Alcano
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Qualche tempo fa sono incespicato involontariamente in un blog di approfondimento letterario dove un avveduto articolista avvisava noi poveri “scrittori emergenti “della possibilità concreta, quasi una certezza granitica, che il 90% dei nostri prodotti di fervida e inumana immaginazione fossero solo una patetica rantumaglia di mediocre qualità. Bene, e aggiungerei pure che quel signore è stato fin troppo buono; io direi che del restante 10% un altro 90% è pure peggio. In quella cifra si trovano anche scritti nocivi, tossici e nel peggiore dei casi radioattivi. Come i miei. Quelli nocivi e tossici li leggi, stai male qualche giorno con conati di vomito e spingardate di diarrea, e poi, come per qualunque altra intossicazione, tutto torna quasi come prima. I miei invece sono radioattivi, li leggi ma ti basta una sola riga che puff…colpo di luce accecante e ti sparisce la vista per sempre. Pensate che io stia esagerando? Una volta mi è successo di pensare di prendere la mia biro e di scrivere qualcosa…badate bene, solo pensare…che di colpo mi sono saltati tutti i vetri delle finestre e, appesi a corde legate chissà dove, hanno fatto irruzione una mezza dozzina di soldati con mimetiche nere e dannati fucili a mitraglia. Così, mentre io tutto tremante, con le dita della mano destra a pinza sfodero un’espressione tipo “Guarda che bello, mi sono spuntate delle margherite sulla testa” vengo riempito da strane e traballanti lucine verde intenso. “Poggia quella biro!” Urla quello che sembra il capo. “Ma io neanche l’ho presa”. Sussurro. “Non fare gesti avventati” continua quello “la Squadra di Salvaguardia Letteraria non scherza, rimetti le dita a posto e nessuno si farà del male”. “Va bene” faccio io aprendole “vedete? Sono disarmato”. “Comandante” fa un altro rincoglionito in uniforme “potrebbe usare il suo sangue per scrivere”. Quello ci pensa un po’ su poi fa “Dissanguatelo!” Provateci voi a scrivere qualcosa di sensato dopo un episodio del genere! Devo ammettere però che qualche volta è colpa della mia stramaledetta sfortuna. Come quella volte che ero in macchina, con una fretta dannata perché mi era finalmente venuto in mente il finale perfetto del mio romanzo, quello che cercavo da mesi, anni addirittura. Ma ero incolonnato in una maledetta stradina di montagna, dietro a un’auto familiare dietro a un furgone postale dietro a un trattore con rimorchio dietro a un autoarticolato dietro a un Ape gialla. Alla guida un vecchio con il cappello convinto che andare a venti all’ora in una così bella giornata estiva non fosse disdicevole o fastidioso per tutto il resto del mondo. E tu durante tutto il percorso cerchi di tenere vivo il ricordo di quello splendido finale, anche quando la strada diventa un tornante con pendenze del 20% e l’Ape gialla deve rallentare; oppure quando la strada si drizza per qualche centinaio di metri ma nessuno osa sorpassare per il timore di non poter rientrare in tempo nella propria corsia. E allora l’uomo col cappello (che ormai per convenzione ho chiamato con tutti i peggiori epiteti che conosco) sadicamente scala una marcia, imballa il motore 50 centimetri cubici che tossicchia, borbotta e poi rallenta ulteriormente. Una volta che sono riuscito ad arrivare a casa ho cercato un foglio, preso con molta prudenza la mia penna roller marca Delta, e ho tentato di ricordare il finale del mio capolavoro letterario…ma mi è venuto alla mente solo quello stronzo con il cappello e l’Ape color cacarella. Ho deciso, non scrivo più!
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