Ho sentito un rumore

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    Penna suprema

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    Ho sentito un rumore.

    Ho il jeans e la camicia del giorno prima, la camicia puzza di fila all’ufficio postale,è l’unica che mi sta bene.
    L’uomo seduto al Bar ha un braccio offeso e una giacca appena smacchiata, odora di trielina e cioccolato fuso incellofanati.
    Il braccio offeso accompagna le parole con la rotazione della spalla, un tic nervoso di divertente quantità.
    - To’ il tuo amico Franco mi ha incaricato di dirti di aspettarlo.
    - Solo questo ti ha detto.
    - Solo questo.
    In alto un televisore vecchio modello trasmette senza audio. Nessuno lo guarda.
    Una bava di luce illumina poco o niente in quella specie di padiglione senza finestre che è il bar.
    - Posso offrirti qualcosa?
    - Prendo una birra, se posso.
    - Certo che puoi, ma a quest’ora di mattina non ti farà male?
    - Sono abituato al male.
    Beve il bicchiere tutto d’un fiato. Si asciuga la bocca unta di schiuma.
    Si piega in avanti sullo sgabello abbraccia le ginocchia con la mano buona,
    comincia cullarsi avanti e indietro come per addormentarsi.
    - Stai meglio con i capelli corti, somigli a tuo padre, To’.
    - Si vede che sto invecchiando. Come fai a sapere che avevo i capelli lunghi? Non ci conosciamo. E che ne sai di papà?
    - So, perché è con me.
    Non replico, sarà il matto del quartiere, penso.
    - Voi correte vero?
    - Si, corriamo.
    - Tutte le domeniche?
    - Tutte i santi giorni.
    - A lungo?
    - Abbiamo un campionario di distanze, ogni volta ne cambiamo una. E’ come la vita, la corsa, cambiano le distanze ogni volta e cambiano gli avversari.
    - Distanze da chi?
    - Dalla famiglia, dal lavoro, dal successo, dagli amici, dalla salute, da casa.
    Confusione aggiunta alla confusione e non sai come dosare le forze. Lassù qualcuno comanda in questo modo, probabilmente vuole gente confusa.
    - Comanda meno di quel che credi,To’.
    L’angolo delle slot è un pollaio di facce brutte coperte di pidocchi.
    Le slot no, sono belle, luminose, con figure rotanti di frutta colorata.
    - Tu come stai To’?
    - E come vuoi che sto, bene no?
    - Be’, so che hai avuto i tuoi problemi di salute.
    Sento il buco di uno spillo...
    - Cavolo ne sai tu dei miei problemi?? Ma chi sei? Con un braccio solo parli a me di problemi di salute?
    - A me uno basta, l’altro sarebbe quasi inutile.
    - Sarà, ma sei sempre uno storpio.
    Lo dico con cattiveria inaudita.
    Mi sorride.
    Un sorriso che rapprende tutto quello che è agitato in me, tanto da poterlo fare entrare in un lavandino giocattolo.
    Continua a parlami attraverso lo specchio, quello oltre le bottiglie di rum.
    Parole e sguardo rimbalzano e mi arrivano, netti.
    Il mio sguardo è associabile per espressione a una foto segnaletica.
    - Ascolta, quei due al tavolo stanno per uscire senza pagare il conto.
    - Tu sei fuori di testa, amico mio,come puoi prevedere una cosa del genere,
    non ti bastano le cavolate che hai detto già? O sei un veggente? E poi per una brioche stantia e per un cappuccino nessuno li crocifiggerà.
    Due,To’,e c’è chi è stato crocifisso per molto meno.
    Mi arriva una sensazione di calore alle tempie, una fiammata che mi impedisce di aggiungere altro.

    - Vai da loro e digli di lasciare i soldi sul tavolo.
    - Così mi mandano al diavolo o all’ospedale, ma questi sono dettagli per te.
    - Il diavolo questa volta non c’entra, - dice.
    - O.k facciamoci queste quattro risate, anzi facciamocene otto.
    Nel frattempo i due si sono alzati dalle sedie, rumorosi masticano con le guance gonfie.
    Li raggiungo prima dell’uscita,rallentati da un quartetto di orientali
    che strizzano gli occhi per il buio.
    - Amici, dovete pagare quello che avete mangiato e che state mangiando.
    La mia voce sembra il miagolio di un gattino investito, bassa e stentata.
    - Tu chi sei il padrone? E poi la cassiera non c’è.
    Lo dicono con l’occhio alla mensola della cassa,vuota. Il cuore mi scende fino agli stinchi.
    - Non è un buon motivo per non pagare.
    Il calibro della voce è cambiato, si è normalizzato,e se devo dargli un colore: è scarlatto,un valore: è illegale.
    Quello più in carne mi sferra un manrovescio che si ferma a metà percorso.
    ‘Braccio offeso’ che sta alle mie spalle lo blocca, non capisco come, ma lo blocca. Gli stringe la mano che diventa scura come un tombino sotto la pioggia.
    - Non abbiamo soldi, avevamo fame, non accadrà mai più.
    - Andatevene prima che chiami la Polizia.
    - Non abbiamo il permesso di soggiorno, per favore,no!
    - Di dove siete?
    - Maghreb.
    - To’,dammi qua venti euro, io non porto mai denaro con me. Anzi dammene quaranta.
    - E lo sapevo, è il mio passatempo preferito offrire soldi.
    - Dammi qua ho detto.
    - O.k, do là.
    I due incassano il regalo inaspettato e spariscono come missili.
    Comincio a studiarmi in maniera scientifica ‘Braccio offeso’.
    Una potenza come la sua non l’avevo mai vista prima e poi quel modo di ragionare di convertire le cose storte, di raddrizzarle con facilità estrema.
    E’ biondo, pallido, capelli sfumati, corti, fronte concava invece che convessa,
    una gracilità da malnutrizione, occhi neri e strabici, un’età intorno ai trenta.
    Sul petto ha dei segni,sembrano frustate di più fruste o di una sola irregolare.
    Nonostante il caldo si stringe la camicia alla gola e abbottona la giacca color pannocchia con pannocchie disegnate.
    - Chi ti ha ridotto così? – Gli chiedo,ho visto sai.
    - Sono caduto dalla moto, non sono un bello spettacolo le mie ferite.
    - Guidi la moto con una mano?
    - Sì.
    - E ti sei fatto molto male?
    - Io non mi faccio mai male.
    Un chicco si stacca da una pannocchia della giacca, la più verde, e cade sui miei jeans. Provo a raccoglierlo, non lo trovo più, forse è stata un’illusione ottica, forse un guasto temporaneo alla centralina della mia vista. Lui, ride.
    Il Lui mi è venuto maiuscolo perché inizia la frase, non mi piacciono i giochini, non scherzo mai su queste cose.
    Mi commuovo, non nel racconto, mi commuovo mentre lo scrivo.
    - Preghi mai tu, To’?
    - Quasi mai.
    - Anzi, mai, mi sa.
    - Sono d’accordo, è una cazzata farlo, - dice e ride.
    Rido pure io.
    Sei un brav’uomo To’, sei onesto a dirlo, e se non preghi ci rimetto solo io. Fa niente, tranquillo.
    - Ho commesso degli errori, non sono troppo bravo.
    - Continua a commetterne.
    - No.
    - Non ne vuoi più fare?
    Ride, rido pure io.
    Gli metto una mano sulla spalla, mi capita quella offesa,
    la mano non la tolgo,lo stringo a me.
    - Torno a bere la birra, To’.
    - Io aspetto, aspetto Franco, qui fuori.
    - Va bene.
    Non so dire se mi sento male o bene, sicuramente diverso.
    Cinque minuti e Franco arriva, accompagnato da una colonna sonora di pianto semi infantile, il lamento di chi scambia la notte con il giorno e non ne vuole sapere di dormire. Porta ai piedi sandali di cuoio con calzini scuri nemmeno troppo uguali e una maglietta con il logo della squadra.
    - Scusami tanto Tò, ma il pulmino della gita di mio figlio ha ritardato e non sapevo come avvertirti,tu non hai il cellulare.
    - Già sapevo tutto.
    - E come potevi? Che hai bevuto To’?
    - Solo caffè, abbiamo la gara, non me ne sono dimenticato.
    - Ma neanche tutto questo caffè ti fa bene, sai, sei troppo strano.
    - Il biondo, quello con il braccio offeso, mi ha avvisato.
    - E’ la prima volta che metto piede qui, To’, e per trovarlo questo bar sono diventato pazzo. Chi questo buffone con il braccio offeso? Un biondo o una miss biondina?
    - E’ seduto al bancone, ora lo chiamo e se non lo conosci te lo presento.
    Mi giro con un movimento seghettato, innaturale, robotizzato come quel ballo stupido di qualche anno fa.
    ‘Braccio offeso’ non c’è, non c’è neppure la sua birra.
    C’è solo lo specchio dove mi parlava. C’è lo sgabello.
    C’è un affetto smodato per quel che resta di lui e per quel che non resta.
    To’, è troppo carina questa storia, sembra inventata.
    To’?
    Perché Lui non fuma?
    Perché ha smesso. Rido
    A me molli sempre una sigaretta accesa nei racconti, pensare che non ho mai fumato in vita mia.
    - Però, Lui che fuma, mica male l’idea, la svilupperò, - dico.
    - Tommmmmmmmmmmmmmmm!! Andiamo, oggi non ti capisco.
    - Nemmeno io capisco me.
    - E’ colpa della luce, To’.
    - Usciamo al chiaro. Qui dentro continuano a cadere le cose.
    - Che cose?
    - Ho sentito un rumore.
     
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    Fino all'arrivo di Franco tutto ok. Nel senso che il tuo racconto scorreva bene per cui io, lettore, mi aspettavo di arrivare a una conclusione logica. Poi però mi sono perso e ho dovuto rileggere il finale. Anche adesso ho qualche dubbio, ma ho pensato: non è che la persona con il braccio offeso è quella che non preghi mai?
     
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    Sospetto che condivido. Bello come tutti i suoi, questo racconto di Tom. La sua ambientazione preferita. Il suo stile inconfondibile.
     
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    Eppure ho la sensazione di aver già letto questo racconto.
     
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    Penna suprema

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    Scrivo pochissimo, amico mio.
    I racconti sono sempre gli stessi. :)
     
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    Per me che non lo conoscevo è stata una piacevole lettura. Hai proprio una bella penna Tom, una capacità da narratore di razza. Sai portare il lettore con te, fargli vivere l’atmosfera con tutti i sensi olfatto compreso. Chapeau.
     
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    Penna suprema

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    Grazie Pet, racconto scritto in treno, ispirato dal nulla. :)
     
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    Penna furiosa

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    È sempre un gran bel piacere leggerti Tom.
     
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    Penna suprema

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    Grazie mille Byron
     
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    Mi ricorda Carlo Emilio Gadda. Fico.
     
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  11. @Lib@
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    Tommasino, il racconto mi piace. È originale.
    Però non capisco una cosa, dammi una mano.
    [Sul petto ha dei segni,sembrano frustate... (cut)... Nonostante il caldo si stringe la camicia alla gola e abbottona la giacca... ]
    Come fa a vedere i segni di frusta se ha cura di abbottonarsi la camicia?
     
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    Penna suprema

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    Quell'uomo, malconcio, è Gesù.
     
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  13. @Lib@
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    CITAZIONE (tommasino2 @ 18/4/2019, 15:08) 
    Quell'uomo, malconcio, è Gesù.

    Questo è stato chiaro fin dall'inizio. sì, ma il patto... vabbe' rileggo. Forse non ho letto bene.
    Grazie Tom
     
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    Penna suprema

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    Scusami, ero in giro e non ho potuto risponderti bene.
    La camicia l'abbottona dopo che il mio sguardo ha scovato le sue ferite.
    Ti ringrazio e abbraccio. Ciao.
     
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  15. @Lib@
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    Ahh, ora mi è chiaro.
    Grazie
     
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22 replies since 20/2/2019, 10:57   199 views
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