La profezia di Nerva

therealnecromancer

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    Regno di Mauritania 71 A.U.C.

    Marco Cocceio Nerva era stato da poco nominato Console della Provincia di Mauritania su indicazione di Vespasiano, suo grande amico nonché padre dell’imperatore Domiziano.
    Il governatore dunque si trovava di istanza a Volubilis, la capitale della provincia, da qualche settimana. Aveva già apportato significativi cambiamenti a tasse e commercio ed era molto benvoluto dalla popolazione, che lo reputava uno dei migliori consoli della provincia nordafricana.
    Aveva richiesto e ottenuto di avere con sé diversi elementi di spicco sia militare che politico. Tra di essi un giovane comandante che nonostante l’età s’era dimostrato meritevole di attenzioni in quanto dotato di ottima propensione ai rapporti con i cittadini. Di origine romana, Marcosevero - questo il suo nome - si era trasferito non appena aveva ricevuto l’incarico.
    L’impero stava conoscendo un momento di lenta espansione e si serviva di capaci consoli come Nerva per amministrare le province più lontane. Oltre alle sue riconosciute doti di comando e gestione ciò che si notava nel governatore era la forte attrazione verso il genere femminile. Era solito infatti passare le notti con donne sempre diverse e tutte dotate di una bellezza adatta alla posizione rispettabile dell’uomo.
    Una buona presenza, il fisico asciutto, profondi occhi azzurri e la dialettica le sue armi migliori. Nemmeno lui avrebbe sospettato che all’inizio del 72 potesse conoscere chi con le stesse sue armi lo avrebbe incatenato.
    Lavinia Iulla era una giovanissima patrizia Romana che aveva raggiunto Volubilis con la famiglia.
    Fu un colpo di fulmine per Nerva, che sin dal primo istante non ebbe occhi che per lei.
    A inverno inoltrato di quell’anno, iniziò la fine. E non solo per loro.
    In città giunse una carovana nomade dalle province iberiche e vi soggiornò per alcune settimane. In quel periodo, in una giornata di pieno sole, Nerva e Lavinia camminavano per il campo allestito dai Nomadi. Erano soli, senza scorta; gli iberici erano persone calorose ma non problematiche e spesso la giovane chiedeva al console di fare una passeggiata tra i suoni e i profumi così particolari. Quella mattina Lavinia aveva reso il suo uomo tra i più felici dell'Impero; sembrava quasi camminare a una spanna da terra dopo aver saputo che sarebbe diventato padre.
    Camminando tra le tende del campo, la coppia scorse uscire da una di queste una donna.
    Molto anziana rispetto a ciò che ci si poteva aspettare all’epoca. Gobba e claudicante, si appoggiava a un bastone più alto di lei e storto in punta. Il passo era indeciso ma si accorsero subito che si dirigeva incontro a loro.
    Non si preoccuparono molto, anzi quasi risero sopra a quella vista. Solo quando l’anziana si fermò davanti a loro, ebbero un sussulto; il viso rugoso e segnato abbondantemente dall’età, occhi bianchi e spenti resi tali dalla cecità.
    La nomade li aveva puntati senza averli visti.
    Nerva cercò di parlare ma con un cenno della mano libera l’anziana lo zittì. Appoggiò poi la stessa mano sul ventre di Lavinia, che le sorrise teneramente a quel fare.
    La discrezione e la tranquillità di quel periodo permetteva alla coppia di non allarmarsi per quel comportamento dolce.
    Dopo diversi attimi di silenzio la vecchia si mise a fissare con quegli occhi velati il console.
    - Questo bambino non doveva essere concepito. Ora non c’è modo di fermare ciò che avete iniziato. Nessuno al mondo dovrà sapere della sua esistenza.
    Egli dovrà crescere lontano dalla città Eterna.
    E finché lui sarà in vita, lontano e all’oscuro della sua reale origine, Roma non cadrà. Tu adotterai il tuo successore, poco prima di morire. Egli farà grande Roma dopo il tuo breve regno.
    Fa sì che tutto ciò si compia.
    Mentre le parole dal tipico accento iberico riecheggiavano nell’aria e nelle orecchie dei due, il tempo pareva essersi fermato.
    L'anziana si accasciò a terra appena terminata quella che pareva a tutti gli effetti, una profezia.
    Un tuono scosse Nerva il console.
    Sopra di loro, il cielo s’era annuvolato e la pioggia iniziò a scendere copiosa.
    Accorsero alcuni giovani nomadi ad aiutare la vecchia, mentre il Console scortava una attonita e scossa Lavinia a cercare riparo.
    Passarono i mesi e il rapporto di coppia fu spesso messo in discussione per via di quella profezia. Lavinia non voleva crederci e nemmeno obbedire a ciò che la vecchia aveva detto, reputandola una pazza, Nerva invece era rimasto colpito da quelle parole e aveva persino considerato il temporale che seguì per dieci giorni come un ulteriore monito a fare ciò che gli era stato detto di fare.
    Aveva cercato quella vecchia nei giorni successivi all’incontro, ma la sera stessa della profezia i nomadi se ne erano andati e si persero le loro tracce.
    A lungo andare il console si era convinto che il sacrificio di quel figlio era necessario, adulato dal sapere che sarebbe diventato Imperatore, anche se per poco.
    La sua pazzia esplose all’inizio del 73; Lavinia aveva appena dato alla luce un figlio maschio in ottima salute e già da qualche giorno Nerva aveva ordinato la massima riservatezza intorno a loro e nella villa. Oltre a lui, alla giovane e al loro figlio c’erano la serva che aveva aiutato la donna a partorire e il suo amico più fidato, Marcosevero, a cui aveva raccontato ogni cosa, contravvenendo in parte alla profezia.
    Insieme a Marcosevero aveva poi ideato il piano che stavano per attuare in quel momento.
    Sfruttando l’isolamento che aveva imposto, Nerva entrò nella stanza occupata da Lavinia ed estraendo il suo pugio dalla cinta si mosse alle spalle della serva e la strinse a sé con un braccio.
    La donna cercava di dimenarsi, impaurita, mentre Lavinia ancora sdraiata abbracciava il bambino, urlando. Nerva alzò il pugnale e recise la gola alla serva che crollò al suolo sanguinando a fiotti. Poi scavalcò l’ostacolo e si avvicinò al letto.
    Lavinia piangeva, immobile, paralizzata dalla paura.
    Il piccolo gorgheggiava.
    Nerva sollevò in alto il pugio, ben stretto nella mano.
    Fu un movimento veloce, un colpo preciso dritto in fronte, dove la lama si conficcò per una buona metà, concedendo alla madre di suo figlio una morte istantanea.
    Nel silenzio improvviso, il respiro affannato dalla pazzia di Nerva e i gorgheggi del piccolo erano ora gli unici rumori, in quella stanza.
    Il console recuperò con un po’ di fatica il pugio dalla testa della giovane e le strappò il medaglione di famiglia dal collo, prese il bambino e si diresse verso l’entrata dove Marcosevero lo stava aspettando con in mano una cesta. Dentro venne posizionato il bambino avvolto in un lenzuolo, il pugnale e il medaglione.
    - Sai cosa devi fare. Nessun altro dovrà mai saperlo.
    Nerva non aveva nessun tipo di flessione nella voce. Sembrava che tutto per lui fosse normale. Nessun segno di rimorso in volto, nessuna preoccupazione.
    - Il carro attende all’entrata, come hai richiesto. Io uscirò dal retro. A presto, console.
    Come risposta Nerva mantenne un distacco quasi irreale.
    I due si separarono, per mettere in pratica l’ultima parte del piano.
    Il pretoriano, salito a cavallo, lasciò la città di tutta fretta per la destinazione stabilita.
    Nerva invece caricò i corpi di Lavinia e della serva sul carro che aveva fatto preparare, ben coperto in modo che non si potesse vedere all’interno.
    Fu lui a condurlo, per precauzione aveva messo in giro la voce che non appena nato il figlio lo avrebbe accompagnato lui stesso a Roma con la madre.
    Giunto poco distante dalla città diede invece fuoco al carro e tornò a casa. Diede la notizia della morte della moglie e della serva e del rapimento del figlio, indicando i dissidenti della zona come autori del tragico misfatto.
    Recitò così bene la parte del padre affranto e sopravvissuto per miracolo che dopo un breve periodo la popolazione smise di fare domande.


    Siria 93 A.U.C.
    Marco Cornelio Nigrino, governatore della provincia siriana, stava camminando per la città. Uomo ormai anziano, era considerato da tutti il miglior console di quella provincia da molto tempo.
    A Roma il suo nome era spesso sulla bocca delle discussioni in senato; era ben visto e molti ne richiedevano la presenza nella Capitale.
    La sua vita ligia e corretta gli aveva riservato molti successi politici e economici.
    Ma mai un erede.
    Gli era stato detto che era sterile, ma all’incirca una ventina di anni prima gli Dei avevano accolto le sue preghiere e una notte aveva ricevuto nella sua casa la visita di un vecchio amico romano, un pretoriano di nome Marcosevero.
    Questi aveva portato da lui un infante di qualche mese, che disse di aver trovato ai bordi di una strada accanto ai corpi inermi di una decina di persone appartenenti a una carovana, vittima di un attacco di qualche banda di predoni.
    Sapendo della impossibilità dell’amico di avere figli aveva pensato a lui come padre per quella povera e sfortunata creatura.
    Nigrino, impazzito di gioia, non fece caso a quelle scuse abbozzate dell’amico. E nemmeno si chiese come e perché si trovasse nella provincia siriana, così distante dal luogo dove era di istanza.
    Chiamò il figlio Amal Cornelio Nigrino e lo crebbe come fosse suo.



    Crescendo Amal non aveva voluto sentire ragioni e invece di seguire le orme del padre e dopo svariate liti, aveva cominciato a lavorare come pescatore.
    Un giorno si incontrarono presso il mercato.
    - Padre!
    Gli corse incontro, dopotutto il loro rapporto era ottimo nonostante la guerra passata per le diverse scelte di vita del ragazzo.
    Nigrino si fermò, sorridente, e lo attese.
    Amal si era fatto davvero un bel ragazzo, occhi azzurri e carnagione chiara. Un ventenne in forma, che aveva molto di romano e pochi tratti di quelle province.
    - Padre… alla fine di questo anno diventerò padre!
    L’emozione incontenibile di Amal si trasferì al padre e si abbracciarono.
    Il giovane aveva conosciuto l’anno prima una ragazza, Syra. Erano fatti l’uno per l’altra, questo il console lo aveva capito fin dall’inizio.
    Era felice, e benedì quell’unione e quel figlio in arrivo la sera stessa mentre cenava con loro.

    96 A.U.C.
    Il Console era seduto sconsolato nello studio della sua villa, tra le mani la missiva nella quale gli si comunicava della morte di Domiziano e dell’insediamento di un ormai vecchio Nerva.
    Questi, appena un mese dopo aver preso potere, aveva promulgato la legge del principio adottivo, che prevedeva - per la prima volta nella storia dell'impero Romano – che ogni Imperatore aveva il dovere, prima di morire, di adottare come figlio chi lo avesse succeduto alla guida dell'Impero.
    Nigrino era in corsa per la successione, insieme a un giovane comandante di nome Traiano, di cui ben si parlava a Roma.
    Verso la fine dell’anno, un’altra missiva lo informava che Nerva aveva adottato Traiano, definendo così il futuro dell'Impero. Infausto secondo molti, compreso lo stesso console. La scelta di Nerva era stata fatta di impulso e proponeva solo risvolti bellici; Traiano era conosciuto come comandante di legioni molto prepotenti e distruttive.
    Nei dodici mesi successivi Nigrino lasciò gradualmente la sua carica, ritirandosi infine a vita privata nelle campagne esterne alla città per vivere gli ultimi anni della sua vita in tranquillità.
    Da Roma continuarono ad arrivare missive, che lo informavano di quanto Nerva fosse un maledetto sadico, che sacrificava il bene dell'Impero a favore della caccia agli stranieri, con tutte le ripercussioni che seguivano.
    Le missive erano tutte firmate e inviate dal suo vecchio amico Marcosevero, con il nome fittizio di Severino; uno stratagemma per non fare scoprire chi fosse a fare uscire dai palazzi notizie riservate.
    Tutte, tranne l’ultima.
    L’ultima missiva, il fu Prefetto del Pretorio di Roma e prossimo Prefetto della Milizia, la consegnò a mano all’amico.
    Parlarono molto, per quasi tutto il giorno del suo arrivo e buona parte della notte. Marcosevero gli raccontò di quello che da giovane, aveva visto fare a Nerva. Gli raccontò della profezia. E gli spiegò la provenienza di Amal, quel figlio tanto amato e cresciuto come suo. Il Prefetto aveva conosciuto con piacere anche il figlio di Amal, che la sera prima girava tra le gambe del nonno ridendo.
    Nigrino la notte ripensò a quel fatto di ormai ventiquattro anni prima, di come in effetti fosse rimasto stranito da quell’arrivo. E nonostante la titubanza iniziale dovette rassegnarsi ad accettare il fatto che c’era una buona possibilità che tutto fosse vero.
    Amal era in realtà il vero erede al trono di Nerva, suo vero padre. Nato prima dell’editto di adottività, ormai non avrebbe potuto comunque richiedere nulla.
    Una profezia ascoltata da un pazzo aveva e stava cambiando la vita di molti, consapevoli o meno. Il giovane erede, era diventato ormai un affermato pescatore. Il giovane adottato da Nerva, sarebbe diventato Imperatore. E nulla in quel momento, poteva rassicurare Nigrino.
    Dopo qualche giorno Marcosevero si accinse a tornare a Roma. Nel salutare il suo amico gli consegnò un pugio di ottima fattura, un medaglione con uno stemma ormai rovinato e una pergamena; residui trafugati quella sera di tanti anni prima.
    Lasciò a Nigrino la possibilità di raccontare o meno tutto ad Amal, e se avesse deciso di farlo nella pergamena avrebbe trovato un aiuto:

    Il luogo che devi trovare
    Se con la verità vuoi avere a che fare
    Si trova nella città Eterna.
    Cerca dove la donna si fa bella
    Dietro le sue spalle o sotto i suoi piedi
    Poco importa
    Se guarderai dalla giusta porta



    L'ex Console aveva letto più volte quelle pergamena, scritta da Marcosevero, che a voce aveva aggiunto che se mai un giorno Amal, o il figlio, avessero voluto o cercato aiuto a Roma, le sue porte sarebbero state aperte.
    Nigrino non parlò mai ad Amal di quei fatti né dei doni e nemmeno di chi fosse in realtà. Non fino a una sera di ottobre del 98, quando sul letto di morte finalmente il giovane venne a conoscenza di tutta la storia, dalla bocca dell’unico padre che avesse mai avuto davvero.
    Con le ultime forze e negli ultimi istanti della sua vita raccontò tutto quello che c’era da dire e consegnò al figlio medaglione, pugio e pergamena.
    Nigrino morì senza però riuscire a dirgli che quel Severino con cui era firmata la pergamena, altri non era che il Prefetto della Milizia.
    Quella stessa sera, a Roma, Traiano prendeva il suo posto di successione al comando dell'Impero.


    Roma 99 A.U.C.

    Il primo periodo passò veloce per Traiano; meno sadico del predecessore, si era occupato di espandere i confini, tracciando nuove rotte su province lontane da conquistare e annettere.
    Come il padre, era roso dal tarlo di quella profezia; era stato messo al corrente di tutto e Nerva fino a che rimase in vita era riuscito nell’intento di tenere a bada il Comandante.
    Il giovane Traiano voleva mettere fine a quella storia e più volte aveva manifestato l’intenzione di recarsi egli stesso in Siria per uccidere il vero figlio di Nerva, ponendo così fine a quella profezia, che avrebbe potuto intaccare il suo impero.
    Solo ora, con il potere acquisito dalla successione, Traiano poteva finalmente mettere in atto il suo proposito.
    Nella stanza adibita alla pianificazione delle battaglie, in piedi davanti a un tavolo ricoperto di mappe stava indicando con l’indice una di queste, in un punto preciso.
    - Lui si trova in questa zona. Procederete come progettato. Aizzerete i cospiratori dell'Impero e li aiuterete a uccidere ogni Romano maschio che risiede nella provincia, così come ogni primogenito maschio. Gli errori del passato, non saranno più commessi.

    La voce di Traiano suonava perentoria e decisa; stava dettando ordini a un uomo davanti a lui, che si limitava a annuire. Indossava un mantello nero e in volto, aveva una maschera d’oro nello stile dei teatri greci.
    Di lì a breve il Generale partì alla volta della Siria, con alcuni altri componenti di quel nuovo corpo d’élite formato da Traiano stesso.
    Gli Arcani.
    Per compiere ciò che Traiano voleva.
    Contro la volontà del destino stesso.


    Roma 111 A.U.C


    Il porto civile di Ostia era spesso sotto controllo, durante la giornata, per via di un più facile scambio di affari illeciti anche in pieno giorno, rispetto al molo mercantile ben protetto e sorvegliato dalla Legione.
    Alle prime luci del giorno un giovane pescatore stava sistemando la sacca con le poche cose che aveva portato con sé in una barca attraccata.
    La barca portava i colori di Rodi ed era sicuramente meglio tenuta rispetto alla media di quelle presenti di solito. Alcuni passanti e diversi pescatori infatti si erano fermati per ammirarla. Era giunto a Roma per conoscersi, il giovane, e una volta uscito sul ponte della nave con la sua sacca a spalle si trovò davanti Atellus, un pretoriano che stava controllando quel nuovo arrivo, come la routine prevedeva.
    - Honor Principi. Dichiarate provenienza e ragioni del vostro arrivo.
    Il giovane rimase serio ad ascoltare il pari età in divisa e per quanto non avesse nessuna intenzione sulle prime di rispondere, lo fece ugualmente per non incorrere di già in problemi.
    - SeimirQuamer Al-Teim. Arrivo ora da Rodi anche se non provengo da li in realtà, ma dalla città di Melfi in Egitto. Sono un mercante e cerco buoni affari.
    Fece una pausa, il Siriano, risistemando la sacca appesa alla spalla, schiarendosi la voce e mantenendo fisso lo sguardo in quello del pretoriano. Sapeva della possibilità di rischiare molti problemi se avessero scoperto che stava mentendo. Ma per conoscere il suo passato doveva farsi un nome rispettato. E il suo vero nome non poteva essere usato, non era sicuro almeno per il momento.
    Sorrise appena, la giovane recluta del pretorio, che forse aspettandosi resistenza o una qualche reazione stava già accarezzando l'elsa del suo gladio appeso alla cintura. Data l'accondiscendenza del fermato, Atellus si voltò e cedette il passo a Seimir. Scesero dalla nave e il pretoriano prese la sua strada.
    Il Siriano, finalmente tranquillo sulla terraferma, si guardava intorno. Era lì per un motivo, l'unico per il quale aveva ancora voglia di vivere. Si perse per qualche istante davanti a tutta quella maestosità. Nel frattempo un pescatore anziano si avvicinò a lui, notando il suo sguardo perso.
    - Mi stavo chiedendo se da qui, si può vedere la villa dell'Imperatore - disse sorridendo il giovane, cercando di non tradirsi.
    Il pescatore, senza parlare, alzò il braccio indicando ovviamente quella più grande e sfarzosa di tutte, appena sopra un avvallamento della collina che sovrastava il porto.
    Nonostante la ritrosia nel rapportarsi con altre persone Seimir aveva compreso che fare buon viso a cattivo gioco lo avrebbe aiutato. Soprattutto all'inizio. In lontananza, Villa Adriana si stagliava su tutte.
    Fissò il luogo in cui un giorno sarebbe arrivato per la sua verità.
    Dal terrazzo della sua Villa, Traiano fissava il Porto. Sentiva che un giorno sarebbe successo qualcosa, in un tempo non ben definito. E aveva sempre pensato che il porto fosse l'ingresso per quel qualcosa.
    Di incontrollabile, distruttivo.
    Sospirò e si ritirò verso la parte coperta del terrazzo; di lì a poco, avrebbe incontrato il Prefetto del Pretorio.

    Edited by mangal - 26/2/2020, 19:35
     
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    Ci sarebbe da fare un'editing abbastanza severa. Ci sono approfondimenti inutili nelle frasi. C'è poi quel "Il console…. sconsolato" che non esiste proprio! Una rilettura credo avrebbe sistemato le cose. Non ho capito perché il racconto termini così bruscamente. Non mi sembra che Traiano morisse assassinato. La storia è abbastanza interessante ma non mi sembra nulla di diverso che la narrazione della storia.L'unica cosa estranea è la profezia e quella vecchia che scompare accasciandosi.
     
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    Intanto grazie del commento!

    Se posso, mi piacerebbe poter rispondere, così che se dovessero ( e immagino sarà così ) altri trovare le tue stesse perplessità, avranno qualcosa su cui basarsi.

    Le descrizioni inutili nelle frasi che puoi aver trovato, si collegano al mio modo (?) di scrivere.
    Probabilmente prolisso e errato, adoro descrivere anche i minimi particolari.

    Per il "console sconsolato" non ho alibi. Ho riletto si, ma come si nota non così attentamente.

    No, Traiano non è morto così bruscamente, anche perché non ho mai scritto fosse morto nel racconto...non ho scritto che è stato assassinato. Per inciso, lui alla fine è bello tranquillo in terrazza..ho messo un punto alla "mia" storia nel 111, tutto qui. Forse bruscamente effettivamente, ma se leggi poco più avanti qui sotto, comprenderai perché.

    E ancora si, l'unica cosa di diverso dalla storia arrivata a noi è proprio la vecchia della profezia. Che riporta al titolo del racconto.

    In ultimo, per meglio dare un quadro completo del tutto, vorrei aggiungere che questo racconto è la parte iniziale di un romanzo che sto portando avanti. Dove effettivamente tutto è meglio spiegato, collegato e probabilmente fila meglio l'arco narrativo. Considerando che parte dal 71 e arriva ai giorni nostri, passando per medioevo e diverse nazioni del mondo.
    Il mio "ucronico" di una semplice profezia e di una vecchia, cambia parecchio nella storia.

    Detto questo, probabilmente non è stato l'input giusto da cui partire per il mio racconto, ma decisione presa !

    Grazie ancora per il primo commento, del quale sarà mia cura farne tesoro. Come gli altri che verranno, sono qui per imparare.
    Grazie ancora

    Edited by therealnecromancer - 27/2/2020, 17:44
     
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    Come ha già notato Tony, "Il console sconsolato" fa rabbrividire.

    A parte questo, che è una stupidata, ritengo che la tua ucronia sia debole. Non può essere una semplice profezia a modificare la storia. O se lo è, allora il lettore potrà dare il suo "giudizio" completo soltanto leggendo anche la continuazione della storia nel presente e nel futuro.

    Hai sicuramente studiato il background storico prima di costruire la trama. Ti posso soltanto dire che mi sarebbe piaciuto leggere già conoscendo il suddetto background.
    E dunque mi sta capitando già troppe volte in questo step (cazzo, ho letto solo 4 racconti 🤯) di quanto la mia ignoranza sia abissale come la fossa delle Marianne.

    Si, il tuo testo avrebbe bisogno di un'editata (io non ti posso aiutare perché scrivo, non edito), ma nel complesso non è male e l'ho letto con piacere.

    I personaggi si perdono un po' col susseguirsi degli eventi: insomma, sembrano tutti attori non protagonisti.

    Un po' per impressione, un po' per curiosità: cosa verrà dopo?

    E già che ci sono, visto che sei nuovo, benvenuto!🖋️

    Edited by Molli Redigano - 27/2/2020, 23:14
     
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    Intanto grazie anche a te.
    Non so se è normale rispondere a tutti i commenti, però dato che sono talmente nuovo che non ho nemmeno ancora usato il Perlana, credo che risponderò anche a te.

    Suppongo, ne ho già fatto mea culpa in effetti nel post prima, che la mia ucronia all'attuale stato delle cose possa apparire debole.

    Questo perché, secondo la mia visione intendiamoci, un singolo piccolo e come è stato definito, insignificante evento può cambiare il corso della storia.
    Come detto, questa è una piccola parte dell'inizio di un romanzo che sto portando avanti. E considerando il concorso, mi sono detto che poteva essere una buona piazza per considerarne il potenziale.

    Ora...se avessi deciso di iniziare il primo step con qualcosa di più "avanti" per l'arco narrativo del sopracitato romanzo, avrebbe perso il senso di ciò che vorrei da questo contest in particolare.

    Ergo. Tutto sarà collegato e quel piccolo e insignificante fatto della profezia, avrà sbocco nel prossimo step.
    Sperando di non incappare nuovamente in uno sconsolato console.

    Tempo al tempo. Si colmeranno i dubbi negli step successivi.

    Grazie ancora del commento, fatti da voi adesso sono meglio che fatti da altri in futuro
     
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    Ciao e benvenuto “pennafluente”!
    Il tuo racconto, poco ucronico in verità, ha lo stesso sapore di una fiaba delle mille e una notte.
    L’ho letto d’un fiato e mi sono appassionata come una bambina.
    Ti riconosco dunque una certa dote di affabulatore. Certo il finale non mi ha soddisfatta, ma considerando che si tratta di una prima parte della storia, confido nel prosieguo.
    La tua penna scorre agile nel foglio e questo si percepisce come si percepisce che non hai dedicato tempo a sufficienza per la rilettura e la formattazione. Sono errori dei quali anche io sono spesso vittima, ma che grazie a sps sto cercando di correggere. Da questo punto di vista, se lo vorrai, troverai davvero prezioso questo gruppo.
    A rileggerci 🌸🌼
     
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    Ciao Petunia e grazie anche a te per la lettura e il commento.
    Avrete più carne dal secondo step, ve lo garantisco.

    E si, sicuramente sps mi sta aiutando e mi aiuterà a fare meglio!!
     
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    Adoro i romanzi storici in generale e ho trovato questo racconto appassionante. Certamente, rileggendo più e più volte, si può sempre trovare qualcosa da migliorare (come tutti sappiamo) ma, secondo me, non è quello l'importante. Quello che conta è che un racconto mantenga vivo l'interesse del lettore e questo lo fa. (Tanto più che l'editing vero e proprio lo fa poi la casa editrice che pubblica adattando il testo alla propria linea editoriale.) Ovviamente, bisognerebbe vedere il seguito per capire meglio e, quindi, rimango in attesa.
     
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    CITAZIONE (therealnecromancer @ 27/2/2020, 22:56) 
    però dato che sono talmente nuovo che non ho nemmeno ancora usato il Perlana

    :www.MessenTools.com-Anime-Gotas :www.MessenTools.com-Anime-Gotas
     
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    Grazie mille.
    Per me è essenziale sapere che in qualche modo, sono riuscito a catturare l'attenzione.
    A furia di ripetermi, dico ancora che nel completo del romanzo, di certo tutto chiude meglio il cerchio.

    A rileggerci nel seguito!
     
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    Penna d'oca

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    Beh, mi pare che di ucronie tu ne abbia inserite abbastanza. Mi chiedo perché te la sei presa col povero Nerva, il cui regno fu breve e denso di buone cose, per dipingerlo un po' come fa quel mattacchione di Svetonio. A me è sempre stato simpatico.
    In realtà la successione nel principato era una cosa molto seria, per nulla dinastica, in cui l'adoptio costituiva solo l'ultimo tassello di un lungo processo di cooptazione.
    Ti segnalo, a mio avviso, delle incongruenze: Nerva in Mauritania venne mandato come governatore. La carica di console (il vecchio istituto repubblicano) Nerva l'assunse a partire dal 96. E ancora, quelle indicazioni cronologiche con quelle date precedute da AUC sono errate.
    Il racconto è un buon racconto, ma un po' troppo didascalico, sin dalla prima proposizione: "Vespasiano, suo grande amico nonché padre dell’imperatore Domiziano."
    L'indicazione della parentela è superflua e non aggiunge nulla alla narrazione.
    Queste ingenuità le ripeti in tutto il proseguo. Il mio consiglio è di sfrondare in questo senso il più possibile e di dare per scontato il più possibile. Chi vorrà sapere qualcosa di più preciso potrà fare delle ricerche per conto suo, non credi?
    Al centro di ogni narrazione deve stare la narrazione e non un'esposizione, come nel caso di specie, storiografica.
    Ti segnalo poi:
    "Molto anziana rispetto a ciò che ci si poteva aspettare all’epoca." Questa riflessione non è della voce narrante, ma dell'autore. La eliminerei.
    "Questi, appena un mese dopo aver preso potere" hai dimenticato il.
    Ho poi notato che eviti la virgola prima di un ma avversativo. Io la metterei.
    Dal punto di vista formale il racconto è ben scritto. Buona la sintassi, i tempi verbali, il lessico (il che con un racconto storico è una lode), la punteggiatura.
    Buono il rincorrersi tra voce narrante e dialoghi.
    E infine l'intreccio, mi pare che funzioni abbastanza bene.
    In bocca al lupo, a rileggerti.
     
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    Penna d'oca

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    Grazie del commento innanzi tutto. E soprattutto, grazie dei consigli sulle varie parti del racconto, farò tesoro di ogni correzione per il proseguo.

    Felice che la storia in se sia fluida e che la voce narrante onnisciente non sia così pesante come avevo paura risultasse.

    Per ultimo, ti dico che anche a me Nerva è sempre stato simpatico. Ma il mio imperatore preferito è Traiano ed è per lui che ho cominciato a scrivere.


    A rileggerci
     
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    Penna stilografica

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    A differenza di Renata, io NON adoro i romanzi storici. Devo quindi riconoscere da parte tua una notevole abilità nella stesura del racconto perché non mi sono stancato per niente nel leggerlo. Ci sono sì alcune imperfezioni e l'ormai famoso console sconsolato, ma per il resto trovo lo stile fluido e piacevole. Del romanzi storico ho sofferto forse un po' il fatto che lo stile si avvicina molto alla cronaca. Per quanto piacevole e fluida, la narrazione è un po' distaccata e risente della necessità di dover raccontare fatti e personaggi storici in modo preciso e dettagliato. Avrei cercato di trovare più spazio per le emozioni, per dare più colore ai personaggi, ma tutto quanto detto fa parte dei gusti personali. Per quanto riguarda l'aspetto "ucronico" del racconto, in effetti lo trovo ancora poco sviluppato, importante e incisivo, ma immagino che davvero possa emergere e svilupparsi in tutta la sua potenzialità nei prossimi STEP. Per il finale condivido le perplessità... un po' repentino... un: "lo saprete nella prossima puntata!" Ma ci sta... E quindi... alla prossima. =O)
     
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    Teropode assennato

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    Gli irriducibili
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    Di questo racconto voglio premiare la dovizia di particolari e la cura storica che è stata messa nello scriverlo.
    Non mi disturba il fatto che l'ucronia sia solo accennata e non se ne colgano, per ora, le implicazioni: il fatto che sia un lavoro su 3 step impone di giudicarlo con un atto di fiducia sul futuro, almeno in questo aspetto.

    Quello che non mi ha entusiasmato è lo stile scelto per la narrazione: troppo didascalico, manca spesso di colore, di emozione. Non è un male in assoluto, lo è per il mio gusto di lettore.
    E' un po' come la voce di certi documentari: calda, si segue con piacere, ma non riesce ad andare oltre il muro emotivo, a coinvolgere del tutto. Ha anche un certo che di fiabesco che secondo me non rende giustizia piena alla bellezza e all'epica di quei periodi.
    C'è poi una certa ridondanza di informazioni che è già stata evidenziata da altri prima di me, temo sia conseguenza inevitabile dell'uso del narratore onniscente, che purtroppo presta il fianco a questo tipo di impostazione.

    Tra i refusi che ho trovato ti segnalo che, in gergo militare, l'espressione è "di stanza" da qualche parte, non "di istanza".

    Benvenuto in SPS, tra l'altro!
     
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    Penna furiosa

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    Non sono un grande appassionato di romanzi storici, però la tua storia mi è piaciuta parecchio. È vero, lo stile appare un pò didascalico, quasi una cronaca in certi punti, con la narrazione che appare abbastanza sacrificata, ma ci sono anche aspetti positivi. Prima di tutto la tua storia non annoia, cosa che invece mi succede abbastanza spesso nel genere storico. È piacevole leggere ciò che scrivi, ci si appassiona, si vuole andare avanti nella lettura. Mi chiedo cosa sarebbe potuto venire fuori se avessi osato un pò di più, abbandonando come detto lo stile didascalico e a tratti impersonale, per mettere in risalto ancor più gli aspetti emotivi della storia. Un altro punto a favore è la conoscenza dell'argomento: non sono un espertissimo di storia, però la sensazione che mi hai dato è quella di saperti destreggiare con disinvoltura in questo particolare periodo, di sentirti pienamente a tuo agio. Anche per quanto riguarda la forma non ho particolare rilievi da farti, mi è parsa scorrevole e senza errori particolari. Per non ripetere quanto già espresso da altri, ti faccio solo notare una parte del tuo racconto(quella dove citi il "console sconsolato") dove ripeti continuamente allo sfinimento il termine missiva. Credo siano quattro o cinque nel giro di poche righe e lì avresti potuto usare benissimo qualche sinonimo(lettera, comunicazione, notizia). Ripeto, per me una buona prova, vediamo come si svilupperà nei prossimi appuntamenti.
     
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24 replies since 26/2/2020, 11:15   391 views
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