “Non hai idea di quanto sia silenzioso questo posto quando lei dorme.”
    “Me lo immagino. Posso farti una domanda?”
    “Certo.”
    “Lo toglie mai quel costume?”
    “No. La Soffitta è la sua nave spaziale. Non se ne andrà mai via di qui. Né arriverà mai in nessun posto. Ma è sempre la sua nave.”
    “Mi dispiace.”
    “Non è colpa tua. Funziona così. Sai cosa dice delle stelle, la bambina?”
    “Cosa?”
    “Che alcune non esistono nemmeno più. Le hai davanti agli occhi ma sono già morte. Spente migliaia di anni fa. E la luce che arriva a noi è tutto ciò che ne resta. Una specie di ricordo, che attraversa il tempo e lo spazio. Forse è per quello che le piacciono tanto. Qui tutto è un ricordo. Una parte dimenticata di qualcosa che non esiste più. È questo che siamo io e lei. Non vedo che senso abbia preoccuparsi del futuro, dopo tutto. Non è un problema nostro. Né mio, né di J. Al massimo è un problema tuo. È per questo che non puoi restare. Dobbiamo trovare un modo per farti tornare indietro.”
    “Come? Non ho più alcun potere.”
    “Uno scrittore smette forse di essere tale se non ha nessuno a cui raccontare le sue storie? E un astronauta smette di essere un esploratore del cosmo quando è costretto a guardare il cielo da una finestra? E allora una strega rimasta senza incantesimi è pur sempre una strega.”
    “Chi sei tu?”
    “Cosa intendi?”
    “Cerco di ricordare quando ti ho perso. In che momento ti ho lasciato andare e sei finita qui, ma non mi viene in mente nulla.”
    “È stato dopo l’orfanotrofio. Una volta fuori, quando ti sei resa conto che la magia che avevi non ti sarebbe bastata. Tu sei andata in cerca di altre come te, che avessero il tuo stesso potere. Io invece sono venuta qui.”
    “Perché le storie?”
    “Perché con il tempo mi sono convinta che fossero soltanto quello. Che non ci fosse alcuna magia. Non ero mai stata una strega. Gli incantesimi erano soltanto favole. Solo un modo per giustificare il fatto che gli altri bambini andavano via mentre io restavo lì. Una follia che spiegasse perché nessuna famiglia mi avesse mai scelta. Realizzare i desideri degli altri era soltanto una scusa. Erano i miei che avrei voluto realizzare. E non c’era alcuna magia per poterlo fare. Era solo immaginazione. Nient’altro. E così l’ho usata nell’unico modo che potevo.”
    “Scrivendo.”
    “Già. Ma tu sei qui. E questo può significare una cosa sola. Che mi sbagliavo.”
    “E se invece avessi ragione? Potrebbe essere tutto frutto della mia immaginazione. Non lo vedi questo posto? Assomiglia un po’ troppo a dove siamo cresciute. Forse tu e J siete solo due spettri. Forse mi sono chiusa qui perché questo è l’unico posto che possa proteggermi da quel che sono. Non esistono le streghe. Non esiste alcuna Willow Rosenberg. Forse Willow è solo un nome per la paura di non avere alcuna magia dentro.”
    “E allora cercati una stanza e falla finita. Oppure datti da fare e usa il tuo passato se vuoi avere ancora un futuro. Usaci.”
    “Che vuoi dire?”
    “Non importa se ho smesso. Se sono arrivata al punto di pensare di non aver mai avuto alcun potere. Sono stata una strega per anni. E la bambina lo può diventare. Siamo in due. Dovrebbe essere abbastanza per farti tornare indietro.”
    “E se portassi via anche voi?”
    “C’è un solo finale per questa storia. Tu torni, noi restiamo.”
    “Cosa diciamo alla bambina?”, chiese a JJ.
    “Che faremo una specie di gioco.”
    “Lo sai che vorrà dargli un nome, vero?”

    La svegliarono e fecero un cerchio nel punto esatto in cui era apparsa June.
    JJ disse “Spiegaci quel che dobbiamo fare.”
    “OK. Vi ricordate quando vivevamo per strada? Quando il mondo intero era nostro e nessuno riusciva a starci dietro? Quando rubavamo quel che volevamo, ogni volta che ci andava?”
    Le altre annuirono.
    “Pensate a un sasso che attraversa una vetrina. È come un desiderio che attraversa la realtà e la infrange. Rompe la barriera tra quel che esiste e quel che non esiste ancora. Una volta che quel varco si è aperto, potete prendere quello che volete. Lo afferrate e scappate via.”
    “È così che funzione la magia?”, chiese J.
    “È una cosa da monelli, sì. Un piccolo furto. Afferri qualcosa che non esiste e lo trascini dentro la realtà. Era quello che facevo per gli altri bambini, all’orfanotrofio.”
    “Ed è quello che faremo per te”, dichiarò JJ.
    Si presero per mano e chiusero gli occhi.
    La fine è vicina, pensò June. E non era vero. Non ce n’era una sola, per quella storia.
    Un attimo prima che arrivasse, aprì gli occhi e guardò un’ultima volta il suo passato.
    Lasciò andare le loro mani e le osservò scomparire. Avevano lanciato un sasso, afferrato i loro desideri e ora se la filavano alla velocità della luce. Nessuno sarebbe mai riuscito a prenderle.
    June si alzò. La Soffitta era silenziosa e buia, ma lei non aveva mai avuto paura del buio. O della solitudine.
    Avrebbe guardato le stelle dalla camera di J e magari letto qualche storia. E avrebbe aspettato.
    Era tornata a casa, dopo tutto. Presto sarebbero arrivati altri bambini.

    Davanti alla vetrina del negozio di libri osservò il suo riflesso. I capelli corti, le lenti a contatto, i vestiti della misura giusta. Le piaceva quel che vedeva.
    Cercò il suo libro tra tutti gli altri. Rilesse il titolo e il suo nome in copertina.
    JJ Wolowitz – La Soffitta.
    Per un istante pensò di tirare un sasso e rubarne una copia, ma non ne aveva bisogno. Aveva già realizzato il suo desiderio. E poi non aveva più bisogno di quelle storie. Non le aveva scritte per sé.
    Restò lì incantata per un po’, fino a quando la bambina non le disse che era ora di andare. Aveva il suo atlante delle stelle sotto braccio e indossava un vestito leggero perché era estate.
    “Mi sento strana senza la tuta”, disse J.
    “Era solo un costume. Non puoi andare con quello nello spazio.”
    “Lo so. È buffo.”
    “Che cosa?”
    “Doversi per forza disfare del passato per andare avanti.”
    “Lo sai che non potrai andarci subito, vero? Prima devi crescere un po’.”
    “Lo so. E poi potrei sempre cambiare idea.”
    Lo disse e poi le strizzò un occhio. Entrambe pensarono a June da sola in Soffitta.
    “Sei proprio una strega”, le disse JJ.
    “Senti chi parla.”
    Si presero per mano e si allontanarono.
    “Ancora una cosa”, disse JJ. “Pensi che dovremmo dare una lezione a quella Willow Rosenberg?”
    “Perché no? Aspetta che ci veda tutte e due insieme. Stai sicura che le verrà un colpo.”
     
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    Mi sono persa per strada più di una volta per via dei nomi uguali, della stessa vita vissuta in stadi diversi, delle caratteristiche uguali, ma diverse. La cosa che ho capito senza problemi è che sei un'ottima scrittrice e quando sarà il momento mi fornirai le dritte che intuisco, ma delle quali non sono sicura.
    Un abbraccio.

    ... e con questo, tutti abbiamo avuto almeno un parere. Ciao, buona serata.
     
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    Penna suprema

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    Mi piacciono le storie semplici, è un mio difetto caratteriale.
    Sarei felice a leggere solo quelle, così potrei mettere da parte il mio impegno
    per qualcosa di più importante della lettura.
    Tu, autore, il tempo lo vuoi tutto e questo, in parte, fa bene alla mia salute,
    ai miei acciacchi cognitivi.
    Sono abbastanza egocentrico e ingenuo per sperare che un po' di confusione tu l'abbia
    inscenata per me.
    Grazie, ti abbraccio.
     
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    E' uno di quei racconti che bisogna rileggere a mente fresca e con molta attenzione per raccapezzarcisi. Sicuramente l'idea è buona.
     
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    Penna furiosa

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    Autore, sei stato vittima di un attacco di fantasia come non mi capitava di vederne da tempo.
    Tanto di cappello; mi piacerebbe sapere cos'è che ti ha ispirato al punto da riuscire a produrre un'idea del genere.
    Questo testo mi ricorda più una favola, che un fantasy, ma l'idea di fondo è davvero bella e l'hai esplicitata in maniera superba.
     
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    Penna furiosa

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    Lettura difficile a causa della confusione creata dalla figura protagonista che si sdoppia e triplica. A mio avviso, da rivedere e semplificare. Mi spiace.
    Peccato perché il testo offre spunti di riflessione come la frase seguente: ” La fine è vicina, pensò June. E non era vero. Non ce n’era una sola, per quella storia.” Vero. Nel libro della nostra vita, alcuni capitoli sono già scritti, ma soltanto noi autori possiamo scrivere il finale e non è detto che ce ne sia uno solo.
     
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    Penna furiosa

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    Il finale mi ha spiazzata, lo ammetto. E quindi si trattava di una trappola organizzata da J e da JJ per fuggire dalla soffitta? June è stata ingannata e condananta a rimanere in soffitta al posto loro?
    Oppure J e JJ erano solo "proiezioni mentali" create dalla povera June, che in realtà non aveva mai lasciato l'orfanotrofio?
    Questo racconto non è affato semplice, ma è profondo e cela significati nascosti. E questo mi piace.
    Una favola dolce-amara di cui sono curiosa di scoprire altre cose.
     
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  8. Foglia nel vento
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    Anche a me è parso capire che, con un colpo di scena finale, le "vecchie" June si vendicano dell'ultima June rendendole il favore.
    Non mi è chiaro perché quest'ultima sia finita nella "soffitta": in base a quanto detto, si tratta di un fenomeno volontario di accantonamento del passato da parte della persona, che relega altrove pezzi di sé che non considera più indispensabili. Qui saremmo di fronte a un suicidio, il che, visto che c'è di mezzo la magia, non escluderebbe comunque il possibile ritorno.
    In effetti si stenta un po' a tenere il filo anche se l'utilizzo delle varianti (J, JJ, June ovvero JJJ) rende il tutto più comprensibile dei vari Josè Arcadio e Aureliano di sette generazioni diverse narrate da Marquez (una delle cose più fastidiose del romanzo).
    Lo classificherei come Slipstream perché alla presenza dell'elemento magico si unisce molto altro, compreso un discorso filosofico mica da ridere.
     
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    Penna furiosa

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    Bravo autore, scrivi bene. Bella anche la storia che hai raccontato, ben costruita. La parte iniziale prende subito, il lettore vuole andare avanti per capire cosa sta succedendo. Mi piace il modo in cui hai usato il fantasy per rappresentare le varie parti della personalità in diversi momenti della vita.
    Tutto bene e chiaro fino all’ultima parte, poi confesso che lì mi sono persa. Cosa avviene, una inversione della realtà? Un cambiamento totale della storia, dato che ad essere reali ora sono J e JJ e June viene messa da parte, in Soffitta? A questo punto sono dovuta tornare a leggere dall’inizio, per vedere di chiarirmi le idee. Forse vuoi dire che June avrebbe dovuto morire, per colpa di Willow, e invece finisce solo in Soffitta, da dove poi riesce a tornare nella realtà nella forma delle sue personalità passate? Insomma, mi rimane il dubbio: non capisco se in effetti ci siano dei traballamenti narrativi oppure se semplicemente sia io a non comprendere bene.
    Tutto il racconto sembra un po’ l’inizio di qualcosa, che poi però non si compie. Il capitolo iniziale di un romanzo, che è ancora da scrivere.
    Giusto qualcosa che ho percepito come non perfettamente in linea: perché June, in grado di mandare gli orfani dove vogliono e di farli essere ciò che desiderano, non lo fa anche con se stessa? Nessuno si chiede dove siano questi bambini che scompaiono?
    Due curiosità: il nome “Willow” è un omaggio alla strega nella serie “Buffy”? E la bambina con la tuta da astronauta a River Song, della serie “Doctor Who”?
    Peccato per la fine, perché mi lascia, come lettore, in uno stato di non comprensione e di insoddisfazione, ma la storia in sé mi è piaciuta e tu scrivi in modo accattivante.
     
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    Scrivano supremo

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    Ciao Aut-

    Se proprio devo farti un appunto: il flashback forse si può evitare. Hai a disposizione due personaggi che rappresentano il passato della protagonista... e non li usi! Si nota, purtroppo.

    Stanotte è la notte di Buffy, due racconti letti e due citazioni trovate. Qui c'è Willow Rosenberg in persona, il che lascia il dubbio: la protagonista è buona o cattiva?

    Il tuo Urban fantasy però non è horror, invece è contaminato con il metaracconto ma te ne accorgi solo alla fine. Perché in mezzo a volte mi viene il dubbio se sia davvero un fantasy oppure no. Solo alla fine si dipana il mistero, proprio perché non è l'unico finale possibile.
     
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    Penna stilografica

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    trecase

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    Ricomincio da tre. E' sempre possibile mettere in stand by se stessi e riannodare qualche vecchio filo per poter andare avanti. Le possibilità umane sono infinite come la magia. Racconto magnifico. Numero uno per me.
     
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    Penna suprema

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    Riletto, dopo le parole di triss,,

    è la magia a sostenermi.

    Molto bello.
     
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    Teropode assennato

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    Davvero bello e scritto in maniera quasi impeccabile.
    Non ripeterò quanto già evidenziato da altri, mi limiterò a dire che a metà racconto ero talmente infervorato per la bellezza del tema e la sua grandiosa malinconia, che mi ha un po' (tra virgolette) deluso la confusione del finale, voluta, cercata, più che altro priva di quella carica emotiva della quale era invece permeato il resto del racconto.

    E' tra i migliori che ho letto, valuterò se IL migliore o meno.

    EDIT - un appunto minuscolo: quando J dice a JJ "ne è arrivata un'altra" mi ero prefigurato che fosse un evento ciclico e che ci fossero più versioni datate di June, invece sono soltanto in due. Questo mi ha stranito un po', ma si tratta davvero di un'inezia.
     
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    Penna furiosa

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    Racconto con molto potenziale, che riesce a creare un'atmosfera particolare e magica. Lo rileggerò per capire meglio alcune cose che mi sono sfuggite, anche se a dirla tutta già così il tuo racconto mi è piaciuto molto.
     
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    Dio della penna

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    Riletto con la stessa fatica della prima lettura.E' un racconto per menti fresche ed intuitive. Dà l'impressione di essere un'opera importante e i commenti, pur con qualche incertezza, lo confermano, ma non avrà il mio voto. Apprezzo l'originalità dell'idea e si nota il timbro della qualità ma, per me, il negativo consiste nella fatica di capire cui si sottopone il lettore. Sopratutto se anziano.
     
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47 replies since 23/9/2017, 22:26   978 views
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