La madre

bucaneve88

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    Dio della penna

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    Annottava. Viale Lugli era deserto: larghe pozze di luce gialla piovevano dai lampioni seminascosti fra le chiome degli alberi; il vento correva lungo le cunette e stanava foglie, barattoli, cartacce.
    L’ingegner Carlo Rossi, quarant’anni ben portati, camminava a lunghe falcate, intabarrato nel cappotto; quelle passeggiate quotidiane da casa allo studio e viceversa lo ritempravano e rinunciava solo se c’era maltempo. Si girò per una folata improvvisa e vide, contro il buio degli alberi, una figura nera, in attesa; ebbe l’impulso di scendere dal marciapiede e di attraversare la strada, ma il vento liberò la luce del lampione e illuminò un viso di donna. Carlo rimase folgorato. Con un balzo le fu accanto:
    - Mamma?
    Lei alzò la testa, lo guardò con occhi di spinello nero e sorrise.
    - Scrì…
    Un brivido gli corse lungo la schiena:
    - Mamma, mammina mia…
    La prese fra le braccia e si trovò immerso nell’odore acre e forte della sua infanzia; curvo su di lei, le baciò la testa, la soffice peluria delle guance, gli omeri delicati e non si stancava di ripetere:
    - Quanto, quanto mi sei mancata!
    Lei tremava nella stretta vigorosa del figlio. Quando volle staccarsi dall’abbraccio, sollevò la mano in una carezza e sussurrò:
    - Scricciolino di mamma…
    Allora il pianto ruppe gli argini e diventò un fiume in piena.

    Spaesato, immerso in un lago di sudore e lacrime, aprì gli occhi a fatica nella luce soffusa della camera. Rivide la madre, risentì il suo abbraccio, quell’appellativo che gli aveva dato lei stessa per via del fisico esile e gli rispuntarono le lacrime.
    Sopraffatto e in preda all’agitazione, scese dal letto attento a non svegliare Sara, guardò Luigino che dormiva, gli accomodò la copertina e andò a rifugiarsi nella cameretta degli ospiti. Le lenzuola gelate lo riempirono di brividi e lo svegliarono del tutto. Forse era stato vittima di un malessere o forse di un’indigestione, ma aveva vissuto un’esperienza bellissima.

    Carlo decise che non poteva più rimandare: doveva tornare subito a Gubbio, il suo paese natale. A Sara avrebbe parlato di un viaggio di lavoro: lei era ancora fragile per il parto e non voleva impressionarla con storie legate al suo passato, un passato doloroso del quale parlava raramente.
    Il padre, vigile del fuoco, era morto sul lavoro quando lui aveva cinque anni e la madre, cagionevole di salute, su consiglio del parroco lo aveva messo al Don Orione, dagli orfanelli. Lei era morta l’anno successivo e Carlo era rimasto solo, senza un parente al mondo. Il convitto era stato la sua casa. I preti si erano presi cura dell’orfano e forse speravano di convincerlo a prendere la tonaca o il saio, ma lui aveva un solo amore: i libri. Studiava con piacere e qualsiasi cosa. Dopo i diciotto anni, si era iscritto a ingegneria ed era rimasto in collegio da esterno; si pagava la retta con le borse di studio. Ormai prossimo alla tesi, aveva conosciuto Sara, futuro architetto d’interni e non si erano più lasciati. Tutto qui. Una storia dolorosa da lasciarsi alle spalle. Fino a quel momento.

    Gubbio distava circa trecento chilometri, ma a Carlo il viaggio sembrò brevissimo. Parcheggiò in una piazzetta che non ricordava e, piantina alla mano, cercò la sua vecchia casa.
    L’individuò quasi subito anche se era stata ristrutturata. Riconobbe i gradini, suo regno incontrastato. Si avvicinò e dovette farsi forza per non cedere alla tentazione di sedersi al solito posto, accanto allo stipite destro del portone. Sorrise alla vista della fogna, la nemica giurata che gli aveva inghiottito tante biglie.
    Alzò gli occhi verso la finestra della cucina e gli sembrò di sentire il tintinnio del vetro che si apriva:
    - Scrì, è pronto, vieni!
    Si riscosse a fatica.
    Era quasi mezzogiorno, doveva cercarsi un albergo. Il navigatore indicava l’Hotel Catria, di Remo Lugli.
    Lui apprezzò la bella insegna di vetro e la porta a tre ante con gli sportelloni. Entrò.
    Dietro il bancone, un anziano sistemava i bicchieri.
    - Remo? Remo Lugli?
    L’uomo sollevò la testa calva:
    - Sì. Chi lo vuole?
    - Buongiorno, sono Carlo Rossi, il figlio di Luigi, il pompiere che è morto sotto la frana trent’anni fa. Non so se…
    - Ommadonnasanta! Sei ‘l fijo de Luigi. Era un amico, poretto… Te sei quello che ha fatto strada, quello che…
    - Sì, sono io. Mi fermo oggi e domani. C’avete una camera?
    - ‘Na camera? Certo! La mejo.
    - Grazie. Volevo anda’ subito al cimitero da babbo e mamma; per i fiori ci torno ‘sta sera con calma.
    Il chioppo del bicchiere che s’infrangeva nel lavandino fece trasalire l’ingegnere.
    - Che c’è? Che ho detto?
    - Hai detto “mamma”!
    - Embe’?
    - Ma tu’ madre mica è morta! È agli Zoccolanti.
    Il cuore di Carlo perse un colpo.
    - Aspetta, Carle’, béve ‘st’Anisetta, sta’ su, cazzo. Vieni, andamo ne la saletta del retro.
    L’anziano prese l’uomo per un braccio, quasi lo trascinò in una stanza adiacente e gridò:
    - Rosa! Va’ al bancone che c’ho da fa’. Carle’, te spiego: dopo che è mancato tu’ padre, don Bruno ha aiutato tu’ madre pe’ il funerale, pe’ la reversibilità da mette via per te quando tornavi. Ha venduto la casa vostra e le ha messo i soldi ne la Banca. Lei è andata a fa’ la cuoca agli Zoccolanti, che è un ricovero pe’ i vecchi. Poi è diventata vecchia pure lei e i soldi de la casa sono andati all’ospizio che la tiene. Quelli de tu’ padre dovrebbero esse da parte per te…
    - È ancora viva?
    - Nun lo so de preciso, ma credo de sì. In paese nun s’è saputo niente.
    - Grazie, Remo. Vado subito. Dove sono ‘sti Zoccolanti?
    - Ma stai bene, fjolo? Te sei ripreso?
    - Sì, sì. Grazie.
    - Allora: arrivi alla chiesa de le Tinte. Sulla sinistra c’è una strada bianca, sali fino a un palazzo antico co’ ‘na cancellata: quelli sono i Zoccolanti.
    - Ho capito.
    - Senti, fra un po’ è mezzogiorno, le vecchiette mangiano. Sta’ qui, riposàte, magna anche te, poi verso le quattro, quando se svejano da la pennichella, vai su e ce stai quanto te pare. Che ne dici?
    - Sì, avete ragione. Vado alla macchina a prendere il trolley.

    Alle quattro Carlo era davanti al cancello degli Zoccolanti. Il cuore sembrava volesse uscire dal petto. Dopo la scampanellata, si aprì lo spioncino su un viso giovane, incorniciato da un soggolo bianchissimo:
    - Sì?
    - Sono Carlo Rossi, sorella. Il figlio di Clelia Varani.
    La suorina trasecolò, ma si riprese quasi subito.
    - Un momento. Chiedo in Direzione.
    L’attesa fu brevissima. Il rumore di un catenaccio, poi il grande portone si aprì su un antico chiostro chiuso da vetrate.
    - Venga. La Madre l’aspetta.
    Carlo fu ricevuto da una suora piccolina, in un piccolo ufficio pieno di scaffali stracolmi di portadocumenti.
    - Buon giorno, Madre. Sono Carlo Rossi.
    - Buon giorno, ingegnere.
    L’uomo ebbe un moto di meraviglia, lei sorrise.
    - I Padri del Don Orione ci hanno sempre tenute aggiornate su di lei e Clelia poteva, a ragione, godere delle belle notizie su suo figlio.
    - Io… Io sapevo che era morta. Mi era stato detto che…
    - Sì, è accaduto quasi subito, appena lei è entrato in collegio. I Padri erano preoccupati per la sua salute: era un bimbo gracilino e piangeva notte e giorno perché voleva la sua mamma. Fu Clelia stessa a decidere che lei la credesse morta. Si sarebbe rassegnato.
    - Ma poi, con il tempo, avrebbe dovuto…
    - Vede, Clelia cadde in uno stato di estrema prostrazione e rischiò più volte di morire. Il declino vero e proprio cominciò con la perdita di memoria e con tutti i tratti tipici dell’Alzheimer. A quel punto, mi sono presa io stessa la responsabilità di lasciarlo libero di vivere la sua vita. Se ho sbagliato, me ne scuso. Posso sapere come mai è qui?…
    - Un sogno. L’ho sognata due notti fa. Madre, vorrei vederla subito.
    - Certo, venga.
    Li accolse un grande prato ombreggiato, attrezzato per passeggiare a piedi o in carrozzina. Quasi tutte le persone sedute sulle panchine tenevano in grembo un gatto e chiacchieravano fra loro.
    - Clelia è quella là, seduta con suor Paola.
    - Grazie, Madre.
    Vista così, in pieno sole, era una vecchina qualunque, lontana mille miglia dalla persona incontrata in sogno: aveva un’aureola di capelli bianchi e occhi acquosi, appannati dalla cateratta; era quasi deluso. Poi si diede del cretino e si avvicinò. Suor Paola gli sorrise.
    - Sono lì – disse indicando una seduta poco lontana - se serve, chiami pure.
    - Grazie.
    Carlo si sedette, prese una mano della madre e si chinò a baciarla su una guancia. Odorava di talco e saponetta alla lavanda. Le mise un braccio intorno alle spalle, se la strinse accanto e cominciò a oscillare piano, come a ninnarla. Rimasero così, abbracciati, fino a quando suor Paola venne a prendere Clelia per la cena. Il figlio si alzò a malincuore e le disse:
    - Torno domani.

    Il pomeriggio seguente, Carlo andò direttamente in Direzione.
    Davanti a un thè bollente, spiegò alla Madre di essere andato in banca per controllare la situazione economica di sua madre e di essersi meravigliato moltissimo per l’esiguità dei prelievi. Di fatto c’era ancora un bel gruzzoletto nonostante i tanti anni trascorsi.
    La suora sorrise al complimento e abbassò lo sguardo.
    Carlo le spiegò che, d’accordo con il Direttore, avevano preparato una delega a suo nome per l’altro conto, quello della reversibilità intestato a lui: doveva servire per le necessità dell’Istituto. Le lasciava un foglio con i suoi recapiti per qualunque necessità.
    - Pregheremo per lei e per la sua famiglia. Nessuno ci aveva mai aiutate così tanto.
    - Se non avesse avuto voi, non oso pensare che fine avrebbe fatto mamma. Ho una preghiera: mia moglie ha appena partorito e ha avuto una gravidanza difficile. Crede che mia madre sia morta. Le spiegherò tutto quando si sarà rimessa in forze ma, se nel frattempo si dovesse verificare l’ineluttabile, per favore pensi Lei a tutto e mi avvisi non tramite telegramma, ma con una lettera senza intestazioni.
    - Lo dia per fatto, ingegnere.
    - Grazie. Vado a salutare mia madre.

    Circa un mese dopo, nella cassetta delle lettere Carlo trovò una missiva bianca, senza mittente, vergata da una grafia sconosciuta. Dal timbro capì la provenienza e il probabile contenuto. L’aprì con mano malferma, lesse le poche righe senza estrarre il cartoncino poi l’infilò in tasca e rientrò in casa.
    - Tutto bene, amore?
    - Certo. Scusa un momento, Sara.

    Andò in bagno e chiuse la porta a chiave. Distrusse in mille pezzi il contenuto della busta e lo buttò nel water.
    Seduto sul bordo della vasca, si asciugò gli occhi con un fazzoletto.
    Poi costruì il suo miglior sorriso e tornò nel suo lussuoso salotto, da sua moglie e suo figlio.
     
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    Per dieci minuti ho letto e riletto l'inizio di questo racconto.
    Molti di noi si sforzano per essere delle brave persone, tu lo sei davvero, autrice. Per quello che scrivi, per come lo scrivi.
    Per quanto sono stato commosso volevo quasi interrompere la lettura, riprenderla il giorno dopo, con calma.
    Rassegnato però che mi sarei commosso di nuovo perché sei maledettamente brava e perché pur'io ho una mamma minuta, insignificante, e con l'alzheimer.
    Non so quante persone hai che ti adorano, autrice, ma aggiungine un'altra, me.
    Il racconto procede per accumulo di notizie e non si spiega come fai a metterne tante in uno spazio così piccolo.
    Ispira la devozione di un vero romanzo, e spero tu abbia voglia e tempo per svilupparlo.
    Ora ho la concentrazione di chi guarda un bel film troppo emozionante e spera che qualcuno faccia squillare il telefono o suoni alla porta.
    Per rassicurarlo.
     
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    Scrittura esperta e molto efficace. Bello l'uso del dialetto per l'effetto realistico che dà alla narrazione, molto efficaci che incantano le descrizioni che io ammiro sempre perché non sarei mai capace di fare così bene, e perché sono belle e basta. Efficace anche la costruzione della trama, anche se inizialmente mi ha lasciato perplessa che la madre fosse morta e che al figlio non fosse stato comunicato. Rileggendo l'ho trovato verosimile, però mi sembra l'unico punto debole di questo racconto, che trovo in ogni caso scritto benissimo con sapienza e cuore.
     
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    Non è il genere di racconto che leggerei abitualmente, per cui apprezzo ancora di più la capacità che ha avuto di tenermi incollato fino alla fine. Mi è piaciuto molto lo stile narrativo, compresa la parlata dialettale. La scelta azzeccata di ogni vocabolo mi fa paragonare il racconto a una sinfonia talmente bella che quasi il contenuto del testo può passare im secondo piano. Il bello di chi sa raccontare è che può rendere interessante qualsiasi cosa. Unico dubbio che mi rimane è se davvero alla notizia che la madre fosse ancora viva il protagonista possa aver così velocemente raccolto la lucidità per procedere come è avvenuto nella storia.
     
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    Una storia toccante e scritta da una penna agile e sapiente. Mi sono piaciuti moltissimo i dialoghi in dialetto in quanto aggiungono una tinta di veridicità a tutto il racconto. L’utilizzo esperto degli aggettivi e della punteggiatura rendono godibile e fluida la lettura.
    La mamma è sempre la mamma ed è inevitabile commuoversi. La situazione che hai creato è originale e abbastanza verosimile anche nelle sue parti più esoteriche. Ti segnalo il “chioppo” del bicchiere perché, trattandosi di una espressione dialettale, non l’avrei utilizzato nella parte narrata. Per quanto riguarda il finale ho un po’ di riserve perché forse avrei preferito il finale di Tom che a mio gusto avrebbe calzato a pennello. La storia della moglie depressa mi pare un po’ forzata e non mi ha convinto il fatto che il figlio dopo aver ritrovato la madre decida di non tornare da lei strappando addirittura la lettera che forse conteneva la comunicazione della sua morte. In ogni caso un ottimo racconto che ho letto tutto d’un fiato. Complimenti🌼

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    Penna suprema

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    Tommy: grazie. Mi hai fatto andare a letto con la gioia dentro. So che sai cosa voglio dire. Non sono poi così buona... grazie anche per questo.
    Daf: grazie. Un signor commento fatto da una professionista. Mi ha fatto tanto piacere.
    Luca: grazie anche a te per il bel commento e le considerazioni; forse hai ragione, ho parlato solo di un mancamento, ma ho sempre paura di esagerare nelle reazioni...
    Petunia: grazie per le belle considerazioni. Toglierò il chioppo, hai ragione: è nel narrato, non nel parlato.
    Ho riletto il finale di Tom, ma non mi calzava; senti il mio parere:Lui strappa la lettera solo per non farla trovare alla moglie che ancora non è stata messa al corrente della esistenza in vita della suocera. Per come l'ho concepito io, il figlio ha chiesto di sapere la data del decesso per essere presente alle esequie...
    Domani verrò a commentarvi tutti e quattro... Tremate, tremate, le streghe son tornate! Un bacio a tutti e buona serata. :pazzo.gif:
     
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    Eh sì, il groppo in gola lo fai proprio venire. Un racconto scritto in modo perfetto anche con quelle espressioni dialettali che non stonano in assoluto. C'è anche quel pizzico di esoterico con la visione in sogno della madre a renderlo ancora più interessante. Niente da eccepire sulla scrittura che procede a un buon ritmo fino all'incastro con excipit.
     
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  8. Piccola artista
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    Non ho mai letto un racconto così strappalacrime in vita mia, davvero complimenti, perchè è riuscita a costruire con poche parole una storia fantastica. La lettura è scorrevole, ma soprattutto appassionante...l'ho letto solo una volta, ma per una volta è riuscito a conquistare a pieno il mio cuore, purtroppo sono giovane e ingenua, non sono di certo una critica letteraria, ma non c'è da dubitare che il suo racconto è davvero molto bello e significativo.
     
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    Penna suprema

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    Tony, grazie. Sono contenta di aver commosso anche un intrepido lupo di mare... :emoticons-saluti-6.gif?w=593:

    Grazie anche a te, Piccola Artista: ti prego, vuoi considerarmi una sorella più grande e darmi del tu? Un bacione.
     
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  10. Piccola artista
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    D'accordo, ci proverò.
    :pazzo.gif:
     
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    Bel racconto, intenso e sentito.
    La tenerezza che suscita l'incontro con la mamma è eccezionale: "Le mise un braccio intorno alle spalle, se la strinse accanto e cominciò a oscillare piano, come a ninnarla. Rimasero così, abbracciati".
    Un refuso: la "cateratta" è una cascata, quella degli occhi è la cataratta.
    Ho trovato poco credibili invece alcuni passaggi, primo fra tutti il fatto che la mamma si sia finta morta e che tutto il paese non lo abbia più avvertito che poi fosse viva. Ma anche il fatto che lui non sia corso all'ospizio non appena saputo della mamma viva, una notizia del genere ti sconquassa, non ti fermi a mangiare aspettare e riposare.
    Ma anche il fatto che non dica nulla alla moglie, perché tutto questo segreto? La mamma è la sua, non è di lei dunque il colpo emotivo non dovrebbe essere così forte.
    Poi non ho capito un'altra cosa: entra nell'albergo chiedendo di Remo Lugli, come se lo conoscesse, ma non sembra sia così.
    Ancora un'ultima passaggio: in banca prende informazioni sul conto della madre, ma lui non è cointestatario, dunque sono dati che la banca non rilascia. (Sì quest'ultimo è proprio un dettaglio, vero).
    La scrittura mi è piaciuta moltissimo, ma questa serie di incagli me lo hanno reso poco credibile, sorry Buc.
     
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    Penna suprema

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    Ciao, Riccardo. Grazie per il bel commento particolareggiato. Ti esprimo il mio punto di vista:
    - In un passaggio la superiora dice che lei stessa non ha voluto avvertire il figlio dell’esistenza in vita della madre in quanto molto malata e quindi impossibile da gestire da un figlio. Sappiamo che prima è stata la volontà materna, poi la scelta della suora.
    - Carlo non era più tornato in paese, non aveva parenti e non so come i paesani avrebbero potuto contattarlo.
    - Appena ricevuta la notizia, il figlio si è sentito male: l’oste lo invita ad aspettare rispettando gli orari del pranzo e del riposo di un qualunque ospizio per anziani.
    - La moglie era convalescente per la gravidanza problematica. Non sappiamo di preciso cosa avesse avuto, ma metterla a parte di una notizia tanto eclatante l’avrebbe messa soltanto in agitazione: erano passati 35 anni dal distacco, tutti, figlio compreso l’avevano creduta morta, aspettare qualche mese non avrebbe fatto differenza...
    - Il nome del ristoratore Carlo l’aveva letto nell’insegna...Lo chiama per nome perchè l’uomo era girato di spalle.
    - Non sono molto ferrata in problemi bancari, ma c’era, intestato a lui il conto che derivava dalla reversibilità del padre: non mi sembra strano che il direttore condivida anche la situazione finanziaria della madre, ma non sono sicura...
    Buona giornata, Ric.
     
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    Ciao Buc. Mi sento chiamata in causa (lavoro in banca). Per aprire un conto corrente occorre la firma dell’intestatario (oggi si può farlo anche on line con gli opportuni documenti).
    Per operare su un rapporto di conto corrente intestato ad una persona non autosufficiente, è necessario che sia nominato un amministratore di sostegno. Quindi, nella realtà, la suora avrebbe dovuto necessariamente avvisare il figlio (magari per aprire il conto cointestato o valutare una delega sul rapporto del conto)a meno che la “mamma” non fosse stata in grado di recarsi personalmente in banca e conferire una delega ad operare sul suo conto corrente alla suora.
    🤒❤️

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    Grazie, Petunia! Un bancario a disposizione non si trova tutti i giorni.
    Ho dato per scontato che la madre, al momento di passare a dipendente a degente, sia stata in grado di nominare la Superiora suo amministratore di sostegno...
    Per la donazione del figlio penso non ci siano problemi...
    Forse non sono stata chiara quando ho detto che il Direttore possa aver condiviso con il figlio la situazione economica della madre: per condivisione intendevo solamente a livello colloquiale dato anche il fatto che non solo era tutto in regola, ma la Superiora prelevava cifre giuste, se non esigue.
    Se hai tempo, Pet, mi spieghi ancora? Se volessi inserire questo pezzo in una raccolta vorrei che fosse preciso. Un bacione. Grazie.🌺🌸🌷💋🌹🎄
     
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    Cara Buc i garbugli della burocrazia sono intessuti di fili neri come l’excipit di Res! L’amministratore di sostegno lo nomina il giudice tutelare. Quindi l’unica cosa ragionevole che la mamma avesse munito la suora di semplice delega sul suo conto. Per fare questo doveva recarsi fisicamente in banca insieme alla suora la quale avrebbe avuto titolo di operare legittimamente sul conto. Se invece i problemi di salute della mamma fossero stati gravi e permanenti, la suora doveva per il tramite di un legale o degli assistenti sociali, fare domanda al giudice tutelare. Se la mamma titolare del conto invece non fosse stata in grado di intendere e volere, era necessario farla interdire con l’inevitabile coinvolgimento del figlio.🌸

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    Ah... un direttore di banca anche se “locale” non avrebbe mai messo a rischio il posto violando la privacy . Dunque niente favori😜. Per la faccenda della donazione occorre un notaio e tutto si complica.🤣

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