Bruna

Dafne

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    Sogno spesso Bruna che spicca il volo dalla finestra del sesto piano.
    Mi guarda sorridendo, allarga le braccia e si lascia cadere nel vuoto, mandandomi un bacio con la mano aperta.
    Oppure la sogno che mi guarda ormai esangue, appesa ad un ramo robusto del platano del nostro giardino, mentre nostra figlia gioca poco distante con le sue bambole, seduta a un tavolino con le amichette.
    A volte confondo sogno e realtà e dimentico in che modo si sia tolta la vita: se caduta dal sesto piano dalla terrazza dell’attico dei suoi genitori, o impiccata a un ramo robusto del platano del nostro giardino, oppure addormenta in un letto di un albergo anonimo del centro, dopo avere ingurgitato troppe pillole… non saprei, il ricordo mi sfugge anche in questo momento.
    So solo che da sei mesi Bruna non è più con me, non è più da nessuna parte, solo nei miei sogni ricorrenti, e che di nostra figlia si occupa mia suocera, finché io non mi sentirò meglio.

    Ricordo confusamente il giorno del suo funerale e i due giorni che l’hanno preceduto: la girandola di gente che entrava e usciva dalla camera ardente, la bara a cui non riuscivo ad avvicinarmi, sua madre, elegante ed efficiente che dirigeva il traffico dei parenti venuti dalla Francia, e suo padre, accasciato su una sedia in un angolo, a cui nessuno faceva caso.
    E le facce di mia madre e delle mie sorelle, dei miei amici e colleghi, tutte mescolate tra loro alternativamente, di cui vedevo i lineamenti, ma non esattamente i contorni.
    E il mio unico pensiero nel cervello: non è vero, non è vero.
    Non è vero niente.

    Ultimamente la sogno inchiodata ad una croce che mi guarda mite senza pronunciare una sola parola, e io non riesco a dire o fare niente, paralizzato di fronte a lei.
    Il mio terapista dice che questo sogno racconta la mia croce, e che sono i miei sensi di colpa che me l’hanno piantata nel cervello, che Bruna ormai non prova più dolore, e che anche io devo imparare a liberarmene se voglio continuare a vivere.
    Forse il terapista ha ragione, forse davvero sono inchiodato a questa croce per non aver saputo accompagnarla in quel tratto di strada, per non aver saputo ascoltare la sua muta disperazione, ottuso e felice per la nascita di Lucilla che cresceva meravigliosa e allegra, tanto cieco da non vedere quanto Bruna si stesse spegnendo, soffocata da mostri orrendi che la stritolavano nel suo nuovo ruolo di madre, e tanto ingenuo da credere che le bastasse cambiare casa per essere felice, e avere quel giardino grazioso, che lei desiderava tanto, dove giocare con la nostra bambina.
    Credevo fosse felice quando la vedevo spingere Lucilla sull’altalena, credevo che il pallore, la stanchezza e la paura sarebbero passate col tempo, svanite d’incanto in una mattina chiara, come la notte al sopraggiungere dell’alba.
    Credevo che il mio amore e quel giardino le sarebbero bastati.
    Se è vero che i miei sensi di colpa mi hanno conficcato questa croce nel cervello, tanto meglio, me lo merito: non voglio stare bene.
    Adesso voglio solo stare male.

    La sera vado a letto in ansia, sperando di sognare Bruna ancora una volta, sperando di restare ancora un po’ con lei nei miei sogni angoscianti.
    E’ tutto quello che mi resta di lei e non voglio perderlo.
    Questa notte il sogno è un po’ diverso: c’è una croce enorme di legno chiaro in mezzo al mio giardino, ma Bruna non c’è, non vedo nemmeno il platano. Il giardino è completamente deserto.
    Da un braccio della croce penzola una piccola altalena. Dondola, leggera, spinta dal vento. Un fiore bianco è sbocciato ai suoi piedi, si nutre del mio amore. Mi sono sbagliato. La croce non l’hanno piantata nel mio cervello, ma dritta nel mio cuore.
     
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    Questo racconto si apre con un'immagine drammatica e la visione non lascia dubbi, attenzione però tutto è un sogno.
    Questa condizione continua nel suo incedere angosciante e da essa nasce la simbiosi tra surreale e reale, infine appare poi chiaramente la realtà nella sua non accettazione: vita e famiglia distrutta con una piccola vita da far crescere. A questo punto si delinea il vuoto totale nell'animo umano. Nel significato del racconto s'intravede il senso di colpa che attanaglia e perseguita: spesso ci si chiede se l'agire sia stato giusto o meno.
    Il concetto della "croce" spiega l'espiazione della pena e la relativa punizione di se stessi.
    Bello il raccordo finale tra il racconto e l'excipit.
    Morale: "quel gesto tragico ha piantato nel cuore amore e consapevolezza dell'agire futuro."
    Ben espressi i concetti contenuti nei periodi, il linguaggio è scorrevole e la punteggiatura supporta egregiamente la lettura.
    Ho trovato questo racconto figlio della nostra epoca e di quel modo di vivere alienante che allontana dagli altri e da se stessi.
    Letto e assimilato!
    Ribadisco la non semplicità di raccordare la parte finale, il rischio maggiore risiede nella fretta di chiudere, un agguato da evitare...
    Complimenti, very nice.
     
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  3. Stilografo
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    Racconto interessate, sei riuscito a legare bene l'excipit che reputo più difficile. Un consiglio personale: accorcia un po' le frasi, un paio di volte sono tornato indietro a rileggere perchè non ho capito il senso alla prima lettura, e questo mette un po' di confusione. La trama comunque si svolge bene, cambi di tempo ben strutturati e credibili. Hai ripetuto troppe volte la parola "croce" alla fine, probabilmente per assicurarti di incatenarlo bene alla chiusura. Anche "giardino" è una ripetizione, ma non dà troppo fastidio. Bel linguaggio, articolato, tempi giusti al posto giusto. Mi accodo un po' a quello che ha detto Giancarlo. Personalmente, la storia mi è piaciuta molto e hai reso bene l'idea. Brava!

    Edited by Stilografo - 26/11/2019, 13:17
     
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    Penna stilografica

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    Wow... non so se è perché l'excipit è il mio, ma mi è piaciuto tantissimo.
    Dal punto di vista linguistico niente da segnalare, se non l'uso di avverbi non poi così necessari e che rallentano la lettura (es: "E le facce di mia madre e delle mie sorelle, dei miei amici e colleghi, tutte mescolate tra loro alternativamente, di cui vedevo i lineamenti, ma non esattamente i contorni". Poteva essere "E le facce di mia madre e delle mie sorelle, dei miei amici e colleghi, tutte mescolate tra loro e di cui vedevo i lineamenti, ma non i contorni"), Ma questa degli avverbi è una mia fissa!
    Stile molto piaciuto, lineare, scorre nella sua drammaticità, seguendo un ritmo naturale, sempre adeguato ai momenti narrati, che siano memoria, emozione, angoscia.
    Si racconta di depressione post parto, un dramma al quale purtroppo non si da ancora il giusto peso importanza, e direi che il tema è affrontato con il giusto equilibrio, senza enfatizzare o voler calcare la mano, e questo lo rende decisamente efficace e... purtroppo, devastante. Ottimo il raccordo con l'excipit. Non posso che ringraziarti per averlo valorizzato così splendidamente.
    Racconto piaciutissimo. Bello bello bello!
     
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    Dalcapa grazie. Non sai quanto mi senta sollevata: mi sarebbe proprio dispiaciuto rovinare il tuo finale. Sulle ripetizioni hai ragione. E sono una mia fissa. Ma in effetti in questo caso le potevo evitare.

    Grazie anche ai commenti precedenti, of course... ;)
     
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    Penna stilografica

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    Le ripetizioni te le ha segnalate "Stilografo"... :mumble.gif:
    Lo dico perché a me piacciono e sono decisamente una mia fissa!!! =0)
     
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    Ah ecco... non avevo capito. Sei anche tu un fan di anafora e iterazione e polisindeto e affini?!? Me ne compiaccio! :)
     
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    Non c'è nessun merito a essere sempre buoni e divertenti.
    L'autrice, che conosco bene, smette di esserlo buona e divertente.
    Sulla sua scelta non c'è nulla da dire, questo racconto è la cosa migliore che io abbia mai letto di lei.
    Profondo e terribile come un inghiottitoio di montagna.

    Si toglie il pensiero già all'inizio, fa volare Bruna dal sesto piano, la lascia galleggiare, come in sogno.
    Concentra tutti i tormenti, i sensi di colpa nella pancia del marito, che si sente uno strofinaccio per non aver capito, per non aver fatto nulla per salvare, per aiutare la sua donna vittima dei demoni, della sua depressione.
    Tutto quello che gli resta di lei è la speranza di riuscire a dormire a lungo e di sognarla.
    Non è più un grande uomo duro e indipendente che pensa di poter alimentare tutti con il suo amore.
    Adesso è disperato.
    Adesso vuole solo star male.

    Un racconto che ti fa stare di merda, un racconto disgustoso che vorrei cancellare con un'immensa gomma da cancellare per salvare Bruna, e la mia amica scrittrice, che a scriverlo avrà sofferto.
    Quanto lei.
     
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    Un racconto doloroso come è l'incomunicabilità dei nostri tempi: la giovane Bruna che soffre e il marito che non lo capisce abbastanza. Crede che basti qualcosa di materiale, insieme al suo affetto, per risolvere un problema tanto grave. Ma non è così. Non parliamo, poi, della madre di lei che dirige il traffico dei parenti e che ora si occupa della nipote, non facendo presagire nulla di buono. Scritto bene, ben articolato, riesce a far soffrire, con tutte quelle frasi senza speranza, con la croce infissa dappertutto, nella mente e nel cuore! Forse, l'altalena potrà essere il simbolo di una liberazione dal male che verrà con il tempo.
     
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    Penna d'oca

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    La trama mi è piaciuta moltissimo, e geniale l'aggancio con l'excipit. Lo stile è pulito e chiaro nelle descrizioni ma non l'ho sentito avvincente, nel senso che mi arrivavano chiare le descrizioni ma meno le emozioni del personaggio. Essendo il protagonista a raccontare in prima persona, mi aspettavo di avvertire le sue devastanti emozioni. Altro aspetto che mi suona male è l'aver pensato che la donna fosse felice in alcuni momenti. Capisco che il protagonista non pensasse che la depressione fosse tale da portare al suicidio, ma mi sembra troppo ingenuo l'aver pensato di vederla felice. Sono ovviamente interpretazioni molto soggettive.
    Nella parte iniziale "ad un ramo" secondo me scorre meglio senza la "d"
    Racconto secondo me piacevole da leggere tanto più perché molto difficile da orchestrare.
     
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    Grazie Luca per l'apprezzamento, e si, la d di ad potevo evitarla. Per quanto riguarda l'ingenuità di credere una persona felice quando non lo è... ci si convince facilmente di quello che ci fa comodo, più spesso di quanto tu non pensi, soprattutto se ammettere il contrario vuol dire guardare in faccia una realtà scomoda o che si è incapaci di sopportare.
     
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    Penna stilografica

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    Sei il mio secondo racconto in lettura e spero di non incontrarne altri come il tuo... se no entro in fase depressiva. Io mi lascio coinvolgere e il tuo mi ha veramente emozionato. praticamente l'ho letto in apnea e questa per me me è stata la cosa più facile da fare. Cerco di sdrammatizzare ma sono ancora sotto l'influenza della lettura.
    Quasi dimenticavo. In effetti mi è stato segnalato dallo staff che non ho evidenziato lo stile della tua scrittura e eventuali errori.
    La scrittura è molto fluida ed anche per ciò che ho potuto leggerlo in un solo fiato. Beh è anche molto breve.
    Per quanto riguarda sintassi ed errori non ho nulla da segnalare.
    Mi scuso per non averlo scritto prima ma... dovevo respirare!

    Edited by Tony-the-sub - 4/12/2019, 15:24
     
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    Penna stilografica

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    “oppure addormenta in un letto di un albergo” anziché “addormentata”.
    Con soddisfazione ho scoperto questo refuso, perché proprio non riuscivo a trovare un difetto che fosse un difetto. Ho trovato lo stile giusto per il tipo di narrazione già di per sé angosciosa, senza la necessità di voler rincarare la dose con una scrittura che rendesse ancora più inquietante il racconto.
    In particolare mi è piaciuto molto questo passaggio: “E le facce di mia madre e delle mie sorelle, dei miei amici e colleghi, tutte mescolate tra loro alternativamente, di cui vedevo i lineamenti, ma non esattamente i contorni”. Esprime in modo nitido quello che può sentire chi avverte tutto il peso di questo vuoto incolmabile che si è creato, accompagnato nel caso specifico da forti sensi di colpa e circondato come spesso accade ai funerali da una folla indistinta e tutto sommato scarsamente partecipe.
    Complimenti anche per la scelta più che coraggiosa dell’excipit, veramente complicato da riallacciare a una storia per cui non era stato pensato. Tutto sommato ne sei uscita molto bene.
     
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    “Adesso voglio solo stare male”. Trovo che in questa frase ci sia tutta l’essenza del senso di colpa e di inadeguatezza del compagno che non è stato capace di comprendere il disagio della sua donna, che ha osservato senza vedere. Una cecità che lo porta a desiderare quella croce come se fosse un ancora di salvezza. La vuole nei sogni, vuole toccare il fondo, vuole la punizione come un bambino quando sa di aver fatto qualcosa di sabagliato. La punizione salva, aiuta a redimersi e forse a rinascere. Voglio augurarmi che lo aiuti a vedere l’altalena...Quell’altalena che dondola vuota e che vuole solo essere riempita dai sorrisi di sua figlia. Una figlia che non deve abbandonare. Forse Bruna vuole dargli questo messaggio nel solo modo che le resta: apparirgli in sogno.
    Splendida e dolorosa storia. Excipit valorizzato alla grande. Complimenti!🤗

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    Penna suprema

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    Ciao Daf. Il tuo racconto angosciante e ansiogeno mi è piaciuto, hai reso molto bene lo stato d’animo del marito, lo sciocchino che non ricorda come si è uccisa la moglie… Credo che Bruna abbia fatto il gran passo quando si è accorta di aver sposato un uomo di poca, pochissima sostanza. Ehehe
    Per la parte tecnica, ti segnalo alcune dritte per rendere, a mio avviso, il testo più scorrevole.

    se è caduta dal sesto piano o dalla terrazza dell’attico dei suoi genitori, se si è impiccata a un ramo robusto del platano del nostro giardino, oppure s’è addormenta nel letto di un albergo anonimo del centro, dopo avere ingurgitato troppe pillole …non saprei, il ricordo mi sfugge anche in questo momento.

    la bara alla quale non riuscivo ad avvicinarmi, sua madre...
    E le facce…, tutte mescolate tra loro delle quali vedevo i lineamenti, ma non esattamente i contorni..

    sostiene che il sogno racconta la mia croce, che i miei sensi di colpa me l’hanno piantata nel cervello; Bruna ormai non prova più dolore, e io devo imparare a liberarmene se voglio continuare a vivere.

    Un bacione, strega e sii di manica larga con i voti, ricorda che siamo sotto Natale e che i tuoi alunni hanno diritto di stare sereni.

    Avevo usato il grassetto per mostrarti le cose che avrei modificato, ma la formattazione è inflessibile. Io comunque ho fatto il mio dovere, parola di coccinella.
     
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