La città

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    Scrivano supremo

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    Il sole sorgeva pallido dalle dune, offuscato dalle spirali di sabbia che si levavano dalle creste irregolari e bianche. Una tenue luce rosa illuminò la vallata desertica e rese visibili decine di mozziconi di tronco, che erano disseminati sulla piana, fossili neri e antichi, come radi peli d’una barba mal rasata. Oltre le dune basse, si intravedeva la sagoma lontana e regolare di un altipiano. Kira accarezzò il manto scuro dello stallone, provò fastidio per l’odore del sudore dell’animale. Dietro di lui sentiva il respiro affannato della giumenta carica di bagagli.
    Era in viaggio da dieci giorni, prima attraverso le foreste di Fatern, i cui enormi alberi parevano non avere fine e salivano per centinaia di piedi verso il cielo, poi lungo le terre grigie della Striscia, dove le città nomadi si muovevano in continuazione seguendo sentieri vecchi di millenni. Aveva seguito la colonna dei carri della città di Giam, fatta da gigantesche case mobili le cui ruote erano alte il doppio del suo stallone, trainate da centinaia di buoi dalle corna ritorte e decorate con campanelli di bronzo. Lungo i sentieri percorsi dalla città di Giam la terra veniva macinata e la polvere si levava in volute spesse che rimanevano in aria per giorni prima di depositarsi nuovamente al suolo. Oltre la Striscia, il deserto bianco e oltre ancora le terre del Grande Rosso, dove lui era diretto, dove sperava di trovare finalmente pace.
    Aveva cavalcato nel deserto per tre giorni, viaggiando durante la notte per sfuggire ai caldi pomeriggi, e si sentiva a pezzi: doveva trovare un posto dove fermarsi. Quando lo stallone sembrò andare più spedito si accorse con sollievo che la sabbia aveva lasciato il posto a una terra dura e secca in cui i suoi zoccoli dorati non affondavano più. Kira ne approfittò per liberare la bocca e il naso dal pesante panno di feltro che si era arrotolato attorno alla testa e vide meglio ciò che aveva davanti. In realtà l’altopiano che aveva avvistato all’alba altri non era che un cono schiacciato, con la punta mozzata, come un vulcano dal cratere enorme, ma alto poco più di cento piedi. Sulle pendici del cono crescevano arbusti radi e spinosi e la terra era scura, granulosa, come semi di papavero.
    Trovò un sentiero che saliva contorto fino alla cima e lo affrontò spedito. Raggiunta la sommità rimase fermo a lungo, sulla cresta del cratere, ad ammirare il paesaggio inaspettato. Sul fondo del cratere vide una piccola città. Questa era costruita al centro dell’enorme buco, il cui cratere era perfettamente circolare, più basso del livello del deserto, forse cinquecento, seicenti piedi sotto la superficie. All’inizio la pendenza per la discesa era notevole, per poi digradare dolcemente procedendo verso il centro e quindi verso la città. Così mutava anche la vegetazione, che diventava sempre più verde e rigogliosa, e la temperatura, che calava via, via che si scendeva di quota. Infine, al centro esatto del cratere, circondata da tre anelli concentrici di canali colmi d’acqua dal colore arancio, la città. Era costruita a spirale, avvinghiata attorno a un terrapieno sulla cui sommità si scorgeva un edificio nero e lucido, che mandava guizzi di luce blu mentre rifletteva i raggi del sole. L’edificio era squadrato, ma non regolare, aveva due torri, una tozza e merlata, mentre l’altra era alta e snella, con una cuspide in cima, circondata da una scalinata che la stritolava come una serpe. Ma la cosa più curiosa era che non aveva nessuna porta né finestra.
    Kira affrontò la discesa verso la città e arrivò ai canali piuttosto in fretta. Il sentiero era largo e pulito, alti alberi che non conosceva crescevano lungo di esso, soprattutto nell’ultimo tratto, e la temperatura era molto più fresca di ciò che si aspettava; dovette rimettersi il panno di feltro, stavolta attorno alle spalle. Non incontrò nessuno lungo la discesa all’interno del cratere, tantomeno all’imbocco del ponte sul primo canale. Kira si affacciò dal destriero e notò che il colore dell’acqua era dovuto a milioni di tessere di ceramica arancione applicate sul fondo del corso d’acqua, che scorreva come un fiume ed era pulita e cristallina. Vide anche alcuni pesci dorati, che si confondevano col colore delle piastrelle.
    Superò senza incontrare nessuno tutti e tre i canali ed entrò in città. Gli abitanti c’erano, ne era sicuro, tutto era curato e sentiva dei profumi nell’aria, come se qualcuno stesse cucinando della frutta particolarmente zuccherina, e odore di fuochi, li vedeva anche, alcuni pinnacoli levarsi dai tetti. E sentiva dei rumori, come un ticchettare preciso, sospiri, respiri rochi. Gli sembrò di essere spiato: da un muretto intonacato in calce bianca, da dietro un portale laccato di rosso. Le case erano tutte simili, a un piano, con le finestrelle rotonde come oblò, bianche o crema, dai tetti rossi di terracotta, tutte avevano un bel giardino pulito che si intravedeva dalle inferriate e dalle feritoie dei muri di cinta.
    Kira arrivò in una piazza stretta e lunga, circondata da portici bassi e fermò lo stallone, che batté gli zoccoli d’oro sul selciato, sollevando scintille dai ferri. Due bambini si affacciarono da dietro una colonna, avevano in testa dei copricapo di pelo di coniglio e indossavano delle vesti lunghe al ginocchio di un cremisi acceso, legate in vite da corde di canapa grezza. Avevano grandi occhi gialli, curiosi e attenti. Kira sollevò la mano in un cenno di saluto e loro scapparono, scomparendo dentro una casa.
    “Deve capirci, qua non viene mai nessuno.”
    La voce era arrivata da dietro le sue spalle e Kira dovette torcere il collo per capire chi avesse parlato. Vide un uomo di bassa statura, molto vecchio, che si reggeva a un bastone d’osso. Il vecchio sorrise e il viso si raggrinzì, mostrando centinaia di rughe profonde. Gli occhi però erano svegli, gialli e lucidi come quelli dei bambini. Vestiva una camicia larga di lino bianca e ampi calzoni di tela anch’essi bianchi legati alla caviglia con dei lacci colorati. Pesanti orecchini gli tendevano i lobi delle orecchie e quasi sfioravano le spalle.
    “Non mi tratterrò a lungo” disse Kira, “e mi scuso per il disturbo. Sono capitato per caso, devo riposarmi e far rifiatare le bestie.”
    Il vecchio scosse la testa, i lunghi lobi delle orecchie dondolarono.
    “Qui nessuno arriva per caso.”
    “Non conoscevo l’esistenza di questo posto, non l’ho mai visto neppure segnato sulle carte.”
    “Appunto” disse il vecchio e si girò. Fece cenno di seguirlo e battendo il bastone di osso sul selciato si incamminò verso il centro della città. Kira smontò da cavallo e afferrate le redini delle sue cavalcature seguì il vecchio. Attorno a lui, dalle finestre e da dietro gli stipiti delle porte, gli abitanti della città cominciarono a farsi vedere, tutti avevano gli stessi occhi da tigre.
    Il vecchio condusse Kira in una stanza rotonda dal pavimento di marmo rosa. Prima di entrare dovette cedere i cavalli a due giovani silenziosi che gli si erano avvicinati. Si prodigarono in profondi inchini e sorrisi timidi e suo malgrado dovette fidarsi. Dentro la stanza le fiaccole alle pareti rendevano vive le ombre e il puzzo di sebo bruciato faceva lacrimare gli occhi. Kira e il vecchio si sedettero su morbidi tappeti decorati e bevvero un decotto che una ragazza dagli occhi bassi portò loro. Dopo bevuto, Kira si sentì più leggero.
    “Amico mio” disse il vecchio, “parla pure liberamente. Come sei arrivato qua?”
    “Sto scappando”, disse Kira e gli sembrò strano il fatto di confidarsi così. Scosse la testa, tornò in sé e continuò: “Non potevo più stare a casa, non andavo più d’accordo con mio padre, non capiva i miei desideri, e mia madre, lei aveva già deciso la mia futura sposa, e mio fratello avrebbe ereditato il titolo, mentre io non sarei stato altro che un suo misero vassallo e non potevo sopportare una vita già decisa. E così, sono scappato. Ho portato con me pochi averi e ho deciso di andare il più lontano possibile.”
    Prese fiato e una leggera vertigine lo sbilanciò, dovette posare le mani sul tappeto, era soffice e fresco, come un prato a maggio.
    “Capisco” disse il vecchio. La luce delle fiaccole giocava con le rughe del suo viso e creava ombre nette che subito mutavano.
    “Sì, ma ripartirò presto” disse Kira.
    Il vecchio annuì e si mise in piedi.
    “Voglio farti vedere una cosa” disse.
    Fuori l’aria era frizzante e la luce del sole forte, Kira provò fastidio agli occhi e fece fatica a stare dietro al vecchio, che pareva ringiovanito e si arrampicava lungo le strette vie che salivano verso la cittadella nera. In cima, davanti alla strana costruzione, Kira si sentì malinconico e triste, la sfiorò con la punta delle dita e la trovò vellutata e calda, la luce creava onde blu sulla superficie dei muri, come una risacca.
    “Un tempo, neanche io conosco quando, questa pietra cadde dal cielo. Gli antichi popoli che abitavano queste terre, che al tempo erano fertili e coperte di foreste, la scolpirono fino a creare una cittadella. A quel tempo aveva porte e finestre, non era come la vedi ora. Noi, io e la mia gente, siamo i custodi di questa cittadella. Per farti capire meglio cosa lei significhi ti racconterò la storia che ci tramandiamo da millenni. Un re, il cui nome è andato dimenticato, innamorò perdutamente di una giovane stalliera, ma lei era già promessa sposa del garzone, con il quale aveva condiviso la gioventù e le tribolazioni di una vita di miseria. Ti sembrerà strano, eppure, dopo essere venuta a conoscenza dei propositi del re, lei rifiutò di sposarlo, preferendo il garzone. Scelse una vita di miseria a una da regina, solo per amore.”
    Kira ascoltava e annuiva, le dita sempre poggiate contro il muro della cittadella, ora la sentiva respirare e sentiva il battito di un cuore accelerato e il pianto di un bambino.
    “E sarebbe stato proprio un bel finale, ma purtroppo non andò così. Il re aspettò e la rabbia per il rifiuto crebbe e diventò odio. La giovane e il garzone si sposarono e lei rimase incinta. Fu allora che il re la rinchiuse nella torre, quella più alta. Fece sigillare la porta e le finestre e quindi rinchiuse anche il garzone, stavolta nella torre più bassa, e quindi fece sigillare anche quella. Lasciò aperto un condotto, che collegava le torri, da dove i due sposi potevano sentirsi morire di stenti. E così purtroppo accadde.”
    Kira sentì le lacrime abbandonare i suoi occhi e le lasciò andare libere e quelle scavarono un solco tra la polvere del viso e caddero a terra.
    “Passarono alcuni mesi e il re cominciò a soffrire di insonnia e se riusciva a prendere sonno faceva sogni oscuri e si svegliava urlando. Qualcosa cresceva dentro di lui, un desiderio impossibile da soddisfare, una colpa da espiare, lo stava divorando la certezza dell’ineluttabile. Una notte senza luna salì qua, alla cittadella, e vi entrò. Le porte gli si richiusero dietro.”
    Kira cadde in ginocchio, attraverso le dita sentiva il dolore, i passi del re che si aggirava disperato per i corridoi bui della cittadella, vagava da millenni, cercava una porta da aprire, da cui far scappare i due amanti morenti e il loro figlio mai nato. Voleva salvarli, ma non ci riusciva, li sentiva urlare, mangiarsi le dita per la fame, farsi coraggio gridando parole d’amore inconsolabile attraverso il condotto. Le parole diventavano lievi e i sussurri e i pianti sommessi e il re vagava disperato; doveva salvarli, ma non ci sarebbe mai riuscito.
    “Lo stallone con cui sei arrivato è il tuo?” chiese il vecchio.
    “È quello di mio fratello” balbettò Kira.
    “E sulla giumenta cos’hai caricato?”
    “Dentro le sacche ci sono gli ori di famiglia.”
    “Perché sei giunto qua?”
    “Sto scappando” urlò Kira, “ho ucciso mio fratello!”
    Kira singhiozzava e sentì la mano sprofondare dentro il muro, come se fosse diventato di gelatina, alla mano seguì il braccio, poi la spalla e lui non oppose resistenza. La cittadella lo divorò. Venne avvolto dal buio, denso, appiccicoso, cominciò ad avanzare e non sapeva perché, sentiva una fitta al petto, la voglia di fare qualcosa, ma cosa non sapeva, poi vide tra le tenebre il fratello disteso nel letto e se stesso che gli si avvicinava e aveva un coltello, un lungo coltello, e digrignava i denti e urlò a se stesso fermati e allungò un braccio e il dolore fu così forte da mandarlo disteso sul pavimento. Suo fratello moriva e lui non poteva salvarlo, ci provava e non ci riusciva. E ancora era nel buio e di nuovo vedeva il fratello a letto e di nuovo lui, col coltello e i denti stretti e provava a fare qualcosa ma non poteva. Fratello mio, diceva, fratello mio perdonami, e lo avrebbe detto e urlato per sempre, folle di dolore.
     
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    Penna suprema

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    Formidabili le descrizioni, non ci sono immagini sporche, appare tutto nitido e riconoscibile a onta della grande fantasia. Bello e frastagliato il racconto.
     
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  3. Foglia nel vento
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    Concordo sul fatto che le descrizioni sono formidabili ma, a mio gusto, decisamente troppe: rubano molto spazio alla storia che è, di per sé, interessante e assai ben scritta.
     
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    Dio della penna

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    Stile impeccabile, perfino troppo. Idea interessante. Non sono molto d'accordo sul'uso delle virgole e poi non mi è piaciuto l'uso di tre volte la parola tempo in tre righe. Ma sono quisquilie.
     
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    Penna suprema

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    Un bel racconto, molto originale.
    Ho apprezzato in modo particolare la leggenda narrata dal vecchio, la confessione del giovane e il finale. Brav@
    I miei consigli:
    - secondo me, avresti dovuto andare a capo più spesso per evitare il muro di parole che potrebbe scoraggiare il lettore;
    - avrei iniziato con "Kira era in viaggio da dieci giorni" perché ho trovato un po' farraginosa la descrizione iniziale.
    Ciao
     
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    Penna furiosa

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    Al confine tra la fiaba e il fantasy. Racconto dal ritmo molto lento, che si mantiene per tutta la narrazione. Abbondante aggettivazione nella parte iniziale, che, per il mio gusto, risulta un po’ pesante. Numerose descrizioni di paesaggi e ambienti. L’ingresso in città crea un senso di attesa, sospensione.
    Scrittura dalla forma molto corretta, mancano solo alcune virgole a segnare gli incisi e c’è qualche refuso (che calava via, via= che calava via via; innamorò= si innamorò).
    Uno stile che, sinceramente, non è molto nelle mie corde, però il racconto, nel complesso, è un buon lavoro.
     
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    Teropode assennato

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    Molto buono, per me: lo stile è pulito e preciso, le descrizioni vivide e articolate.
    I difetti sono il troppo spazio dedicato alla descrizione (e forse troppo poco all'azione, ma a conti fatti è una scelta precisa e può starci).
    Mi è piaciuto il finale a effetto che dà un'accelerata pazzesca al tutto, e mi sembra anche abbastanza originale.

    Per ora un buon fantasy.


    Nota - per ragioni personali il nome "Kira" mi evoca irrimediabilmente una tipa bionda e selvaggia con la tartaruga sulla pancia, per cui il capire che qui è usato come nome maschile ha turbato la mia delicata psiche. :P
     
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    Penna furiosa

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    Inizio lento e troppo descrittivo, ma poi si ravviva, fino ad arrivare al bel colpo di scena finale. Pensandoci bene, la partenza lenta e il finale in crescendo si sono rivelati una scelta vincente.
    Sei riuscito a stupirmi, perché a metà racconto avrei optato solo per una sufficienza, mentre a fine lettura probabilmente sei il mio preferito(dopo un terzo delle storie lette). Complimenti.
     
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    Penna stilografica

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    Bello.
    Descrizioni suggestive che danno l'idea di paesaggi sterminati e affascinanti. Bella la città e l'inferno che vi è custodito. Ben delineati i personaggi.
    L'unica cosa: mi è sembrato improprio chiamare cittadella la costruzione, che alla fine è un solo edificio/castello.
     
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    Penna furiosa

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    Sì, sì. Bello questo racconto.
    È vero che parte un pò in sordina, ma il ritmo lento della narrazione e le parti descrittive non sempre mi dispiacciono (specialmente se fatte così bene)
    Buona idea il colpo di scena finale.
     
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    Penna furiosa

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    Gran parte del testo è occupata dalla lunga cavalcata di Kira.
    “Amico mio” disse il vecchio, “parla pure liberamente. Come sei arrivato qua?” La storia comincia da questo momento; si entra tardi nel vivo del racconto. Vero è che le descrizioni sono vivide e dettagliate, ma occupano troppo spazio (5500 battute su 12500) nell’economia del racconto, rendendolo sbilanciato. La storia di Kira e quella della città e dei prigionieri della torre, invece, mi sembrano rapidamente riassunte. Nel complesso, non male, ma tutto è molto raccontato. Si salva il finale.
     
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    Scrivano supremo

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    Ciao Aut-

    "altri non era" -> "altro non era"

    L'impressione, la prima che ho avuto, è quella di un racconto che avevi iniziato a scrivere puntando in una certa direzione, ma alla fine hai virato da un'altra parte. Va benissimo il colpo di scena. Diciamo che, fino al penultimo capoverso, mi immaginavo che Kira fosse l'eroe che avrebbe liberato le anime dalla cittadella nera, anziché trovarvisi imprigionato dentro. E siccome sono un tipo molto pigro, ho fatto fatica a spostarmi da un binario all'altro; ma è un problema mio.

    Ti confesso che, a differenza di altri racconti che ho letto, hai avuto la capacità di tenere alta la mia attenzione nonostante le lunghe descrizioni; sono riuscito a immaginare tutto e ti ringrazio.
     
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    Penna furiosa

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    Davvero bello. Io sono incapace nelle descrizioni ma rimango ammaliato da chi è bravo a farlo. Mi ha ricordato certe cose di Cormac McCarthy. Credo nel modo di descrivere l'ambiente, nel ritmo, nel rendere tutti quei dettagli visivi così funzionali alla storia. Una lenta discesa all'inferno che crea una tensione incredibile. Finale mozzafiato, sia per l'emozione che evoca, sia per lo stile con cui scritto, in particolare queste quattro efficacissime righe: "Venne avvolto dal buio, denso, appiccicoso, cominciò ad avanzare e non sapeva perché, sentiva una fitta al petto, la voglia di fare qualcosa, ma cosa non sapeva, poi vide tra le tenebre il fratello disteso nel letto e se stesso che gli si avvicinava e aveva un coltello, un lungo coltello, e digrignava i denti e urlò a se stesso fermati e allungò un braccio e il dolore fu così forte da mandarlo disteso sul pavimento."
    Un gran racconto.
     
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    piaciuto poco
    perbacco, è un fantasy, e questo è innegabile
    però, soprattutto la prima parte, è un vero muro. impatto visivo pessimo
    opterei anche per una bella revisione generale, visto che molte frasi andrebbero sistemate
    troppo lunghe e con troppe virgole
    qualche refuso, oltre alla punteggiatura

    in sostanza, buona l'idea
    anzi, molto buona
    peccato per la stesura e per il fatto che fino a tre quarti della storia non ci siano emozioni, solo racconto
    :spiaggia.gif:
     
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    Penna suprema

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    Questo signore sa scrivere.
    Dispiace vedere lettori che pesano descrizioni(meravigliose) e racconto. Mi fido sempre meno di loro.
    Ti abbraccio.
     
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