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“... ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua...” (Giovanni 19,34)
Yerushalayim, 15 Nisan 3793
Biglie di vetro colorato. Erano ferme al centro del cortile, nello spazio antistante la torre Antonia, schierate di fronte a un semicerchio di bambini scalzi. La luce le colpiva ed esplodeva in arcobaleni, mentre tutto intorno era il bianco delle rocce, dei muri di calcare, della polvere. Il bambino che era il capo, o quello che agli occhi del centurione lo sembrava, sedeva a gambe incrociate vicino al mucchio di biglie. Aveva una veste dalle maniche sformate, che lasciava scoperte solo le unghie, sporche e spezzate. Era lui che con il roteare del capo pareva comandare il gioco di luci e tutti gli altri bambini lo guardavano estasiati; era lui il vero spettacolo, non i fasci colorati e i lampi accecanti. Anche il centurione lo osservava, curioso di sapere quale sarebbe stata la sua prossima mossa, ora che aveva tutti in pugno; ma quello non faceva nulla e l'aria era tesa, come nell'immobilità prima di un uragano. Il centurione ogni tanto alzava il capo e borbottava al cielo, nella speranza che potesse piovere, o quantomeno che facesse meno caldo. Invece, c'era solo qualche nuvola stracciata, bloccata all'orizzonte, oltre le mura di Yerushalayim, che sdraiata sulla strada per Giaffa si teneva lontana, come impaurita. Il centurione era alto e largo di spalle, dal naso schiacciato e le sopracciglia folte che gli davano un'aria triste e malinconica. Si riparava dal sole con la mano perché gli dolevano gli occhi, soprattutto il sinistro, che lacrimava in continuazione e prudeva, come fosse pieno di sabbia. Con l'altra mano batteva a terra il bacillum viteum, che si portava dietro da anni e si vantava di non aver mai usato sulla schiena di nessuno, ma solo per sostenerlo nelle lunghe marce. Era di guardia alla porta nord della torre Antonia, quella che conduceva, saliti gli ampi gradini, agli appartamenti del prefetto. Con lui c'erano tre legionari, che annoiati giocavano a dadi, addossati alle mura bianche, al riparo nell'unica striscia d'ombra in tutto il cortile. Il picchetto si teneva in disparte: erano presenti, ma discreti. Poi il bambino alzò un braccio, la manica della veste scivolò fino al gomito, e diede una manata al mucchio di biglie, che schizzarono impazzite in tutte le direzioni. Sì infilarono nei recinti degli agnelli, tra le zampe di una colonna di asini neri, che ragliarono spaventati, nei cesti pieni di fichi e datteri, tra i teli porpora e indaco dei mercanti di tessuti. Fu il caos, tutti i bambini saltarono in piedi, come se loro stessi fossero stati colpiti da quella manata improvvisa, e inseguirono le biglie, urlando e ridendo forte. «Ecco un altro che usa il potere per creare disordine» mormorò il centurione, mentre si asciugava una lacrima col dorso della mano. I legionari dietro di lui sollevarono un poco il capo, ma subito lo riabbassarono, concentrandosi sui dadi. «Longino!» sentì chiamare, un grido proveniente dalla cima delle scale. Il centurione rimise il bacillum viteum nella cinta, diede ordine ai legionari di smettere di giocare e, lamentandosi a bassa voce, entrò nel palazzo. Il ticchettio dei chiodi delle calighe sui mosaici dei balconi lo accompagnava. Si tenne sotto al pergolato, dove grappoli di piccoli fiori gialli parevano stalattiti e sfioravano la crista transversa del suo elmo. Dondolavano un po' e poi tornavano immobili, nella stessa posizione di prima, come era logico che fosse, perché tutto ciò che si agitava alla fine ritrovava l'equilibrio e l'armonia. Era sicuro che anche nel cortile, i bambini fossero di nuovo seduti, in attesa, a osservare le biglie che avevano ritrovato e ammucchiato. «Longino» lo chiamò il prefetto Ponzio Pilato, quando il centurione si affacciò sul terrazzo, tenendosi comunque all'ombra del pergolato, «ti affido il prigioniero, portalo in una cella.» Quindi indicò con un gesto stanco un uomo con le mani legate, stretto in mezzo a due legionari. «Joshua ben Joseph Ha-nozri» continuò Pilato, in aramaico, «sarai condotto nuovamente qua, insieme ad altri tre malviventi, quando il sinedrio, nel rispetto delle consuetudini che vuole un condannato a morte graziato per la festività di Pesach, deciderà chi liberare.» Longino capiva poco l'aramaico, ma sapeva per esperienza quando doveva muoversi. Con fastidio abbandonò il fresco del pergolato e raggiunse Ha-nozri, al centro del terrazzo. Il sole lo accecò e l'occhio malato cominciò a pulsare. Quando i due legionari glielo affidarono, il prigioniero si lasciò andare di peso tra le sue braccia. Era leggero, fragile e stanco. Il centurione sentiva gli angoli delle ossa attraverso la veste di lino azzurro. Lo strinse, ma non troppo, come se avesse paura di spezzarlo, e lo sostenne con facilità, tenendolo sotto le ascelle. L'uomo era dolorante, aveva i capelli arruffati e un sandalo slacciato. Un occhio era tumefatto, croste di sangue si notavano ai lati della bocca, in un orecchio e sotto al naso, mentre altro sangue secco macchiava la veste. Eppure, quando Longino lo tenne stretto a sé per aiutarlo, alzò il viso e sorrise. Mentre camminavano, l'unico suono era il suo respiro raschiato. «Giù per le scale» disse Longino, in latino. Ha-nozri annuì e insieme scesero nel ventre umido del palazzo. La penombra li avvolse e Longino ebbe un brivido, una scossa dalla punta delle dita al cuore, ma non riuscì a capire se fosse per il fresco improvviso o perché Ha-nozri lo aveva sfiorato con la fronte malata sul collo. Due legionari li accolsero alla fine della scalinata, in un androne spoglio, circolare, col pavimento in pietra, un unico scranno di legno scheggiato, ai muri anelli di ferro e due celle vuote, una a destra e l'altra di fronte alle scale, senza finestre, senza nulla su cui sedersi. Un rivolo d'acqua scorreva dal muro fino al pavimento e poi spariva in una grata. Longino congedò i legionari e fece entrare Ha-nozri in una cella. Gli slegò le mani e lo aiutò a sedersi. «Le spalle...» gemette Ha-nozri, in latino. «Parli latino?» chiese Longino, mentre chiudeva la cella con una catena. «Anche greco.» La voce di Ha-nozri era una piuma, così lieve, eppure così concreta. Longino si mise seduto sullo scranno e si tolse elmo e gladio, posandoli tra i piedi. «Hai studiato» sentenziò. «Ho avuto la fortuna di poterlo fare. Ma la fortuna più grande è stata quella di non aver avuto maestri.» Ha-nozri parlava e sorrideva, a voce a bassa, come se tenesse un dialogo tra sé e sé. «L'indottrinamento è nemico del sapere. La ricerca della verità necessita della libertà di pensiero. Tutto quello che so l'ho imparato da solo, tutto quello che ho capito su Dio e sul mondo è frutto del libero pensiero.» «Il libero pensiero...» mormorò Longino. Lui di tempo per studiare ne aveva avuto poco; per pensare invece ne aveva avuto in abbondanza. Peccato che la libertà dei suoi ragionamenti si fermasse sempre quando riceveva un ordine. Due fiaccole ardevano ai lati dell'ingresso, c'erano balli d'ombra e luce sulle pietre e sui visi dei due uomini. Ha-nozri si massaggiava i polsi lividi con le mani gonfie. Si sentiva lo sfrigolio della pece sulle fiaccole, lo sgocciolio perpetuo dal muro. «Ho sentito parlare di te» disse Longino, più per rompere il silenzio che altro, «sei il profeta che è entrato da Porta Susa a dorso d'asino. Mi hanno raccontato che una folla ti ha acclamato. So anche che ti credono un grande medico.» «Un medico?» Ha-nozri rise, e la sua risata rimbombò cristallina tra le pareti di pietra, «certo, un medico. Un medico pazzo che si è messo a vagabondare nel deserto, portando una medicina di cui la maggior parte delle persone non ha ancora capito la malattia.» «A dire il vero si dice che guarisci storpi e ciechi.» Ha-nozri scosse piano la testa. «Sono solo dicerie, ma se servono a rafforzare le mie idee, che ben vengano.» «Peccato che sei qui proprio per le tue idee. Hai sobillato la folla? Incitato alla rivolta?» «No, non lo farei mai.» «Quello che non capisco» Longino distese le gambe ed estrasse da un sacchetto di tela, che portava appeso alla cintola, un tozzo di pane secco, «quello che proprio non capisco è perché allora ti hanno arrestato.» «Perché il Sinedrio sa bene che le rivoluzioni destinate a durare e a rovesciare il potere non si fanno con la spada e il fuoco, ma con l'amore e la misericordia.» «L'amore e la misericordia...» mormorò Longino. Staccò un pezzo di pane e lo mise in bocca, per ammorbidirlo. «Si dice che ti abbia tradito uno dei tuoi.» «Sì, è vero. Ma non gli faccio nessuna colpa, aveva i suoi motivi. E poi, come potrei condannare chi è vittima dei disegni di Dio? Provo pena per lui, conoscendolo non si darà pace. Per quanto mi riguarda, ero consapevole che sarebbe finita così, ed è giusto che finisca così.» Longino rifletté in silenzio per qualche minuto. Quell'uomo era un mistero: era stato pestato dalle guardie del Sinedrio per tutta la notte, costretto in catene e probabilmente sarebbe finito crocifisso prima dell'ora di pranzo, eppure chiacchierava, sorrideva e non dava segni di avere paura. Che fosse questo che i sacerdoti del Tempio temevano di lui? Una fede cieca, incurante della morte? Se avesse contagiato il popolo, sarebbe stato un grosso problema. «Sì» disse infine, «capisco.» Quindi si alzò e porse un po' del suo pane al condannato, infilando il braccio attraverso le sbarre. Ha-nozri provò ad allungarsi, ma non riuscì a muoversi. Longino sospirò, tolse la catena ed entrò nella cella. Si inginocchiò davanti al prigioniero e gli porse di nuovo il pane secco. «Sei una persona buona, centurione» disse Ha-nozri, «non devi temere, non sarà come quel bambino che spazza le biglie con uno schiaffo, non ci sarà caos, non ci saranno disordini. Non sprecheremo la nostra occasione e nulla sarà più come prima.» «Ma come fai...» Longino si bloccò, fermo davanti allo sguardo calmo di Ha-nozri. E immobile rimase anche quando il prigioniero alzò lento un braccio e gli sfiorò una guancia. Poi tutto si fece confuso e Longino rivide per un attimo casa sua, ad Anxanum, quando era bambino, l'albero con i fichi spaccati, il rosso e i semi come migliaia di denti, il ruscello, una foglia come una barca, la quiete d'oro del frumento. Armonia. E lui, piccolo, davanti a quello spettacolo, il vento, la luna, le libellule, lui che si china e lecca la terra, con la lingua veloce, tra le canne e il crescione d'acqua. La trova buona. E le nuvole, veloci, coprono e scoprono il sole, ragazzo, adulto, si arruola nella Legione Fretense, la Cappadocia, i morti, il sapore della terra è il sapore del ferro. C'è qualcosa di sbagliato, fuori posto, come una goccia di sangue in un bicchiere di latte. Ritirò veloce il braccio, gli cadde il pane e uscì camminando all'indietro dalla cella, proprio quando venivano chiamati sul terrazzo. Il Sinedrio era arrivato. E lui non provava più dolore all'occhio.
Non parlò con Ha-nozri fino a quando non furono all'aperto, sul terrazzo. «Tutto bene?» gli chiese, mentre lo slegava. Ha-nozri annuì e Longino si fece in disparte, andando a occupare un posto in piedi vicino allo scranno di Pilato. Longino osservava con attenzione gli anziani sacerdoti del Tempio. Conosceva di fama i due seduti in prima fila, il sommo sacerdote Kayafa e suo suocero Anano Ben Seth. Parlottavano tra loro, così come tutti gli altri anziani, con una faccia indignata e piena di rimprovero. Tutti tranne due, notò Longino, seduti in disparte, nell'ultima fila, che si torcevano le mani. Con Ha-nozri, di fronte al Sinedrio, c'erano tre uomini. Neri, sporchi, ingobbiti, guardavano fisso il pavimento. «Avete dunque deciso, o sommi,» esordì Pilato, «chi tra questi quattro condannati avrà salva la vita dal misericordioso Cesare, l'imperatore Tiberio? Essi sono i delinquenti Ha-nozri, Dismas, Gesta e Bar Raban. Parlate, dunque.» Kayafa si alzò e si lisciò la barba, nera e crespa. «Il Sinedrio libera Bar Raban» disse e si rimise seduto. A Longino mancò il fiato e represse a stento un conato di vomito. Dovette sostenersi al bacillum viteum per non cadere. Tutti guardavano Pilato. Il prefetto si alzò e sollevò il braccio destro. «Dunque è questa la vostra decisione? La decisione che devo comunicare alla folla che si sta radunando nella spianata del Tempio?» «È questa» confermò Kayafa. Pilato si rimise seduto, diede due ordini a bassa voce e chiuse gli occhi, incrociando le mani sul petto. Uno degli ordini era per Longino, che si riscosse e andò barcollando da Ha-nozri. Gli legò le mani, senza stringere, e lo accompagnò di nuovo nella cella, seguito da tre legionari. Mentre scendevano le scale, sentirono le grida della folla all'annuncio della liberazione di Bar Raban. «Prima ti osannano e poi esultano per la tua condanna» disse Longino. «Ti sbagli, esultano per una vita risparmiata. Speriamo che ne faccia buon uso» disse Ha-nozri, mentre si sedeva nella cella. «Certo, l'ottimo uso che ne ha fatto finora» borbottò Longino. Lasciò il prigioniero con i tre legionari e tornò su. Raggiunse Pilato nei giardini interni del palazzo. Il prefetto riposava all'ombra di alcune palme e beveva vino e miele in compagnia di due persone, che Longino riconobbe come i membri del Sinedrio che sedevano nell'ultima fila, durante la farsa di poco prima. «Quinto Cassio Longino è colui che si occuperà dell'esecuzione» li presentò Pilato, «loro sono i membri del Sinedrio Joseph Ha-rama-theo e Nicodemo, due cari amici. Vi lascio soli.» Nessuno parlò fino a che il prefetto non fu sparito all'interno del palazzo. Si era alzato un leggero vento e alcune nuvole grasse imbiancavano l'orizzonte. «Dunque sarò io...» mormorò Longino e voltò il capo verso quelle nuvole che tanto aveva desiderato. Si accorse che gli tremavano le mani, ma non riuscì a controllarle e in fin dei conti non voleva farlo. «Centurione» disse Ha-rama-theo, «abbiamo chiesto noi al prefetto che fossi tu a occuparti dell'esecuzione.» Longino distolse lo sguardo dalle nuvole, che sembravano mutare forma molto in fretta e galoppare verso di loro, e fissò l'uomo dritto negli occhi. «Abbiamo visto la tua reazione quando Kayafa ha parlato. Confidiamo che vorrai aiutarci.» «Aiutarvi a fare cosa?» «Il prefetto Pilato aveva giudicato innocente Ha-nozri» si intromise Nicodemo. Era più vecchio di Ha-rama-theo, curvo e artritico, ma lo sguardo era sveglio e intelligente, «purtroppo non ha potuto opporsi alla richiesta del Sinedrio. È un gioco politico, mettersi di traverso significava indispettire Lucio Vitellio, legato di Siria, che è in ottimi rapporti con Kayafa.» Longino sospirò e si rimise a osservare il mutare del cielo. Ora le nuvole sembravano più scure, e nel loro ventre si agitavano piccole serpi nere. Probabilmente avrebbe piovuto. Arrivavano in fretta le tempeste, da quelle parti. «Sappiamo che ritieni Joshua Ha-nozri vittima di un'ingiustizia, ma devi sapere che lui non sta subendo questa situazione, non è travolto dagli eventi, lui li controlla.» Longino scosse il capo. «Lo so, me l'ha detto.» «Il fatto è che lui non si è mai limitato a dettare un messaggio, ma lo ha vissuto, nelle opere, con la sua vita, e ora dovrà farlo anche con la sua morte. Ecco perché morirà. Ma lui è troppo prezioso per quello che verrà dopo, ed ecco perché non morirà.» «Morirà e non morirà?» «Per tutti dovrà essere morto, ma noi lo salveremo.» «Lui è molto debole, morirà anche prima di salire sulla croce. Basterà la flagellazione, fidatevi, ho visto che qui si usa inserire, negli intrecci del cuoio, delle ossa di pecora spezzate. Gli strapperanno le carni della schiena.» «Nessuno lo flagellerà, non c'è tempo. Bisogna fare in fretta e noi useremo questa fretta a nostro vantaggio. Il sabato di Pesach si avvicina, i condannati dovranno essere morti entro oggi e tolti dalle croci prima che faccia buio.» «Va bene, eviterà al flagellazione. Ma avete mai sentito parlare del crurifragium? Se deve morire entro oggi, dovrò spezzargli le ginocchia per velocizzarne la morte.» «Invece non sarà così, perché nel giorno santo i cadaveri non possono rimanere alla mercé degli animali, ma devono essere seppelliti. E se devono essere seppelliti, i corpi devono essere integri.» «Ho capito, ma...» «Lasciaci finire. Intanto devi dargli da bere questi» Nicodemo estrasse due piccoli otri col tappo in sughero da sotto la veste, «nel primo c'è vino e mirra, è un anestetico. Lo deve bere subito. Non avrà forze per portare il patibulum fino al Golgota. Per questo ci aspetta in strada un nostro amico fidato di Cirene. Si chiama Shimon, lo riconoscerai per via di un nastro rosso al polso. Chiamalo e sarà lui a portare il palo.» «E nell'altra otre cosa c'è?» «Una pozione. Viene dalla Persia, simula la morte per qualche minuto.» Il sole sparì dietro le nuvole, che si erano fatte scure, e sembrò arrivata la notte.
Ai condannati, com'era usanza, fu appeso un cartello al collo con la motivazione della condanna. Al collo di Ha-nozri la scritta diceva “Joshua Ha-nozri, re dei Giudei” e sul suo capo fu posta una corona di spine, un'idea del sommo sacerdote. Sulla via che portava al Golgota, la folla era tanta, ma andava riducendosi con l'aumentare del vento e il brontolio del cielo. Folate calde arrivavano dal deserto, sembravano l'alito di un ubriaco, e sollevavano sabbia rossa e polvere in mulinelli e spirali. La gente si copriva gli occhi con i mantelli, tossiva e dopo poco scappava. Longino, dall'alto del suo puledro, controllava che tutto andasse bene. I seguaci di Ha-nozri, che notte prima erano sfuggiti all'arresto nel giardino degli ulivi, si tenevano lontani, ma si riconoscevano perché tenevano il capo basso e a stento parlavano. Tra loro vi erano anche alcune donne. Come Nicodemo aveva previsto, Ha-nozri cadde subito a terra, schiacciato dal peso del patibulum, e Longino si affrettò a chiamare Shimon di Cirene, che si fece carico del peso fino al Golgota, dove già erano piantati, saldi nel terreno, gli stipes. Ad aspettarli sulla cima c'erano i boia, pronti con scale, corde e chiodi a eseguire la sentenza. Stavano zitti e tenevano la testa rivolta al cielo, alle nuvole gravide e nere che si andavano accumulando sulla città. Quando la prima goccia arrivò a terra, seguita dalla luce accecante di un lampo e dal rombo del tuono, fecero cenno di sbrigarsi allargando le braccia e lanciando imprecazioni. Longino dispose di circondare il colle alle guardie del Tempio e ai suoi legionari e si allontanò dai boia, che denudarono i prigionieri e li inchiodarono al patibulum. Le urla strazianti degli uomini salirono tra le nuvole e si confusero con i tuoni che riempivano l'aria. Tornò solo quando la crocifissione fu completa, mandò via i boia e chiamò a sé solo un legionario fidato, Stephaton. Le guardie del Tempio e gli altri legionari si tennero a distanza e ridendo si giocarono a sorte le vesti dei condannati. Dismas era ormai impazzito e cantava con voce roca, mentre Gesta imprecava contro Dio, sputando, con i lunghi capelli bagnati attaccati al viso. Dabbasso, ai piedi del Golgota, i seguaci di Ha-nozri pregavano e le donne si lamentavano ad alta voce. «Staphaton!» urlò Longino, per farsi sentire sopra il boato dei tuoni, «dài da bere ai condannati di questo vino, sto per fare il giro e finirli.» Stephaton annuì e inzuppò una spugna versando il vino da un'otre che gli porse Longino. Non riuscì a trattenere una smorfia di disgusto. «Centurione, il vino non deve essere più buono, ha un odore pessimo!» urlò. «Sarà diventato aceto. Vedrai che non si lamenteranno» disse Longino e Stephaton rise, mentre attaccava la spugna a una canna e la alzava verso le labbra di Ha-nozri, che bevve avidamente. «Finirò prima gli altri» annunciò Longino e d'improvviso prese la lancia e uccise Dismas e Gesta con un colpo deciso al costato. «Controlla che siano morti» ordinò. Dando le spalle alle guardie del Tempio, aspettò che Stephaton fosse impegnato e attaccò alla punta della lancia una vescica piena di sangue di capretto, quindi andò veloce verso Ha-nozri, che giaceva inerme, come fosse già morto, con il mento sul petto. Finse di trafiggerlo nel costato e fece esplodere, con la punta affilata della lancia, la vescica. Il sangue sgorgò copioso. «Controlla che anche questo qua sia morto e vai ad avvisare Pilato. Prima li togliamo da là sopra e prima ce ne andremo. Tra non molto qua sarà un disastro di fango e acqua.» Stephaton annuì, constatò che Ha-nozri fosse morto e galoppò verso la città. Anche le guardie del Tempio si ritennero soddisfatte e andarono via, coperte dai cappucci, proprio mentre la pioggia debole diveniva tempesta. Arrancavano intanto sulle pendici del Golgota, tra fiumi di fango e detriti, Ha-rama-theo e Nicodemo, in compagnia di due servi carichi di bende e unguenti. Longino diede ordine ai legionari di farli passare e di tenere lontani i seguaci di Ha-nozri. Arrivati in cima si affrettarono a deporre il corpo del giustiziato e lo portarono via, verso il sepolcro della famiglia di Ha-rama.theo, che si era offerto di ospitare il cadavere. Longino li vide scomparire poco a poco, nascosti da una cortina di pioggia, e sorrise. Sapeva che il Tempio avrebbe posto delle guardie al sepolcro, ma Ha-rama-theo aveva fatto scavare un'uscita segreta. Quella notte li avrebbe raggiunti al giardino degli ulivi e, nella confusione dei festeggiamenti per la festa di Pesach, avrebbero messo in atto l'ultima parte del piano: far scappare Joshua Ha-nozri dalla Giudea. Il sole tornò non molto tempo dopo, mentre i legionari scavavano la fossa comune per gli altri due giustiziati. Longino pensò che non duravano molto le tempeste, da quelle parti. Presto comunque tutto sarebbe tornato alla normalità; oppure no? Oppure la furia dell'acqua aveva ferito così profondamente il suolo da cambiarlo per sempre, da creare una nuova armonia? Rise, si levò l'elmo e si inginocchiò, leccò la terra e la trovò buona.
Edited by mangal - 26/2/2020, 18:55
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