Se una vita sola non ti basta

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    Dio della penna

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    Nel preciso istante in cui suo marito Dino morì il primo pensiero di Olivia Farnsworth fu che di lì a poco anche la sua vita sarebbe finita.
    Se l’esistenza di ogni essere umano può essere paragonata a un romanzo, allora la sua storia era arrivata all’ultima pagina. Non poteva essere diversamente. E non aveva importanza che non ci fosse realmente una fine, o che non ci fosse alcuna logica dietro quella chiusura inaspettata. Che avesse un senso oppure no, nel momento in cui alzò il telefono per chiamare il maggiore dei suoi figli e dirgli che il loro padre se n’era andato nella notte, in quel momento Olivia era pronta ad annunciare anche la sua, di scomparsa.
    “Tuo padre non è più tra noi, Albert”, gli avrebbe detto. “E questo significa che tra qualche istante nemmeno io ci sarò più.”
    Ma non le riuscì di spiccicare una parola e se ne restò lì, con il telefono in mano, ascoltando la voce di suo figlio che continuava a chiedere chi diavolo fosse a quell’ora del mattino, aspettando semplicemente di sparire nel nulla, desiderando con tutte le sue forze che accadesse e che accadesse in fretta.


    Raccontare la vita di Olivia prima di incontrare Dino Farnsworth era una faccenda in principio semplice, ma che con il passare degli anni si complicava terribilmente fino a trasformarsi in un’impresa fallimentare.
    Alla vigilia dell’incontro con l’uomo che l’avrebbe cambiata per sempre la sua presenza sul pianeta Terra era diventata, per usare le parole di suo padre, “un rompicapo impossibile da decifrare”.
    Ultima di cinque figli, unica femmina dopo quattro maschi, di cui l’ultimo più grande di lei di ben dodici anni, Olivia era stata un regalo inaspettato e per certi versi non desiderato. Sua madre era morta quando aveva solo tre anni e suo padre si era ritrovato solo con quattro maschi tra i quindici e i ventuno anni e quel piccolo oscuro oggetto del desiderio, Olivia, che anche se in apparenza sembrava il minore dei suoi problemi, a uno sguardo più attento dava già l’idea di volersi trasformare in una catastrofe, una minuscola palla di neve destinata a diventare una valanga.
    Il punto era che non aveva idea di come crescerla e che, se anche l’avesse avuta, non gli sarebbe servita a nulla.
    Quella bambina non gli assomigliava per niente. Non assomigliava nemmeno a sua moglie, l’unica donna che avesse mai conosciuto e amato. Più che un dono del cielo sembrava caduta dal cielo, un essere da un altro mondo venuto sulla terra per creare scompiglio.
    Fuori luogo, fuori tempo, un passo avanti e uno indietro, dannatamente irritante e incredibilmente adorabile. Un vulcano inarrestabile di parole, che a ogni occasione si lanciava andare a discorsi che non avevano né capo né coda e che quando non apriva bocca c’era da aver paura, perchè quasi sicuramente di lì a poco avrebbe combinato qualche disastro di proporzioni bibliche.
    Suo padre aveva fatto il possibile per arginarla, senza grande successo in verità, attendendo in cuor suo un cambiamento che aveva dell’improbabile, quasi un segnale divino che ci fosse speranza per quell’essere imprevedibile e incoerente, ma quando Olivia entrò ufficialmente nell’età adolescenziale, si arrese e decise di lasciarla fare.
    Libera da quel minimo condizionamento paterno, Olivia espresse tutto il suo potenziale, diventando una specie di trasformista, di mutaforma impazzito. Come uno scrittore che di fronte a sé ha tutte le possibili evoluzioni della sua storia e non deve fare altro che sceglierne una e portarla fino in fondo, per anni Olivia dedicò invece se stessa a saltare da una vita all’altra e a provare quante più soluzioni possibili.
    Atterrava su una, vedeva se faceva al caso suo e, dopo qualche mese o anche solo dopo qualche giorno, spiccava un altro salto per atterrare su un’esistenza diversa.
    Ogni scelta sembrava annullare la precedente, ogni salto si faceva beffe della logica che aveva dettato quello prima e non era nemmeno possibile stabilire con certezza quale fosse il propellente di quei lanci: noia, curiosità, insofferenza, tutte queste cose e nessuna di queste.
    Il padre iniziò persino ad assecondarla, spinto dalla curiosità di dove sarebbe potuta arrivare, di quanto sarebbe potuta andare avanti a quel modo prima di perdersi per sempre, deciso, se non a comprenderla, per lo meno a documentare quella folle esistenza, come un naturalista che trascorre anni della sua vita a filmare un animale in libertà, cercando con il suo lavoro di ricondurre in qualche modo l’istinto alla ragione.
    E quando Olivia fu vicina a compiere ventun anni, capì che era arrivato il momento di tirare le somme. Non gli restava più molto da vivere. Mise insieme quanto aveva raccolto nei suoi anni di osservazione e consegnò alla figlia il suo regalo di compleanno, la sua eredità, quanto di meglio avrebbe potuto lasciarle prima di morire, l’insegnamento di una vita.

    Il giorno del suo ventunesimo compleanno il padre la condusse fuori città, in una di quelle strutture composte da migliaia di piccoli depositi temporanei, un’immensa distesa di unità di pochi metri cubi ciascuna, che da fuori sembravano tutte uguali, ma che all’interno conservavano intere vite, cataste di ricordi da dimenticare, mucchi di cianfrusaglie in attesa di essere buttate via.
    Olivia lo seguì docilmente attraverso quel labirinto, ipnotizzata dalle possibilità nascoste dietro ogni porta. Viste da fuori non dicevano nulla, ma ognuna di esse era una rampa di lancio verso mondi inesplorati.
    Poi, quando si fermarono davanti a una di queste, suo padre le disse:
    “Ti avverto che non sarà facile. Mi stupirei se lo fosse, anche se mi aspetto di tutto da te.”
    Appoggiò la sua mano sulla porta, quasi volesse sostenersi per non cadere.
    “Qui ci sei tu”, proseguì. “Tutto ciò che sono riuscito ad afferrare di te in questi anni. E allo stesso tempo non ci sei. Perché gli indizi che ho raccolto non portano a nulla. C’è tutto quello che avresti potuto essere e non sei mai stata. Quello che voglio dire è che ci sei andata vicino, Liv, ma andarci vicino non è abbastanza. Soprattutto quando, come te, si arriva vicini a essere un sacco di cose, ma sono così tante e così diverse l’una dall’altra da annullarsi a vicenda.”
    “Sai come la chiamo?” aggiunse girando la chiave nella serratura. “La stanza dell’incoerenza.”
    Una volta dentro, Olivia si era guardata intorno con aria interrogativa.
    “Non le riconosci, vero?” le aveva chiesto suo padre, senza aspettarsi alcuna risposta. “Scommetto che la maggior parte delle cose che stanno qui ammucchiate a prender polvere non ti sembrano nemmeno tue”.
    “Ma lo sono, sai?” aveva aggiunto. “Ecco, guarda. Questa è la macchina da scrivere su cui hai battuto a mano il romanzo che non hai mai finito. A proposito, se ti chiedi dov’è, è chiuso dentro uno di quei cassetti. Non era male, sai. Anche se, leggendolo, in fondo te lo aspetti che non abbia una fine. A suo modo è brillante, ma non va da nessuna parte. Quella è la racchetta da tennis con cui a diciassette anni hai vinto quarantasei incontri su quarantasette nella tua categoria. A proposito: l’ultimo non l’hai perso, non ti sei nemmeno presentata. Eri andata a un’audizione. Un quartetto jazz cercava una cantante per una tournée sulla costa est. Io e i tuoi fratelli non sapevamo nemmeno che sapessi cantare. Quello è uno dei cartelloni dei vostri concerti. Li hai mollati a metà del tour. Ti ricordi perché? Ti sei unita a un gruppo di fan dei Grateful Dead e hai girato in lungo e in largo il Paese seguendo i loro concerti e dormendo nel retro di un furgone. Non abbiamo avuto tue notizie per sei settimane. Fino a quando non hai chiamato da Pittsburgh dicendo che ti servivano dei soldi per iscriverti a un corso per pilota di aerei. Inutile dirlo, non hai mai preso il brevetto.”
    Olivia iniziò a tremare. Le memorie delle vite che aveva sfiorato si erano smarrite nel tempo, ogni ricordo aveva sostituito e annullato il precedente, ma dentro quel ridicolo magazzino, il giorno del suo ventunesimo compleanno, le memorie tornarono indietro tutte insieme, investendola come un treno in corsa. Tutti i fallimenti, le fughe, i cambi di direzione, i salti logici.
    “Potrei andare avanti per ore, lo sai?” le disse ancora. “Raccontarti la storia di quei pattini da ghiaccio, di quella compagnia teatrale, di quella fune da trapezista. Ma credo che tu abbia capito”. Le mise in mano le chiavi del magazzino.
    “Non ci sarò per sempre, Liv. E non ho più la forza di starti dietro. Non so se ci sia una soluzione al tuo problema. Se fossi stato un padre migliore, forse l’avrei trovata per te. Non so se basti sceglierne una. Forse il vero problema è che una vita sola non ti basterà mai.”
    Olivia lo accompagnò a casa e poi tirò dritto in cerca di un posto dove smaltire quell’indigestione di ricordi.
    Aveva ventun anni finalmente, quindi entrò nel primo bar che trovò, mostrò i documenti e chiese da bere.
    Il ragazzo dietro il bancone le chiese cosa volesse. Olivia non lo guardò nemmeno in faccia, attratta dalla parete di bottiglie dietro di lui.
    “Non lo so”, gli rispose. “Proviamoli tutti.”
    Dopo aver mandato giù il primo bicchiere si rese conto che era la prima volta che toccava un goccio di alcool in vita sua.
    Forse quella sarebbe stata la sua prossima vita, la sua prossima grandiosa, inutile trasformazione. Frequentatrice di bettole, ubriacona incallita e chissà cos’altro.
    A quel pensiero ordinò un secondo bicchiere e brindò alla sua stupidità e alla sua incoerenza cronica. Presto non ci sarebbe stato più nemmeno suo padre a tenere il conto delle sue follie, ma dopo altri due o tre bicchieri non le importò più nemmeno di quello.
    Quando riaprì gli occhi il giorno dopo si ritrovò in un letto che non era il suo, in un appartamento che non aveva mai visto. Sentì odore di caffè e si alzò per andargli dietro. In cucina c’era un ragazzo.
    “Ben alzata”, le disse. “Prima che tu me lo chieda, la risposta è no. Non è successo niente: tu hai dormito nel letto, io ho dormito sul divano. E sì, avrei anche potuto riportarti a casa tua. L’indirizzo è sul documento che mi hai mostrato ieri sera, ma stai dall’altra parte della città e non ho un’auto.”
    Nemmeno in quel momento Olivia si rese conto che il ragazzo che aveva di fronte era lo stesso che le aveva servito da bere.
    “Oltretutto ho pensato che, se una ragazza come te passa la sera del suo compleanno a bere da sola fino a perdere conoscenza, forse non ha poi così tanta voglia di tornarsene a casa.”
    Fu così che fece la conoscenza di Dino Farnsworth.

    Olivia tornò nello stesso bar la sera successiva.
    “Non scherzavi quando dicevi di volerli provare tutti”, le disse lui servendole il primo bicchiere.
    Ci tornò anche la sera dopo e quella dopo ancora. Il copione era sempre lo stesso. Beveva fino a dimenticarsi di essere stata lì e si risvegliava nel letto di Dino.
    Un mattino gli disse: “Per una volta non mi dispiacerebbe non svegliarmi da sola. È così comodo quel divano?”
    “Non lo è affatto”, le rispose lui. “Non ti piace dormire sola?”
    “Non è a quello che pensavo. Se volessi continuare a dormire sola, avrei già cambiato bar.”
    “Fino a quando dovrò caricarti in spalle e portarti su per tre piani di scale a piedi tutte le sere non credo di avere energie per fare altro.”
    La sera successiva Olivia tornò al bar, ma non bevve nemmeno un bicchiere.
    “Questa notte me la voglio ricordare”, gli disse. Da allora non toccò più un goccio d’alcool in vita sua. La sua carriera da ubriacona era durata soltanto tre notti.
    Quando il mattino dopo si svegliò accanto a Dino, si chiese se ci fosse qualcosa di diverso in quella storia o se di lì a poco avrebbe mandato tutto a monte per assumere una nuova identità.
    Di ragazzi ne aveva avuti diversi. E anche un paio di fidanzati mollati dopo aver ricevuto un anello. L’amore era soltanto un’altra delle cose in cui non era mai stata coerente. I ritratti delle persone che aveva amato, o creduto di amare, dei malcapitati che avevano perso la testa per lei, avrebbero potuto affollare le pareti di quel deposito che suo padre aveva preso in affitto, accanto alle scarpette da ballo, alla chitarra o a qualunque altro reperto del suo passato.
    Forse, se lo avesse incontrato in un altro momento, senza sapere nulla di quel posto, Dino avrebbe fatto la fine di tutti gli altri. O forse no.
    Quando lui le chiese di sposarlo, appena tre mesi dopo, lei lo condusse al magazzino fuori città, aspettandosi di vederlo scappare a gambe levate. Ma lui non fece una piega.
    “Stupefacente”, le disse. “Non mi sarei potuto aspettare nulla di diverso.”
    Lei gli mise in mano la chiave che le aveva dato suo padre e poi gli disse “Scegline una. Una vita soltanto. E poi disfiamoci delle altre.”
    “Non è così che funziona, Liv”, le rispose lui.
    “Non mi importa. Io non lo so come funziona. Tu fallo comunque.”
    “Forse la soluzione non è questa”, le disse allora. “Non serve scegliere. Se una vita sola non ti basta, puoi avere tutte quelle che vuoi. Basta solo che io ci sia in tutte.”

    Era inutile girarci attorno: quell’uomo l’aveva tenuta al riparo da se stessa, aveva dato forma e coerenza alla sua esistenza, a una vita che prima di conoscerlo non era stata altro che un borbottio confuso, un guazzabuglio incomprensibile simile a quel miscuglio di voci, musica e scariche elettrostatiche che esce da una radio ruotando la manopola alla disperata ricerca della stazione giusta su cui fermarsi.
    Questo era stato Dino per lei, la sua stazione giusta e, ora che le trasmissioni erano cessate per sempre, non le restava che il silenzio e, con quello, la certezza che se anche si fosse messa in testa di cercare una nuova stazione, non le sarebbe comunque riuscito di trovarne alcuna.
    Non le importava dei tre figli, o degli otto nipoti. Non le importava di invecchiare ancora e accumulare altri miliardi di ricordi. Vivere fino a cent’anni sarebbe stato soltanto una maledizione. Non desiderava nessuna di quelle cose perché le aveva desiderate con lui e ora che lui non c’era più erano diventati i desideri di qualcun altro, sogni che non le appartenevano più, che non sarebbe comunque stata in grado di realizzare nemmeno volendo.
    Certe fortune capitano una sola volta nella vita, pensò. Se fosse rimasta un minuto di più sulla Terra, avrebbe distrutto in pochi secondi quello che avevano costruito insieme in quarant’anni di matrimonio.
    Ma quando alla fine dovette arrendersi all’evidenza che non le sarebbe accaduto nulla, abbassò il telefono e si mise a piangere.
    Pianse per quello che aveva perso, per quello che avrebbe perso ancora, per il disastro che sarebbe stata la sua vita da quel momento in poi.
    Pianse perché non era un romanzo quello che si chiudeva, ma appena un capitolo e, paragonato a quelli che lo avevano preceduto e a quelli che sarebbero venuti dopo, sarebbe stato l’unico ad avere un senso nella sua storia.
     
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    Olivia credo che sia un po' in tutti noi. In me di sicuro! Perciò sei con i piedi(sì proprio entrambi) sul podio.
     
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    Bello, bello, bello e coinvolgente dall’inizio alla fine. C’è molta Olivia anche in me. Per me questo racconto è TOP brav@ autor

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    Per prima cosa una nota metodologica. Quando giudico un racconto, non mi interessa più se sia o meno aderente al tema o se sia coerente col genere indicato. Questa valutazione spetta alla commissione dei nostri saggi. Ed è una decisione dicotomica, si o no. Così come non si può essere un poco incinte, i racconti che sono stati ammessi non possono essere poco aderenti.
    Questa pappardella iniziale è per dire che l'incostanza (inkostanza?) è una cosa l'incoerenza un'altra.
    Ma questo, appunto, per me non conta. Mi interessa solo se il racconto è, per me, bello, ovvero se mi piace.
    Questo è sicuramente ben scritto e coglie un aspetto di tutti noi: siamo pieni di cose iniziate e non finite, di amori che durano una notte sola. Chi più o chi meno siamo incostanti.
    Ma hai tirato troppo la corda. La tua Olivia, almeno nella parte centrale, è più una caricatura che un personaggio psicologicamente credibile.
    Per questo, autrice/ore il racconto mi è sembrato un po' superficiale e non mi ha convinto del tutto. Inoltre non spiega perché l'incontro della vita gli dia quella costanza che prima non aveva. E' questa doveva essere la "chiusura" della storia, il centro del racconto.
     
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    Dio della penna

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    Lo dichiaro prima di commentare: mi piacciono i racconti che mettono in risalto l'amore: quello che cambia la vita e che rimane un punto fermo qualsiasi cosa succeda. Questo ho colto qui.
    Per il resto: incoerenza o incostanza ( come sottolineato dal commento precedente) ha giudicato la commissione.
    Scrittura ottima ma qui sono tutti bravi e alcuni bravissimi tanto che è difficile scegliere. Ho trovato qualche punteggiatura che non condivido.
    Comunque per me, nell'insieme, ottimo voto.
     
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    Per me conta anche il grado di aderenza al tema. Si può centrare il bersaglio al centro o sul bordo, e il punteggio è ben diverso.
    Il racconto mi è piaciuto, la figura di Olivia è interessante anche se un po' forzata. Troppo brava in tutto. Poi non vedo incoerenza nel provare e sperimentare senza portare fino in fondo nulla, semmai volubilità, o curiosità, ma senza la valenza negativa che invece emerge nel racconto. Capita di lasciare a metà qualcosa nel momento in cui ci si rende conto di poterla fare bene. La soddisfazione può essere nel saper di poter fare, più che nel fare in sé.
    Comunque molto ben fatto.
     
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    Penna d'oca

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    La persona dimentica del proprio passato non può essere coerente nel suo vivere, per questo secondo me la definizione d'incoerenza in Olivia secondo me calza eccome. L'aria che tira è quella di una moderna favola e devo dire che non mi è dispiaciuta. Un po' meno lo stile a tratti molto forte e commovente a volte invece un po' traballante come immagini e fluidità, però la storia è bella.
     
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    Racconto interessante, anche se mi aveva colpito di più alla prima lettura. Non so, forse sarebbe migliorabile snellendolo un pò per dargli un pelo di ritmo in più. Nel complesso una buona prova.
     
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    Penna suprema

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    Sicuramente un buon racconto.
    Io ho due figlie e mi sento lontano anni luce dall'autore e dai suoi insegnamenti, ho sempre lasciato vivere, non ho mai rimproverato, ma devo riconoscere la mano sapiente e la sua serietà che accarezza una bella storia.
     
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    Un po' perplesso. Il racconto è bello, ma c'è davvero troppo e a mio parere l'autrice/autore lascia poco spazio a chi legge. Sono poi anch'io del parere che qui si tratta più di inkostanza... ma questo è secondario. Ritmo un po' lento, forse soffocato proprio dal troppo dire. Stile non sempre fluido e lineare. Dialoghi buoni. Piaciuto molto il personaggio di Dino.
     
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    Penna furiosa

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    Mi piace l’articolazione della trama . L’incipit mostra la protagonista sessantenne nel momento più triste della sua vita: ha un telefono in mano, ma non riesce a comunicare al figlio la morte del padre.
    Dino, suo marito, l’uomo che ha messo ordine nella sua vita incoerente, dandole significato. “Non serve scegliere. Se una vita sola non ti basta, puoi avere tutte quelle che vuoi. Basta solo che io ci sia in tutte.”

    La stanza dell’incoerenza: grande trovata narrativa. Chi non ha una stanza simile? In tutti ci sono possibilità che non si realizzano, è l’antico dissidio tra potenza e atto. In Olivia è qualcosa di più, qualcosa di patologico, quasi, perché la sua non è semplice incoerenza o volubilità, ma la ricerca appassionata di ciò che non ha avuto. L’amore della madre, anzitutto.
    Una carenza che il padre anziano, pur amandola, non sa colmare.
    “Non ci sarò per sempre, Liv. E non ho più la forza di starti dietro. Non so se ci sia una soluzione al tuo problema. Se fossi stato un padre migliore, forse l’avrei trovata per te. Non so se basti sceglierne una …”
    Invece bastava. Era bastato l’amore di Dino.

    PS: Caro autore, ho un solo appunto da farti. Il tuo è un racconto maschilista, ma mi è piaciuto lo stesso e tanto.
     
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    Un personaggio ben inquadrato nella sua evoluzione e ben saldo è l'amore che non è incoerente anzi tutt'altro.
    Una vita fatti di cose non terminate e poi l'incontro con Dino. Una bella storia d'amore con il corollario dell'incoerenza che trova cura nella vita e per vita s'intende l'amore.
    Bello anche questo racconto...
     
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    Penna furiosa

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    La parte iniziale in corsivo forse porta il lettore già alla conclusione. Almeno, questa è stata la mia impressione. Il fatto che Olivia non possa più vivere senza il suo Dino, fa pensare a quanto fosse importante per lei, quindi durante la lettura non cercavo che lui, tanto da far sembrare tutto il racconto del padre quasi superfluo, perché il sugo della storia stava da un'altra parte. In ogni caso, lodevoli le invenzioni del personaggio di Olivia e della camera dell'inkoerenza. Io penso che Liv sia stata una persona inkoerente e inkostante allo stesso tempo. Concordo con chi sostiene che c'è un po' di Olivia in tutti noi. A me una vita non basta, ma cercherò di farmela bastare, non voglio un'altra possibilità. Buon lavoro.
     
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    Non mi sento l'obbligo di andare a cercare il pelo nell'uovo e visto che il primo impatto è stato nettamente positivo rimango su quello. Mi è piaciuta la storia e i due personaggi. La lettura mi ha fatto pensare che il testo si adatterebbe anche ad una scrittura cinematografica: i due personaggi, magari ancora più sfumati e un po' meno idealizzati, si presterebbero bene a ottime prove d'attore. Se non si è capito ... mi è piaciuto.
     
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  15. Cristina Lombardo
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    Qualcuno prima ha detto che c'è un po'di Olivia in tutti noi. Leggendo ho pensato lo stesso.
    La struttura mi è piaciuta, e anche la scrittura.

    Credo che il poco realismo sia voluto e giustificato. Nessuno può fare e saper fare tutto, ma Olivia non è un personaggio reale, non c'è bisogno di identificarsi con lei: noi siamo lei. In quanto essere astratto che abita dentro i ricordi di ciascuno, non credo necessiti realismo.

    In quanto al maschilismo (non me ne voglia allerim, è solo una mia interpretazione), penso che Dino non sia la causa del cambiamento, ma l'occasione, e questo lo conferma il finale: Olivia continuerà a vivere lesue vite. L'autore stesso dice che se fosse capitato in un altro momento della sua vita, sarebbe stato forse uno come gli altri. Ciò che è cambiato quel 21esimo compleanno non è l'incontro con un uomo, ma l'incontro con se stessa dentro il box, è Olivia che è cambiata e pronta a voltare pagina.

    Sarà che la mia vita è molto simile alla sua (tranne che per i molti insuccessi), ma ho sentito questo racconto sotto pelle.
    Grazie, autore.
     
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30 replies since 26/1/2019, 12:58   594 views
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