L'uomo della bottiglia

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    Dio della penna

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    Mi chiamo Matteo Del Prete, ho trentanove anni e sto diventando pazzo.

    Sono in un contenitore chiuso, trasparente, ermeticamente sigillato, per metà pieno d’acqua, l’altra metà satura del fumo della sigaretta, che tengo dritta per non farla spegnere. Sono sotto pressione, è il caso di dire. Dentro una bottiglia, come un messaggio, fermo sulla riva di chissà quale spiaggia. Quanto potrà durare. L’ossigeno sta finendo, non capisco ancora come riesca a respirare. Ho il busto nudo, indosso i jeans e le scarpe da ginnastica. Sono in posizione ancestrale, le ginocchia piegate al petto, i piedi incrociati, la testa tra le gambe, una spalla più alta, poco più in basso l’altra.
    Praticamente contorto. Decisamente scomodo.
    Se questo che sto vivendo è reale, io non lo so. Spero che esista un amplificatore mentale, una qualche diavoleria che possa mettermi in contatto con l'esterno. Qualcuno che mi ascolti, almeno con il pensiero.
    Mi domando ma come cazzo sono finito qua dentro? È una situazione di merda, credetemi.
    Impossibile che sia entrato di mia volontà, come avrei potuto chiudere il tappo dall’interno? Forse creando il vuoto, trattenendo l'aria con le narici? Ma che dico.
    Se solo riuscissi a trovare lo spazio per alzarmi e sollevare questo cazzo di tappo!
    Inizio a non sopportare l’umidità.

    Sono Matteo Del Prete, ho trentanove anni e sto diventando pazzo.

    Nasco il 12 agosto sulla A24 perché mio padre in autostrada buca una gomma. L'andatura a singhiozzo, sostenuta per quattro chilometri prima di fermarsi alla stazione di servizio, causa in mia madre contrazioni sempre più frequenti. Partorisce in ambulanza. Sono maschio e peso tre chili e sette.
    La mia vita scorre tranquilla, da figlio unico, con una sola e grande passione: accompagnare mia madre a fare la spesa al supermercato. Non perché mi interessi il cibo, le merendine o tutte le altre schifezze che piacciono ai bambini. Io non vedo l'ora di arrivare alla cassa.
    Rimango per ore a fissare le mani della cassiera che vanno su e giù passando ogni genere di prodotto. Ne sono attratto, affascinato, rimango incantato.
    Invece all'età di otto anni i miei genitori dirottano la mia vocazione verso altri tasti, quelli di uno strumento musicale: la tromba.
    Non che non sia bravo, anzi, suonare mi riesce bene, ho anche talento e parecchio fiato nei polmoni. Poi, siccome mi annoio terribilmente, sbuffo e da tanta aria escono anche magnifiche note.
    – Lasciamo che il ragazzo segua le sue passioni. – dice la mamma.
    – Che sciocchezze! Deve studiare musica. – risponde mio padre – Non sai mai come vanno le cose nella vita. Al paese c’è la banda, se lo prendono ha il posto assicurato. Matrimoni, funerali, feste del patrono. –
    Io ascolto, sospiro vistosamente, non per mancanza di rispetto, faccio gli esercizi, batto con rabbia sui tasti, ma il sogno di fare il cassiere al supermercato sfuma inesorabilmente.
    A diciassette anni suono come solista nella banda del paese. A venticinque sono prima tromba nell'orchestra musicale di Dodici Ville.

    Ma a chi racconto la mia vita? A chi interessano i fatti miei?
    Oppure no. Qualcuno mi ascolta, mi studia e mi usa come cavia.
    Ecco, ho ingerito qualche droga che mi ha spappolato il cervello, rese molli le membra, le ossa, così da poter essere piegato, senza spezzarmi, essere rigirato, spinto e ficcato dentro questa bottiglia di merda.
    Se ci penso sto male soffoco. Che c’è stato prima? Aranciata? Sciroppo per la tosse? Sento un odore nauseante, un sapore agre, dolciastro. O è la mia urina? Merda.
    Ma porca di una miseria sono immerso nella mia urina. No, non può essere.
    La sigaretta è ancora accesa, un rivoletto di fumo fuoriesce dalle mie dita, è combustione, c'è ossigeno.
    Ma ancora per quanto? Trattengo il fiato, sono allenato a farlo, ma quanto può durare?

    Giovanna è bravissima a stare in apnea. A ventidue anni diventa la mia ragazza. Le giuro amore eterno, invece lei passa i giorni senza rivolgermi la parola o uno sguardo, senza chiedermi se sono vivo o morto. Giovanna scrive poesie, le piacciono i libri, le letture in biblioteca. Mi fa uno squillo e passiamo pomeriggi interi a cercare quelli da regalare, da tenere nel carrello dei desideri perché non si sa mai.
    Senza letteratura che vita sarebbe, mi dice. Le piace il teatro, quello tragico, per l’occasione indossa il tailleur e le scarpe alte, raccoglie i capelli biondi, tinge di rosso le labbra. Seduta sulla poltrona di velluto, terza fila platea, mi stringe la mano solo al momento del monologo finale. E lì io mi sveglio. Perché le luci spente, il caldo della sala e il tono soporifero della tragedia mi provocano un sonno catatonico.
    Ho sempre odiato il teatro, la poesia, le serate letterarie, i corsi di scrittura, mi viene l'orticaria anche solo all'idea di scrivere la lista della spesa o una lettera al commercialista. Io adoro andare in giro per centri commerciali, il sabato pomeriggio, il primo giorno dei saldi. Mi piace fare la fila alla cassa mentre guardo con invidia, rimpianto e rassegnazione, la cassiera di turno.

    È una brutta faccenda questa in cui mi sono cacciato. Non sento rumori, dall’interno è tutto ovattato e anche dall’esterno non arriva niente. La bottiglia è trasparente, sembra fatta di vetro, riesco a vedere solo sabbia, nuvole e mare, un vuoto che mi circonda simile a quello che ho dentro.
    Si, sarà andata così, mi hanno addormentato, fatto bere qualcosa di forte che non ho retto.

    Sofia diventa la mia compagna verso i ventotto anni. Lei sì che regge tutto, fiumi e fiumi di alcol, barcolla, spara anche stronzate, una dietro l’altra, ma riprende sempre il filo del discorso. Non si lascia mai andare fino in fondo. Veste in modo sportivo, scarpe da tennis, golfini attillati, capelli a caschetto, porta lunghe borse piene di cose inutili. Inciampa in continuazione, le ginocchia sbucciate come una ragazzina caduta dalla bicicletta. Con lei tutte le sere è un locale diverso.
    L’accompagno per enoteche, ai corsi di sommelier, in giro per cantine. Assaggio, assaporo, annuso il vino per la carne rossa, quello per il pesce. Reprimo a fatica i conati mentre i fumi dell'alcol mi fanno dimenticare chi sono e perché sono lì. Sofia non sospetta nemmeno che sono vegetariano e completamente astemio.

    Non ho elementi per capire, chissà se ne verrò a capo. Chissà se qualcuno dall’esterno mi guarda e può aiutarmi a uscire da questa situazione o almeno darmi una qualche spiegazione.
    Da due anni sono fidanzato con Laura. È la direttrice dell'orchestra in cui suono. Lei vuole un figlio. Trentasei anni è l'età giusta, non il fatto che io possa essere la persona adatta. Si sente pronta, vuole dare continuità alla vita, avere la certezza che con lei niente finisce.
    Io le dico certo che l’avremo, mi piacciono le famiglie numerose. E lei ci crede.
    Ma cosa mi salta in mente? Mettere al mondo dei figli! Detesto anche solo l'idea. La cosa più inutile, egoistica e folle che un essere possa fare. Ma poi per cosa? Procreare esseri infelici che rendono un inferno l'esistenza di chi li genera? Figuriamoci. Con tutti i problemi che comportano.
    Mi viene un sospetto, però.
    Sono dentro una bottiglia, così credo. Questo liquido non è la mia urina, ma è liquido amniotico, queste pareti non sono altro che un utero, una camera gestazionale, sono un embrione, sono nella pancia di Laura che aspetta, non so cosa, per espellermi e partorire.
    Si è forse dimenticata di me.
    Ma io sono già nato. Solo che adesso non ho più legami con l'esterno. Niente è necessario finché c’è questo filo di fumo.

    Penso di non essere un uomo, non lo sono mai stato.
    Sono un camaleonte, un leone che striscia sulla terra. Al posto delle dita ho tenaglie per afferrare e tenere le opportunità. Non mi sfugge nulla, ho occhi che ruotano di trecentosessanta gradi, l'uno indipendente dall'altro, per avere una visione completa della realtà. Ho una lingua lunghissima, arriva dove altri non riescono, perché è troppo veloce.
    Non ho orecchie, a me non serve ascoltare, mi bastano le vibrazioni, l'umore della gente per conoscere i gusti, captare le abitudini, intuire quello che desiderano ed entrare nelle loro vite.
    Ho fatto della contraddizione la mia arte, sono un essere vulnerabile, mi trasformo in quello che gli altri vogliono, per loro sono disposto a cambiare il colore della pelle, pur di piacere.

    A colpi di reni, di gambe e spalle, faccio muovere la bottiglia, su e giù per il bagnasciuga, fino a rotolare nell'acqua.
    Qualche onda più audace si prende carico di me e del messaggio, sconosciuto anche a me stesso.
    Mi culla, avanti e indietro, poi mi spinge in mare aperto, di notte mi guidano le stelle.
    Sono in un tunnel buio, senza rumori, trovo il modo di galleggiare, senza aria, sommerso a volte dall’acqua, con un movimento continuo e precipitoso.
    Sbatto contro qualcosa, uno scoglio, un relitto, purché sia duro da infrangere il vetro che mi tiene prigioniero.
    Purché il vetro si rompa.
    La mia vita è un nastro da srotolare, una pergamena gialla su cui non è scritta storia.
    Aspetto che si consumi come un pianto quest’ultima sigaretta.


    Saremmo completamente perduti se cercassimo di vivere mostrando che non vi è stata nessuna contraddizione nel corso della nostra vita.
    Gandhi
     
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    Penna suprema

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    Scrittore visionario.
    Ho capito ben poco e il tuo racconto già mi piace.
    Continuerò a leggerlo per capire e amarlo di più.
     
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    Penna furiosa

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    Il racconto è il primo che ho letto, attirato dal bel titolo. Anche io come Tom non credo di avere capito ciò che ho letto: forse quella della bottiglia è la metafora per un vita vista come una specie di prigione per non potere fare ciò che si desidera. Pezzo che necessita di più letture.
     
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    Scrivano

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    Ho dovuto rileggerlo per apprezzarlo fino in fondo. Davvero notevole. Quanti di noi vivono chiusi in una bottiglia con l’aria che diventa sempre più rarefatta? Quanti vivono una vita progettata da altri e non hanno coraggio di prendere le redini in mano e seguire le proprie inclinazioni? Caro uomo in bottiglia ti auguro di trovare l’onda giusta che ti porti ad infrangerti in uno scoglio. Il supermercato con le sue casse è li che ti aspetta ancora.

    Inviato tramite ForumFree Mobile

     
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    Penna furiosa

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    Surreale, tra autobiografia e fantastico, un racconto il cui autore dimostra un notevole “sbuzzo”, come diciamo noi, sia per inventiva che per capacità di scrittura.
    Questo è un racconto che può avere un futuro anche fuori Ink, credo.
    Bravo, ti terrò in considerazione.
     
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    Penna stilografica

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    Non so nemmeno che dire. Non so se mi sia piaciuto o no. Magari dovrei essere più intellettuale o più terra terra. Il racconto è buono nella scrittura ma non devo averlo capito nel messaggio. O non c'è un messaggio? ma se c'è una bottiglia in mare con dentro qualcosa (la vita di un uomo) quello è il messaggio. Si ma qual'è?
     
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  7. Cristina Lombardo
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    Un gancio fantastico, la bottiglia! Usare la tecnica del gancio é un po' una "paraculata" - passatemi il termine -, ma una paraculata fantastica! Ti tiene attaccato allo schermo come un adesivo, quasi sarei entrata nella bottiglia insieme al protagonista, per saperne di più. Vero é che la bottiglia ritorna sempre e alla fine lascia al lettore l'interpretazione, quindi va oltre il semplice gancio, ma l'effetto è pazzesco.

    Sei tra i miei preferiti, ma devo ancora leggerne tanti.
    Bravo, autore!

    Ps. La citazione finale no,unica nota stonata per me. Se lasci libera l'interpretazione e poi la ingabbi dandole un significato, privi il lettore di quel privilegio che gli avevi concesso. Io la toglierei.
     
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    Penna stilografica

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    Racconto notevole e ben scritto. L'idea della bottiglia è geniale, bellissima, claustrofobica, e rende perfettamente l'idea della trappola che è la vita. Buono il ritmo. Buono il succedersi delle relazioni/trappola. Bello il richiamo continuo al desiderio di diventare cassiere...
    Concordo assolutamente con Cristina... la frase finale di Gandhi non solo è inutile... è proprio pessima... Non ci voleva...!!! Ora mi toccherà fare uno sforzo immane per dimenticarla e metterti nella cinquina!!! =0)
     
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    Dio della penna

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    Sono quasi alla fine delle letture e mi è ancora difficile scegliere la mia cinquina per i molti pari livello.
    In questo apprezzo molto la trovata della bottiglia nella quale si sentono rinchiusi narratore e personaggio. Viene trasmesso quel senso di costrizione che è dato dalla vita stessa, madre delle contraddizioni alle quali la nostra libertà viene sottoposta.
    Piaciuto molto.
     
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    Penna d'oca

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    Il racconto mi è piaciuto. Non l’ho proprio capito tutto, ma questo mi intriga ancora di più. Non sempre si mantiene sullo stesso livello e avrebbe bisogno di qualche taglio qui o lì.
    Ma è un gran bel lavoro.
     
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    Penna furiosa

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    Autobiografia,tema centrato. Non posso non ammettere come la scrittura e la storia mi abbiano coinvolto facendomi sentire, a ogni richiamo, nella bottiglia con il protagonista e la sua sigaretta, di cui ho percepito addirittura l'odore. Per questi aspetti, per il rapporto stretto che hai saputo creare con me lettore, credo che questo sia uno dei migliori racconti dello step. Però mi manca un significato da attribuire, un fine ultimo per cui rimango perplesso. Non me ne volere. In ultimis al tuo personaggio mancato cassiere dico: non sai quanto ti capisco fratello per averti visto negare il tuo sogno! Ma dalla bottiglia uscirai prima o poi no?
     
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    Penna furiosa

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    # Arianna l'"autore dimostra un notevole “sbuzzo”, come diciamo noi, sia per inventiva che per capacità di scrittura"
    è la seconda volta che trovo questo termine,non ricordo in quale racconto, ma che significa?
     
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    Penna furiosa

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    L'ho cercato anch'io.
    quello c'ha dello sbuzzo: uno che ha fantasia. Se Arianna non smentisce...
     
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    Penna furiosa

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    L’idea non manca d’una certa originalità, ma c’è un certo compiacimento nel dilungarsi in descrizioni, un meccanismo ripetitivo che non apprezzo e mi stanca. Va bene l’atmosfera claustrofobica, va bene la bottiglia come metafora della vita e allora? Un buon racconto da “asciugare” (opinione personale) e concludere.
    Concordo con Tony the sub. Non c’è messaggio.
     
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    Penna furiosa

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    @Allerim e resdei. Non mi ero mai preoccupata di cercare su un dizionario il significato di "sbuzzo", che noi usiamo per indicare "capacità" ed "estro, creatività" insieme. Ho cercato su internet e ho trovato, nel bolognese (ma io sono di Imola, Romagna!), "abilità".
     
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