Montblanc 107756

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    Dio della penna

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    Mi chiamo Leonardo Aldobrandi e sono un pensionato come tanti.
    Per il sessantacinquesimo compleanno, mia moglie mi ha consegnato una borsina nera, di carta patinata, con dentro due pacchetti piccoli in confezione dorata.
    Mi sono preparato a un sorriso di circostanza.
    Mentre scartavo, lei teneva la testa leggermente reclinata e mi osservava con un sorriso indefinibile.
    La scatola sottile conteneva una stilografica nera con il pennino d’oro e un sistema a pompetta per la ricarica dal calamaio; il pacchetto quadrato, invece, conteneva una boccetta di vetro con la dicitura: Montblanc 107756, flacone d’inchiostro Permanent blue (blue indelebile). Ink di alta qualità in boccette per penna stilografica Montblanc - 60ml
    Avevo immaginato che il regalo non fosse di mio gusto, ma ci sono rimasto male: speravo nell’ultimo libro del mio Autore preferito o in un capo d’abbigliamento o in un set da barba… una cosa normale insomma.
    - Ti piace, Leo?
    - Sìsì, certo. Un dono stupendo, molto originale. Grazie.
    - È un invito e uno stimolo a riprendere in mano la penna: sei un ottimo scrittore e adesso hai lo strumento giusto. Auguri.
    Si è alzata sulla punta dei piedi, mi ha sfiorato la guancia con un bacio ed è tornata in salotto.

    L’innata curiosità mi ha spinto a documentarmi e ha scoperto che la stilografica costava un’esagerazione, ma non potevo restituirla e nemmeno metterla in un cassetto, così ho cominciato di malavoglia a fare prove su prove. Il pennino filava sicuro e veloce su qualsiasi tipo di carta; ho imparato a studiare la giusta pressione e mi sono esercitato perfino con il calligrafico che mi aveva sempre affascinato.
    Sono diventato espertissimo anche nella ricarica: l’odore dell’inchiostro sapeva di buono e mi ricordava Checchino, il mio bidello delle elementari, che passava fra i banchi e riempiva i calamai con un’ampolla di vetro.
    In breve tempo il regalo mi ha conquistato: ho trovato il coraggio di riversare su carta brevi racconti e perfino questo episodio che ha segnato in modo indelebile la mia esistenza.


    All’epoca dei fatti avevo ventitré anni, un buon lavoro e credevo di sapere tutto; ero sicuro di me e attraversavo la Vita a testa alta ma, dopo una solenne botta nei denti, ho scoperto di essere in realtà un ingenuo, una persona inconsapevole e impreparata davanti a ostacoli seri.

    Avevo visto Elisa per la prima volta davanti alla chiesa di San Francesco, alla Messa per il funerale di Beatrice.
    - Giovà, chi è quel pezzo de…
    - Guarda da ‘n altra parte, Leona’, quella nun fa per te. È marcata a vista da la madre.
    - Sarà marcata a vista, ma adesso guarda me.
    - Sta’ zitto e lascia perde. Damme retta.
    Già, damme retta, ma io ero abituato a passarle tutte, a battezzarle una a una: belle, racchie e così così. Poi lei mi guardava con gli occhi socchiusi e un sorrisetto che scendeva dentro il cuore, liscio come l’olio.
    - Va be’, ma come se chiama? Lo sai?
    - Elisa.
    Mi ci sono incaponito e vivevo solo per farmela. Pensavo trucchi, strategie e mosse, sapevo tutto di lei e stavo piantato ore dietro un albero del Parapetto per capire i suoi orari precisi.
    Ma era sempre con la madre o andava e tornava dal lavoro con l’Augusta, un’infermiera acida e zitella che lavorava con lei in Ospedale: avevo scoperto che Elisa era ostetrica.

    Quando mamma ha saputo della mia cotta, (evidentissima) ha cominciato il lavaggio del cervello:
    - Le donne che lavorano in Ospedale, dalle sguattere alle dottoresse, sono tutte puttane. Dormono lì di notte, è tutto un troiaio. Sta’ alla larga, Leonardi’, da’ mente per una volta… No, guarda, non conta se sembra una madonnina, un angelo incarnato. Ostetrica poi…È sempre in mezzo a quella roba lì. Te la meriteresti una fregatura in cambio di tutte quelle che hai dato te, ma l’hai presa troppo di petto e ti ci puoi far male. Da’ retta a mamma, obbedisci.

    Avevo fatto le umane e le divine cose per incontrare Elisa da sola, per darle un appuntamento, ma c’era sempre la madre o il fratello piccolo o quella guercia dell’Augusta.
    Poi mia sorella ha partorito. Ero sempre in ospedale, come e più di mio cognato, così sono riuscito a bloccarla. Era un fondo di corridoio, un posto defilato che portava a un deposito di non so cosa. L’avevo vista entrare e mi ero piazzato spalle al muro, inamovibile. Quando è uscita, con le braccia cariche di pacchetti, l’ho appoggiata delicatamente alla parete e l’ho baciata. È stata una resa completa per un attimo, poi si è come svegliata e mi ha spinto via facendo cadere in un turbinio fasce, scatole e siringhe.
    - Scemo, come ti…
    Seconda presa, secondo appoggio al muro, secondo bacio. Questa volta vero e ricambiato, ma brevissimo. Poi mi ha spinto e si è accovacciata per raccogliere.
    - Vattene subito. Se ci vedono…
    Mi guardava dal basso, in penombra, con splendidi, immensi occhi color pervinca. Ho ancora dentro l’odore di quel posto, il profumo di lei e anche la zaffata di medicamento che ci aveva investiti quando era uscita dal magazzino.

    A quel tempo tenevano le puerpere per una settimana e tanto mi è servito per fidanzarmi e per legarmi a Elisa in eterno.

    Mia madre ha fatto il diavolo a quattro, ha detto che non la voleva vedere ne’ l’avrebbe accettata a casa sua, lei e quella baciapile della madre. Ogni mia difesa era inutile e la pentola continuava a sobbollire:
    - Certo, la santarellina ha trovato il pollo e se lo sta cuocendo a fuoco lento…

    La convinzione ostinata di mamma mi dispiaceva, ma non riusciva a intaccare la felicità che ricamava ogni mia giornata.
    Poi finalmente l’inverno è finito, sono tornate le belle giornate e le passeggiate all’aria aperta.
    Per Pasqua, insieme alle rondini, è tornato in paese anche Giampiero, sottufficiale di marina e mio amico fraterno.
    Non vedevo l’ora di scoprire la sua reazione alla notizia del mio fidanzamento, ma ho dovuto aspettare tre giorni per via di un mio appuntamento di lavoro a Terni.
    Quando finalmente sono tornato a casa, ci siamo visti al Jolly bar. Abbracci, grandi pacche sulle spalle e la notizia bomba:
    - Giampie’, me so’ fidanzato.
    - Nooo!! Ma è una roba seria?
    - Certo! Con Elisa Riccardi.
    Lui è rimasto interdetto, mi ha guardato come se non mi mettesse a fuoco. Ho pensato che la sua fosse una reazione a dir poco esagerata, stavo per chiedere spiegazioni, ma mi ha anticipato.
    - Ma fidanzato come? Cosa intendi di preciso?
    - Giampie’, hai preso qualche botta in testa? Fidanzato. Punto. Ci vogliamo bene e me la voglio sposare.
    È stato come se l’avesse morso la tarantola. Mi ha preso per un braccio e mi ha trascinato fuori dal bar. Passando ha detto al barista:
    - Augu’, pago dopo.
    - Va’, Va’, Giampie’…

    - Ma sei scemo? Che tiri? Te sei bevuto il cer…
    Mi ha spinto contro il muro, fra gli scatoloni vuoti e mi ha tenuto fermo con un braccio premuto sulle scapole.
    - Leona’…
    - Senti, stronzo, se sei invidioso me dispiace, ma…
    - Leona’, io ieri pomeriggio me so’ portato a letto Elisa.
    Il mondo ha cominciato a girare come una trottola, l’aria si era bloccata nella strozza, poi il corpo ha reagito: mi sono liberato della stretta e ho afferrato l’amico per il bavero della camicia.
    - Che cazzo stai dicendo…
    - Stiamo calmi. Vieni, mettemoce ne la macchina mia e parliamo.
    - Ma manco per niente. Te riempo de pugni, te riempo e te faccio rimagna’…
    Ma ero un pallone sgonfio, le gambe mi cedevano. Giampiero era come un fratello ed era la persona più onesta sulla faccia della terra. Un momento. Forse parlavamo di due persone diverse. Certo.
    - Allora, di chi stai parlando, Giampie’?
    - Senti, stiamo calmi. Eravamo io e Paolo Giacomini, quello…
    - Va’ avanti.
    - Lui me ferma in piazza e dopo i saluti…
    - Va’ avanti, cazzo!
    - Me dice che ha una ragazza che ci sta, ma se deve porta’ dietro un’amica. Io accetto. L’appuntamento è alle quattro davanti al Duomo con la macchina mia. Arrivo, parcheggio, poi arrivano Paolo e due belle ragazze. Ci presentiamo, piacere, piacere, poi siamo andati sul pianoro. Siamo scesi, ognuno si è allontanato per i cazzi suoi, poi l’abbiamo fatto. La mia se chiamava Elisa, era carina e brava.
    Più lui parlava, più io mi calmavo. Mai, mai, mai la mia ragazza avrebbe fatto la minima cosa che aveva fatto quella Elisa lì.
    - Ah, m’ha detto che faceva l’ostetrica all’Ospedale.
    Una furia nera, cieca, mi è salita su dallo stomaco. Mi sono girato di scatto e gli ho sferrato un pugno potentissimo in direzione della faccia, ma il mio amico si è spostato e io ho colpito il poggiatesta. Un dolore fortissimo s’è irradiato dalla spalla e lungo il braccio.
    - Senti, Leona’, me dispiace, se avessi anche solo immaginato… ma te lo dovevo di’, te sei come mi’ fratello…
    Adesso il dolore fisico e la massa che mi premeva sul cuore mi toglievano il fiato.
    Giampiero è sceso, a forza mi ha tirato fuori dall’abitacolo e mi ha lasciato piangere l’anima, appoggiato al tettuccio della sua macchina. A un certo punto il fazzoletto non è bastato più, così ho tirato fuori la camicia dai pantaloni e mi asciugavo con quella. Quando la piena si era un po’ calmata, Giampiero ha detto:
    - Leona’, se vuoi, domattina andiamo insieme in ospedale e sentiamo lei cosa dice. Ti va?
    - Sì, giusto! Forse qualche puttana ti ha fatto il suo nome per non dirti quello vero. Ha pensato che tanto tu domani vai via e chi s’è visto s’è visto.
    Giampiero mi batteva sulla spalla, felice che mi stessi riprendendo.
    - Già, forse… - ma non sembrava convinto.
    - Anzi, no! Questa sera Eli fa la notte. Che ore sono? Le dieci e venti? Dai, andiamo, vediamo subito come stanno le cose.
    - No, dai, facciamo domani…
    Ma ormai mi ero incaponito.
    - No, come passo la notte io? No, Giampie’, che ti costa? Andiamo adesso, hai pure la macchina!
    L’Ospedale era una montagna nera, punteggiata di luci azzurrine. Una fila di lampioni disegnava il viale d’ingresso e il grande parcheggio. Siamo scesi.
    In portineria c’era Luigi Santi, un anziano che ormai mi conosceva come fossi uno di famiglia.
    - Vado un momento da Elisa…
    - Va bene. E lui?
    - È con me. Un momento solo.
    Ho salito i gradini a due a due. In reparto si sentivano suoni ovattati e qualche pianto di bocchine sdentate. Lei non c’era. La caposala mi ha guardato di sfuggita e ha storto la bocca:
    - Di sotto, in sala bar.
    Siamo scesi.
    Elisa stava risalendo il corridoio con qualcosa in mano. Ha alzato gli occhi e il sorriso per me si è trasformato in un ghigno orribile alla vista di Giampiero. Non ci sono state parole. Ha gettato a terra il panino che stringeva in mano, si è girata e, correndo all’indietro, ha gridato:
    - Sì, è vero, è vero, sono una puttana – poi è scomparsa dietro una porta.
    Non so come, mi sono ritrovato in macchina.
    Giampiero guidava piano e parlava, parlava.
    Diceva che era meglio così, che l’avevamo scoperto fra noi e non dovevamo dirlo a nessuno.
    Gli altri si arrangiassero. Tanto le donne sono tutte uguali salvando mamme e sorelle.
    Lei si era permessa perché non lo conosceva, pensava fosse uno di chissà dove…
    E via via che parlava, per lo stress e per il rumore basso del motore, mi sono addormentato, esausto, con la camicia umida di mocci e lacrime incollata alla pancia.
    Mi sono svegliato al mattino, rannicchiato sul sedile allungato, coperto dal plaid storico di Giampiero. Lui russava piano sul sedile accanto: non aveva voluto lasciarmi solo.
    Un amico, un amico vero.

    Elisa si è sposata, poco dopo i fatti narrati, con un impiegato di banca che è sicuro di aver impalmato l’unica donna seria del paese;
    Giampiero è morto d’infarto dodici anni fa e io…
    Io ho cambiato città, ho sposato una ragazza che è una stampa e una figura con Elisa e ho avuto tre splendidi figli maschi.

    Questa storia è ancora viva in me e mi ha accompagnato lungo quarantadue anni, sei mesi e undici giorni della mia Vita; scriverla di getto e rileggerla con calma mi ha aiutato a vederla con occhi diversi.

    Più tardi, quando mia moglie andrà a giocare a bridge con le amiche, brucerò questi fogli nel caminetto. Non è il caso che lei li legga, ho sempre fatto del mio meglio per renderla felice.
     
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    Piaciutissima questa storia che ha saputo subito catturarmi. Umana, imperfetta, piena di sentimenti. Una storia semplice, vera o presunta che sia, che la dice lunga sul potere dell’inchiostro sapientemente usato. Bello e struggente il ricordo dell’amico. Incipit ed excipit da dieci. Insomma aut, mi hai conquistata.

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    Penna furiosa

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    Eh… la mamma ha sempre ragione… 😊
    Storia carina.
     
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    Penna furiosa

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    Samboseto di Busseto (Ma nata a Parma)

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    Bel racconto che inizia lento e che si trasforma in una storia che mi ha trascinato.
    Sei riuscit@ a interessarmi e a incuriosirmi nonostante che io schivi il genere 'rosa' come la peste.
    Buon ritmo, personaggi ben delineati e adatti all'ambientazione. Mi sembra scritto accuratamente e non ho notato errori di sorta. Una buona prova davvero. Brav@
     
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    Penna stilografica

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    Piaciutissima. Scritta veramente molto bene e mi ha preso fin dall'inizio. Mi ha anche ricordato un fatto personale che credevo sepolto nella mia mente. Non si chiamava Elisa ma Gabriella. Credo di averlo anche scritto nella mia autobiografia. Sto divagando e... il tuo racconto è in pole position. Fresco e leggero, anche se i ricordi a volte bruciano, altro che i fogli scritti.
     
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    Penna furiosa

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    Bel racconto. Piaciuto molto. Per come hai saputo coinvolgere e trascinare il lettore in una storia di gioventù che ancora brucia e fa soffrire. Forse la moglie, che gli ha regalato lo strumento per scriverla, meritava una lettura...per chiudere il cerchio. Forse.
     
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    Penna suprema

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    Ci sono ragazze che sanno fare solo l'amore, Elisa è una di quelle e mi sta pure simpatica. Il ragazzo tradito piange, e questo mi fa pensare che il racconto l'abbia scritto una donna, la penna di un uomo l'avrebbe fatto incazzare come una bestia, altroché...
    Gianpiero è quasi un santo, nella realtà non va quasi mai così.
    Il racconto è, comunque, la cosa migliore di questo ultimo step.
     
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    Dio della penna

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    Una storia che ti apre le porte del cuore, una storia di vita vera e che per ognuno di noi raffigura una storia personale. La storia della propria gioventù, della vita che ti ha segnato, di quella donna che ti ha pugnalato lasciandoti il cuore aperto e che forse questo racconto vuol chiudere. Intensa lettura che rilascia malinconia e gocce d'amore che ancora scendono dall'inchiostro, ma non lo diciamo troppo in giro...
     
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    Il racconto ha un valore intrinseco indipendentemente dall'aggancio iniziale, un po' cercato, al tema dell'inchiostro, ma anche questo è stato fatto con garbo e naturalezza. Nella lettura mi sono visto scorrere le immagini, come in un film in bianco e nero, che mi hanno ricordato la commedia all'italiana dei primi anni '60, in cui si parlava molto di "poveri ma belli", "sedotte e abbandonate" e tentativi maldestri di tradimento in tutte le salse. Qui abbiamo un tombeur de femmes che trova una giusta punizione proprio con l'unica donna in cui si era sentito veramente coinvolto sentimentalmente. Il racconto scorre veloce, senza intoppi, e l'ho letto con grande piacere, come mi accade per tutte le cose che evocano ricordi e sensazioni lontane. Un dettaglio su tutti: quei calamai riempiti dai bidelli, che versavano l'inchiostro in contenitori inseriti in fori praticati sui banchi di legno ... Eh sì, purtroppo me li ricordo anch'io ...
     
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    Penna suprema

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    Un bel racconto che profuma di “favolosi anni sessanta”, quando la gioventù si disperava ancora per amore e non conosceva vie di fuga sintetiche... 🎈
     
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    Una storia semplice, ben scritta, letta con piacere, ma che non mi ha entusiasmato particolarmente.
     
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    Storia simpatica, e ben scritta, non ho trovato particolarmente azzeccata la scelta della struttura a cornice con la storia del regalo di penna e inchiostro... mi è sembrata un po' artificiosa. Comunque storia interessante. Letta volentieri. :)
     
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    Penna d'oca

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    Anch'io come Dafne ho trovato la cornice un pochino artificiosa. Il racconto per i miei gusti è un po' troppo normale, non perché deve essere tutto strano e inconsueto ma perché gli eventi speciali della vita mi piace sentirli raccontati in modo speciale. Però devo dire che mi è piaciuto un sacco l'uso del dialetto che è particolare e allo stesso tempo facilmente leggibile.
     
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    Penna furiosa

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    Ci voleva la Montblanc per evocare un ricordo indelebile, ma che ogni tanto va a nascondersi nei meandri della mente. Racconto ben scritto e particolarmente coinvolgente, sembra la sceneggiatura di una fiction. Nello stesso tempo, hai reso bene Leonardo il Dongiovanni invincibile ferito nell'animo, Giampiero l'amico (vero e autentico) ed Elisa che, come diceva la mamma...
    Quando andavo io alle elementari, esistevano già le penne, però i banchi avevano ancora il buco in alto a destra (o sinistra?) dove una volta c'era il calamaio. Non male.
     
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    Penna furiosa

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    Una penna per tornare a scrivere diventa occasione per l’emergere di ricordi lontani. Lettura scorrevole, senza voli. Forse troppi dettagli, troppa precisione nel raccontare rallentano il ritmo narrativo.

    C’è da rivedere l’uso dei tempi verbali in alcuni punti, correggere qualche apostrofo con l’accento e magari eliminare qualche luogo comune (“Le donne sono tutte puttane” è ripetuto due volte.)
    Non male; sarebbero utili a migliorare la qualità del testo alcuni tagli e una revisione generale .
     
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27 replies since 23/7/2019, 18:37   541 views
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