Una nuova armonia

akimizu

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    Dio della penna

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    “... ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia
    e subito ne uscì sangue e acqua...”

    (Giovanni 19,34)


    Yerushalayim, 15 Nisan 3793



    Biglie di vetro colorato.
    Erano ferme al centro del cortile, nello spazio antistante la torre Antonia, schierate di fronte a un semicerchio di bambini scalzi. La luce le colpiva ed esplodeva in arcobaleni, mentre tutto intorno era il bianco delle rocce, dei muri di calcare, della polvere.
    Il bambino che era il capo, o quello che agli occhi del centurione lo sembrava, sedeva a gambe incrociate vicino al mucchio di biglie. Aveva una veste dalle maniche sformate, che lasciava scoperte solo le unghie, sporche e spezzate. Era lui che con il roteare del capo pareva comandare il gioco di luci e tutti gli altri bambini lo guardavano estasiati; era lui il vero spettacolo, non i fasci colorati e i lampi accecanti.
    Anche il centurione lo osservava, curioso di sapere quale sarebbe stata la sua prossima mossa, ora che aveva tutti in pugno; ma quello non faceva nulla e l'aria era tesa, come nell'immobilità prima di un uragano.
    Il centurione ogni tanto alzava il capo e borbottava al cielo, nella speranza che potesse piovere, o quantomeno che facesse meno caldo. Invece, c'era solo qualche nuvola stracciata, bloccata all'orizzonte, oltre le mura di Yerushalayim, che sdraiata sulla strada per Giaffa si teneva lontana, come impaurita.
    Il centurione era alto e largo di spalle, dal naso schiacciato e le sopracciglia folte che gli davano un'aria triste e malinconica. Si riparava dal sole con la mano perché gli dolevano gli occhi, soprattutto il sinistro, che lacrimava in continuazione e prudeva, come fosse pieno di sabbia. Con l'altra mano batteva a terra il bacillum viteum, che si portava dietro da anni e si vantava di non aver mai usato sulla schiena di nessuno, ma solo per sostenerlo nelle lunghe marce. Era di guardia alla porta nord della torre Antonia, quella che conduceva, saliti gli ampi gradini, agli appartamenti del prefetto.
    Con lui c'erano tre legionari, che annoiati giocavano a dadi, addossati alle mura bianche, al riparo nell'unica striscia d'ombra in tutto il cortile. Il picchetto si teneva in disparte: erano presenti, ma discreti.
    Poi il bambino alzò un braccio, la manica della veste scivolò fino al gomito, e diede una manata al mucchio di biglie, che schizzarono impazzite in tutte le direzioni. Sì infilarono nei recinti degli agnelli, tra le zampe di una colonna di asini neri, che ragliarono spaventati, nei cesti pieni di fichi e datteri, tra i teli porpora e indaco dei mercanti di tessuti. Fu il caos, tutti i bambini saltarono in piedi, come se loro stessi fossero stati colpiti da quella manata improvvisa, e inseguirono le biglie, urlando e ridendo forte.
    «Ecco un altro che usa il potere per creare disordine» mormorò il centurione, mentre si asciugava una lacrima col dorso della mano.
    I legionari dietro di lui sollevarono un poco il capo, ma subito lo riabbassarono, concentrandosi sui dadi.
    «Longino!» sentì chiamare, un grido proveniente dalla cima delle scale.
    Il centurione rimise il bacillum viteum nella cinta, diede ordine ai legionari di smettere di giocare e, lamentandosi a bassa voce, entrò nel palazzo. Il ticchettio dei chiodi delle calighe sui mosaici dei balconi lo accompagnava.
    Si tenne sotto al pergolato, dove grappoli di piccoli fiori gialli parevano stalattiti e sfioravano la crista transversa del suo elmo. Dondolavano un po' e poi tornavano immobili, nella stessa posizione di prima, come era logico che fosse, perché tutto ciò che si agitava alla fine ritrovava l'equilibrio e l'armonia. Era sicuro che anche nel cortile, i bambini fossero di nuovo seduti, in attesa, a osservare le biglie che avevano ritrovato e ammucchiato.
    «Longino» lo chiamò il prefetto Ponzio Pilato, quando il centurione si affacciò sul terrazzo, tenendosi comunque all'ombra del pergolato, «ti affido il prigioniero, portalo in una cella.» Quindi indicò con un gesto stanco un uomo con le mani legate, stretto in mezzo a due legionari.
    «Joshua ben Joseph Ha-nozri» continuò Pilato, in aramaico, «sarai condotto nuovamente qua, insieme ad altri tre malviventi, quando il sinedrio, nel rispetto delle consuetudini che vuole un condannato a morte graziato per la festività di Pesach, deciderà chi liberare.»
    Longino capiva poco l'aramaico, ma sapeva per esperienza quando doveva muoversi. Con fastidio abbandonò il fresco del pergolato e raggiunse Ha-nozri, al centro del terrazzo. Il sole lo accecò e l'occhio malato cominciò a pulsare.
    Quando i due legionari glielo affidarono, il prigioniero si lasciò andare di peso tra le sue braccia. Era leggero, fragile e stanco. Il centurione sentiva gli angoli delle ossa attraverso la veste di lino azzurro. Lo strinse, ma non troppo, come se avesse paura di spezzarlo, e lo sostenne con facilità, tenendolo sotto le ascelle. L'uomo era dolorante, aveva i capelli arruffati e un sandalo slacciato. Un occhio era tumefatto, croste di sangue si notavano ai lati della bocca, in un orecchio e sotto al naso, mentre altro sangue secco macchiava la veste. Eppure, quando Longino lo tenne stretto a sé per aiutarlo, alzò il viso e sorrise.
    Mentre camminavano, l'unico suono era il suo respiro raschiato.
    «Giù per le scale» disse Longino, in latino.
    Ha-nozri annuì e insieme scesero nel ventre umido del palazzo. La penombra li avvolse e Longino ebbe un brivido, una scossa dalla punta delle dita al cuore, ma non riuscì a capire se fosse per il fresco improvviso o perché Ha-nozri lo aveva sfiorato con la fronte malata sul collo.
    Due legionari li accolsero alla fine della scalinata, in un androne spoglio, circolare, col pavimento in pietra, un unico scranno di legno scheggiato, ai muri anelli di ferro e due celle vuote, una a destra e l'altra di fronte alle scale, senza finestre, senza nulla su cui sedersi. Un rivolo d'acqua scorreva dal muro fino al pavimento e poi spariva in una grata.
    Longino congedò i legionari e fece entrare Ha-nozri in una cella. Gli slegò le mani e lo aiutò a sedersi.
    «Le spalle...» gemette Ha-nozri, in latino.
    «Parli latino?» chiese Longino, mentre chiudeva la cella con una catena.
    «Anche greco.»
    La voce di Ha-nozri era una piuma, così lieve, eppure così concreta.
    Longino si mise seduto sullo scranno e si tolse elmo e gladio, posandoli tra i piedi.
    «Hai studiato» sentenziò.
    «Ho avuto la fortuna di poterlo fare. Ma la fortuna più grande è stata quella di non aver avuto maestri.» Ha-nozri parlava e sorrideva, a voce a bassa, come se tenesse un dialogo tra sé e sé. «L'indottrinamento è nemico del sapere. La ricerca della verità necessita della libertà di pensiero. Tutto quello che so l'ho imparato da solo, tutto quello che ho capito su Dio e sul mondo è frutto del libero pensiero.»
    «Il libero pensiero...» mormorò Longino. Lui di tempo per studiare ne aveva avuto poco; per pensare invece ne aveva avuto in abbondanza. Peccato che la libertà dei suoi ragionamenti si fermasse sempre quando riceveva un ordine.
    Due fiaccole ardevano ai lati dell'ingresso, c'erano balli d'ombra e luce sulle pietre e sui visi dei due uomini. Ha-nozri si massaggiava i polsi lividi con le mani gonfie. Si sentiva lo sfrigolio della pece sulle fiaccole, lo sgocciolio perpetuo dal muro.
    «Ho sentito parlare di te» disse Longino, più per rompere il silenzio che altro, «sei il profeta che è entrato da Porta Susa a dorso d'asino. Mi hanno raccontato che una folla ti ha acclamato. So anche che ti credono un grande medico.»
    «Un medico?» Ha-nozri rise, e la sua risata rimbombò cristallina tra le pareti di pietra, «certo, un medico. Un medico pazzo che si è messo a vagabondare nel deserto, portando una medicina di cui la maggior parte delle persone non ha ancora capito la malattia.»
    «A dire il vero si dice che guarisci storpi e ciechi.»
    Ha-nozri scosse piano la testa.
    «Sono solo dicerie, ma se servono a rafforzare le mie idee, che ben vengano.»
    «Peccato che sei qui proprio per le tue idee. Hai sobillato la folla? Incitato alla rivolta?»
    «No, non lo farei mai.»
    «Quello che non capisco» Longino distese le gambe ed estrasse da un sacchetto di tela, che portava appeso alla cintola, un tozzo di pane secco, «quello che proprio non capisco è perché allora ti hanno arrestato.»
    «Perché il Sinedrio sa bene che le rivoluzioni destinate a durare e a rovesciare il potere non si fanno con la spada e il fuoco, ma con l'amore e la misericordia.»
    «L'amore e la misericordia...» mormorò Longino. Staccò un pezzo di pane e lo mise in bocca, per ammorbidirlo.
    «Si dice che ti abbia tradito uno dei tuoi.»
    «Sì, è vero. Ma non gli faccio nessuna colpa, aveva i suoi motivi. E poi, come potrei condannare chi è vittima dei disegni di Dio? Provo pena per lui, conoscendolo non si darà pace. Per quanto mi riguarda, ero consapevole che sarebbe finita così, ed è giusto che finisca così.»
    Longino rifletté in silenzio per qualche minuto. Quell'uomo era un mistero: era stato pestato dalle guardie del Sinedrio per tutta la notte, costretto in catene e probabilmente sarebbe finito crocifisso prima dell'ora di pranzo, eppure chiacchierava, sorrideva e non dava segni di avere paura. Che fosse questo che i sacerdoti del Tempio temevano di lui? Una fede cieca, incurante della morte? Se avesse contagiato il popolo, sarebbe stato un grosso problema.
    «Sì» disse infine, «capisco.» Quindi si alzò e porse un po' del suo pane al condannato, infilando il braccio attraverso le sbarre.
    Ha-nozri provò ad allungarsi, ma non riuscì a muoversi. Longino sospirò, tolse la catena ed entrò nella cella. Si inginocchiò davanti al prigioniero e gli porse di nuovo il pane secco.
    «Sei una persona buona, centurione» disse Ha-nozri, «non devi temere, non sarà come quel bambino che spazza le biglie con uno schiaffo, non ci sarà caos, non ci saranno disordini. Non sprecheremo la nostra occasione e nulla sarà più come prima.»
    «Ma come fai...» Longino si bloccò, fermo davanti allo sguardo calmo di Ha-nozri. E immobile rimase anche quando il prigioniero alzò lento un braccio e gli sfiorò una guancia. Poi tutto si fece confuso e Longino rivide per un attimo casa sua, ad Anxanum, quando era bambino, l'albero con i fichi spaccati, il rosso e i semi come migliaia di denti, il ruscello, una foglia come una barca, la quiete d'oro del frumento. Armonia. E lui, piccolo, davanti a quello spettacolo, il vento, la luna, le libellule, lui che si china e lecca la terra, con la lingua veloce, tra le canne e il crescione d'acqua. La trova buona. E le nuvole, veloci, coprono e scoprono il sole, ragazzo, adulto, si arruola nella Legione Fretense, la Cappadocia, i morti, il sapore della terra è il sapore del ferro. C'è qualcosa di sbagliato, fuori posto, come una goccia di sangue in un bicchiere di latte.
    Ritirò veloce il braccio, gli cadde il pane e uscì camminando all'indietro dalla cella, proprio quando venivano chiamati sul terrazzo.
    Il Sinedrio era arrivato.
    E lui non provava più dolore all'occhio.


    Non parlò con Ha-nozri fino a quando non furono all'aperto, sul terrazzo.
    «Tutto bene?» gli chiese, mentre lo slegava.
    Ha-nozri annuì e Longino si fece in disparte, andando a occupare un posto in piedi vicino allo scranno di Pilato.
    Longino osservava con attenzione gli anziani sacerdoti del Tempio. Conosceva di fama i due seduti in prima fila, il sommo sacerdote Kayafa e suo suocero Anano Ben Seth. Parlottavano tra loro, così come tutti gli altri anziani, con una faccia indignata e piena di rimprovero. Tutti tranne due, notò Longino, seduti in disparte, nell'ultima fila, che si torcevano le mani.
    Con Ha-nozri, di fronte al Sinedrio, c'erano tre uomini. Neri, sporchi, ingobbiti, guardavano fisso il pavimento.
    «Avete dunque deciso, o sommi,» esordì Pilato, «chi tra questi quattro condannati avrà salva la vita dal misericordioso Cesare, l'imperatore Tiberio? Essi sono i delinquenti Ha-nozri, Dismas, Gesta e Bar Raban. Parlate, dunque.»
    Kayafa si alzò e si lisciò la barba, nera e crespa.
    «Il Sinedrio libera Bar Raban» disse e si rimise seduto.
    A Longino mancò il fiato e represse a stento un conato di vomito. Dovette sostenersi al bacillum viteum per non cadere.
    Tutti guardavano Pilato. Il prefetto si alzò e sollevò il braccio destro.
    «Dunque è questa la vostra decisione? La decisione che devo comunicare alla folla che si sta radunando nella spianata del Tempio?»
    «È questa» confermò Kayafa.
    Pilato si rimise seduto, diede due ordini a bassa voce e chiuse gli occhi, incrociando le mani sul petto. Uno degli ordini era per Longino, che si riscosse e andò barcollando da Ha-nozri. Gli legò le mani, senza stringere, e lo accompagnò di nuovo nella cella, seguito da tre legionari.
    Mentre scendevano le scale, sentirono le grida della folla all'annuncio della liberazione di Bar Raban.
    «Prima ti osannano e poi esultano per la tua condanna» disse Longino.
    «Ti sbagli, esultano per una vita risparmiata. Speriamo che ne faccia buon uso» disse Ha-nozri, mentre si sedeva nella cella.
    «Certo, l'ottimo uso che ne ha fatto finora» borbottò Longino. Lasciò il prigioniero con i tre legionari e tornò su. Raggiunse Pilato nei giardini interni del palazzo. Il prefetto riposava all'ombra di alcune palme e beveva vino e miele in compagnia di due persone, che Longino riconobbe come i membri del Sinedrio che sedevano nell'ultima fila, durante la farsa di poco prima.
    «Quinto Cassio Longino è colui che si occuperà dell'esecuzione» li presentò Pilato, «loro sono i membri del Sinedrio Joseph Ha-rama-theo e Nicodemo, due cari amici. Vi lascio soli.»
    Nessuno parlò fino a che il prefetto non fu sparito all'interno del palazzo. Si era alzato un leggero vento e alcune nuvole grasse imbiancavano l'orizzonte.
    «Dunque sarò io...» mormorò Longino e voltò il capo verso quelle nuvole che tanto aveva desiderato. Si accorse che gli tremavano le mani, ma non riuscì a controllarle e in fin dei conti non voleva farlo.
    «Centurione» disse Ha-rama-theo, «abbiamo chiesto noi al prefetto che fossi tu a occuparti dell'esecuzione.»
    Longino distolse lo sguardo dalle nuvole, che sembravano mutare forma molto in fretta e galoppare verso di loro, e fissò l'uomo dritto negli occhi.
    «Abbiamo visto la tua reazione quando Kayafa ha parlato. Confidiamo che vorrai aiutarci.»
    «Aiutarvi a fare cosa?»
    «Il prefetto Pilato aveva giudicato innocente Ha-nozri» si intromise Nicodemo. Era più vecchio di Ha-rama-theo, curvo e artritico, ma lo sguardo era sveglio e intelligente, «purtroppo non ha potuto opporsi alla richiesta del Sinedrio. È un gioco politico, mettersi di traverso significava indispettire Lucio Vitellio, legato di Siria, che è in ottimi rapporti con Kayafa.»
    Longino sospirò e si rimise a osservare il mutare del cielo. Ora le nuvole sembravano più scure, e nel loro ventre si agitavano piccole serpi nere. Probabilmente avrebbe piovuto. Arrivavano in fretta le tempeste, da quelle parti.
    «Sappiamo che ritieni Joshua Ha-nozri vittima di un'ingiustizia, ma devi sapere che lui non sta subendo questa situazione, non è travolto dagli eventi, lui li controlla.»
    Longino scosse il capo.
    «Lo so, me l'ha detto.»
    «Il fatto è che lui non si è mai limitato a dettare un messaggio, ma lo ha vissuto, nelle opere, con la sua vita, e ora dovrà farlo anche con la sua morte. Ecco perché morirà. Ma lui è troppo prezioso per quello che verrà dopo, ed ecco perché non morirà.»
    «Morirà e non morirà?»
    «Per tutti dovrà essere morto, ma noi lo salveremo.»
    «Lui è molto debole, morirà anche prima di salire sulla croce. Basterà la flagellazione, fidatevi, ho visto che qui si usa inserire, negli intrecci del cuoio, delle ossa di pecora spezzate. Gli strapperanno le carni della schiena.»
    «Nessuno lo flagellerà, non c'è tempo. Bisogna fare in fretta e noi useremo questa fretta a nostro vantaggio. Il sabato di Pesach si avvicina, i condannati dovranno essere morti entro oggi e tolti dalle croci prima che faccia buio.»
    «Va bene, eviterà al flagellazione. Ma avete mai sentito parlare del crurifragium? Se deve morire entro oggi, dovrò spezzargli le ginocchia per velocizzarne la morte.»
    «Invece non sarà così, perché nel giorno santo i cadaveri non possono rimanere alla mercé degli animali, ma devono essere seppelliti. E se devono essere seppelliti, i corpi devono essere integri.»
    «Ho capito, ma...»
    «Lasciaci finire. Intanto devi dargli da bere questi» Nicodemo estrasse due piccoli otri col tappo in sughero da sotto la veste, «nel primo c'è vino e mirra, è un anestetico. Lo deve bere subito. Non avrà forze per portare il patibulum fino al Golgota. Per questo ci aspetta in strada un nostro amico fidato di Cirene. Si chiama Shimon, lo riconoscerai per via di un nastro rosso al polso. Chiamalo e sarà lui a portare il palo.»
    «E nell'altra otre cosa c'è?»
    «Una pozione. Viene dalla Persia, simula la morte per qualche minuto.»
    Il sole sparì dietro le nuvole, che si erano fatte scure, e sembrò arrivata la notte.


    Ai condannati, com'era usanza, fu appeso un cartello al collo con la motivazione della condanna. Al collo di Ha-nozri la scritta diceva “Joshua Ha-nozri, re dei Giudei” e sul suo capo fu posta una corona di spine, un'idea del sommo sacerdote.
    Sulla via che portava al Golgota, la folla era tanta, ma andava riducendosi con l'aumentare del vento e il brontolio del cielo. Folate calde arrivavano dal deserto, sembravano l'alito di un ubriaco, e sollevavano sabbia rossa e polvere in mulinelli e spirali. La gente si copriva gli occhi con i mantelli, tossiva e dopo poco scappava.
    Longino, dall'alto del suo puledro, controllava che tutto andasse bene. I seguaci di Ha-nozri, che notte prima erano sfuggiti all'arresto nel giardino degli ulivi, si tenevano lontani, ma si riconoscevano perché tenevano il capo basso e a stento parlavano. Tra loro vi erano anche alcune donne.
    Come Nicodemo aveva previsto, Ha-nozri cadde subito a terra, schiacciato dal peso del patibulum, e Longino si affrettò a chiamare Shimon di Cirene, che si fece carico del peso fino al Golgota, dove già erano piantati, saldi nel terreno, gli stipes. Ad aspettarli sulla cima c'erano i boia, pronti con scale, corde e chiodi a eseguire la sentenza. Stavano zitti e tenevano la testa rivolta al cielo, alle nuvole gravide e nere che si andavano accumulando sulla città. Quando la prima goccia arrivò a terra, seguita dalla luce accecante di un lampo e dal rombo del tuono, fecero cenno di sbrigarsi allargando le braccia e lanciando imprecazioni.
    Longino dispose di circondare il colle alle guardie del Tempio e ai suoi legionari e si allontanò dai boia, che denudarono i prigionieri e li inchiodarono al patibulum. Le urla strazianti degli uomini salirono tra le nuvole e si confusero con i tuoni che riempivano l'aria. Tornò solo quando la crocifissione fu completa, mandò via i boia e chiamò a sé solo un legionario fidato, Stephaton. Le guardie del Tempio e gli altri legionari si tennero a distanza e ridendo si giocarono a sorte le vesti dei condannati.
    Dismas era ormai impazzito e cantava con voce roca, mentre Gesta imprecava contro Dio, sputando, con i lunghi capelli bagnati attaccati al viso. Dabbasso, ai piedi del Golgota, i seguaci di Ha-nozri pregavano e le donne si lamentavano ad alta voce.
    «Staphaton!» urlò Longino, per farsi sentire sopra il boato dei tuoni, «dài da bere ai condannati di questo vino, sto per fare il giro e finirli.»
    Stephaton annuì e inzuppò una spugna versando il vino da un'otre che gli porse Longino. Non riuscì a trattenere una smorfia di disgusto.
    «Centurione, il vino non deve essere più buono, ha un odore pessimo!» urlò.
    «Sarà diventato aceto. Vedrai che non si lamenteranno» disse Longino e Stephaton rise, mentre attaccava la spugna a una canna e la alzava verso le labbra di Ha-nozri, che bevve avidamente.
    «Finirò prima gli altri» annunciò Longino e d'improvviso prese la lancia e uccise Dismas e Gesta con un colpo deciso al costato.
    «Controlla che siano morti» ordinò. Dando le spalle alle guardie del Tempio, aspettò che Stephaton fosse impegnato e attaccò alla punta della lancia una vescica piena di sangue di capretto, quindi andò veloce verso Ha-nozri, che giaceva inerme, come fosse già morto, con il mento sul petto. Finse di trafiggerlo nel costato e fece esplodere, con la punta affilata della lancia, la vescica. Il sangue sgorgò copioso.
    «Controlla che anche questo qua sia morto e vai ad avvisare Pilato. Prima li togliamo da là sopra e prima ce ne andremo. Tra non molto qua sarà un disastro di fango e acqua.»
    Stephaton annuì, constatò che Ha-nozri fosse morto e galoppò verso la città. Anche le guardie del Tempio si ritennero soddisfatte e andarono via, coperte dai cappucci, proprio mentre la pioggia debole diveniva tempesta.
    Arrancavano intanto sulle pendici del Golgota, tra fiumi di fango e detriti, Ha-rama-theo e Nicodemo, in compagnia di due servi carichi di bende e unguenti. Longino diede ordine ai legionari di farli passare e di tenere lontani i seguaci di Ha-nozri.
    Arrivati in cima si affrettarono a deporre il corpo del giustiziato e lo portarono via, verso il sepolcro della famiglia di Ha-rama.theo, che si era offerto di ospitare il cadavere. Longino li vide scomparire poco a poco, nascosti da una cortina di pioggia, e sorrise. Sapeva che il Tempio avrebbe posto delle guardie al sepolcro, ma Ha-rama-theo aveva fatto scavare un'uscita segreta. Quella notte li avrebbe raggiunti al giardino degli ulivi e, nella confusione dei festeggiamenti per la festa di Pesach, avrebbero messo in atto l'ultima parte del piano: far scappare Joshua Ha-nozri dalla Giudea.
    Il sole tornò non molto tempo dopo, mentre i legionari scavavano la fossa comune per gli altri due giustiziati. Longino pensò che non duravano molto le tempeste, da quelle parti. Presto comunque tutto sarebbe tornato alla normalità; oppure no? Oppure la furia dell'acqua aveva ferito così profondamente il suolo da cambiarlo per sempre, da creare una nuova armonia?
    Rise, si levò l'elmo e si inginocchiò, leccò la terra e la trovò buona.

    Edited by mangal - 26/2/2020, 18:55
     
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    Fantastico. È la prima cosa che mi viene da dire.
    Volevo aspettare a commentare eh, sono il più nuovo tra tutti, ma non posso più trattenere.
    La scrittura del racconto è fluida, tanto da non stancare.
    La "vera" storia si sa, ma leggendo a me è successo di voler davvero sapere cosa sarebbe successo se.
    È condito ovviamente da una buona parte di "romanità" che io adoro.

    Non sono un fan della favola scritta alla sua epoca.
    Non sono estimatore del genere. Ma come si suol dire, questa particolare tazza di tè mi è piaciuta.
     
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    Ciao Akimizu, anche se sai che preferisco chiamarti CR7. E in quanto tale, hai segnato⚽ anche stavolta.

    Ma quanto sono ignorante? Con una rapida ricerca ho capito che hai preso l'ispirazione da "Il maestro e Margherita" di Bulgakov. Evitando di vergognarmi oltremodo, vedrò di leggermelo quanto prima.

    Il confine, la linea spartiacque tra la presunta verità storica (dico presunta perché magari qualcuno non ci crede) e il tuo racconto è veramente molto sottile, quasi impercettibile. Questo aspetto è sicuramente uno dei pregi del racconto.

    Poi, ci hai abituato sempre troppo bene, per cui è veramente difficile muoverti critiche. Allora, se di critica si tratta, ti dico: se la storia finisse qui sarebbe una delusione. Se continuasse non so, perché sarei proprio curioso.

    Di certo, credo che tutti avremmo bisogno di una nuova armonia.

    Ho voluto leggerti tra i primi perché adesso voglio sperare che qualcuno sia riuscito, per me, a fare meglio di quello che hai fatto tu.

    Capocannoniere ⚽

    Ciao 🙃
     
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    Questa del vangelo secondo Akimizu è una nuova versione che mi mancava ma ci sta! Risolve anche il problema della resurrezione che mi aveva sempre un po' insospettito. Mi è veramente piaciuto senza che debba aggiungere nulla al tuo tipo di scrittura impeccabile. Non ho capito molto bene la figura del bambino e delle sue biglie ma forse era solo una rappresentazione senza nessun "arrière pensée". Sono alla mia quarta lettura e... la strada è ancora lunga. You'll never know! Resisti!
     
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    Ciao Aki

    inevitabile, leggendo il tuo racconto, pensare a “Le ultime diciotto ore di Gesù” di Corrado Augias. Il tuo pezzo starebbe benissimo tra quelle pagine.
    Una bella e soddisfacente ucronia.

    Mi faccio piccola piccola per il rispetto e l’ammirazione che nutro nei tuoi confronti e in punta dei piedi faccio alcune osservazioni:

    - Le biglie a quei tempi non erano di vetro, ma di pietra, oppure ricavate da ossa di pecora.(potrebbe essere una tua ulteriore scelta ucronica, ci sta).
    Di sicuro il tuo incipit ha una forza straordinaria.
    Sono addirittura andata a cerca se esistesse qualche dipinto del genere. Leggendo mi sembrava di essere davanti a una immensa tela. La voce narrante guida il lettore a osservare ogni dettaglio proprio come potrebbe fare una guida esperta durante una visita ad una pinacoteca.L’utilizzo sapiente delle similitudini è un tuo marchio di fabbrica. Sei stra bravo nel farlo.

    - I dialoghi al contrario non sono all’altezza del narrato. Li ho trovati un po’ troppo costruiti.Ad esempio
    “poi, come potrei condannare chi è vittima dei disegni di Dio?” - Non mi piace questa frase. Presuppone un concetto di “non libero arbitrio” che cozza con il personaggio. A meno che non sia ancora una volta una scelta ucronica. Me lo dirai e io ritirerò la mia obiezione.

    “ Sono solo dicerie, ma se servono a rafforzare le mie idee, che ben vengano.” Non mi torna. Quali idee dovrebbero rafforzare? Casomai “il mio messaggio”, non le mie idee.

    “ non devi temere, non sarà come quel bambino che spazza le biglie con uno schiaffo”. Anche qui trovo qualcosa che non va. Joshua vuole stupire il centurione dimostrandogli la sua parte divina che gli consente di vedere tutto anche quando fisicamente questo non sarebbe possibile. Ma perché dovrebbe temere?

    Ti segnalo anche questa frase: “ portando una medicina di cui la maggior parte delle persone non ha ancora capito la malattia”... Mmmmm secondo me non funziona in italiano. Andrebbe riscritta. Il concetto si comprende ma la forma non va.

    Stupendo il titolo. Stupenda l’idea della rappresentazione del caos attraverso lo “sparpagliamento” delle biglie. Per me che amo la fisica è un immagine davvero potente e azzeccata.

    Non sottolineo oltre la tua bravura. Quella è quasi scontata. Tu sei uno Scrittore per sempre. Con la S maiuscola e io posso solo che cercare di imparare anche da te. Grazie e scusami per le “pulci”.
    🌼🌸
     
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    Penna d'oca

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    Non so quanti saggi ho letto sulla Passione, vangeli di Gesù, di Ponzio Pilato, pure uno di Zagrebelsky, mi pare si intitolasse Il Crucifige e la democrazia.
    Nulla di nuovo sotto il sole, forse potevi fare a meno del solito Longino e della sua lancia, ma ha tentato pure Wagner, chi sono io per dirti che avresti potuto evitarlo?
    A ogni modo, questo passo vale la lettura del racconto: "«Ho avuto la fortuna di poterlo fare. Ma la fortuna più grande è stata quella di non aver avuto maestri.» Ha-nozri parlava e sorrideva, a voce a bassa, come se tenesse un dialogo tra sé e sé. «L'indottrinamento è nemico del sapere. La ricerca della verità necessita della libertà di pensiero. Tutto quello che so l'ho imparato da solo, tutto quello che ho capito su Dio e sul mondo è frutto del libero pensiero.»"
    Condivido naturalmente, per quel che vale. Quanto al resto, anche tu scrivi molto ma molto bene e non so quali errori indicare (non ce ne sono), o cosa dire, se non che la prosa è ottima.
    Forse solo la figura di Longino, costruita in modo da piacere, mi ha lasciato perplesso. Un confronto tra Gesù e Pilato, riportato tra l'altro nel Vangelo di S.Giovanni che citi in apertura, mi avrebbe soddisfatto di più.
    Joshua Ha Nozri, lo chiamava così Bulgakov, più che il Dio sembra un libero pensatore sui generis, tipo Tiziano Terzani. E anche per questo nel racconto me lo hai reso simpatico; quanto all'ucronia, è evidente.
    Un buon lavoro, quindi. Aspetto il seguito.
     
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    Penna suprema

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    Con me vinci facile quando parli di Gesù. Non perchè io sia particolarmente credente, entro nelle chiese solo per vedere i dipinti custoditi e accendere qualche candela a non so chi.
    Il tuo racconto scorre come un fiume, lento e silenzioso. Qualche termine latino non lo disturba.
    La violenza pure non lo disturba, attenuata dal sorriso di Gesù.
    Della storia è quello che mi rimane più impresso, quel sorriso.
    La nuova armonia non la capisco.
    Il sorriso si, e mi commuove.
    Un buon racconto si adatta al momento, si esclude dalla storia e può diventare una supplica perché tutto cambi, tutto migliori.
    O, almeno, finisca.
    Grazie per avermi dato questa possibilità, autore.
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    Edited by tommasino2 - 9/3/2020, 13:39
     
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    Teropode assennato

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    Un ottimo racconto senza dubbio.
    La potenza di alcune espressioni si sposa bene con lo stile elegante, fluido, ottimo, che è quello consueto.
    L'ucronia in sé è abbastanza classica ma al tempo stesso anche difficile. Personalmente non ho mai pensato a come sarebbe potuta andare la storia cambiando le basi della Cristianità, o comunque non in questo modo, per cui sono estremamente curioso di vedere dove andiamo a parare.
    Parlando di personaggi "mistici" c'è sempre il rischio di toccare corde extra-naturali che possono creare problemi di logica della trama.
    Ad esempio: se Gesù è veramente una persona dotata di un determinato potere, come è suggerito dal suo atteggiamento calmo, dal fatto che curi l'occhio di Longino e che conosca l'episodio delle biglie, possibile che non sappia della manovra che si sta svolgendo per lasciarlo in vita?
    Questo non è mancata attuazione della volontà di Dio?
    Oppure lui stesso è la mente dietro questo depistaggio?
    Sicuramente le risposte arriveranno nel prossimo capitolo.

    Parlando di difettucci dell'opera, mi appoggio alle segnalazioni di Petunia su alcuni dialoghi, ma ciò che ho notato io è che c'è una decisa accelerazione delle cose tra prima e seconda parte. La prima è descritta fantasticamente, con l'episodio delle biglie che è azzeccato, e si riesce davvero a respirare e vivere le scene che hai descritto come le si vedesse su dei dipinti.
    La seconda parte invece va via più veloce, con tante azioni che si susseguono e che forse non rendono del tutto giustizia a quella che doveva, secondo me, essere la scena più potente di tutte: la crocifissione.

    Il titolo, infine, non mi sconfifera.

    In ogni caso, lavoro di indiscutibile qualità.
     
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    Penna furiosa

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    Ciao Akimizu,

    che dire? Racconto davvero bello. La sensazione che ho avuto, principalmente nella prima parte è stata quella di "leggere" un quadro. Le descrizione che sono uscite dalla tua penna virtuale sono riuscito a visualizzarle, mentre leggevo le immagini si creavano davanti a me. Che appunti ti posso fare? Forse sì, il finale magari arriva un pò troppo veloce, ma è cosa da niente. All'inizio poi usi la parola uragano: non so, mi stona, probabilmente sarebbe meglio tempesta. Come vedi sono tutte cose da niente, appunti che lasciano il tempo che trovano. Non so se capita così anche agli altri, ma dopo che leggo un tuo racconto passo per due fasi. La prima è di apprezzamento sincero per avere letto qualcosa di veramente bello. Poi c'è la fase dell'autocritica, quando penso(testuali pensieri): "Guarda Aki che bella cosa che ha scritto anche stavolta, mentre te hai sfornato la solita cagata".
    La tua ucronia comunque è davvero sottile, ma calza a pennello, è inattaccabile. E se le cose fossero andate veramente così? Aspetto le prossime tappe con impazienza per capire con cosa ci delizierai, sperando che le mie aspettative non vadano deluse. Racconto senza dubbio da primi due posti, anche se ancora non ho deciso quale.
     
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    Dio della penna

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    Un racconto che sfoglia l'albero degli orpelli e fa vedere la storia con quel lato umano che spesso non appare nell'aspetto asettico con cui la storia stessa viene delineata negli scritti.
    La scrittura è simbiotica degli eventi e colui che s'approccia alla lettura trova le parole come schermi sulle quali viene proiettata la vicenda.
    L'autore ci consente di vedere ogni lato dei personaggi e lo fa caratterizzandoli nel loro lato più umano, nella semplicità della debolezza, della visione del pensiero e delle azioni. Linguaggio e scorrevolezza sono notevoli e la lettura avviene senza alcuna "fatica mentale".
    La storia parte dalle descrizione di ciò che è intorno ad essa. I luoghi e coloro che agiscono all'interno della narrazione vengono introdotti dall'ambiente nel quale agiscono. Ogni cosa è posta nel giusto modo e si comprende il significato dell'"umana semplicità" dai dialoghi scritti.
    Ripercorriamo così la storia insieme all'autore che ci tiene a braccetto come ha fatto Longino con Gesù. Sì, proprio Longino che risulta essere più di Gesù il perno su cui ruota l'intera vicenda. Il suo modus operandi per salvare colui che ritiene vittima d'un ingiustizia è esemplare. La giustizia regna in questo racconto e per giustizia Gesù deve rimanere in vita. Certamente molte sono le implicazioni su cui riflettere. La storia così come cambiata forse ci proietta verso un mondo a divenire che non sarà cristiano. E Gesù continuerà nella sua predicazione? La nascita del messaggio cristiano risiede proprio nel calvario di Gesù che attraverso la sofferenza porta all'espiazione dei peccati dell'uomo. Gesù deve morire per rinascere, noi dobbiamo morire per rinascere e bisogna farlo attraverso il percorso che porta al calvario fra gioie e sofferenze. Questo il senso della storia, il cambiamento ucronico in realtà toglie il senso della venuta di Gesù nella sua voluta redenzione... ma ovviamente questo sono considerazioni personali che vanno oltre la bravura dell'autore nel pensare e scrivere il racconto che giudico con estrema positività.
    Un unico accenno alla figura di Longino: come mai l'umanità di Longino si manifesta verso Gesù e non verso gli altri due condannati? In questo senso che valore ha la scelta di salvare una vita e non altre? Come dicevo questo racconto si presta a molte osservazioni, ma d'altronde è l'evento più importante della storia dell'uomo di cui si abbia traccia scritta.
     
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    Penna stilografica

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    Lo stile è impeccabile. Ricco, preciso, e nello stesso tempo misurato. Immagini che si stampano nella mente. Si nota una ricerca accurata (salvo piccoli dettagli quali le biglie di vetro =0)). C'è proprio il gusto di non lasciare niente di "incompiuto". Ho notato forse un uso non sempre corretto della punteggiatura… (esempio: "Era sicuro che anche nel cortile, i bambini fossero di nuovo seduti, in attesa, a osservare le biglie che avevano ritrovato e ammucchiato." Dopo cortile non avrei messo la virgola…)
    I dialoghi sono precisi e puntigliosi. Rispondono alla necessità di dare tutte le informazioni necessarie a chi legge per cogliere appieno il senso della storia. Forse per questo, a mio gusto, a volte risultano un po' forzati, non del tutto credibili, ma questa è una scelta… è letteratura. Il mondo letterario è pieno di splendidi dialoghi, entrati nella storia, ma che mai e poi mai, in una possibile realtà, sarebbero stati "detti" in quel modo, con quello stile.
    La scelta fatta riguardo la storia ricalca una lunga serie di teorie riguardo la possibilità che Gesù in realtà non sia morto in croce. In queste teoria ci si sofferma in modo specifico sul fatto che stranamente a lui non abbiano spezzato le ossa, come era uso fare. Questa teoria è stata sviluppata e strutturata in modo preciso e originale all'interno del racconto. Bellissima l'idea di scegliere un legionario per accompagnarci nello svolgersi della trama. Il personaggio è stupendo, carico di umanità, e non trovo per niente strana o forzata l'empatia che nasce fra lui e Gesù e non fra lui e gli altri condannati, che in fin dei conti erano delinquenti riconosciuti.
    Ho trovato il finale delizioso, poetico. Finale in un certo qual modo sospeso, che lascia spazio allo sviluppo dell'ucronia che qui, in questo racconto, a mio parere, è giusto ancora in uno stato embrionale. Molta, ma molta curiosità per il prosieguo. Concludendo… davvero un ottimo lavoro. Piaciuto.
     
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    Penna stilografica

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    La qualità della scrittura è indiscutibile e la forma pressoché perfetta. Personalmente non posso che dire che vorrei riuscire a scrivere altrettanto bene e che da questo autore non c’è che da imparare.
    Anche la scelta della vicenda è veramente interessante. Hai fatto un’operazione che a me ha ricordato un po’ la Buona Novella di De André. Togliere un po’ di divino, per umanizzare il personaggio, senza che ne perda il sacro e il mistico, come anche la potenza della figura di Gesù che non può che affascinare, nella sua essenza, atei e credenti.
    Se proprio devo fare un’osservazione (ma dipende solo dai miei gusti personali), in certi passaggi ho notato un eccesso di informazioni, una ridondanza di descrizioni, di dettagli, tecnicamente perfetti, ma che mettono in soggezione un certo di tipo di lettori, quelli che come me chiedono maggiore libertà alla propria immaginazione e che si annoiano facilmente se messi di fronte a un quadro in cui sono del tutto definiti i singoli dettagli.
    A parte questa considerazione del tutto personale, il racconto mi ha affascinato e aspetto con grande curiosità il seguito.
     
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    Penna furiosa

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    Ciao Akimizu,
    ti faccio i complimenti per questo splendido racconto!
    Tutto è calmo, misurato, ma si sente che sotto scorre una corrente che il lettore non può fare a meno di assecondare.
    Inizi con quel piazzale, caldo e polveroso, per finire su quel monte in balia della tempesta: un percorso ben tracciato, dove l'incedere del racconto si fa sempre più incalzante, con ondate sempre più serrate di emozioni. I cambiamenti atmosferici che seguono sullo sfondo lo svolgersi della vicenda, riescono a coinvolgere ancora di più nella lettura, in un avvolgente crescendo.
    Tutto ben calibrato, quasi perfetto: i bambini che giocano a biglie, sembra una scena fine a se stessa, ma la ricolleghi al racconto quando il prigioniero accenna all'accaduto: sa cosa sia successo, sia in cortile che nei pensieri di Longino, rassicurandolo sul fatto che, se una rivolta ci sarà, non creerà il caos.
    ( Qui apro una piccola parentesi sulle biglie di vetro: le "perle di vetro" erano conosciute già dagli antichi egizi, duemila anni prima dei fatti narrati, ci sono molti manufatti a riguardo. Quindi credo che sia plausibile che all'epoca scelta per ambientare il racconto, dei bambini giochino con le biglie, magari anche solo scarti di produzione, perchè forse un commercio di "giochi" a largo consumo per i bambini ancora non si era creato).
    Tratteggi la figura di Ha-nozri con delicatezza, descrivendola con grande rispetto e riuscendo allo stesso tempo a far risaltare i suoi limiti umani e la ferma grandezza interiore.
    I dialoghi hanno il compito (più dei fatti descritti) d'istruire il lettore sulla psicologia dei personaggi e su cosa accade: frasi che ho trovato molto pertinenti sia con le situazioni che con l'umore dei personaggi ( forse il prigioniero, che è conciato abbastanza male, parla un pò troppo… avrei intervallato le frasi in qualche modo. E' pur sempre un uomo che è stato pestato…).
    Il racconto è molto denso, l'ho riletto più volte prima di decidermi a commentare, perchè ogni volta trovavo una chiave di lettura diversa e nuovi particolari.
    Tutto è gestito con grande cura e meditazione: anche la scelta di inserire i nomi scritti in lingua originale, l'ho trovata molto azzeccata… E quel qualcosa in più che non ci si aspetta, ma che da all'intero lavoro una sfumatura in più, ( come prima, quando si andava in certi bar, e ti mettevano un cioccolatino nel piattino accanto al caffè…).

    Ti segnalo questo passaggio, non perchè sia scorretto, ma perchè alla prima lettura mi sono persa il soggetto:
    Longino dispose di circondare il colle alle guardie del Tempio e ai suoi legionari e si allontanò dai boia, che denudarono i prigionieri e li inchiodarono al patibulum. Le urla strazianti degli uomini salirono tra le nuvole e si confusero con i tuoni che riempivano l'aria. Tornò solo quando la crocifissione fu completa, mandò via i boia e chiamò a sé solo un legionario fidato, Stephaton.
    Inizi parlando di Longino, poi fai un appunto sul tempo. Ricominci con Tornò, ma io ho dovuto rileggere per sapere chi tornò. Un'inezia, comunque.

    Un primo step dove l'ucronia fa quasi tremare, tanto è potente e stravolgente: ti sei preso proprio una bella gatta da pelare!
    Ti ci sono volute tutte la battute a disposizione per descrivere questo unico fatto: sono curiosa di vedere come userai le successive per creare un presente ucronico...
     
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    Scrivano supremo

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    Ciao Akimizu.

    Mi inchino, non so come altro dire. Mi sono dilettato anch'io a studiare il più possibile la figura storica di Gesù e degli altri personaggi citati nei vangeli e ho ritrovato nel tuo racconto tutti gli elementi che avevo studiato a suo tempo. Anzi, qualcuno in più e forse è proprio lì la tua capacità di inserire elementi inventati come se fossero reali. Ecco, mi piacerebbe riuscire a fare altrettanto con il mio mega progettone; quello che hai raggiunto in questo racconto somiglia molto a ciò che vorrei raggiungere io.

    Grazie e alla prossima.
     
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    Penna furiosa

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    Sembra di essere lì, è questo che ti colpisce di più all'inizio. Ed è quasi un'esperienza più coinvolgente di un film, perché ci sono dentro anche tutte le altre sensazioni e un occhio che si allarga e si restringe, mostra con la stessa precisione i dettagli più piccoli e la vastità che li racchiude. E poi la grande qualità di avere una voce tutta tua, che va oltre i cambiamenti temporali e se anche torni indietro di migliaia di anni resta fedele a se stessa e non si carica mai del peso della Storia. La parsimonia con cui dosi la parole antiche e in una lingua straniera, la delicatezza di non sopraffare il lettore offrendogli sempre qualcosa di umano e universale a cui attaccarsi perché la lettura sia prima di tutto un'esperienza emotiva.C'è sempre uno studio accurato dietro i tuoi racconti, ma la conoscenza è sempre funzionale, non è mai sfoggio di cultura, perché di nuovo è la storia, quella con la s minuscola, che alla fine prevale su tutto.
    Potresti raccontare qualunque cosa, amico mio, non mi stancherò mai di ripetertelo. Sei come una di quelle biglie: la luce ti attraversa e produci arcobaleni.
     
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