Storia a metà

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    Scrivano supremo

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    A qualche centinaio di metri dalle ultime case del borgo, accanto al sentiero che proseguiva perdendosi nella campagna infinita, sorgeva una chiesetta dedicata a San Michele: a pianta rettangolare, dai muri di marmo ingrigiti dal tempo e con un basso campanile, nettamente sproporzionato rispetto alla struttura da cui svettava. La chiesetta giaceva in uno stato di avanzato abbandono e ormai non si contavano i giorni da quando si celebrò l’ultima funzione religiosa tra le sue mura, dinanzi al suo tabernacolo. Questi particolari le davano un’aria triste, come se il Signore da un pezzo non passasse di li. Ancor più triste, e più nefasto, era il prato che si trovava a sinistra del suo ingresso, che si estendeva sino ai campi adiacenti coltivati a soia e frumento. Quel manto erboso, d’un verde scuro quasi accecante per la lucidità, era conosciuto da tutti come il “prato delle streghe”, poiché in tempi molto lontani, l’Inquisizione allestiva proprio lì i suoi falò per bruciare eretici e donne accusate di stregoneria. Il calore delle fiamme, le urla prima e la puzza di carne bruciata poi, sembravano ancora sentirsi tra un alito di vento e l’altro. Quando i roghi cessarono, lo stesso prato divenne una specie di sacrario magico, un santuario per tutte le streghe provenienti da ogni angolo della Terra, che svolgevano i loro riti attribuendo a quel luogo un potere energetico speciale oltre che sacro per quanto accaduto in passato. Il sangue di molte streghe era stato versato su quel terreno, facendolo diventare inquietantemente famoso e desiderato dalle fattucchiere. La chiesetta fu costruita nel giro di un giorno e una notte, come risposta degli abitanti del paese alle continue invasioni di cavallette e cimici, e stufi delle scorribande di quelle pazze invasate, ma anche decisi a salvaguardare il buon nome del borgo che, chilometro dopo chilometro, le dicerie avevano trasformato nel villaggio delle streghe.
    Nelle vicine colline, che dolcemente si estendevano all’orizzonte sino ai piedi delle Alpi, crescevano viti rigogliose che producevano grandi nettari, anche se tra i loro filari, abbandonati a se stessi, giacevano grossi massi, meglio conosciuti come “massi coppellati”, una sorta di altari provvisori utilizzati per svolgere riti pagani inneggianti le forze della natura, tipo una danza della pioggia contro la siccità, o una danza del sole quando la pioggia a sua volta invocata rischiava di provocare alluvioni. Un tranquillo borgo di provincia avvolto da un alone di perenne mistero, nonostante il gran galoppare delle dicerie che sicuramente avevano contribuito a ingigantire la “storia”. Quanto però accadde ancora, stavolta all’interno del borgo stesso, tra le sue strade e la sua gente, ha forse ben poco a che fare con fattucchiere da quattro soldi e fanciulle tarantolate intente a danzare con la luna.
    E’ necessario partire dal principio e precisamente da quando Costanza, la protagonista di questa storia, cresceva ancora nel grembo della madre. Siamo alla fine del XVII secolo, in una famiglia di contadini piuttosto agiata ma, come molti in quel periodo, completamente analfabeta e facilmente impressionabile. La madre di Costanza un giorno accusava dolori fortissimi al ventre e, col timore che potesse accadere qualcosa al nascituro, aveva preferito rimanere a letto invece di seguire il resto della famiglia al lavoro nei campi. Si svegliò di colpo dal leggero assopimento in cui era sprofondata, trovando accanto a lei due donne, mai viste prima. Indossavano vestiti “della festa”, avevano collane e bracciali di pietre preziose e luccicanti, anelli di brillanti. La guardavano accennando un sorriso di tenerezza, come se fossero parenti, anzi sorelle impazienti di tenere tra le loro braccia la propria nipotina. “Chi siete voi?”, domandò la madre urlando anche se sapeva benissimo che nessuno l’avrebbe udita. “Siamo qui per la figlia…”, dissero loro pacatamente continuando a fissare il pancione. “Figlia? Chi ve lo ha detto? Chi siete?” sbraitò la madre strizzando gli occhi. Non ebbe risposta e come sollevò le palpebre le donne erano sparite.
    La madre di Costanza non ebbe nemmeno il tempo di far parola al marito di quel fatto strano perché la sera stessa si ruppero le acque e iniziò il travaglio. Costanza venne alla luce senza emettere un solo vagito, tant’è che la levatrice pensò al peggio. Ma Costanza era viva e vegeta, con gli occhi spalancati e subito volle attaccarsi al seno materno. Fu l’unica volta che lo fece perché nei giorni e nei mesi successivi, l’infante mangiava poco e a singhiozzo, seppur crescendo regolarmente. I familiari, turbati da quel comportamento insolito per una neonata, l’avevano già affidata al Signore durante le loro preghiere serali. Ma Costanza cresceva in forze e in silenzio, perché nessuno la sentiva mai piangere. Nessuno tra i famigliari si rendeva conto di quanto Costanza fosse “particolare”, almeno finché non accadde un fatto che ha dell’incredibile, quando Costanza non aveva che otto anni. Era a passeggio per il borgo con una delle sue coetanee e si fermarono davanti alla vetrina del gioielliere. Collane e preziosi monili brillavano oltre il vetro. “Quale desideri?” chiese Costanza all’amica. “La collana di turchese”, disse lei passandosi la mano sul petto immaginando di indossare l’ornamento. Costanza guardò la collana, poi l’amica negli occhi che la guardò a sua volta e, appena riabbassò lo sguardo, vide la collana desiderata intorno al suo collo. “Ma come hai fatto?” chiese a Costanza mentre si allontanavano verso la piazza. Nessuno sapeva come avessero fatto, ma ovviamente furono accusate di furto. I guai furono attenuati dal fatto che la collana fu restituita al gioielliere, che giurò ai carabinieri reali di non aver mai visto le due fanciulle entrare nel suo negozio per rubare la collana.
    Dopo qualche giorno Costanza si ammalò in maniera apparentemente grave, tant’è che il dottore allargava le braccia di fronte al suo capezzale, non sapendo che pesci pigliare. La figlia giaceva inerme nel suo letto, il polso era assente, la madre e le sorelle in lacrime si affrettarono a far chiamare il prete, per affidare quella creatura al Signore. Il mattino dopo la madre aprì la porta della camera di Costanza e con grande stupore trovò il letto vuoto. La figlia era sparita. Un gran trambusto si scatenò in casa e ben presto in tutto il paese dove i cittadini, insieme con i familiari, erano impegnati nella ricerca della ragazza. La ritrovò un uomo sulla strada che dal paese conduceva al capoluogo, sporca e con i vestiti laceri, i capelli alzati in aria, come fosse stata colpita da un fulmine.
    Costanza raccontò di aver viaggiato per tutta la notte, di aver visitato l’oriente e la Russia, il deserto africano e la savana equatoriale. Lo raccontava serenamente, con tanta naturalezza e semplicità che spaventò ancor di più i familiari: corsero a chiamare il prete, perché del medico, dopo quel terribile racconto, non sapevano che farsene.
    Nemmeno il prete poté nulla di fronte alla figlia, che appena rientrata a casa sprofondò in un sonno mortale. Il prevosto, timorato di Dio, prima di pensare a come sbrogliare quella matassa, si preoccupava di cosa dire quando il signor vescovo gli avrebbe chiesto spiegazioni, perché se la Costanza non fosse ritornata in sé quanto prima, le notizie sarebbero certamente arrivate all’arcivescovado, benché distante qualche decina di chilometri dal paese. Ma i guai, per il prete, erano solo al principio. La figlia, quando il sacerdote era presente, dava in escandescenze, bestemmiava e, con voce maschile e roca, parlava altre lingue incomprensibili a tutti i presenti. Tutti i presenti perché la camera di Costanza si popolava, a parte i familiari e parenti stretti, di tutti i cittadini che riuscivano a carpirci. Vedevano la figlia assumere sembianze inumane, vomitare, ridere diabolicamente e sputare addosso a chi capitava sotto tiro. Terrorizzati, gli astanti si inginocchiavano a pregare e chiedere pietà e la figlia impazziva ancora di più. Solo quando il prete, che come il prete de “I promessi sposi” non era un cuor di leone, trovava il coraggio di alzare il crocifisso di fronte a quella bestia, tutto tornava calmo e tranquillo. Costanza ritornava lei e dormiva pacifica nel suo letto. Se la camera della vergine pullulava di cittadini, lo stesso accadeva all’infuori delle mura di casa. Il paese tutto era concentrato sugli strani avvenimenti della casa di Costanza. E gli episodi erano veramente strani perché, mentre Costanza era in preda a una delle sue crisi, all’esterno si vedevano licantropi ululare sul tetto, gufi dagli occhi di fuoco volteggiare sopra al camino e ombre di donne in groppa a scope che lanciavano risate stridule e raggi di luce simili a saette contro chi le osservava dal basso.
    Nel giro di pochi giorni, la famiglia di Costanza restò completamente isolata dal resto della comunità. Troppe erano le stranezze per scagionare tutti i parenti dell’invasata, qualcuno per forza doveva aver architettato a dovere un tale trambusto. Nonostante la storia locale fosse zeppa di episodi insoliti, al limite del paranormale, nessuno tra la massa di analfabeti del paese volle credere a un intervento diabolico, o a una rivolta delle streghe dopo secoli di persecuzioni, o ancora, peggio, che il Signore avesse definitivamente abbandonato quei territori, consegnandoli alle tenebre dell’inferno.
    Soltanto il curato del paese non se la sentì di abbandonare quella figlia e, temendo una presenza demoniaca nel di lei corpo, si affrettò a chiedere udienza al vescovo della sua diocesi, intento a strappare l’autorizzazione ad amministrare i Santi Esorcismi alla fanciulla posseduta. Ma una volta di fronte al vescovo, il prete scoprì come le dicerie, i pettegolezzi e le maldicenze, avevano corso più veloce di lui: non solo il vescovo gli negò la possibilità di amministrare un esorcismo, ma lo accusò, anche se non direttamente, di essere in combutta con la giovane e gli consigliò di prendersi una vacanza presso la sua famiglia in attesa della nomina di un nuovo parroco.
    Prima di tornare a casa, il prete passò dalla famiglia di Costanza per comunicare la decisione del vescovo. Con grande stupore, senza che egli avesse proferito parola, Costanza si mise a raccontare in dettaglio tutto il colloquio tra il prete e il vescovo. Conosceva per filo e per segno tutto ciò che si erano detti, compresa la decisione finale dell’alto prelato.
    Il prete sbottò: “Extra omnes!” E tutti lo guardarono attoniti. “Tutti fuori!”
    “Chi sei tu nel corpo della figlia?”
    “Sono Paolo e sto con lei da quando è nata…”
    “Sei il demonio? vattene, lascia in pace questo corpo, è il volere di Dio!”
    “Sono Paolo e di Dio me ne impipo, piuttosto, visto che bella figura ti ho fatto fare?”
    “Cosa c’entri tu, quanto accaduto è volere di nostro Signore!”
    “S’è visto quanto Tuo Signore s’interessa di te e della figlia. Comunque, domani me ne andrò da questo corpo, risparmiati i rosari…”
    “Ave Maria gratia plena…”
    Le luci delle candele si spensero, come se il vento fosse riuscito ad attraversare le pareti. Costanza sprofondò nel solito sonno mortale. Il prete, altamente provato, uscì dalla stanza con il sudore freddo che gli colava dalla fronte, bianco come un cencio. In cuor suo si sentiva sollevato, pensava di avercela fatta a scacciare quel qualcuno.
    Il giorno dopo Costanza era ritornata a essere la ragazza di sempre: attiva in casa e nei campi. Nonostante l’età giusta sarebbe stato difficile trovarle marito dopo quanto accaduto. Il prete, come previsto, fu rimosso. La comunità del borgo tentò con tutti i mezzi possibili, ma dall’arcivescovado non ne vollero sapere: tutto il trambusto era opera di Costanza e del prete in combutta, forse addirittura amanti.
    La sera stessa grossi fuochi fatui ardevano luminosi al prato delle streghe, accompagnati da lamenti, grida di disperazione e calore delle fiamme. Costanza, dal letto della sua camera, attendeva il trasferimento presso una casa di correzione del capoluogo.
     
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    Penna suprema

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    Un pezzo interessante nel contenuto, scritto in forma non sempre corretta. La trama richiama un po' il film "L'esorcista", l'ho letto con piacere.
    Non mi intendo di generi letterari, non so se sia da considerare horror o fantasy, quindi mi avvalgo della facoltà di...astenermi e di demandare a chi ne sa di più.
     
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    Penna furiosa

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    Ciao autore. Se posso, come prima cosa ti invito ad andare a capo, ogni tanto. Il muro visivo che il lettore si trova di fronte lo stanca immediatamente, tanto più se è costituito da un continuo succedersi di descrizioni e informazioni varie tra lo storico e il didascalico.
    Non credo di riuscire a classificare questo racconto come fantasy. A parte il particolare della collana, nel complesso mi dà più l’impressione di un racconto basato sulla lettura di fonti storiche e documenti relativi a un caso di possessione demoniaca nel ‘600. Documenti in cui si trovano anche testimonianze di chi avrebbe visto lupi mannari e gufi dagli occhi di fuoco.
    La scrittura è ancora immatura, per un narratore. La trovo più orientata verso lo scolastico e il didascalico.
    Andrebbe anche un po’ sistemata la forma.

    Dimenticavo: non ho capito il titolo. Ma forse mi sono persa io qualcosa.
     
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    Penna furiosa

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    Pezzo interessante, però anche qui non riesco ad individuare il genere fantasy. Più intrigante la prima parte del racconto rispetto alla seconda. Le schermaglie tra la presenza e il prete alla fine risultano essere abbastanza classiche, non riuscendo a dare quel pizzico di imprevedibilità alla storia.
    Anche a me poi alcuni passaggi sono sembrati poco fluidi e farraginosi nella forma.
     
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    Penna suprema

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    Poco fantasy, ma questo potrebbe essere un merito.
    Quando uscì il film di Friedkin feci a cazzotti per poterlo vedere, poi il mio sonno sparì per due notti. Qualcosa era successo.
    Bravo autore.
     
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    Scrivano supremo

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    Ciao Aut-.

    Imprecisioni di forma: se un campanile è basso allora non svetta, casomai si erge o si eleva. Parti descrivendo la chiesa in rovina al passato, ma la storia che racconti in realtà si svolge ancora più nel passato; secondo me sarebbe meglio descrivere la chiesa diroccata al presente e poi partire con la storia al passato. Il vescovo sta nel vescovado; l'arcivescovo sta nell'arcivescovado.

    Imprecisioni storiche: faccio fatica anche a immaginarmi un gioielliere con tanto di negozio e vetrina in un borgo contadino dimenticato da tutti alla fine del Seicento. Aggiungo che i carabinieri reali nacquero nel 1814 e, comunque, il "carabiniere" nel senso di "soldato armato di carabina" nasce come termine alla fine del Settecento; sarebbe meglio usare "gendarme", parola nata proprio nel Seicento per indicare soldati d'élite; tra le loro armi poteva esserci anche... la carabina! Ma questa è un'altra storia :)

    Stilisticamente non si capisce il titolo "Storia a metà", a meno che non si tratti di un modo "inconscio" per dirci che hai preso due "mezze storie" e le hai cucite insieme. ;) Il punto in cui scrivi che la chiesa è stata costruita in un giorno e una notte secondo me non sta bene lì, perché è un momento in cui culli il lettore con lentezza e quella rapidità, così raccontata all'improvviso, stona.

    La trama secondo me zoppica in questo senso: le streghe nella visione della madre di Costanza attendono la figlia, che si comporta normalmente fino alla magia di quando compie otto anni, salvo poi scoprire che è posseduta da un certo Paolo che è con lei da quando è nata. A gusto mio non quadra. Nel complesso però l'idea c'è e l'ho seguita con piacere. Dopo aver letto gli altri commenti, aggiungo che secondo me il fantasy ci sta tutto; ho letto racconti fantasy con connotazioni molto più horror rispetto a questo. Anzi, mi è piaciuta molto la contaminazione storico-horror-fantasy, quindi da parte mia voto pieno per il genere.

    Spero di non averti annoiat@ con tutti i miei consigli. :)
     
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    Penna furiosa

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    Dopo la” scorpacciata” di vampiri e licantropi, un nuovo ciclo fantasy con presenze diaboliche e celesti ha fatto irruzione nei cataloghi delle case editrici. Il soprannaturale rientra a pieno titolo nel genere e pertanto considero pertinente il caso di possessione diabolica oggetto del racconto. La commistione con l’horror è generalmente accettata.
    Non mi convince invece la forma dell’esposizione non sempre corretta; lo stile mi sembra cronachistico, alquanto freddo. Alcuni errori sono grossolani, per esempio:
    - la ripetizione del soggetto: Costanza/ la figlia
    - E’ invece di È
    - qualche refuso “avevano corso più veloce di lui”
    - il mancato rispetto della consecutio: “La chiesetta giaceva in uno stato di avanzato abbandono e ormai non si contavano i giorni da quando si celebrò l’ultima funzione religiosa…” (era stata celebrata)
    Non mi soddisfa il finale: Costanza viene mandata in una casa di correzione per dare il tempo ai paesani di dimenticare l’accaduto, ma la storia rimane tronca. Forse l’autore se ne accorge e questo spiega il titolo: “Storia a metà”.
    Manca la ricerca di sé, il superamento e c’erano ancora circa 8000 battute da utilizzare.
    Sarebbe stato interessante immaginare le conseguenze di un evento così drammatico nella psiche della ex- indiavolata. (supponendo che non fosse malata in partenza)
     
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    Condivido la maggior parte delle critiche. L'argomento "possessione diabolica" avrebbe potuto dare spunto a ben diverse emozioni. Anche la forma lascia piuttosto a desiderare. Come si dice? Sorry.
     
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  9. Foglia nel vento
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    L'Horror-Fantasy (l'ordine dei generi non è messo a caso) è la "contaminazione" Fantasy che preferisco.
    Qui, purtroppo, ho recepito pochissimo Horror (a parte qualche deja vu: lupi mannari, possessioni diaboliche) e ancor meno Fantasy ("furto" della collana).
    Gli errori di forma sono già stati segnalati. Il titolo mi risulta ostico.
    La parte migliore è, a mio avviso, la prima.
    A mio parere, ci sono ampi margini di miglioramento, soprattutto se decidessi fra l'uno o l'altro genere.
     
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    Penna furiosa

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    Al di là di quello che viene raccontato in questo brano quello che non mi convince del tutto è come questo viene eseguito.
    Anche se la storia è molto movimentata e carica di eventi particolari, non ne ho colto la drammaticità.
    Sembra la cronaca asciutta di fatti accaduti e semplicemente riferiti.
    Nel genere ci siamo, ma l'autore non riesce a coinvolgermi del tutto nella vicenda, lasciandomi ai margini della narrazione, tenendomi fuori dagli eventi.
    Il riferimento ai Promessi Sposi l'ho trovato fuori luogo.
     
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    Teropode assennato

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    Racconto strano anche questo (è uno step strano).
    C'è del buono che non viene approfondito, bisognava osare di più. Uso l'esempio che più mi ha colpito, quando menzioni i gufi e i licantropi come fatti "strani".
    Un licantropo è una roba da perderci il senno, credo, non proprio un "fatto strano".
    Detto così è molto banalizzato e non dà la carica horror che una bestia lupina-umanoide dovrebbe avere.
    Prova a immaginare dei cittadini che vedano una cosa del genere:



    e lo considerino solo una stranezza. :D

    Non è un brutto racconto, anche se non è originalissimo, ma gli manca quel qualcosa di potente o di caratteristico per fare il salto di qualità.

    Ottima la disamina di Achillu sulle cose improprie dal punto di vista storico/logico.
     
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    Penna furiosa

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    Ci metti un po' a entrare nella vicenda. Le lunghe descrizioni prima dell'introduzione di Costanza sembrano un po' come quando stai in fila per il cinema. Non vedi l'ora che inizi il film e ti chiedi perchè devi per forza aspettare. Ma una volta dentro la storia soddisfa, l'atmosfera è magica e la narrazione prende il ritmo giusto. Va detto che ha un tono un po' inusuale, come se non si prendesse del tutto sul serio. Ma se la storia è a metà, qual'è l'altra metà della storia?
     
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    Penna stilografica

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    La storia così com'è scritta non permette di entrare nelle vicende. Inoltre anche la trama è poco esaustiva. Giusto invece il filo storico che collega le streghe alle internate.
     
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    Penna furiosa

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    Questo pezzo mi ha ricordato un fatto relamente accaduto che mi raccontava spesso mia nonna.
    Forse per questo motivo l'ho trovato abbastanza realistico (licantropi e streghe a parte, naturalmente :P )
    Non sono riuscita a entrare nella vicenda, però mi sono seduta e ho "ascoltato" la storia, che contiene anche elementi interessanti.
    Perchè chiamare Paolo il demonio che tormenta Costanza? A mio parere questa scelta ha tolto un pò di "brivido" alla storia.
     
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    Penna stilografica

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    Racconto scritto in modo particolare, antico. In alcuni punti mi sembrava di leggere Guareschi che invece di raccontare di Don Camillo e Peppone narrava le vicende di questa strana indemoniata fantasy, vittima due volte, prima del diavolo Paolo e poi della maldicenza della gente.
    Racconto che andrebbe un po' ripulito, ma comunque un tentativo apprezzato.
     
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20 replies since 24/9/2017, 11:09   375 views
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